di ADIF
Il tre ottobre non è un giorno per commemorare soltanto una singola strage, certo la più vicina alle nostre coste e dunque la più evidente, ma deve fare riflettere sulle tante stragi di migranti che si continuano a verificare nel Mediterraneo, da ultimo il naufragio (occultato in Italia) del 21 settembre scorso davanti alle coste di Rosetta (Rashid) vicino Alessandria d’Egitto, e sulle responsabilità politiche e militari che le producono. Le autorità egiziane hanno dimostrato da tempo quanto riescono a fare nel blocco dei migranti e quanto invece fanno negli interventi di soccorso. Ma di questo, con chi tratta con l’Egitto di Al Sisi, sembra non importare nulla.
Migliaia di morti in mare nel corso del 2016, dalle coste greche, turche ed egiziane fino al mar libico ed al Canale di Sicilia. Mai come quest’anno, malgrado l’impegno delle navi umanitarie che hanno sostituito i mezzi di Frontex che l’Unione Europea ha ritirato. Non si sono aperti i canali legali di accesso protetto e si è puntato tutto sugli accordi con i paesi di transito e di origine per bloccare le partenze, concorrere nei respingimenti, favorire i rimpatri. La distinzione preconcetta tra migranti economici e richiedenti asilo ha ampliato i poteri discrezionali delle guardie di frontiera fino a cancellare per migliaia di persone il diritto di accesso alla procedura di asilo. Le rotte intanto sono diventate sempre più lunghe e pericolose, mentre i trafficanti si continuano ad arricchire e nelle mani delle polizie coinvolte nell’operazione militare Eunavfor Med rimangono soltanto gli scafisti più sprovveduti, in qualche caso forzati a condurre i gommoni, altre volte minori non accompagnati. Ancora diffuse le complicità tra le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico e la tratta con le autorità militari e di polizia di quegli stessi paesi con i quali ci si vorrebbe accordare per respingere o rimpatriare i migranti cd. irregolari.
Non vogliamo più ripetere parole di esecrazione delle stragi. Vogliamo fare comprendere come si è arrivati ad un numero tanto elevato di vittime in mare, e quanto ciascuno di noi può fare tutti i giorni per impedire che quelle stragi continuino a ripetersi. Occorre accertare tutte le responsabilità. E’ un dovere verso le vittime e le loro famiglie.
Ad ogni strage, come è successo dopo il 18 aprile 2015, dopo l’annegamento di quasi 800 persone a sud di Malta non si risponde alla richiesta di canali umanitari ma si rinforzano soltanto gli apparati di contrasto di quella che chiamano immigrazione “illegale”. Poi non rimane che tentare di dare una identità ai corpi delle vittime che si riescono a recuperare.
L’Unione Europea si preoccupa di difendere i confini orientali, sbarrando la rotta balcanica dopo l’accordo della vergogna con la Turchia di Erdogan ed alzando muri tra i diversi stati, dal confine con la Francia a Ventimiglia, passando per le barriere di Chiasso e del Brennero, fino ai muri tra l’Ungheria, la Serbia, la Bulgaria e la Macedonia. I corridoi d’ingresso del Mediterraneo centrale rimangono competenza esclusiva del governo italiano che per questo escogita un Piano B. Un piano che filtra appena dalle agenzie di stampa in italiano. Un piano ad evidente destinazione europea, che non deve scuotere l’opinione pubblica interna.
Renzi ribadisce la sua intenzione di insistere nel Processo di Khartoum, messo in crisi dai risultati del vertice di Bratislava, e soprattutto rilancia i Migration compact per barattare con i governi dei paesi di transito, anche con quelli che non rispettano i diritti umani, come i governi sudanese ed egiziano, lo scambio tra aiuti economici e politiche di blocco e di respingimento, o di riammissione, dei migranti. La stampa di destra se ne occupa, gli altri preferiscono tacere. Non si deve sminuire l’immagine internazionale del capo del governo.
