Salta la finzione della zona SAR “libica” e Malta non interviene. Finalmente l’Italia si deve assumere le sue responsabilità.

di Fulvio Vassallo Paleologo

Sono giorni in cui gli sbarchi a ripetizione sulle coste siciliane e gli allarmi lanciati sulla presenza di migranti positivi al Covid 19 rischiano di coprire il sostanziale fallimento degli accordi bilaterali, delle politiche di chiusura dei porti e del ritiro delle navi della Guardia costiera prima operanti nel Mediterraneo centrale, all’interno delle acque territoriali (12 miglia dalla costa).

In una vasta zona di mare a sud di Lampedusa e di Malta, nella quale nel 2018 si era costruita a tavolino la finzione di una zona SAR ( di ricerca e salvataggio) affidata alla responsabilità del governo di Tripoli, sostenuto dalla missione della Marina militare italiana NAURAS (nell’ambito dell’operazione Mare Sicuro), si sta rivelando il costo umano e la totale inefficacia del Memorandum d0intesa siglato tra Italia e libici nel mese di febbraio del 2017, prorogato lo scorso febbraio e rifinanziato con un voto bipartizan del Parlamento italiano poche settimane fa. Si intensificano intanto le notizie degli abusi a cui sono sottoposti i migranti intrappolati in Libia ed arriva anche la notizia di tre persone, di nazionalità sudanese, uccise dalla sedicente “guardia costiera libica” al termine di una operazione di intercettazione in alto mare e riconduzione a terra. Persone uccise a colpi di arma da fuoco che, con il loro tentativo di fuga, si volevano sottrarre alle sevizie inflitte dai carcerieri libici anche nei centri di detenzione “governativi” ed al turpe mercato di esseri umani che continua a caratterizzare la condizione di chi viene riportato in Libia.

Come riferisce l’ANSA mercoledì 29 agosto, “Finora nel 2020, oltre 6.200rifugiati e migranti sono stati riportati in Libia dopo esserestati intercettati dalla Guardia costiera libica mentretentavano la traversata via mare per l”Europa. Una voltasbarcati, spesso sono “trattenuti arbitrariamente in centri didetenzione ufficiali, nei quali sono esposti quotidianamente adabusi e vivono in condizioni raccapriccianti, oppure finisconoin ”centri non ufficiali” o depositi controllati dai trafficantiche li sottopongono a maltrattamenti fisici per estorcere loropagamenti in denaro”. E” quanto denuncia un nuovo rapportopubblicato oggi dall”agenzia Onu per i rifugiati Unhcr e dalMixed Migration Centre (Mmc) del Danish Refugee Council,intitolato “In questo viaggio, a nessuno importa se vivi omuori”. Secondo il documento, la cifra dei migranti riportati inLibia finora suggerisce che il dato finale di quest”anno probabilmente eclissera” quello di 9.035 persone ricondotte nelPaese registrato nel 2019.

Sempre dalla stessa agenzia si apprende come gli accordi con la sedicente Guardia costiera libica siano saltati, probabilmente perchè le motovedette cedute a suo tempo dall’Italia accusano problemi di vetustà e non sono più operative in passato, malgrado l’assidua attività di assistenza tecnica offerta dai militari italiani presenti a bordo della nave militare di turno della missione Nauras, presente nel porto militare di Tripoli ( Abu Sittah). Anche perchè le partenze non avvengono più soltanto da quella zona, ma da una fascia molto più estesa delle coste della Tripolitania, dopo che le milizie legate alle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani, da Sabratah e da Zawia, hanno rinnovato il loro sostegno al governo Serraj a Tripoli, ottenendo in cambio un pieno riconoscimento.

Sembra saltato anche quel coordinamento operativo, esteso all’agenzia europea Frontex, che prima garantiva ai libici la esatta individuazione del target da raggiungere in acque internazionali per portare a compimento le attività di respingimento “delegato” dalle autorità maltesi ed italiane in bse agli accordi bilaterali conclusi nel frattempo. Probabilmente l’elevato numero di piccole imbarcazioni in partenza dalla libia, e non solo dalla Tunisia, come si vorrebbe far credere, ha messo in crisi il collaudato sistema di coordinamento operativo tra Frontex, le autorità maltesi e quelle italiane per facilitare l’intervento dei guardiacoste libici. Le recenti ammissioni del Direttore di Frontex Legeri sono comunque smentite da decine di rilevazioni aeree.

