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2 Ottobre 2016di ADIF Il tre ottobre non è un giorno per commemorare soltanto una singola strage, certo la più vicina alle nostre coste e dunque la più evidente, ma deve fare riflettere sulle tante stragi di migranti che si continuano a verificare nel Mediterraneo, da ultimo il naufragio (occultato in Italia) del 21 settembre scorso davanti alle coste di Rosetta (Rashid) vicino Alessandria d’Egitto, e sulle responsabilità politiche e militari che le producono. Le autorità egiziane hanno dimostrato da tempo quanto riescono a fare nel blocco dei migranti e quanto invece fanno negli interventi di soccorso. Ma di questo, con chi tratta con l’Egitto di Al Sisi, sembra non importare nulla. Migliaia di morti in mare nel corso del 2016, dalle coste greche, turche ed egiziane fino al mar libico ed al Canale di Sicilia. Mai come quest’anno, malgrado l’impegno delle navi umanitarie che hanno sostituito i mezzi di Frontex che l’Unione Europea ha ritirato. Non si sono aperti i canali legali di accesso protetto e si è puntato tutto sugli accordi con i paesi di transito e di origine per bloccare le partenze, concorrere nei respingimenti, favorire i rimpatri. La distinzione preconcetta tra migranti economici e richiedenti asilo ha ampliato i poteri discrezionali delle guardie di frontiera fino a cancellare per migliaia di persone il diritto di accesso alla procedura di asilo. Le rotte intanto sono diventate sempre più lunghe e pericolose, mentre i trafficanti si continuano ad arricchire e nelle mani delle polizie coinvolte nell’operazione militare Eunavfor Med rimangono soltanto gli scafisti più sprovveduti, in qualche caso forzati a condurre i gommoni, altre volte minori non accompagnati. Ancora diffuse le complicità tra le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico e la tratta con le autorità militari e di polizia di quegli stessi paesi con i quali ci si vorrebbe accordare per respingere o rimpatriare i migranti cd. irregolari. Non vogliamo più ripetere parole di esecrazione delle stragi. Vogliamo fare comprendere come si è arrivati ad un numero tanto elevato di vittime in mare, e quanto ciascuno di noi può fare tutti i giorni per impedire che quelle stragi continuino a ripetersi. Occorre accertare tutte le responsabilità. E’ un dovere verso le vittime e le loro famiglie. Ad ogni strage, come è successo dopo il 18 aprile 2015, dopo l’annegamento di quasi 800 persone a sud di Malta non si risponde alla richiesta di canali umanitari ma si rinforzano soltanto gli apparati di contrasto di quella che chiamano immigrazione “illegale”. Poi non rimane che tentare di dare una identità ai corpi delle vittime che si riescono a recuperare. L’Unione Europea si preoccupa di difendere i confini orientali, sbarrando la rotta balcanica dopo l’accordo della vergogna con la Turchia di Erdogan ed alzando muri tra i diversi stati, dal confine con la Francia a Ventimiglia, passando per le barriere di Chiasso e del Brennero, fino ai muri tra l’Ungheria, la Serbia, la Bulgaria e la Macedonia. I corridoi d’ingresso del Mediterraneo centrale rimangono competenza esclusiva del governo italiano che per questo escogita un Piano B. Un piano che filtra appena dalle agenzie di stampa in italiano. Un piano ad evidente destinazione europea, che non deve scuotere l’opinione pubblica interna. Renzi ribadisce la sua intenzione di insistere nel Processo di Khartoum, messo in crisi dai risultati del vertice di Bratislava, e soprattutto rilancia i Migration compact per barattare con i governi dei paesi di transito, anche con quelli che non rispettano i diritti umani, come i governi sudanese ed egiziano, lo scambio tra aiuti economici e politiche di blocco e di respingimento, o di riammissione, dei migranti. La stampa di destra se ne occupa, gli altri preferiscono tacere. Non si deve sminuire l’immagine internazionale del capo del governo. Il governo italiano è pronto ad andare ancora oltre, e proprio alla vigilia dell’anniversario delle stragi del 3 ( e dell’11 ottobre) del 2013 arriva al punto di proporre nuove regole di ingaggio delle navi straniere che svolgono attività di