Il governo italiano è pronto ad andare ancora oltre, e proprio alla vigilia dell’anniversario delle stragi del 3 ( e dell’11 ottobre) del 2013 arriva al punto di proporre nuove regole di ingaggio delle navi straniere che svolgono attività di ricerca e salvataggio nelle acque del Mediterraneo centrale, che dovrebbero sbarcare i naufraghi non nel porto sicuro più vicino, come impongono le Convenzioni internazionali alle quali l’Italia è vincolata anche per effetto del richiamo costituzionale ( artt. 10 e 117), ma nei porti degli stati di cui le medesime navi che svolgono attività di salvataggio battono bandiera. Se si dovesse attuare questo progetto i morti ed i dispersi in mare potrebbero aumentare in modo esponenziale, anche per le scarse possibilità di ricambio dei mezzi di soccorso.
Una proposta che ricorda le posizioni del ministro Pisanu nel 2004 quando si negò l’accesso a Porto Empedocle (Agrigento) alla nave tedesca Cap Anamur, che aveva salvato 43 naufraghi in alto mare ai quali si cercava di far chiedere asilo in Germania. Una vicenda che è finita nei libri di storia, anche per il tentativo maldestro di criminalizzare gli operatori umanitari che erano intervenuti nella missione di soccorso, assolti dalla magistratura dopo essere stati arrestati dalla polizia e dopo un processo durato anni. Tra qualche decennio anche il Processo di Khartoum ed i Migration compact che Renzi vuole stipulare con l’Egitto, il Sudan, il Niger, la Libia e persino l’Etiopia e l’Eritrea, saranno ricordati come altri passaggi della guerra contro i migranti. Le prospettive di collaborazione con la Libia non appaiono comunque corrispondenti a quanto dichiarato…
In occasione del dell’anniversario 3 ottobre si spenderanno tante parole per dire che le stragi di migranti non si devono più ripetere, ma pochi ricorderanno i fatti, le tante altre stragi nascoste all’opinione pubblica, ancora fino a qualche giorno fa, e le responsabilità politiche e militari dei chi ritiene che l’inasprimento dei controlli e gli accordi con i paesi terzi possano avere effetto deterrente ed indurre alla rinuncia alla traversata le persone, che fuggono da guerre alimentate anche dai paesi più ricchi, con atrocità inimmaginabili e dalla miseria frutto delle politiche economiche devastanti imposte dalla globalizzazione. Nessuno pensa davvero ad organizzare missioni internazionali di soccorso o a costringere gli stati responsabili delle diverse zone SAR (ricerca e salvataggio) nel Mediterraneo ad uno sforzo congiunto per intervenire senza ritardi che, come l’11 ottobre 2013 e come è successo fino alla strage di Rosetta dell’21 settembre scorso, possono costare la vita a centinaia di persone.
Nelle celebrazioni di un naufragio ridotto a retorica, non si darà peso a una ricerca importantissima condotta da un gruppo di ricercatori dell’università di Londra – Death by rescue, “Morti per soccorso” – che dimostra come il ritiro dalle operazioni di ricerca e soccorso guidate dagli Stati membri abbia addossato il peso del soccorso in mare sui mercantili, non attrezzati né con uomini addestrati per simili operazioni. In questo modo, le agenzie dell’Unione e i suoi decisori hanno scientemente creato le condizioni per le immani perdite di vite avvenute a partire dai i naufragi dell’aprile 2015.
Aumenteranno le vittime delle stragi, in mare e non solo, ma crescerà anche il numero dei cittadini solidali e di quelle associazioni che non si lasciano intimidire e che resisteranno giorno dopo giorno nel loro impegno a fianco dei migranti ovunque si trovino, nelle caserme che si vorrebbero trasformare in centri di detenzione, ai valichi di frontiera che si sono blindati, nei centri di accoglienza nei quali si soffre emarginazione e corruzione, nelle strade e nei rifugi ai quali sono costretti per effetto dell’esclusione sociale. Loro continueranno ad arrivare ed a muoversi e noi non arretreremo di un solo centimetro. La battaglia per il riconoscimento effettivo dei diritti dei migranti, a partire dal diritto alla vita, prosegue tutti i giorni. E non solo per loro, oggi su questa sfida si gioca il futuro democratico del nostro paese e dell’intera Europa.