Le autorità maltesi, peraltro, dopo essere state scoperte con “le mani nel sacco” durante una cruenta operazione di respngimento collettivo attuata il 13 aprile scorso e culminata con la strage di Pasquetta, con 12 vittime, sembrano avere rallentato le attività della flotta di pescherecci “ombra” che, agli ordini del governo de La Valletta, eseguivano respingimenti collettivi come quelli per cui l’Italia è stata condannata nel 2012 dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo sul caso Hirsi.

Rimane dunque un grande “buco nero” nel Mediterraneo centrale, a sud di Lampedusa e Malta, nel quale possono passare decine di piccole imbarcazioni cariche di migranti, ma nel quale, se qualcosa va male e si rischia di affondare, non interviene proprio nessuno. Come è successo ancora in questi giorni.

Secondo quanto riferisce il quotidiano La Sicilia in data odierna, “La Guardia Costiera italiana ha coordinato il soccorso di un gommone semiaffondato con 84 persone a bordo in area sar di responsabilità libica. I migranti sono stati recuperati dalla nave Asso 19, in servizio presso le piattaforme Eni ed ora è diretta a Lampedusa. La decisione, spiega la Guardia costiera, è stata presa perché né la Libia, né Malta, né un’imbarcazione in servizio presso le piattaforme francesi della Total, avevano accettato di intervenire”. In realtà sembra adesso che la nave Asso 19 sia diretta verso il porto di Pozzallo, place of safety (POS) che le sarebbe stato assegnato dalle autorità italiane.

Come riferisce la stessa fonte,“Della presenza del gommone in fase di affondamento nei pressi della piattaforma petrolifera francese Total e del mancato intervento di soccorso della Via Aphrodite é stato allora informato il Centro di coordinamento di Soccorso francese, che ha risposto all’Mrcc italiano che nessuna nave di bandiera francese era coinvolta e che l’area Sar dell’evento era di competenza libica. La Guardia Costiera italiana, «persistendo il silenzio sia delle autorità maltesi che di quelle di Gibilterra», ha assunto allora il coordinamento del soccorso, inviando l’unità navale Asso 29, battente bandiera italiana in servizio alle piattaforme Eni.Alle 4.10 sono iniziate le operazioni di imbarco delle 84 persone presenti sul gommone, ormai quasi affondato, tra cui 6 donne e 2 bambini, conclusesi alle 4.35”.

Quanto successo negli ultimi giorni impone la sospensione immediata del riconoscimento internazionale di una zona SAR ( di ricerca e salvataggio) affidata esclusivamente alle autorità libiche, ed un ridimensionamento della zona SAR ancora riconosciuta a Malta, per ragioni economiche, ma per una estensione che le autorità maltesi, ammesso che ne abbiano l’intenzione, non sono certo in grado di controllare. L’intero sistema di ripartizione delle zone SAR nel Mediterraneo centrale deve essere rivisto, perchè sta costando troppe vite umane, vittime di ritardi se non vere e proprie omissioni di soccorso. Se non interverrà l’Imo (Organizzazione internazionale del mare) di Londra, che è una organizzazione legata alle Nazioni Unite, dovrà promuoversi una vasta mobilitazione internazionale che dovrà convolgere quelle altre agenzie delle Nazioni Unite, come l’OIM e l’UNHCR, che denunciano gli abusi commessi dalla sedicente guardia costiera libica, ma non riescono a mettere in discussione i poteri, ma soprattutto i doveri di soccorso, che il riconoscimento di una zona SAR in acque internazionali comporta.

E’ tornata nauturalmente a farsi sentire la becera propaganda dei sovranisti e delle loro macchine mediatiche di riproduzione del consenso, con accuse rivolte alle autorità italiane “colpevoli” in questa occasione di avere salvato decine di vite nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. Come peraltro avveniva di norma, ed in rispetto delle Convenzioni internazionali, fino al mese di giugno del 2017. prima che il governo Gentiloni, con Minniti al ministero dell’interno, ridisegnasse l’impegno italiano nell zona SAR maltese e facesse fuori le navi umanitarie delle ONG con l’imposizione di un codice di condotta dal quale derivarono numerosi processi penali, tutti archiviati o bloccati, come a Trapani, da tre anni, senza che si siano ancora chiuse le indagini preliminari ( caso Juventa). Adesso rimane da vedere come si comporteranno le autorità italiane nei prossimi giorni e nelle prossime settimane, quando nel Mediterraneo centrale, mentre le navi delle ONG sono state allontanate o rimangono bloccate in porto, si verificheranno altri eventi SAR, nei quali saranno a rischio altre vite umane, ma nei quali gli Stati responsabili di zone SAR confinanti con quella italiana si rifiuteranno di intervenire.