ricerca e salvataggio nelle acque del Mediterraneo centrale, che dovrebbero sbarcare i naufraghi non nel porto sicuro più vicino, come impongono le Convenzioni internazionali alle quali l’Italia è vincolata anche per effetto del richiamo costituzionale ( artt. 10 e 117), ma nei porti degli stati di cui le medesime navi che svolgono attività di salvataggio battono bandiera. Se si dovesse attuare questo progetto i morti ed i dispersi in mare potrebbero aumentare in modo esponenziale, anche per le scarse possibilità di ricambio dei mezzi di soccorso. Una proposta che ricorda le posizioni del ministro Pisanu nel 2004 quando si negò l’accesso a Porto Empedocle (Agrigento) alla nave tedesca Cap Anamur, che aveva salvato 43 naufraghi in alto mare ai quali si cercava di far chiedere asilo in Germania. Una vicenda che è finita nei libri di storia, anche per il tentativo maldestro di criminalizzare gli operatori umanitari che erano intervenuti nella missione di soccorso, assolti dalla magistratura dopo essere stati arrestati dalla polizia e dopo un processo durato anni. Tra qualche decennio anche il Processo di Khartoum ed i Migration compact che Renzi vuole stipulare con l’Egitto, il Sudan, il Niger, la Libia e persino l’Etiopia e l’Eritrea, saranno ricordati come altri passaggi della guerra contro i migranti. Le prospettive di collaborazione con la Libia non appaiono comunque corrispondenti a quanto dichiarato… In occasione del dell’anniversario 3 ottobre si spenderanno tante parole per dire che le stragi di migranti non si devono più ripetere, ma pochi ricorderanno i fatti, le tante altre stragi nascoste all’opinione pubblica, ancora fino a qualche giorno fa, e le responsabilità politiche e militari dei chi ritiene che l’inasprimento dei controlli e gli accordi con i paesi terzi possano avere effetto deterrente ed indurre alla rinuncia alla traversata le persone, che fuggono da guerre alimentate anche dai paesi più ricchi, con atrocità inimmaginabili e dalla miseria frutto delle politiche economiche devastanti imposte dalla globalizzazione. Nessuno pensa davvero ad organizzare missioni internazionali di soccorso o a costringere gli stati responsabili delle diverse zone SAR (ricerca e salvataggio) nel Mediterraneo ad uno sforzo congiunto per intervenire senza ritardi che, come l’11 ottobre 2013 e come è successo fino alla strage di Rosetta dell’21 settembre scorso, possono costare la vita a centinaia di persone. Nelle celebrazioni di un naufragio ridotto a retorica, non si darà peso a una ricerca importantissima condotta da un gruppo di ricercatori dell’università di Londra – Death by rescue, “Morti per soccorso” – che dimostra come il ritiro dalle operazioni di ricerca e soccorso guidate dagli Stati membri abbia addossato il peso del soccorso in mare sui mercantili, non attrezzati né con uomini addestrati per simili operazioni. In questo modo, le agenzie dell’Unione e i suoi decisori hanno scientemente creato le condizioni per le immani perdite di vite avvenute a partire dai i naufragi dell’aprile 2015. Aumenteranno le vittime delle stragi, in mare e non solo, ma crescerà anche il numero dei cittadini solidali e di quelle associazioni che non si lasciano intimidire e che resisteranno giorno dopo giorno nel loro impegno a fianco dei migranti ovunque si trovino, nelle caserme che si vorrebbero trasformare in centri di detenzione, ai valichi di frontiera che si sono blindati, nei centri di accoglienza nei quali si soffre emarginazione e corruzione, nelle strade e nei rifugi ai quali sono costretti per effetto dell’esclusione sociale. Loro continueranno ad arrivare ed a muoversi e noi non arretreremo di un solo centimetro. La battaglia per il riconoscimento effettivo dei diritti dei migranti, a partire dal diritto alla vita, prosegue tutti i giorni. E non solo per loro, oggi su questa sfida si gioca il futuro democratico del nostro paese e dell’intera Europa. Mi piace:Mi piace Caricamento... [...] Read more...
