di Fulvio Vassallo Paleologo
1. Introduzione
I governi europei, anche se di diverso orientamento politico, ritengono da tempo che l’allontanamento e l’anticipazione dei controlli di frontiera nei paesi di transito, come il confinamento o la detenzione dei migranti ritenuti “illegali”, possano ridurre gli ingressi irregolari nel territorio dello Stato, e costituire un freno alla presentazione delle domande di protezione internazionale, che non si potrebbero altrimenti respingere se le persone arrivassero ad una frontiera terrestre, aerea o marittima di uno Stato che ha aderito alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951.
Pushbacks at the EU’s external borders
L’aumento degli arrivi di richiedenti asilo, particolarmente a partire dal 2014, ha comportato, più che le alterne fasi dell’economia, una limitazione della mobilità attraverso canali legali dei cd. “migranti economici”, prima in grado di fare ingresso con i visti per lavoro concessi in base ai cd. “decreti flussi annuali”, anche per lavoro stagionale, ed oggi, privati di questa possibilità, praticamente equiparati alla condizione di “clandestini” da rimpatriare o da detenere nei centri di detenzione amministrativa ( definiti in Italia come Centri per il rimpatrio- CPR) . Senza nessuna possibilità di emersione lavorativa (regolarizzazione, piuttosto che sanatoria),o di altre forme di regolarizzazione successiva, in molti paesi si è estesa la detenzione amministrativa per i cd. immigrati “illegali” che non ottemperavano agli ordini di espulsione. Ma le politiche di rimpatrio hanno fallito clamorosamente.
L’Unione Europea e i singoli Stati appartenenti all’Unione hanno adottato la politica di esternalizzazione delle frontiere come strumento ordinario di “gestione dei flussi migratori”. Prima l’Unione Europea ha inserito l’esternalizzazione dei controlli di frontiera all’interno delle politiche di “vicinato”, come il Processo 5+5 di Barcellona, in un secondo tempo, a partire dal 2011 ha puntato su accordi diretti con singoli paesi terzi, come nel caso della Turchia, oppure lasciando ai singoli stati membri il compito di concludere accordi bilaterali o semplici Memorandum d’intesa, come quelli conclusi a partire dal 2007 dall’Italia con la Libia.
Su questa base si sono affermate politiche di controllo dei “flussi migratori” basate su accordi, oltre che con i paesi di origine, per facilitare le espulsioni (return), anche con i paesi di transito, al fine di rendere più difficili le partenze e, di fatto, meno sicure le traversate ed il raggiungimento di una frontiera. Gli accordi stipulati con la Albania nel 1997 avevano una prevalente finalità di praticare un vero e proprio blocco navale davanti alle coste albanesi, con le conseguenze tragiche che si sono verificate con lo speronamento della Kater I Rades, una navetta carica di migranti, da parte di una unità della Marina militare italiana, la nave Sibilla. Al termine di un procedimento penale durato oltre quindici anni soltanto nel 2014 il comandante della nave veniva condannato ad una pena lievissima, mentre il Ministero competente non si costituiva per l’intera durata del processo.
Naufragio del venerdì santo, la Cassazione conferma le condanne
XHAVARA and others – Italy and Albania (N° 39473/98)
Decision 11.1.2001 [Section IV]
Memorializing Boat Tragedies in the Mediterranean. The Case of the Katër i Radës
In questa sede tratteremo soltanto degli accordi bilaterali o multilaterali stipulati dall’Italia con governi di paesi terzi al fine di bloccare le partenze e facilitare le espulsioni con accompagnamento forzato, nel quadro di quella che viene correntemente definita come “lotta all’immigrazione illegale”. Anche se la Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati vieta di penalizzare l’ingresso irregolare delle persone che varcano la frontiera per chiedere una forma di protezione. Da questo punto di vista occorre ricodare che le autorità italiane sono comunque tenute al rispetto, oltre che della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, dei Regolamenti e delle Direttive europee in materia di protezione internazionale e di soccorso in mare (Regolamento n.656 del 2014). Riprenderemo soltanto alcuni spunti sull’accordo tra gli Stati membri dell’Unione Europea con la Turchia del 2016, per gli effetti a catena che ha avuto sulle rotte migratorie, con riferimento al Mediterraneo centrale, e per lo svuotamento sostanziale del diritto di asilo che ha prodotto a livello europeo.
2. Dagli accordi bilaterali con la Tunisia, l’Algeria il Marocco (1998) al Piano di Khartoum (2014). La negazione del diritto di asilo.
Readmission in the Relations between Italy and North African Mediterranean Countries
Migration Agreements between Italy and North Africa: Domestic Imperatives versus International Norms
Gli accordi con la Tunisia del 1998, stipulati dal primo governo Prodi, come i sucecssivi accordi con altri paesi di origine africani e asiatici, miravano invece al rimpatrio con accompagnamento forzato dei cittadini di questi paesi che riuscivano a fare ingresso irregolarmente o per ragioni di soccorso nel territorio italiano. Dal 1998, con la legge Turco Napolitano n.40 venivano creati numerosi centri di detenzione amministrativa, variamente definiti nel tempo, prima Centri di permanenza temporanea (CPT) poi centri di identificazione ed espulsione (CIE), infine Centri per il rimpatrio (CPR). Ma solo una mnima parte degli stranieri irregolari veniva riammessa negli Stati di origine, che in molti casi, anche se avevano firmato accordi bilaterali con l’Italia, si rifiutavano di accettare l’espulsione dei loro cittadini e non collaboravano nella creazione dei documenti di viaggio necessari per la deportazione di persone che nella maggior parte dei casi non venivano identificate ed erano prive di documenti.
Gli accordi del 1998 con la Tunisia venivano poi integrati con successive intese di polizia, al fine di rendere più semplici le identificazioni, anche prescindendo dalla esatta attribuzione della identità, ma solo sulla base della nazionalità, e dunque facilitare i rimpatri con accompagnamento forzato. Dopo la caduta del capo del governo Ben Alì e l’avvio della cosiddetta “primavera araba”, che proprio dalla Tunisia si diffondeva poi in altri paesi della sponda sud del mediterraneo, restavano sostanzialmente immutati, anche se la loro esecuzione era sempre legata al flusso di aiuti che da Roma raggiungeva Tunisi.
Return Mania. Mapping policies and practices in the EuroMed Region
Anche la Tunisia non può essere considerata un “paese terzo sicuro” perchè i migranti di diversa nazionalità che si ritrovano nel suo territorio, oggi avvilito da una devstante crisi economica e da una netta involuzione autoritaria del governo, non hanno possibilità di avere riconosciuto uno status di protezione che accordi loro un documento di viaggio e la libertà di residenza e circolazione. A sua volta la Tunisia esegue da tempo respingimenti collettivi vietati dal diritto internazionale verso i paesi limitrofi.
Chain of push-backs from Tunisian ports to the Libyan desert!
Migrants find themselves ‘trapped’ in Tunisia, a country that can offer them nothing
Nel 2007 il governo Prodi concordava con il governo libico, allora guidato da Ghedafi, un primo Protocollo operativo per contrastare congiuntamente l’immigrazione irregolare, che poi veniva ripreso ed attuato dal governo Berlusconi che concludeva con lo stesso leader libico il Trattato di amicizia partenariato e cooperazione del 2008. Che era alla base dei respingimenti illegali operati dalla Guardia di finanza nel 2009 e nel 2010, direttamente verso le coste libiche, condannati dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo con la sentenza sul caso Hirsi. Una sentenza che si tenta ancora oggi di aggirare con accordi bilaterali che cercano di trasferire sugli Stati terzi la responsabilità delle operazioni di push back.
Italy: ‘Historic’ European Court judgment upholds migrants’ rights
The Eclipse of Europe: Italy, Libya, and the Surveillance of Borders
A partire dal 2014 con il Processo di Khartoum elaborato dal governo Renzi e quindi dal 2007, con il secondo governo Prodi, si intensificavano gli accordi con i paesi terzi, ai fini del respingimento e dell’espulsione delle persone che da questi paesi entravano in Italia. Nel 2006 si arrivava al punto di concludere un Accordo di cooperazione di polizia con il governo del dittatore Bashir in Sudan, anche se erano denunciate anche dalle Nazioni Unite e dalla Corte Penale internazionali i gravissimi crimini contro l’umanità commessi da questo despota. Ma per le autorità italiane che invitavano in Italia gli agenti degli stessi servizi di sicurezza che in Sudan avevano ucciso e violentato la popolazione civile tutto questo non rilevava. La cartina di tornasole del fallimento di queste politiche si rinviene nell’arresto di un falegname eritreo a Khartoum nel 2016, ritenuto capo dei trafficanti che dalla Libia gestivano le partenze dei migranti verso l’Italia. Una sentenza del Tribunale di Palermo accertava, dopo tre anni di ingiusta carcerazione dell’imputato, lo scambio di persona, ma il processo è ancora in corso a Palermo in grado di appello, perchè la pubblica accusa continua a ritenere l’uomo, al quale l’UNHCR ha riconosciuto intanto l’asilo politico, colpevole di avere agevolato la partenza verso l’Italia di alcuni suoi parenti.