Cade la finzione di una zona SAR “libica” e le autorità maltesi, malgrado qualche sporadico intervento, dimostrano per l’ennesima volta di non potere garantire interventi di Search and Rescue in tutta la vasta zona SAR loro assegnata. Una ragione in più per sospendere la zona SAR libica e ridimensionare quella maltese, e dunque per revocare gli accordi che Malta e Italia hanno recentemente concluso o rinnovato con le autorità di Tripoli, perchè questi accordi bilaterali sono in violazione delle Convenzioni internazionali ed attentano alla salvaguardoa della vita umana in mare. Se non lo confermeranno i giudici nazionali, dovrà proseguire l’impegno di denuncia quotidiana di questi accordi, fino alle più alte istanze internazionali, adesso che anche le Agenzie delle Nazioni Unite sembrano protestare contro le prassi di respingimento e di abbandono in mare e di internamento in Libia che ne sono derivate.

Non basta però chiedere una indagine indipendente su singoli episodi, occorre portare davanti ai giudici internazionali i responsabili libici ed i loro mandanti europei, occorre soprattutto sospendere la zona SAR l”ibica” e revocare gli accordi bilaterali tra Italia, Malta ed il governo di Tripoli. Una direzione purtroppo opposta rispetto a quella seguita ancora in questi giorni dal governo italiano e dal governo maltese che con le loro politiche di “difesa dei confini”, incentrate unicamente sul contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement) si rendono oggettivamente complici degli abusi e delle torture inflitte ai migranti, dalle milizie in combutta con le autorità libiche, o per effetto delle operazioni delegate alle stesse autorità, in base agli accordi bilaterali.

Come afferma Matteo de Bellis, ricercatore presso Amnesty International, in una dichiarazione rilasciata a VICE News: “Gli europei non possono incaricare una nave di soccorso di sbarcare in Libia – è illegale – quindi hanno creato un sistema in base al quale gran parte del coordinamento dei respingimenti viene svolto dagli europei , con risorse europee, ma usando i libici come una cortina fumogena legale. È accettabile che gli stati dell’UE ingannino il diritto internazionale e rimandino le persone alla tortura senza essere responsabili? “

Come afferma Tom Garofalo, il Country Director dell’IRC in Libia, ha dichiarato: “Assolutamente nessuno dovrebbe essere detenuto nei centri di detenzione della Libia – soprattutto un bambino. Da marzo di quest’anno, abbiamo fornito assistenza medica di emergenza a oltre 3.800 persone che cercavano sicurezza in Europa ma sono state riportate in Libia dal mare, tra cui oltre 200 bambini. Molti sono in pessime condizioni al loro ritorno: alcuni sono stati in mare per settimane. Alcuni hanno visto compagni passeggeri morire davanti ai loro occhi. Quando vengono sbarcati, le persone che hanno sofferto così tanto hanno bisogno di supporto, specialmente di cure psicosociali, ma vengono invece inviate ai centri di detenzione dove il supporto è estremamente limitato”.

I governi, con i media loro vicini, fanno scomparire le informazioni sui fatti reali che avvengono nel Mediterraneo e nelle regioni nordafricane. Non c’è più traccia dell’importante Dossier della Guardia costiera italiana, pubblicato nel 2018, che documentava le importanti attività di ricerca e soccorso effettuate in sinegia con le ONG dalle autorità italiane, dal 2014 al 2017, nel Mediterraneo centrale. Il sito nel quale era facilmente rivenibile fino a pochi giorni fa adesso risulta oscurato, “in manutenzione”. I comunicati ufficiali dei ministeri, della Marina militare e della Guardia costiera, dettagliatissimi quado si riferisce del “fermo amministrativo” delle navi delle ONG, sono del tutto lacunosi quando si tratta di dichiarare cosa è successo nelle operazioni di ricerca e soccorso in alto mare, nelle acque internazionali. Per molte notizie occorre risalire alla stampa locale ed ai giornalisti ancora indipendenti. Per questo il dovere della denuncia non riguarda solo i giornalisti, ma tutti i cittadini. Anche questa è una questione di democrazia, come il salvataggio della vita umana.