17 Gennaio 2016Care Accademiche e Scienziate Italiane, Cari Accademici e Scienziati Italiani, Vi inviamo l’appello firmato da più di 1128 accademici e accademiche della Turchia che trovate qui di seguito in italiano e altre lingue europee. Come ben sapete, il governo dell’AKP, per mettere a tacere tutti coloro i quali non condividono la crudeltà e i massacri che sta commettendo, sta attaccando tutte e tutti con ogni mezzo. Gli accademici e le accademiche che hanno firmato questo appello, il giorno stesso sono stati minacciati da Presindente Recep T. Erdogan e addirittura sono stati aperti procedimenti contro i loro e alcuni sono stati sollevati dal loro incarico e arrestati. Facciamo appello a tutte le accademiche ea tutti accademici di firmare questo appello e di manifestare la propria solidarietà con gli accademici e le accademiche in Turchia. Con preghiera di massima divulgazione per la raccolta una campagna di raccolta firme. Inviare le adesioni a: info@retekurdistan.it UIKI Onlus & Rete Kurdistan APPELLO (Firmato dal 1128 Accademic* in Turchia) Noi, gli accademici e le accademiche e gli scienziati e le scienziate di questo paese non saremo parte di questo crimine! Lo Stato turco, a Sur, Silvan, Nusaybin, Cizre e in molte altre località, attraverso coprifuoco della durata di settimane, condanna i suoi cittadini e le sue cittadine a morire di fame e di sete. In condizioni di guerra, interi quartieri e città vengono attaccati con armi pesanti. Il diritto alla vita, all’incolumità fisica, alla libertà, all’essere al sicuro dagli abusi, in particolare il divieto di tortura e maltrattamenti, praticamente tutte le libertà civili che sono garantite dalla Costituzione turca e dalle Convenzioni Internazionali vengono violate e abrogate. Questo modo di procedere violento messo in pratica in modo mirato e sistematico, manca di qualsiasi fondamento giuridico. Non è solo una grave ingerenza nell’ordinamento giuridico, ma lede le normative internazionali come il Diritto Internazionale, che sono vincolanti per la Turchia. Chiediamo allo Stato di mettere immediatamente fine a questa politica di annientamento e espulsione nei confronti dell’intera popolazione della regione, che tuttavia è rivolta essenzialmente contro la popolazione curda. Tutti i coprifuoco devono essere immediatamente revocati. Gli autori e i responsabili di violazioni di diritti umani debbono renderne conto. I danni materiali e immateriali lamentati dalla popolazione vanno documentati e risarciti. A questo scopo chiediamo che osservatori indipendenti nazionali e internazionali abbiano libero accesso alle zone distrutte per poter valutare e documentare la situazione sul posto. Invitiamo il governo a creare le condizioni per una soluzione pacifica del conflitto. A questo scopo il governo deve presentare una roadmap che renda possibile un negoziato e che tenga conto delle richieste e della rappresentanza politica del movimento curdo. Per coinvolgere l’opinione pubblica in questo processo, al negoziato debbono essere ammessi osservatori indipendenti provenienti dalla popolazione. Con questo manifestiamo la nostra disponibilità a prendere parte di nostra libera volontà al processo di pace. Ci opponiamo a tutte le misure repressive mirate all’oppressione dell’opposizione sociale. Chiediamo l’immediata cessazione della repressione dello Stato contro le cittadine e i cittadini. Come accademici e accademiche e scienziati e scienziate, così manifestiamo che non saremo parte di questi crimini e prenderemo iniziativa nei partiti politici, in parlamento e nei confronti dell’opinione pubblica internazionale, fino a quando le nostre richieste troveranno ascolto. Nome Cognome e Titolo: ……………….. INGLESE As academics and researchers of this country, we will not be a party to this crime! The Turkish state has effectively condemned its citizens in Sur, Silvan, Nusaybin, Cizre, Silopi, and many other towns and neighborhoods in the Kurdish provinces to hunger through its use of curfews that have been ongoing for weeks. It has attacked these settlements with heavy weapons and equipment that would only be mobilized in wartime. As a result, the right to life, liberty, and security, and in particular the prohibition of torture and ill-treatment protected by the constitution and international conventions have been violated. This deliberate and planned