Italy frees man wrongly extradited for people smuggling
Gli accordi bilaterali tra Stati più recenti come quello stipulato tra gli Stati dell’Unione Europea con la Turchia e quindi nel 2017 il Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti con il governo di Tripoli, mettono al centro della cooperazione di polizia che prevedono di rinforzare in sinergia con l’agenzia europea Frontex, il respingimento collettivo dei migranti, prima che questi possano raggiungere il territorio europeo. Per effetto di questi accordi e della campagna mediatica e giudiziaria contro le Organizzazzioni non governative che dal 2016 operavano soccorsi in mare, a seguito del ritiro delle unità statali dalle acque internazionali, decine di migliaia di persone hanno fatto naufragio ed in molti casi i loro corpi sono andati dispersi.
Crackdown on NGOs and volunteers helping refugees and other migrants
Ancora oggi leggiamo di “sbarchi senza fine” e di “ONG in pressing”. Una vera e propria infamia comunicativa, se solo si comparano le poche migliaia di persone che vengono soccorse dalle ONG, rispetto al numero molto più consistente degli “sbarchi autonomi” e soprattutto se si ricorda che in quattro mesi l’Italia ha dato accoglienza ad oltre 135.000 cittadini stranieri provenienti dall’Ucraina, il triplo delle persone che nello stesso periodo sono arrivare via mare, fuggendo da conflitti che il mondo occidentale vuole continuare ad ignorare. Magari per ritrovarsi poi isolato rispetto alle grandi potenze emergenti (Cina, India) che su quei conflitti stanno costruendo una precisa stragegia politica, commerciale e militare di attacco nei confronti del cd. Occidente. Ma chi fugge da quei conflitti lontani è solo un migrante economico, e come tale può essere respinto, fino a prova contraria.
Italy-Libya agreement: Five years of EU-sponsored abuse in Libya and the central Mediterranean
Secondo il principio di non refoulement sancito dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati (art.33),invece, nessuno può essere respinto in frontiera senza avere accesso ad una procedura equa ed effettiva per determinare il suo status e le esigenze di protezione. E’ dunque possibile individuare un “contenuto minimo” di natura procedurale del diritto d’asilo, che prima ancora di imporre in capo agli Stati precisi obblighi materiali di tipo positivo in ordine al riconoscimento dello status di rifugiato, non consente loro comportamenti che possano costituire una limitazione della libertà di accesso alle procedure, a meno di non svuotare di significato l’adesione alla stessa Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Gli accordi tra Stati, frutto dei processi di esternalizzazione delle frontiere non possono legittimare misure di respingimento indiscriminato o di chiusura dei porti, impedendo l’accesso in frontiera di potenziali richiedenti asilo.
L’esperienza della esternalizzazione delle frontiere, già praticata con gli accordi tra Italia e Libia nel 2008, ed estesa nel 2014 con il Processo di Khartoum, promosso dal’Unione Europea, su proposta del governo italiano guidato da Matteo Renzi, ha costituito le premesse per una reiterata violazione dei principi più importanti stabiliti dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, anche se è stata spacciata come una risposta improntata allo stato di emergenza permanente proclamato sul territorio nazionale ogni qualvolta si registrava un aumento degli arrivi di richiedenti asilo. Come si era verificato a partire dal 2004, dopo la crisi in Darfur, e poi rispetto alla fase delle Primavere arabe (2011), con la breve interruzione dell’Operazione italiana Mare Nostrum (2014), e poi con la breve stagione dell’accoglienza dei profughi siriani nel 2015, fase nella quale gli stati sembravano avere anteposto i diritti fondamentali della persona, a partire dal diritto alla vita, rispetto alla chiusura delle frontiere ed ai respingimenti collettivi.
The Khartoum Process: Critical Assessment and Policy Recommendations
Mentre si sono ridotti persino i cd. canali umanitari, da ultimo adducendo ragioni di carattere sanitario, anche nei confronti di quanti fuggivano dall’Afghanistan, malgardo le promesse che i governi avevano diffuso al momento della fuga degli americani da Kabul e dall’intero paese, si è adottata ovunque una politica di forte contrasto nei confronti di coloro che provengono da conflitti o da stati caratterizzati da diffuse violazioni dei diritti umani. In modo da porre un limite quantitativo alle persone in grado di ottenere uno status di soggiorno legale (anche con l’adozione per legge di una “lista di paesi terzi sicuri”).
DEBUNKING THE “SAFE THIRD COUNTRY” MYTH
La categoria normativa di richiedente asilo, rilevante sul piano internazionale, ma con riflessi anche sul piano nazionale, è stata così svuotata della valenza che le attribuivano le Convenzioni internazionali e le Costituzioni nazionali, come quella italiana che all’art. 10 prevede il diritto di asilo costituzionale con una portata molto più ampia di quanto la normativa europea e la legislazione interna non riconoscano. Per completare questa negazione del diritto alla protezione, in Italia, con il decreto sicurezza n.113 del 2018 ( poi convertito nella legge n.132 dello stesso anno) si è abrogata la protezione umanitaria già prevista dall’art. 5.6 del Testo Unico n.286/98 sull’immigrazione, anche se era riconosciuta nella giurisprudenza della Cassazione come un istituto attuativo dell’art. 10 della Costituzione italiana. Il più recente Decreto n.132 del 2020 ha rimediato solo in parte al disastro sociale e politico prodotto dall’abolizione della protezione umanitaria, ed il sistema di accoglienza, come le procedure, rimangono ancora fortemente destrutturate dai cd. decreti sicurezza adottati quando Salvini era ministro dell’interno.
Malgrado le politiche europee ed italiane rivolte esclusivamente alla esternalizzazione delle frontiere in funzione di contrasto dell’immigrazione irregolare, che a partire dal 2017 si sono poi articolate nella guerra contro i soccorsi umanitari operati dalle Organizzazioni non governative (ONG), in mare, nel Mediterraneo, e nei territori di frontiera, la mobilità umana è sfuggita a qualsiasi controllo, indotta da fattori economici ed ambientali sempre più pressanti. Nessuna crisi regionale è stata risolta, la situazione in Siria rimane catastrofica, dopo l’attacco al Rojava della Turchia di Erdogan, in Afghanistan ed in Irak si continua a morire, e nel Sahel, infiltrato da bande terroristiche e da gruppi paramilitari, domina la devastazione ambientale che sta producendo nuove categorie di migranti, i rifugiati ambientali. Da ultimo, la guerra in Ucraina ha provocato una crisi economica a livello globale, ancora più feroce nei paesi più poveri, come quelli dai quali partono, in maggior parte, i potenziali richiedenti asilo. Ma aumenta il numero dei migranti ambientali, e la categoria dei cd. migranti economici si confonde sempre di più con le migrazioni forzate causate dalla totale mancanza di prospettive di sopravvivenza. Basti pensare alla situazione in cui versa ancora la Siria, e alla tragica pressione che Erdogan esercita sul Kurdistan (Rojava).
Attraverso gli accordi tra Stati i governi dei “porti chiusi” e delle frontiere sbarrate, gli stessi che facevano una bandiera della “lotta all’immigrazione illegale”, hanno alimentato le mafie connesse a regimi corrotti, i conflitti civili ed etnici, e le guerre su procura nei paesi di origine e transito, chiudendo ogni canale legale di ingresso e contrastando i soccorsi in mare perché le navi di soccorso sono state ritenute come un fattore di attrazione (pull factor). Una degenerazione della politica estera che il conflitto in Ucraina sta esasperando.
Libya releases man described as one of world’s most wanted human traffickers
2017 SAR OPERATIONS IN THE MEDITERRANEAN SEA
La tesi del pull factor, smentita dai fatti e dalla giurisprudenza, continua ad alimentare la propaganda d’odio contro chi continua ad operare soccorsi in acque internazionali.