massacre is in serious violation of Turkey’s own laws and international treaties to which Turkey is a party. These actions are in serious violation of international law. We demand the state to abandon its deliberate massacre and deportation of Kurdish and other peoples in the region. We also demand the state to lift the curfew, punish those who are responsible for human rights violations, and compensate those citizens who have experienced material and psychological damage. For this purpose we demand that independent national and international observers to be given access to the region and that they be allowed to monitor and report on the incidents. We demand the government to prepare the conditions for negotiations and create a road map that would lead to a lasting peace which includes the demands of the Kurdish political movement. We demand inclusion of independent observers from broad sections of society in these negotiations. We also declare our willingness to volunteer as observers. We oppose suppression of any kind of the opposition. We, as academics and researchers working on and/or in Turkey, declare that we will not be a party to this massacre by remaining silent and demand an immediate end to the violence perpetrated by the state. We will continue advocacy with political parties, the parliament, and international public opinion until our demands are met. FRANCESE Nous, enseignants-chercheurs de Turquie, nous ne serons pas complices de ce crime ! L’État turc, en imposant depuis plusieurs semaines le couvre-feu à Sur, Silvan, Nusaybin, Cizre, Silopi et dans de nombreuses villes des provinces kurdes, condamne leurs habitants à la famine. Il bombarde avec des armes lourdes utilisées en temps de guerre. Il viole les droits fondamentaux, pourtant garantis par la Constitution et les conventions internationales dont il est signataire : le droit à la vie, à la liberté et à la sécurité, l’interdiction de la torture et des mauvais traitements. Ce massacre délibéré et planifié est une violation grave du droit international, des lois turques et des obligations qui incombent à la Turquie en vertu des traités internationaux dont elle est signataire. Nous exigeons que cessent les massacres et l’exil forcé qui frappent les Kurdes et les peuples de ces régions, la levée des couvre-feux, que soient identifiés et sanctionnés ceux qui se sont rendus coupables de violations des droits de l’homme, et la réparation des pertes matérielles et morales subies par les citoyens dans les régions sous couvre-feu. A cette fin, nous exigeons que des observateurs indépendants, internationaux et nationaux, puissent se rendre dans ces régions pour des missions d’observation et d’enquête. Nous exigeons que le gouvernement mette tout en oeuvre pour l’ouverture de négociations et établisse une feuille de route vers une paix durable qui prenne en compte les demandes du mouvement politique kurde. Nous exigeons qu’à ces négociations participent des observateurs indépendants issus de la société civile, et nous sommes volontaires pour en être. Nous nous opposons à toute mesure visant à réduire l’opposition au silence. En tant qu’universitaires et chercheurs, en Turquie ou à l’étranger, nous ne cautionnerons pas ce massacre par notre silence. Nous exigeons que l’Etat mette immédiatement fin aux violences envers ses citoyens. Tant que nos demandes ne seront pas satisfaites, nous ne cesserons d’intervenir auprès de l’opinion publique internationale, de l’Assemblée nationale et des partis politiques. TEDESCO Wir, die Akademiker/innen und Wissenschaftler/innen dieses Landes werden nicht Teil dieses Verbrechens sein! Der Türkische Staat verurteilt seine Bürger/innen in Sur, Silvan, Nusaybin, Cizre und in vielen weiteren Orten mit wochenlangen Ausgangssperren zum Verhungern und Ausdursten. Unter kriegsartigen Zuständen werden ganze Viertel und Stadtteile mit schweren Waffen angegriffen. Das Recht auf Leben und körperliche Unversehrtheit, auf Freiheit und Sicherheit vor Übergriffen, insbesondere das Verbot von Folter und Misshandlung, praktisch alle Freiheitsrechte, die durch die Verfassung und durch die Türkei unterzeichnete