June 2021 Update – Search and Rescue (SAR) operations in the Mediterranean and fundamental rights
3. Sicurezza nazionale e difesa delle frontiere contro diritti fondamentali ?
A partire dall’11 settembre 2001 abbiamo assistito all’uso strumentale delle categorie di sicurezza interna ed internazionale, di ordine pubblico e sicurezza nazionale (nei confronti dei migranti considerati come il nemico interno) con una confusione sempre più evidente tra le tante guerre in corso nelle aree più povere del mondo, le minacce del terrorismo internazionale ed i sistemi di difesa dei confini e di esternalizzazione delle frontiere. Dal Consiglio dell’Unione Europea svoltosi a Tampere nel 1999 alle decisioni a livello europeo e nazionale adottate negli anni successivi, fino all’attuale atteggiamento di chiusura dell’Europa di fronte alla crisi al confine greco-turco, abbiamo assistito alle gravi violazioni dei diritti umani che si ripetono sulla rotta balcanica, ed all’ecatombe di migranti nel Mediterraneo. Ovunque si è verificato un progressivo abbattimento dei livelli di garanzia dei diritti umani, e del diritto di asilo, previsti dalle Costituzioni e dalle Convenzioni internazionali seguite al secondo conflitto mondiale.
The Impact of the War in Ukraine on Multilateralism: A Stronger Polarisation
La fase di guerra globale che l’invasione dell’Ucraina ha solo reso più evidente, ha portato ad una proliferazione di politiche intergovernative e di accordi regionali che hanno polverizzato il multilateralismo sui cui si basavano le Nazioni Unite e le agenzie che vi erano collegate, come l’UNHCR, il Comitato contro la tortura (CAT) e l’Alto Commissariato per i Diritti Umani.
THE EU TEMPORARY PROTECTION DIRECTIVE IN PRACTICE 2022
Le finalità politiche e propagandistiche perseguite con gli accordi bilaterali rivolti alla esternalizzazione dei controlli di frontiera hanno travolto il rispetto delle norme di diritto internazionale e lo stesso principio di gerarchia delle fonti, che era alla base della separazione dei poteri e dello stato di diritto. Mentre la giurisprudenza avvertiva i limiti degli accordi bilaterali , i decisori politici hanno continuato ad ignorare del tutto la forza vincolante del diritto internazionale. L’esternalizzazione della frontiera realizzata da anni dall’Italia con la Libia viene oggi messa in crisi dalla frammentazione di quel paese, in preda ad un conflitto interno che sembra assumere carattere regionale, dopo il sostegno turco ricevuto dal governo di Tripoli, seguito ad anni di collaborazione del generale Haftar con il governo egiziano, e dietro le quinte, con il governo russo.
4. La invalidità sopravvenuta del Memorandum d’intesa tra Italia e governo di Tripoli.
Il Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni unite, firmata a Palermo nel 2000, contro la Criminalità organizzata transnazionale, per combattere il traffico illecito di migranti per via terrestre, aerea e marittima, frequentemente invocato per fornire una base legale agli accordi intercorsi con la Libia, prevede la superiorità gerarchica delle norme di diritto internazionale relative ai diritti dell’Uomo e della Convenzione di Ginevra. del 1951 sui rifugiati. In base all’articolo 19 § 1 del Protocollo, «Nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica gli altri diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e degli individui derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale relativo ai diritti dell’uomo e, in particolare, laddove applicabili, la Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati e il principio di non respingimento ivi enunciato.»
Se anche si ritenesse che tra la Libia di Gheddafi e l’attuale governo di Tripoli vi sia una qualche “continuità politica”, l’Accordo per la collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico illegale di sostanze stupefacenti o psicotrope ed all’immigrazione clandestina firmato a Roma il 13 dicembre 2011, e già prima anticipato dai Protocolli operativi governo Prodi) nel dicembre del 2007, il Trattato di amicizia firmato da Berlusconi e Gheddafi nel 2008, e poi il Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti tra Italia e governo di Tripoli del 2 febbraio 2017, che ne riprende in sostanza la portata, dovrebbero essere dichiarati decaduti, per la contrarietà con il diritto internazionale generalmente riconosciuto ed anche in quanto privi di efficacia, ai sensi dell’art. 61 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, in forza della clausola “rebus sic stantibus”. Oggi la Libia come Stato unitario non esiste più e da tempo il suo territorio è conteso da milizie e governi che si combattono. Le previsioni di portata operativa contenute negli accordi stipulati con i libici dai diversi governi italiani, come l’attribuzione di competenze di ricerca e salvataggio, in realtà di intercettazione in acque internazionali, alla cd. Guardia costiera “libica”, sono inattuabili, per sopravvenuta impossibilità di esecuzione, come purtroppo è confermato dal numero crescente di arrivi in autonomia e di mbarcazioni che continuano a fare naufragio senza che nessuno intervenga. La stessa invenzione di una “zona SAR“ (di ricerca e salvataggio), riconosciuta nel giugno del 2018 dall’IMO ( Organizzazione internazionale del mare collegata alle Nazioni Unite) nelle acque internazionale del Mediterraneo centrale, che sarebbe di esclusiva competenza delle autorità di Tripoli si rivela niente più che una finzione, se non un alibi, costituendo di fatto la giustificazione per il ritiro dei mezzi di soccorso prima garantiti dagli Stati europei, e per la criminalizzazione delle ONG che ancora continuano ad operare in quelle acque.

Mediterranean: As the fiction of a Libyan search and rescue zone begins to crumble, EU states use the coronavirus pandemic to declare themselves unsafe
Anche i giudici italiani giungono alla dimostrazione della inapplicabilità degli accordi tra l’Italia ed il governo di Tripoli sulla base del riconoscimento del sistema gerarchico delle fonti, ed in base al principio di legalità. Sii esclude cosi’ che il Memorandum d’intesa stipulato il 2 febbraio 2017 tra il governo italiano e quello libico possa costituire una base legale per le attività di respingimento collettivo in mare delegate dalle autorità italiane alla sedicente guardia costiera “libica”. Secondo il Giudice delle indagini preliminari di Trapani, nella sentenza sul caso della legittima difesa riconosciuta ai naufraghi raccolti dal rimorchiatore Vos Thalassa nel luglio 2018 e poi trasbordati sulla nave Diciotti, della Guardia costiera italiana: “il memorandum Italia-Libia, essendo stato stipulato nel 2017, quando il principio di non-refoulement aveva già acquisito rango di jus cogens, è privo di validità, atteso che ai sensi dell’art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati ‘è nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale generale; – incompatibile con l’art. 10 co. 1 Cost., secondo cui ‘l’ordinamento italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, tra le quali rientra ormai anche il principio di non-refoulement’. Secondo il giudice di Trapani, il Memorandum d’intesa tra Italia e Libia stipulato il 2 febbraio 2017, mai approvato dal Parlamento secondo la procedura fissata dall’art. 80 della Costituzione, costituisce “un’intesa giuridicamente non vincolante e non avente natura legislativa”.
Dopo il ribaltamento di questa decisione da parte della Corte di Appello di Palermo, la Corte di Cassazione ha ribadito gli orientamenti del giudice di Trapani, con una sentenza sul caso Vos Thalassa ormai definitiva ed inappellabile, che non permette di riconoscere alla Libia, o ad uno dei due territori nei quali è divisa, con due governi in carica, lo status di “paese terzo sicuro” verso cui respingere o fare respingere persone in fuga attraverso la rotta del Mediterraneo centrale, la rotta migratoria più pericolosa del mondo.
Una sentenza del Tribunale di Napoli, come riferisce Nello Scavo dopo una documentata inchiesta condotta sulle pagine de l’Avvenire, ha condannato ad un anno di reclusione il comandante del rimorchiatore ASSO 28 , di servizio nel luglio del 2018 alla piattaforma petrolifera offshore Sabratha in acque internazionali, per avere riconsegnato ad una motovedetta libica al largo del porto di Tripoli oltre cento persone soccorse nei pressi della piattaforma, dunque al di fuori delle acque territoriali libiche.
Quali erano le autorità che avevano impartito l’ordine di respingimento dalla piattaforma Sabratha e con quali centrali di coordinamento (MRCC) erano in contatto ? Di certo la riconsegna dei naufraghi si verificò poco al di fuori del porto di Tripoli, con il trasbordo su una motovedetta libica, lontano da occhi indiscreti. Evidentemente nessuno doveva vedere o riferire quanto stava accadendo. Si deve infatti ricordare che nella stessa giornata del 30 luglio 2018 mentre il rimorchiatore ASSO 28 riconsegnava i naufraghi alla motovedetta libica appena fuori dal porto di Tripoli, venivano arrestati.quattro giornalisti della Reuters e dell’Associated Press che volevano documentare la riconsegna alle milizie libiche, proprio nel porto militare di Tripoli, ad Abu Sittah, dove facevano base anche le navi della missione militare italiana NAURAS.