internationale Abkommen unter Schutz stehen, werden verletzt und außer Kraft gesetzt. Diese gezielt und systematisch umgesetzte gewaltsame Vorgehensweise entbehrt jeglicher rechtlicher Grundlage. Sie ist nicht nur ein schwerwiegender Eingriff in die Rechtsordnung, sondern verletzt internationale Rechtsnormen wie das Völkerrecht, an die die Türkei gebunden ist. Wir fordern den Staat auf, diese Vernichtungs- und Vertreibungspolitik gegenüber der gesamten Bevölkerung der Region, die jedoch hauptsächlich gegen die kurdische Bevölkerung gerichtet ist, sofort einzustellen. Alle Ausgangssperren müssen sofort aufgehoben werden. Die Täter und die Verantwortlichen der Menschenrechtsverletzungen müssen zur Rechenschaft gezogen werden. Die materiellen und immateriellen Schäden, die von der Bevölkerung zu beklagen sind, müssen dokumentiert und wiedergutgemacht werden. Zu diesem Zweck verlangen wir, dass nationale und internationale unabhängige Beobachter freien Zugang zu den zerstörten Gebieten erhalten, um die Situation vor Ort einzuschätzen und zu dokumentieren. Wir fordern die Regierung auf, die Bedingungen für eine friedliche Beilegung des Konflikts zu schaffen. Hierfür soll die Regierung eine Roadmap vorlegen, die Verhandlungen ermöglicht und die Forderungen der politischen Vertretung der kurdischen Bewegung berücksichtigt. Um die breite Öffentlichkeit in diesen Prozess einzubinden, müssen unabhängige Beobachter aus der Bevölkerung zu den Verhandlungen zugelassen werden. Wir bekunden hiermit unsere Bereitschaft, freiwillig an dem Friedensprozess teilzunehmen. Wir stellen uns gegen alle repressiven Maßnahmen, die auf die Unterdrückung der gesellschaftlichen Opposition gerichtet sind. Wir fordern die sofortige Einstellung der staatlichen Repressionen gegen die Bürger/innen. Als Akademiker/innen und Wissenschaftler/innen dieses Landes bekunden wir hiermit, dass wir nicht Teil dieser Verbrechen sein werden und in den politischen Parteien, im Parlament und in der internationalen Öffentlichkeit, Initiative ergreifen werden, bis unser Anliegen Gehör findet. SPAGNOLO ¡Como académicos e investigadoras/es de este país, no seremos parte de este crimen! El estado turco ha condenado a sus ciudadanos en Sur, Silvan, Nusaybin, Cizre, Silopi y otras muchas ciudades y barrios en las provincias kurdas al hambre a través del uso de toque de queda, que ha durado semanas. Ha atacado estos lugares con equipamiento y armamento pesado que normalmente se mobiliza sólo en tiempos de guerra. Como resultado, el derecho a la vida, libertad y seguridad y en concreto la prohibición de tortura y malos tratos protegidos por la constitución y convenciones internacionales han sido violados. Esta masacre deliberada y planeada es una violación seria de las propias leyes turcas y tratados internacionales de los que Turquía forma parte. Estas acciones constituyen una seria violación de la ley internacional. Exigimos que el estado abandone esta masacre deliberada y deportación de kurdas/os y otras gentes en la región. También exigimos que el estado levante el toque de queda, castigue a aquellos responsables de las violaciones de derechos humanos, y compense a todos aquellos ciudadanos que han sufrido daños materiales y psicológicos. Por esta razón pedimos que se les de acceso a observadores nacionales e internacionales en la región y que se les permita monitorizar e informar sobre los incidentes. Exigimos que el gobierno prepare las condiciones para negociaciones y cree una hoja de ruta que lleve hacia una paz duradera que incluya las peticiones del movimiento político kurdo. Pedimos la inclusión en estas negociaciones de observadores independientes de distintas secciones de la sociedad. También declaramos nuestra disponibilidad para participar como observadores. Nos oponemos a cualquier tipo de represión de la oposición. Nosotras/os, como académicos e investigadoras/es trabajando sobre y/o en Turquía, declaramos que no formaremos parte de esta masacre manteniendo silencio y exigimos el final inmediato a la violencia perpetrada por el estado. Continuaremos abogando con partidos políticos, el parlamento, y la opinión pública internacional hasta que nuestras demandas sean cumplidas. Mi piace:Mi piace Caricamento... [...] Read more...
22 Dicembre 2015La denuncia delle associazioni Nelle ultime settimane sono arrivate a Palermo, ma anche a Catania e in altre città della Sicilia, decine di persone provenienti da Mali, Gambia, Pakistan, Somalia, Eritrea, Nigeria, con in mano  solo un decreto di respingimento differito che intima di lasciare il territorio italiano dalla frontiera di Roma  Fiumicino entro 7 giorni. Provengono tutte da Lampedusa, dove sono arrivate dopo essere state  intercettate in mare e portate sull’isola. A questi migranti non è stato consentito di fare richiesta di  protezione internazionale, nonostante siano entrati in contatto con l’Alto Commissariato delle  Nazioni Unite per i Rifugiati. Raccontano di essere stati informati della possibilità di chiedere asilo,  ma di non aver avuto modo di farlo realmente. Raccontano di essere stati invece costretti a firmare un foglio di cui non hanno compreso il contenuto perché in una lingua a loro sconosciuta (quando  invece in calce al decreto c’è sempre assurdamente scritto che ‘l’interessato si rifiuta di firmare’ e  questo perché si tratta di moduli prodotti in serie e prestampati). Raccontano ancora di essere stati fotosegnalati e imbarcati con altri migranti sulla nave per Porto Empedocle e, a bordo, di essere stati poi separati in gruppi sulla base di criteri ad oggi incomprensibili. Queste persone  sono state  quindi abbandonate alla stazione di Agrigento, o in altre piccole stazioni dell’agrigentino, con il solo decreto di respingimento in tasca. Un decreto avverso il quale gli avvocati delle reti di sostegno siciliane hanno già presentato ricorso perché del tutto illegittimo e incostituzionale. Nel frattempo, centinaia di migranti in maggioranza eritrei sono illegalmente detenuti a Lampedusa per settimane, perché si rifiutano di farsi prendere le impronte digitali: non perché abbiano  qualcosa da nascondere, ma perché vogliono raggiungere i loro cari che si trovano in altri paesi  dell’Unione europea senza restare imbrigliati nelle maglie del Regolamento cosiddetto Dublino 3, o dell’ambigua promessa di ricollocamenti mai avviati realmente se non in pochissimi casi usati dal  governo a fini propagandistici. L’Europa sta usando la retorica dell’accoglienza dei rifugiati per perseguire drammaticamente la  sua guerra alle migrazioni dai Sud del mondo. Queste le prime conseguenze della messa in opera del sistema degli Hot Spot, che vede Lampedusa, ancora una volta, come luogo di sperimentazione dell’inasprimento delle politiche  migratorie e di inedite violazioni dei diritti fondamentali. Le notizie sono quelle di formulari a risposte multiple (il cosiddetto ‘foglio notizie’) somministrati, laddove non compilati, da funzionari  non meglio identificati, sia italiani che dell’Ue, sulla base dei quali si stabilisce definitivamente chi  può chiedere asilo. È innanzitutto il diritto di asilo a essere quindi cancellato da questo sistema: un diritto soggettivo  perfetto che può essere richiesto ovunque e da chiunque indipendentemente dalla sua origine e  provenienza nazionale. Un diritto completamente negato nel momento in cui si pensa di stabilire in  pochi giorni e solo sulla base della nazionalità chi possa accedere alle procedure di  riconoscimento della protezione, e chi invece debba essere ‘clandestinizzato’, insieme alle migliaia di richiedenti asilo diniegati, costantemente in aumento per chiare direttive governative, e sempre  più spesso destinatari di provvedimenti di espulsione notificati contestualmente al rigetto della loro  domanda di protezione arbitrariamente dichiarata ‘manifestamente infondata’. Ed è questo il punto: dopo un tempo di caotico riassestamento delle politiche europee delle migrazioni, a fronte dei rivolgimenti epocali degli ultimi anni, la strumentale divisione tra ‘veri’ e  ‘falsi’ rifugiati è adesso usata per ‘clandestinizzare’ i profughi, tornando a rinfoltire quelle masse di  invisibili da marginalizzare e sfruttare, per poi urlare all’emergenza sociale o sanitaria di fronte alle  conseguenze di queste scelte illegittime e irresponsabili. L’unica