A proposito delle responsabilità di coordinamento che rimangono sullo sfondo della sentenza del Tribunale di Napoli occorre anche ricordare quanto osservato nel caso Open Arms a marzo del 2018, dunque con riferimento ad un periodo anteriore a quello del caso ASSO 28, in un Decreto di convalida di sequestro emesso in quello stesso periodo dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Catania. Questo giudice osservava come di fatto la Guardia costiera libica fosse allora coordinata dalle autorità militari italiane, presenti nello stesso porto militare di Abu Sittah a Tripoli con la missione Nauras, facente parte della operazione Mare Sicuro della Marina militare italiana. Un coordinamento che è proseguito anche dopo la istituzione di una finta zona SAR “libica” nel mese di giugno del 2018, come è stato confermato fino allo scorso anno anche da autorevoli esponenti di governo italiani, coordinamento che, secondo quanto dichiarato dal ministro della difesa Guerini, sarebbe venuto meno soltanto nel mese di luglio del 2020. Da quando, dopo la stipula di un accordo tra la Turchia di Erdogan e il governo provvisorio di Tripoli le autorità turche hanno preso il controllo della maggior parte delle coste della Tripolitania, istituendo una base navale turca ad Al Khums (Khoms) e gestendo direttamente i rapporti con le milizie che controllavano in precedenza le diverse guardie costiere libiche, di fatto una per ogni città.
La Libia, nel complesso delle diverse articolazioni territoriali, politiche e militari in cui è frammentata si conferma dunque un paese terzo non sicuro per potenziali richiedenti asilo, e qualunque pratica o cooperazione di polizia che ottenga come risultato l’intercettazione dei migranti in mare e la loro riconduzione in un porto libico si rivela come un respingimento collettivo delegato alle autorità libiche, e come tale costituisce una grave violazione del diritto umanitario e del diritto internazionale del mare, che obbliga gli Stati ad indicare per i naufraghi un “porto sicuro di sbarco”.
5. I rapporti tra Malta, il governo di Tripoli, e le autorità italiane.
Malta’s brutality against asylum seekers necessitates EU commission intervention
Nel 2020 gravi dichiarazioni del primo ministro maltese Abela hanno respinto le critiche rivolte al suo governo che ha organizzato operazioni di push-back verso la Libia avvalendosi di imbarcazioni private per intercettare i migranti in acque internazionali, e riportarli direttamente a Tripoli, oppure quando questo risulta impossibile per le denunce delle ONG, per detenerli in navi hotspot al largo de La Valletta, dopo che i porti di Malta sono stati dichiarati non sicuri (unsafe), per la crisi del sistema sanitario derivante dalla pandemia del Covid-19. Secondo quanto dichiarato a The Malta Independent da Abela con riferimento al gommone intercettato dal paschereccio Dar al Salam nella notte tra il 13 ed il 14 aprile 2020, sarebbe “categorically denied that there was any pushback of any migrants. “A rescue was carried out; had it not been for the Maltese government which coordinated that rescue then a lot of lives at sea would have been lost, because the EU passed by with a Frontex plane and kept on going”. Un’ accusa gravissima che non è stata chiarita nelle sedi opportune, a Malta ed a Bruxelles. E neppure a Roma. Secondo il primo ministro maltese, “Malta coordinated the rescue and saw that the migrants were taken to a port which was open; so, there was no pushback; in fact we saved a lot of lives”, he added. “Gafa’s only involvement, he repeated, was not to coordinate the operation but to contact Libyan authorities to facilitate the rescue. “Nothing was paid, nothing was promised”. Una giustificazione che non regge perchè il porto di Tripoli che risultava formalmente “aperto” era stato oggetto di bombardamenti fino a qualche giorno prima, al punto che una nave della missione italiana Nauras, la Gorgona aveva dovuto mollare gli ormeggi nel giorno di Pasquetta, e non poteva certo definitsi come un “porto sicuro di sbarco”, a fronte delle notorie violenze, se non sevizie, inflitte ai naufraghi riportati a terra.
The Frontex Paradox : Operation Themis in Historical Context
6.Gli accordi tra gli Stati dell’Unione europea e la Turchia.
Il 20 marzo 2016 entrava in vigore l‘accordo tra l’Unione Europea e Turchia che ha trasformato in migranti “illegali” da espellere da qualsiasi paese dell’area Schengen anche potenziali richiedenti asilo. In realtà come accertava la Corte di Giustizia dell’Unione Europea, non si trattava di un “accordo concluso tra le autorità europee e il governo di Ankara”,ma di un intesa raggiunta tra i singoli stati membri ed il governo turco, ratificata da un voto del Consiglio UE.
Secondo la Corte, nel caso NG, ” a prescindere dalla questione se costituisca, come sostenuto dal Consiglio europeo, dal Consiglio e dalla Commissione, una dichiarazione di natura politica o, al contrario, come sostenuto dal ricorrente, un atto idoneo a produrre effetti giuridici obbligatori, la dichiarazione UE-Turchia, come diffusa per mezzo del comunicato stampa n. 144/16, non può essere considerata come un atto adottato dal Consiglio europeo, né peraltro da un’altra istituzione, organo o organismo dell’Unione o come prova dell’esistenza di un simile atto e che corrisponderebbe all’atto impugnato. Ad abundantiam, alla luce del riferimento, contenuto nella dichiarazione UE-Turchia, al fatto che «l’UE e la [Repubblica di] Turchia avevano concordato punti di azione supplementari», il Tribunale considera che, anche supponendo che un accordo internazionale possa essere stato concluso informalmente nel corso della riunione del 18 marzo 2016, circostanza che, nel caso di specie, è stata negata dal Consiglio europeo, dal Consiglio e dalla Commissione, tale accordo sarebbe intervenuto tra i capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Unione e il Primo ministro turco.
The Renewal of the EU-Turkey Migration Deal
Il Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, quasi a conferma di questa anomalia, sottolineava però che l’accordo “è conforme a tutte le norme dell’UE e internazionali. Le domande dei rifugiati e dei richiedenti asilo saranno trattate singolarmente e si potrà presentare ricorso. Il principio di non respingimento sarà rispettato.“. Una affermazione che nel tempo è stata smentita dai fatti, anche tragici, come quelli che, a seguito di tentativi di respingimento o per mancato intervento di soccorso, hanno segnato il naufragio di centinaia di persone nelle acque dell’Egeo. La pietà che aveva suscitato la tragica fine del piccolo Alan Kurdi, il 2 settembre 2015 è durata poco.
Alla luce della Dichiarazione UE-Turchia del 18 marzo 2016, il Parlamento greco ha adottato il 3 aprile 2016 una legge “Sull’organizzazione e il funzionamento del servizio di asilo, l’Autorità per i ricorsi, il Servizio di accoglienza e identificazione”, con la istituzione del Segretariato generale per l’accoglienza, ed il recepimento nella legislazione greca delle disposizioni della direttiva 2013/32 / UE riguardanti le procedure di asilo con disposizioni in materia di beneficiari di protezione internazionale. Questa riforma è stata approvata con la legge n.4375/2016 che ha tentato di regolare la creazione e il funzionamento di centri “hotspot”, stabilendo le procedure che si svolgono in queste strutture. Tuttavia, la legislazione nazionale greca non è mai riuscita a regolamentare in modo efficace il coinvolgimento delle agenzie dell’UE nelle attività di polizia di frontiera, come gli agenti di Frontex nelle attività di sorveglianza ed intercettazione dei migranti irregolari, che sono rimaste disciplinate soltanto da accordi operativi di polizia e da piani riservati concordati a livello militare.
6. Sugli abusi commessi dagli agenti Frontex alle frontiere greche sono stati presentati diversi esposti, uno in particolare alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e le denunce delle organizzazioni non governative hanno contribuito alle recenti dimissioni del Direttore dell’Agenzia, Fabrice Legeri, che comunque era sotto inchiesta da parte dell’OLAF (Nucleo antifrodi del Parlamento europeo) per rapporti poco trasparenti con l’industria delle armi che riforniva di sofisticate apparecchiature di controllo, anche dall’alto (droni) le forze armate arruolate dall’Agenzia su scala europea.
Greece: Crack-down on NGOs and Criminalisation of Solidarity Continues, Government Announces “Blocking” Thousands of Arrivals in Evros Amid New Pushback Reports
In seguito all’accordo raggiunto tra l’Unione Europea e la Turchia, dal 20 marzo 2016 tutti i migranti irregolari in viaggio dalla Turchia verso le isole greche avrebbero dovuto essere riportati indietro. In realtà la maggior parte è rimasta intrappolata per mesi nei campi allestiti nelle isole greche (Hotspot). Gli Stati membri dell’UE hanno anche deciso di fornire tempestivamente alla Grecia i mezzi necessari, tra cui guardie di frontiera, esperti in materia di asilo e interpreti. Da allora anche i migranti siriani arrivati in Grecia dalla Turchia sono stati considerati “illegali”. Per non parlare degli afghani e dei pakistani nei confronti dei quali si sono attivate procedure di allontanamento forzato. Dal 4 aprile 2016 sono cominciate le operazioni di respingimento in Turchia e si è avuto notizia di respingimenti “di riflesso” dalla Turchia verso l’Afghanistan. La Corte Europea dei diritti dell’Uomo, interrompendo una tradizionale linea di protezione per le persone in fuga che chiedevano asilo, non ha saputo sanzionare espulsioni e respingimenti che apparivano in violazione del divieto di refoulement verso paesi nei quali si poteva essere sottoposti a trattamenti inumani o degradanti ( vietati dall’art. 3 della CEDU), in assenza di garanzie effettive di difesa e con il rischio di subire ingiuste limitazioni della libertà personale (art.5 CEDU) e gravi discriminazioni.
Il diritto internazionale consuetudinario prevede due condizioni cumulative affinché uno Stato sia internazionalmente responsabile per l’assistenza fornita ad un altro Stato nella commissione di un illecito: (i) che lo Stato c.d. assistente agisca con la consapevolezza delle circostanze dell’atto illecito posto in essere dallo Stato c.d. assistito e (ii) che l’atto sia, in astratto, internazionalmente illecito anche se commesso dallo Stato c.d. assistente. Nel caso di specie, entrambi tali requisiti sembrano essere prima facie soddisfatti. Considerazioni non diverse si potrebbero prospettare anche in merito dell’aggressione della Turchia nei confronti della popolazione curda del Rojava, fondata sul ricatto che Erdogan può permettersi nei confronti dell’Europa, condizionata dai timori dell’arrivo di un numero di nuovo assai elevato di potenziali richiedenti asilo e rifugiati. Da questo punto di vista non possono sottrarsi alle loro responsabilità gli Stati che nel 2016 hanno concluso accordi con il governo turco, accordi poi ratificati dagli organismi europei. L’obbligo di accettare le richieste di asilo in frontiera non può essere escluso sulla base di accordi bilaterali o multilaterali.
Con l’accordo tra gli Stati dell’Unione Europea e la Turchia e con la chiusura ufficiale della rotta balcanica, l’Unione Europea ha trasformato l’intera regione del Mediterraneo orientale in uno spazio di sbarramento opposto a chi fuggiva, e continua a fuggire, da zone di guerra. «Siamo testimoni», scriveva MSF già nel 2016, «delle più crudeli e inumane conseguenze delle politiche europee, usate come strumento per dissuadere e perseguitare persone che stanno solo cercando sicurezza e protezione in Europa». L’Unione europea ha promesso di pagare, ed ha poi versato, 6 miliardi di euro alla Turchia perché impedisse ai rifugiati di spostarsi verso l’Europa. Questa forma di esternalizzazione, non dei controlli di frontiera ma del dovere di garantire la protezione internazionale, prevista dalla Convenzione di Ginevra e dalle Direttive europee, oltre che dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea ( art.18), costituisce già di per sè una grave violazione del diritto dell’Unione Europea e del diritto internazionale.
European Council conclusions, 15 December 2016
Il Consiglio europeo del 15 dicembre 2016 a Bruxelles, al quale partecipava il neo-presidente del Consiglio Gentiloni, oggi Commissario Europeo, confermava la politica della esternalizzazione dei controlli di frontierae dell’utilizzo degli stati di transito per bloccare le partenze dei migranti verso l’Europa. Si voleva impedire – secondo le Conclusioni del Consiglio rese note da Statewatch – che i migranti potessero raggiungere le coste europee e presentare una domanda di protezione internazionale. La Convenzione di Ginevra sui rifugiati prevede al contrario che non sia penalizzato l’arrivo irregolare in frontiera per la presentazione di un’istanza di protezione, e non permette tetti numerici. Con gli accordi con la Turchia di Erdogan, come nel caso degli accordi con il governo di Tripoli, si è voluto impedire proprio l’arrivo di potenziali richiedenti asilo, penalizzare comunque l’ingresso irregolare, per negare la stessa possibilità di accedere ad un territorio per depositare un’istanza di protezione.
Già nell’aprile 2016 Amnesty International aveva denunciato – in un rapporto dal titolo Illegal mass returns of Syrian refugees expose fatal flaws in EU-Turkey deal – il modo in cui le autorità turche ricacciavano migliaia di richiedenti asilo verso la Siria. «Adesso la Turchia sta promuovendo la creazione di un’inconcepibile zona di sicurezza all’interno della Siria. È chiaro dove tutto questo porterà: dopo aver assistito alla creazione della Fortezza Europa, assisteremo alla costruzione della Fortezza Turchia». I profughi siriani, e non solo, si venivano così a trovare tra due fuochi. Ma nessuna istituzione europea, nè tantomeno i singoli stati membri avvertiva l’urgenza di stabilire misure di evacuazione umanitaria e di garantire attività di soccorso nelle acque dell’Egeo. Le attività delle ONG presenti in quella zona venivano criminalizzate e numerosi operatori umanitari venivano arrestati e finivano sotto processo mentre dilagava la violenza dei gruppi neonazisti di Alba Dorata, formazione di estrema destra ampiamente tollerata dalle forze di polizia dalle quali provenivano molti dei suoi esponenti. Gli effetti di questi piani li possiamo verificare ancora oggi al confine dell’Evros, nelle isole greche, nelle acque dell’Egeo.
EU chief praises Greece as ‘shield’ of Europe after police attack refugees at border
La caccia all’uomo fino alla violenza più brutale, è diventata il sistema di difesa dei confini più diffuso nel paese che la Presidente della Commissione Europea non ha esitato a definire come lo “scudo dell’Europa”. Negli stessi giorni in cui anche la polizia greca apriva il fuoco sui migranti ammassati alla frontiera con la Turchia, in gran parte donne e minori. Sono dunque falliti i piani che in base agli accordi stipulati con la Turchia nel 2016 prevedevano corridoi umanitari verso i paesi membri dell’Unione Europea. Per ogni profugo siriano rimandato in Turchia dalle isole greche un altro siriano avrebbe dovuto trasferito dalla Turchia all’Unione europea attraverso dei canali umanitari. Donne e bambini avrebbero dovuto avere la precedenza in base ai “criteri di vulnerabilità stabiliti dall’Onu”. Ma l’Europa metteva allora a disposizione soltanto 18mila posti per accogliere profughi attraverso questi canali umanitari.
Gli accordi tra gli Stati europei e la Turchia hanno dimostrato non solo quanto fosse diretto il rapporto tra Frontex e gli Stati ospitanti, ma anche la capacità di Frontex, agenzia dotata di autonoma personalità giuridica rispetto alle altre istituzioni europee, nella gestione degli accordi con i paesi terzi di transito, anche in violazione dei più elementari diritti umani.
Frontex: Leggeri Out Reportedly over OLAF Scrutiny as New Investigation Points to Cover Up of Pushbacks, Coast Guard Agency is ‘Arming Up’, Switzerland Sees Protests Ahead of Referendum on Continued Support
7 Il ruolo di Frontex nell’attuazione degli accordi tra Unione Europea e Turchia
Nel Mediterraneo, oltre alle missioni in Italia e Spagna, l’Agenzia FRONTEX è attiva in Grecia dal 2006 con l’operazione Poseidon: navi prestate dai governi europei, sotto il coordinamento greco, sorvegliano il tratto di mare tra Atene e Ankara. Il bilancio dell’agenzia e’ passato da 143 milioni di euro nel 2015 a 322 milioni di euro nel 2020, e poi si è tanto gonfiato fino a superare il doppio di questa cifra, al punto da venire bloccato per il 2022.. L’impegno finanziario più consistente è stato riversato sui controlli in mare, alla frontiera tra la Turchia e la Grecia. Mentre Frontex ha ritirato tutti i suoi assetti navali dalle acque del Mediterraneo centrale, lasciando operativi in quest’area soltanto alcuni mezzi di sorveglianza aerea.