emergenza, visto anche il calo degli arrivi attraverso la rotta del Mediterraneo centrale, e la diminuzione constante, dal 2008 ad oggi, degli ingressi dai tradizionali paesi di emigrazione, è  rappresentata, insieme alle morti alle frontiere d’Europa, dall’illegalità e dall’ingiustizia del sistema  posto in essere. Fermo restando che le uniche politiche migratorie coerenti e razionali, oltre che giuste, sarebbero  rappresentate dall’apertura di canali di ingresso legali che sottraggano le persone ai trafficanti e  alla morte alle frontiere, permettendo loro di entrare in Europa in sicurezza, identificate e senza  doversi nascondere, Chiediamo ora con urgenza: – Che ogni migrante in qualunque luogo d’Italia abbia immediato ed effettivo accesso alla richiesta di protezione internazionale; – Che vengano revocati tutti i decreti di respingimento differito fino ad oggi consegnati sulla base  del sistema hot spot lanciato a Lampedusa; – Che il centro di Lampedusa venga immediatamente chiuso e si rinunci all’apertura di ulteriori hot spot che non hanno alcuna base giuridica se non decisioni della Commissione e del Consiglio  europeo, e che sono strutturalmente progettati sull’annullamento del diritto d’asilo e sulla  violazione dei diritti di tutti i migranti; – Che cessino immediatamente le prassi di rilascio dei decreti di espulsione notificati ai richiedenti asilo nel momento stesso in cui la loro domanda viene dichiarata ‘manifestamente infondata’;  – Che nessuna violenza sia autorizzata nel prelievo delle impronte digitali, e il governo italiano  rivendichi invece in Europa la cancellazione del Regolamento Dublino in tutte le sue versioni; – Che si receda immediatamente dagli accordi di riammissione coi paesi di origine e di transito,  che il più delle volte vedono Italia e Unione europea negoziare con dittatori e carnefici, e che  sono volti solamente a fornire copertura formale a pratiche di respingimento ed espulsione collettive. Primi firmatari: Borderline Sicilia Onlus, Borderline-Europe, Centro salesiano Santa Chiara di Palermo, Circolo Arci Porco Rosso di Palermo, Ciss – Cooperazione Internazionale Sud Sud, Comitato Antirazzista Cobas (Palermo), Comitato NoMuos/NoSigonella, Forum Antirazzista di Palermo, La città Felice(Ct) – Le città vicine, L’Altro Diritto Sicilia, Laici Missionari Comboniani, Palermo Senza Frontiere, Rete Antirazzista Catanese Per adesioni: forumantirazzistadipalermo@gmail.com Mi piace:Mi piace Caricamento... [...] Read more...
25 Novembre 2015Riceviamo, aderiamo e molto volentieri pubblichiamo In questi giorni, dal confine greco-macedone di Idomeni fino a tutti i confini dei Paesi della cosiddetta ‘rotta balcanica’ (Macedonia, Serbia, Croazia e Slovenia), stiamo assistendo a grandi cambiamenti per le migliaia di persone che tentano disperatamente di raggiungere la Fortezza Europa. Mentre l’attenzione dei media è tutta concentrata sull’allarme terrorismo, dal 19 novembre i confini della Macedonia sono ufficialmente chiusi per tutti coloro che non possono provare di essere siriani, afgani o iracheni. Cio’ in spregio all’art. 3 della Convenzione di Ginevra che sancisce espressamente il divieto di discriminazione (‘Gli Stati Contraenti applicano le disposizione della presente Convenzione ai rifugiati senza discriminazioni quanto alla razza, alla religione o al paese d’origine). Calato da settimane il sipario sulla rotta balcanica, i governi dei paesi che da mesi gestiscono l’attraversamento dei confini da parte di migliaia di persone hanno semplicemente deciso di tracciare una linea, dividendo ‘chi ha diritto all’asilo’ da coloro che arbitrariamente vengono definiti ‘migranti economici’ (definizione, quest’ultima, improvvisamente portata alla ribalta da tutti i governi dei Paesi europei coinvolti). Ad oggi, stando a quanto sta succedendo a Idomeni, confine greco-macedone, sono da considerarsi ‘migranti economici’ coloro che provengono dalla Palestina, dalla Somalia, dall’Eritrea, dall’Iran e molti altri paesi così come tutti/e coloro che non possono dimostrare di provenire dalle tre nazionalità “selezionate”. Nonostante per ora le organizzazioni internazionali