Frontex: border agency with ballooning budget in transparency tug of war
Dopo una prima fase, durata fino al 2018 nella quale le regole di ingaggio stabilite per le acque dell’Egeo non permettevano di bloccare le imbarcazioni in mare, i mezzi di Frontex hanno attivamente partecipato ad operazione di respingimento collettivo verso la Turchia, che sono aumentate da quando lo scorso anno il governo turco ha allentato i controlli di frontiera II personale di polizia dell’agenzia in supporto alla Guardia costiera greca,n on solo ha tollerato i respingimenti violenti di migranti in mare, ma ha anche partecipato attivamente a operazioni illegali di respingimento collettivo verso la Turchia.
Negli ultimi anni si sono moltiplicate le attività di blocco in mare, da parte delle autorità turche, fino ai limiti delle loro acque territoriali, con la riconduzione dei migranti a terra, poi da parte delle autorità greche, con il tentativo di respingere i gommoni carichi di migranti verso le acque turche, in modo che fossero le motovedette turche costrette ad intervenire. Queste attività si sono svolte sotto gli occhi degli agenti di polizia europei imbarcati sulle unità di FRONTEX, tra le quali anche un mezzo della Guardia costiera italiana, presente con una unità a rotazione, ormai da anni, nel Mediterraneo orientale.
Come denuncia Alarmphone, dall’inizio del 2019, gli attacchi alle imbarcazioni dei rifugiati e i respingimenti dalle acque territoriali greche sono aumentati nuovamente. Dove si trovavano i mezzi di Frontex in queste occasioni? Possibile che non abbiano mai partecipato a queste attività di intercettazione in mare e che non abbiano mai visto nulla nei loro potenti radar ? Testimonianze dirette, ormai portate con denunce precise all’esame della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, confermano un coinvolgimento diretto di Frontex nei respingimenti verso la Turchia.
Frontex hit by lawsuit amid further allegations over pushbacks
La Grecia, in base al diritto internazionale, non può eseguire respingimenti collettivi in mare e non può neppure rifiutarsi, dunque, di ricevere le richieste di asilo delle persone che riescono comunque ad entrare nel suo territorio, per motivi di soccorso. A queste persone vanno offerte condizioni di accoglienza dignitose ed in linea con gli standard dettati dalle Direttive europee. Come osserva l’UNHCR, in un suo documento “ né la Convenzione del 1951 sullo status dei rifugiati né il diritto dell’Unione Europea in materia di asilo contemplano alcuna base legale che permetta di poter sospendere la presa in carico delle domande di asilo. A tale riguardo, il Governo greco ha evocato l’art. 78(3) del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Tuttavia, le disposizioni in esso contenute permettono al Consiglio Europeo di adottare misure provvisorie, su proposta della Commissione Europea e in consultazione col Parlamento Europeo, nell’eventualità in cui uno o più Stati membri si trovino a dover far fronte a una situazione di emergenza caratterizzata da un afflusso improvviso sul proprio territorio di stranieri cittadini di Paesi terzi, senza però prevedere la possibilità di sospendere il diritto di chiedere asilo e il principio di non-refoulement, entrambi riconosciuti dalle norme internazionali e ribaditi dal diritto dell’UE. Le persone che fanno ingresso irregolarmente sul territorio di uno Stato non devono essere sanzionate se si recano, senza indugiare, presso le autorità per presentare domanda di asilo”.
Frontex to launch rapid border intervention at Greece’s external borders
Il direttore esecutivo di Frontex ha comunicato il 2 marzo 2020 di avviare un ulteriore ”rapido intervento di frontiera” (RABIT)per assistere la Grecia nella gestione del gran numero di migranti che pressavano alle sue frontiere esterne anche per effetto della politica ricattatoria imposta da Erdogan. Malgrado le critiche sempre più forti rivolte all’agenzia, ed al suo Direttore, anche dopo le sue recenti dimissioni, l’impostazione dell’intervento di Frontex ha mantenuto fino ad oggi una impostazione meramente repressiva di quel tipo di ingresso che si definisce soltanto come “immigrazione illegale”. Senza considerare il diritto alla vita dei naufraghi ed il diritto di accedere per tutti ad eque procedure di asilo e di riesame.
Il rilancio del Processo di Malta, avviato con scarsi effetti nel 2019 ed oggi esteso a 21 paesi UE, per la redistribuzione dei migranti soccorsi in mare si riferià comunque a una misura minima rispetto agli arrivi via mare, e sembra ancora privo di efficacia perché non ha carattere vincolante per gli Stati, in quanto è soggetto a condizioni che ne rendono altamente discrezionale il funzionamento, e dunque la effettiva possibilità di redistribuire su scala europea coloro che arrivano via mare.
First step in the gradual implementation of the European Pact on Migration and Asylum: modus operandi of a voluntary solidarity mechanism
Published on 22 June 2022
Gli avvocati Omer Shatz e Iftach Cohen di front-LEX, Loica Lambert e Mieke Van den Broeck di Progress Lawyers Network, con il sostegno di Panayote Dimitras e Leonie Scheffenbichler di Greek Helsinki Monitor, e Gabriel Green di front-LEX – hanno presentato nel maggio del 2021 un ricorso contro FRONTEX alla Corte di giustizia dell’Unione Europea con sede a Lussemburgo.
Il ricorso è stato promosso per conto di due richiedenti asilo, un minore non accompagnato e una donna che, mentre chiedevano asilo sul suolo dell’UE (Lesbo), sono stati arrestati violentemente, aggrediti, derubati, rapiti, detenuti, trasferiti con la forza in mare, espulsi collettivamente , e infine abbandonati su zattere senza mezzi di navigazione, cibo o acqua. I ricorrenti sono stati vittime di altre operazioni di “respingimento” durante il tentativo di cercare protezione nell’UE. Come hanno dichiarato gli avvocati dei ricorrenti “confidiamo che la Corte ascolti le vittime, veda ciò che tutti vedono, chieda conto all’agenzia di frontiera dell’UE e ripristini lo Stato di diritto sulle terre e sui mari dell’UE”,
It is neccessary to take legal action against FRONTEX
Le responsabilità di Frontex non possono comunque coprire quelle dei governi nazionali. Nel mese di Gennaio del 2022, Libia, Italia e Malta sono state denunciate da alcune ONG alla Corte penale internazionale, per il loro sostegno alla Guardia costiera di Tripoli. Sostegno che prosegue ancora oggi, anche se con modalità diverse rispetto al periodo anteriore all’ingresso dell’esercito e della marina turca sul territorio della Tripolitania e nelle acque territoriali libiche (2020).
Libya, Italy and Malta before the International Criminal Court
La infelice affermazione della Presidente della Commissione europea che valuta la Grecia come lo “scudo” dell’Unione Europea, oltre ad avere un gravissimo effetto destabilizzante, sancisce il fallimento delle politiche di esternalizzazione condotte nei confronti della Turchia e, nella più completa assenza di ogni attenzione verso le persone stritolate dai confini tra la Turchia e la Grecia, denota tutta la miseria morale e politica dell’Unione Europea. Gli effetti di questa gestione sciagurata degli accordi bilaterali o multilaterali con i paesi terzi si sta rivelando in tutta la sua drammaticità in questi tempi di guerra, alla quale l’Unione Europea sembra incapace di mettere argine. Mentre Erdogan, già arbitro delle rotte migratorie verso l’Europa, si attegia a signore della guerra e della mediazione, allo stesso tempo. E agisce anche come membro della NATO. Appare quindi del tutto priva di futuro la prospettiva di un esercito europeo, che secondo alcuni dovrebbe costituire una evoluzione di Frontex, agenzia che sembra caduta in una crisi di credibilità che ne svuota tanto la portata da legittimare le richieste di una sua abolizione.
“Lethal Disregard” Search and rescue and the protection of migrants in the central Mediterranean Sea
8. Dagli accordi con i paesi di transito alla guerra contro le ONG
L’attacco alle ONG che operavano soccorsi umanitari, prima nell’Egeo e poi nel Mediterraneo centrale, è stato un tassello centrale della politica di esternalizzazione dei controlli e di militarizzazione delle frontiere marittime.
Italy: A slippery slope for human rights: The Iuventa case
Gli accordi tra gli Stati, come il memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti con il governo di Tripoli, del febbraio 2017, hanno spianato la strada all’aggressione mediatica e giudiziaria nei confronti delle Organizzazioni non governative che operavano soccorsi in mare. Le politiche di chiusura delle rotte migratorie via mare, e quelle meno enfatizzate di blocco delle frontiere terrestri, hanno prodotto, e continuano a produrre,migliaia di vittime e sofferenze indicibili che si tende a nascondere, nel tentativo di rassicurare i cittadini votanti indotti a ritenere che “i flussi migratori” siano sotto controllo, se non drasticamente bloccati. Per questo sono state lanciate, avvalendosi degli strumenti di comunicazione più moderni, vere e proprie campagne di aggressione politica, giudiziaria, e mediatica nei confronti delle Organizzazioni non governative e degli operatori umanitari. Che comunque costituivano testimoni pericolosi perchè in grado di smentire la narrazione dominante e di restituire visibilità alle vittime delle politiche di esternalizzazione delle frontiere e di chiusura dei porti. Non sono neppure mancate intercettazioni su avvocati e giornalisti che si occupavano di soccorsi umanitari nel Mediterraneo centrale, e la questione degli sbarchi si è rivelata una questione centrale per il rispetto dello Stato di diritto (rule of law) in Italia.
Sicilian prosecutors wiretapped journalists covering refugee crisis
Il collegamento tra gli accordi bilaterali e la “guerra” alle ONG che operavano soccorsi nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale è stato reso evidente dal decreto adottato dal governo di Tripoli nel 2019, che ricalca pedissequamente il Codice di condotta Minniti del 2017, successivo al Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti stipulato con i libici nel mese di febbraio dello stessi anno. Tra le politiche adottate dai diversi governi italiani nel corso del tempo si rinviene una sostanziale continuità.
Migrants, the Libyan government issues a decree to neutralize NGOs
In Italia, con il decreto “sicurezza” bis n.53 del 2019, si sono formalizzate le prassi di abbandono in mare e le prassi di divieto di sbarco contro le ONG ed i naufraghi che queste soccorrevano in acque internazionali, con le conseguenze che vediamo ancora oggi. Nelle acque tra la Libia e la Sicilia le navi militari degli Stati non operano più interventi di soccorso. Il Mediterraneo centrale è stato trasformato in un deserto liquido.
MEDEL statement on the Italian security decree of June 2019
Nel 2020 una fondamentale decisione della Corte di Cassazione sul caso Rackete ha tuttavia ribadito che il soccorso in mare costituisce comunque l’adempimento di un dovere giuridico ed ha creato le premesse per l’archiviazione del procedimento penale avviato dalla Procura di Agrigento nel 2019, nei confronti della comandante della nave umanitaria Sea Watch 3,
L’ emergenza sanitaria derivante dalla pandemia ha consententito un abuso dell’istituto della quarantena, che rallenta i soccorsi e colpisce anche gli equipaggi delle navi umanitarie. Il Decreto interministeriale del 7 aprile 2020, in piena emergenza Covid, e poi il Decreto immigrazione n.132 del 2020 hanno sostanzialmente lasciato immutato il potere del Ministero dell’interno di vietare l’ingresso delle navi umanitarie in porto o ritardare senza motivazione per settimane il trattenimento delle persone sulle imbarcazioni bloccate magari a poche centinaia di metri dalla costa italiana. Oggi si utilizzano le navi delle ONG tenute per settimane al largo delle coste italiane con il loro carico dolente di naufraghi come se fossero navi quarantena, e per la durata del loro blocco, derivante dalla mancata assegnazione di un porto di sbarco sicuro, queste stesse navi non possono soccorrere altre vite che rischiano la traversata in autonomia, se non fanno naufragio prima di toccare le coste italiane. Aumenta in modo esponenziale il numero delle persone intercettate in acque internazionali dai guardiacoste libici e tunisini, spesso con l’assistenza diretta delle stesse autorità italiane. Queste pratiche che si rivelano in violazione del diritto internazionale del mare proseguono ancora oggi, malgrado la Corte di Cassazione abbia ribadito in diverse occasioni che la Libia non garantisce porti sicuri di sbarco.
VOS Thalassa case: historic sentence by Italian high court
In un paese che si richiama ancora ai principi democratici dello stato di diritto non si può consentire che una scelta politica e le conseguenti prassi, che eludono gli obblighi di soccorso stabiliti dalle Convenzioni internazionali, recepiti nel diritto interno per effetto del richiamo costituzionale ( artt. 10 e 117 Cost.), siano giustificate con finalità politiche asservite ai sondaggi elettorali, magari per la difesa delle frontiere o della “sicurezza nazionale”, che appaiono con tutta evidenza come scelte meramente propagandistiche. Ai trafficanti in Libia, o in altri paesi di origine, proprio in base agli accordi bilaterali, sono stati concessi ampi spazi, sia in mare che in terra, al punto che i più noti trafficanti di esseri umani continuano a muoversi impunemente da un paese all’altro. Il caso del noto trafficante Bija arrivato in Italia in missione ufficiale addirittura a Roma al ministero dell’interno e presso la sede della Guardia costiera italiana, è solo la punta dell’iceberg, l’aspetto più evidente dei processi della degenerazione della esternalizzazione dei controlli di frontiera. Non si tratta neppure di una scoperta recente. Gia’ nel 2017 la sedicente guardia costiera “libica” dava copertura alle milizie di Zawia guidate da Bija che intercettavano i migranti che tentavano di fuggire verso l’Europa. E l’Italia si accinge oggi a prorogare il Memorandum d’intesa del 2017 con il governo di Tripoli, anche se si tratta dello stesso governo che ha fatto rimettere in libertà il trafficante e lo ha insediato al grado più alto della scuola di formazione della sedicente Guardia costiera “libica”, che libica non è, perché risulta operativa soltanto per la parte delle acque territoriali ed internazionali antistanti la Tripolitania.
Communication to the Office of the Prosecutor of the International Criminal Court
Pursuant to the Article 15 of the Rome Statute
EU Migration Policies in the Central Mediterranean and Libya (2014-2019)
9. Csa si nasconde dietro la sedicente “Guardia costiera libica”.
La definizione di Guardia costiera “libica” appare ancora oggi destituita di qualsiasi fondamento legale e politico, perché in realtà ogni motovedetta è controllata da milizie diverse che a loro volta dispongono di unità navali militari che non corrispondono ad un Comando centrale unificato. Sono quelle unità che, a seconda dei rapporti con le milizie che gestiscono il traffico, non solo di persone, ma anche di armi e petrolio, lasciano passare, oppure bloccano, le imbarcazioni cariche di migranti che sono riuscite a raggiungere le acque internazionali.
In diversi casi verificatisi fino al 2020, ormai documentati anche in sede giudiziaria, grazie alla presenza delle navi delle ONG, le intercettazioni in alto mare operate dai libici sono avvenute sotto il “sostanziale” coordinamento della Marina militare italiana presente nel porto di Tripoli ( Abu Sittah) con la missione Nauras. Ma oggi, con l’arrivo in forze dei Turchi, che hanno una propria base navale a Khoms, il ruolo di coordinamento della marina militare italiana appare fortemente ridimensionato, mentre Frontex mantiene operativi pochi assetti aerei, per lo più guidati a distanza (droni) per segnalare ai libici le imbarcazioni che cercano di allontanarsi verso le acque internazionali. E infatti il numero delle persone intercettate dalla sedicente Guardia costiera “libica” e riconsegnate ai centri di detenzione, che rimangono luoghi di abusi ed estorsioni, documentare da molteplici rapporti internazionali, aumenta di anno in anno.

Il numero delle vittime cresce di continuo, sia in mare, che a terra, dove i migranti sono intrappolati tra le fazioni armate che si contendono la Libia e persino l’UNHCR ha dovuto chiudere i suoi uffici di Tripoli per le proteste di coloro che, dopo il riconoscimento dello status di rifugiato, attendono una ricollocazione verso un paese sicuro. Intanto, ancora in questi ultimi giorni, scontri violenti tra milizie, anche dentro Tripoli si continuano a verificare con cadenza periodica. Ma le autorità italiane si avviano a rinnovare il Memorandum d’intesa del 2017.
10. Le proposte di azione per lo smantellamento degli accordi bilaterali che cancellano i diritti umani
Come si è visto le misure più drastiche adottate in materia di mobilità, sulla base di accordi bilaterali o multilaterali con i paesi di transito, hanno prodotto soltanto vittime in mare e vittime nei paesi di transito, con un aumento della clandestinità e dello sfruttamento.