sul posto – il cui operato e il cui raggio di intervento sono stati negli ultimi mesi non adeguati – siano molto caute nel definire ciò che sta succedendo (si parla di persone ‘bloccate ai confini’, di ‘situazione molto tesa’), appare invece evidente che quanto sta accadendo è una vergognosa forma di respingimento di massa sotto forma di separazione su base etnica e nazionale (per altro coordinata anche da Paesi quali Serbia e Macedonia, che l’UE in teoria considera ‘non sicuri’ per i richiedenti asilo). Davanti ai confini chiusi ci sono famiglie con bambini, ci sono centinaia di persone esposte al freddo e alle intemperie che sperano – a quanto pare inutilmente – che il confine riapra anche per loro, ormai ‘profughi di serie B’. Desta molta preoccupazione, a tal proposito, il comunicato diramato da UNHCR, IOM e UNICEF nel quale si esplicitano le “categorie” di migranti: “(…)to identify those who are in need of protection, those to be relocated to other European countries, and people who do not qualify for refugee protection and for whom effective and dignified return mechanisms have to be put in place” legittimando implicitamente le procedure di discriminazione su base etnica e nazionale appena introdotte Chiediamo immediatamente la riapertura dei confini sulla rotta balcanica e la cessazione immediata di questa arbitraria e criminale ‘selezione del migrante’ che viola esplicitamente il diritto internazionale ed europeo, che garantisce il diritto di chiedere ad asilo a chiunque ed indipendentemente dalla nazionalità. Chiediamo che i profughi bloccati al confine greco-macedone possano proseguire il loro viaggio verso l’Europa, e che nessuno dei paesi balcanici blocchi i migranti lungo la rotta. Ricordiamo che la Convenzione di Ginevra sancisce il divieto di espulsione e di rinvio al confine: ‘Nessuno Stato Contraente espellera’ o respingera’, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua liberta’ sarebbero minacciate a motivio della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza o a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche’ e che la stessa UNHCR con un comunicato del 30 gennaio scorso ribadiva la raccomandazione del 2008 di non rimandare i richiedenti asilo in Grecia. Invitiamo le organizzazioni internazionali presenti sul posto a documentare i respingimenti e a portare avanti immediate azioni legali, perchè quanto sta succedendo non resti impunito. In un momento in cui le libertà e i diritti sembrano dover essere messi in secondo piano in nome della lotta al terrorismo, ribadiamo che sono proprio quei diritti e quelle libertà l’arma più efficace e duratura contro il terrore. Invitiamo a firmare e condividere questo appello perchè le massicce violazioni dei diritti dei rifugiati e dei richiedenti protezione in corso lungo la rotta balcanica cessino immediatamente. Adif; Garibaldi 101; Ospiti in Arrivo; Campagna LasciateCIEntrare; Tenda per la Pace; Coordinamento Welcome Refugees FVG; Rete Solidale Pordenone; Progetto Melting Pot Europa; Associazione Immigrati Pordenone; Dalla Parte dei Bambini Onlus; Le Mafalde- Associazione Interculturale; Associazione SOS diritti Venezia; Scuola di italiano Liberalaparola- Marghera; Rete della Conoscenza, Link – Coordinamento Universitario e Unione degli Studenti; Anomaliaparma.org ; Migr-Azioni a.p.s; Redazione di NotizieMigranti.EU; Rete Antirazzista Catanese; Accoglienza Degna, Bologna; Laici Missionari Comboniani di Palermo; Progetto Rebeldia- Pisa; Archivio delle Memorie Migranti; Associazione Cinema e Diritti; Legacoopsociali FVG; Associazione Compare; Associazione la Kasbah; Ambasciata dei Diritti di Ancona; Associazione Liberacittadinanza; Inicijativa za podrusku izbjeglicama “Dobrodsli” (Zagreb, Croatia); Rise Hub a.p.s. laboratorio permanente di progettazione e innovazione sociale; Coop. Soc. Progetto Con-Tatto ONLUS- Pavia; Rivoltiamo la precarietà (Bari); Lunaria.   Per adesioni yasmina14@hotmail.it, gala.ravelli@gmail.com Mi piace:Mi piace Caricamento... [...] Read more...
24 Ottobre 2015Inseriamo qui una serie di testi che riteniamo essere utili per tutti Mi piace:Mi piace Caricamento... [...] Read more...