The Eu Migration Pact :Questions and Answers
Purtroppo dai governi non sembra che arrivino segnali di discontinuità, come emerge dalle più recenti decisioni dell’Unione Europea in materia di soccorso in mare e di collaborazione con i paesi terzi, come il Patto immigrazione dell’Unione Europea del 2020 e le correlate linee guida contenute nella Comunicazione della Commissione europea per le attività di ricerca e salvataggio,. Al di là della salvagurdia formale delle regole di soccorso sancite dalla Convenzioni internazionali, si rinnova la volontà di collaborare attraverso accordi con i paesi terzi, per contrastare l’immigrazione clandestina, e quindi sempre allo scopo di bloccare il maggior numero possibile di persone che tentano di raggiungere l’Europa attraverso il Mediterraneo o sulle rotte balcaniche. Le politiche di esternalizzazione continuano a mietere vittime. alcune le vediamo, la maggior vengono tenute nascoste
- Va sospesa – nell’immediato anche unilateralmente da parte dell’Italia- la cd. zona SAR libica. Su questo punto occorre una decisione chiara del Comitato esecutivo dell’IMO ( Organizzazione marittima internazionale). Va ripristinata la presenza di navi militari italiane ed europee nel Mediterraneo centrale, a nord delle acque territoriali libiche, con prevalente destinazione al soccorso dei naufraghi, senza tentare operazioni di blocco navale che produrrebbero soltanto un aumento esponenziale delle vittime. Nell’immediato, anche prima di un pronunciamento dell’IMO, le autorità marittime italiane ed europee devono rispondere sollecitamente alle chiamate di soccorso, inviando propri mezzi nelle acque internazionali a nord delle coste libiche e garantendo lo sbarco in un porto sicuro in Europa, nel più breve tempo possibile, come prescritto dalle Convenzioni internazionali.
- Il governo italiano deve porre fine alla missione militare Nauras già presente con una nave nel porto militare di Tripoli Abu Sittah) ed interrompere qualunque attività di manutenzione e coordinamento delle motovedette libiche attualmente impegnate nelle attività di intercettazione dei migranti in acque internazionali. Attività che possono comportare una grave responsabilità per i respingimenti collettivi delegati alle motovedette libiche, attualmente sotto esame da parte del Tribunale Penale Internazionale.
- Vanno abrogati del tutto gli articoli 1 e 2 del cd. decreto sicurezza bis, n.53 del 2019, che penalizza i soccorsi in mare operati dalle ONG. Gli stati devono garantire un efficace sistema di soccorso coordinandosi con gli stati competenti per gli interventi di salvataggio nelle zone SAR limitrofe, con l’eccezione di quei paesi come la Libia, che non garantiscono i diritti fondamentali della persona, o non applichino effettivamente neppure la Convenzione di Ginevra. Vanno sospesi tutti gli accordi stipulati nel tempo con i diversi governi libici ed interrotta immediatamente la collaborazione con la sedicente guardia costiera “libica” nelle attività di intercettazione dei migranti in mare.
- Vanno incrementati i canali umanitari con il supporto di tutte le organizzazioni della società civile e degli enti locali che si possono assumere, in concorso con lo stato, la responsabilità e gli oneri dell’accoglienza e dei percorsi di inclusione ( anche con la sponsorizzazione). Una normativa specifica, che potrebbe essere preceduta da disposizioni di carattere amministrativo rivolte alle Commissioni territoriali, dovrà riguardare coloro che hanno subito violenza, le donne con figli minori, le vittime di tortura, che vanno aiutati con percorsi di sostegno e una stabile legalizzazione.
- Occorre aprire nuovi canali legali di ingresso per lavoro per i cd. migranti economici, con l’adozione di nuovi “decreti flussi”, e con la regolarizzazione permanente a regime di quanti sono rimasti senza un permesso di soggiorno per la perdita del contratto di lavoro. E’ urgente adottare un provvedimento di regolarizzazione permanente, a regime, per coloro che vengono definiti come “migranti economici”, sulla base di un contratto di lavoro o di uno stabile rapporto con il territorio e in tutti i casi in cui sia evidente che non ci sono concrete possibilità di rimpatrio.
- Dovrà sollecitarsi una decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea per verificare la congruenza delle prassi operative delle attività di FRONTEX nell’Egeo, con i principi e le regole vincolanti previsti nei relativi Regolamenti europei, dotati -come è noto- di forza di “diritto cogente” in tutti i paesi dell’Unione Europea.
- Si tratta poi di ricondurre l’agenzia Frontex, adesso ridefinita come Guardia di frontiera e costiera europea, al pieno rispetto dei diritti umani nell’espletamento del suo mandato anche nelle operazioni che vengono definite meramente come operazioni di contrasto dell’immigrazione illegale (law enforcement) ma nelle quali è in gioco la vita umana. Come prescrivono anche la Convenzione di Palermo contro il crimine transnazionale ed i Protocolli allegati contro la tratta e contro il traffico di persone, la salvaguardia delle persone deve prevalere sempre sulla “difesa delle frontiere”. Le recenti dimissioni del Direttore di Frontex Legeri non sono sufficienti per chiudere le indagini interne sulle prassi di respingimento violento adottate dall’agenzia e sullo sperpero di risorse in favore dell’industria bellica.
- Come nel Mediterraneo centrale, anche nelle acque dell’Egeo vanno consentite le attività di soccorso operate dalle Organizzazioni non governative, e gli stati devono adottare piani coordinati al soccorso in mare delle persone e non al loro respingimento “a catena” verso i paesi di provenienza.
Il fallimento delle politiche di controllo delle frontiere attraverso accordi bilaterali, l’incapacità di accettare la mobilità umana come un fattore di pace e di sviluppo, stanno comportando, in una logica di guerra permanente e di cupo nazionalismo, una svolta autoritaria in tutti i paesi del mondo . Sulle politiche migratorie e sugli accordi con i paesi terzi si gioca il destino delle democrazie europee. Abbiamo visto come le politiche di contrasto delle migrazioni e dei soccorsi umanitari si siano basate sullo svuotamento dei principi costituzionali, sulla negazione del diritto internazionale, sull’esautoramento delle assemblee elettive con il ricorso a misure discrezionali adottate dall’esecutivo o da singoli ministri. Senza una forte reazione democratica e solidale e senza percorsi unitari ed aggreganti, questa svolta potrebbe diventare irreversibile.
La guerra nel Mediterraneo contro i migranti non avrà vincitori ma soltanto vinti. I primi a perdere saranno coloro che ci rimetteranno la vita, o che saranno riportati indietro dalla sedicente guardia costiera libica, ammesso che il governo di Tripoli continui a collaborare con le autorità italiane e con l’Unione Europea, per intercettare anche in acque internazionali le persone che riescono a fuggire da un territorio che ormai è fuori controllo e nel quale le diverse milizie si affrontano con i mezzi più spietati. Ma saranno sconfitti anche i governi europei, ormai fortemente condizionati dai partiti sovranisti e nazionalisti, ed i loro sostenitori, perchè senza piani di accoglienza allo sbarco e di regolarizzazione delle persone comunque presenti nel territorio dello stato, in tempi in cui un conflitto sta dilaniando l’Europa e si ripresenta il pericolo del Covid, si troveranno ad affrontare una emergenza sociale e sanitaria senza precedenti.
Gli accordi con i paesi di transito stanno dimostrando il loro fallimento, ora che sono diventati armi di ricatto nelle mani di personaggi come Erdogan o Al Sisi per legittimare le loro politiche di sistematica violazione dei diritti umani. Le misure repressive che si adotteranno a livello interno non basteranno più perché le procedure di riammissione con accompagnamento forzato, nei confronti di quanti saranno espulsi, non troveranno che una limitatissima applicazione. Nè il carcere, nè i centri di detenzione potranno risolvere questi problemi. Alla fine comunque si dovranno trovare politiche e prassi operative capaci di rispondere immediatamente alle richieste di soccorso in mare e distribuire tempestivamente, sull’intero territorio nazionale, con il rispetto di rigorosi protocolli sanitari, tutte le persone che saranno salvate, anche al di fuori delle acque territoriali italiane. Ci vorranno poi altre politiche per concordare con gli Stati che sono titolari di zone SAR limitrofe interventi coordinati per il salvataggio e lo sbarco in un porto sicuro, senza lasciare perire in mare altre migliaia di innocenti e senza alimentare milizie che in Libia, da tutte le parti, stanno dimostrando una costante propensione alla crudeltà. Occorrerà soprattutto un approccio diverso alla crisi siriana, alla crisi balcanica ed al conflitto civile libico, come anche alle crisi negli altri paesi di origine, che privilegi la soluzione dei problemi di sopravvivenza all’origine delle partenze, come la guerra o la dittatura, ed anche le crisi sanitarie, piuttosto che puntare esclusivamente sul contenimento, a qualsiasi costo, degli arrivi in Europa.