Verso la fine della politica dei fermi amministrativi ?

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. Dai sequestri penali della navi delle ONG ai fermi amministrativi dopo le ispezioni in porto (PSC)

Mentre la criminalizzazione dei soccorsi umanitari continua a produrre disorientamento, se non vero e proprio odio, nell’opinione pubblica, si cerca di nascondere o minimizzare le responsabilità dello Stato, e dunque dei ministri responsabili dei controlli di frontiera, per i casi di divieto di ingresso e di sbarco, adottati dai precedenti governi. Dopo il non luogo a procedere nel caso Gregoretti, nel processo Open Arms/Salvini, aperto a Palermo, da parte della difesa dell’ex ministro dell’interno si sta tentando ancora una volta di confondere le responsabilità di governo andando ben oltre la fase temporale dei fatti oggetto di esame da parte dei giudici. Per questo motivo dalla difesa del senatore Salvini sono state richieste le testimonianze di ministri dei tre governi che si sono succeduti dal 2018 ad oggi.

Se è vero che il governo attualmente in carica, e già il governo Conte II, ha mantenuto, ed anzi rinforzato, il livello di collaborazione con le autorità libiche, e che la politica dei fermi amministrativi adottata nei confronti delle ONG ha prodotto effetti più gravi e prolungati di blocco delle navi umanitarie nei porti, di quanto non si verificasse con il primo Governo Conte, dal giugno del 2018 ( caso Aquarius) al luglio 2019 ( caso Open Arms), non si possono nascondere profili diversamente rilevanti di fronte all’esercizio dell’azione penale, anche se espressione di una sostanziale continuità di governo. Se si tratta di aspetti meno rilevanti sotto il profilo della responsabilità penale, non si può ignorare il costo umano ed economico dei prolungati tempi di fermo amministrativo, fino a sei mesi, imposto alle navi delle ONG dopo le attività ispettive a cui sono state sottoposte da una squadra specializzata inviata dal Corpo delle Capitanerie di porto nei porti di ingresso ( PSC).

Dopo la stagione, avviata da Minniti e utilizzata con cattiveria da Salvini, dei sequestri penali delle navi umanitarie e della criminalizzazione dei comandanti e degli equipaggi, con il secondo governo Conte il ministero dell’interno ha fornito un chiaro indirizzo, prontamente recepito dal ministero delle infrastrutture e quindi dal Corpo delle Capitanerie di porto, per utilizzare sistematicamente i controlli all’arrivo in porto per sottoporre a fermo amministrativo le navi civili che avevano soccorso persone in acque internazionali, ed impedire così che queste potessero tornare a svolgere attività SAR nel Mediterraneo centrale[1]. In questo modo è ancora aumentato il numero di potenziali richiedenti asilo che sono stati intercettati in acque internazionali, anche nella zona SAR maltese, da unità della sedicente Guardia costiera libica, e che sono stati riportati a terra, per scomparire nei centri di detenzione formali ed informali ancora esistenti in Libia. La denuncia di  queste “sparizioni” proviene dall’OIM ( Organizzazione internazionale delle migrazioni).

Da quando Salvini ha lasciato il Viminale, e soprattutto da quando è stato instaurato lo stato di emergenza per la pandemia da COVID 19, nel mese di febbraio del 2020, si verificano quindi forme meno eclatanti di contrasto delle attività di soccorso delegate di fatto alle ONG, dopo il ritiro dei mezzi militari italiani ed europei. Si è scoperto così il ricorso alle norme che garantiscono la salute pubblica e la sicurezza delle navi, oltre che l’ambiente, previste da Direttive europee e da norme interne, ed a ispezioni dopo l’ingresso nei porti, con conseguenti provvedimenti di fermo amministrativo, per impedire una rotazione più rapida delle poche navi delle ONG ancora operative nel Mediterraneo centrale. Di fatto si è voluto creare un vuoto di soccorsi nel Mediterraneo centrale.

Si è tentato anche, con minore successo, di ritardare l’assegnazione di un porto sicuro e lo sbarco, anche sulla base del Decreto interministeriale del 7 aprile 2020 [2] e del successivo Decreto del capo della protezione civile del 12 aprile dello stesso anno, che prevedeva il ricorso alle cd. navi quarantena [3], modificando il precedente “approccio Hotspot” scaturito dalle decisioni del Consiglio europeo adottate nel settembre del 2015[4]. Tuttavia questo tentativo è stato subito superato dai fatti. Se non ricorrono più specifici divieti di ingresso, la dichiarazione dei porti italiani come porti “non sicuri”, ma solo per le navi straniere che hanno operato soccorsi in acque internazionali, denota un evidente carattere discriminatorio. Che nei fatti si può tradurre in ritardi nella indicazione del porto di sbarco sicuro, ed in pratiche detentive sulle cd. navi quarantena, che non sembrano garantire l’accesso alle procedure di protezione secondo quanto imposto dalle Convenzioni internazionali e dalla normativa interna. Comunque alla fine, dopo periodi più o meno lunghi di blocco in alto mare, le navi delle ONG hanno potuto sbarcare in Italia le persone soccorse in acque internazionali, poco rileva se nella cd. zona SAR ( ricerca e salvataggio) maltese, o in quella libica, perché le autorità di questi Stati non hanno generalmente risposto alle richieste di assistenza, e in considerazione del fatto che secondo tutte le agenzie delle Nazioni Unite ( UNHCR, OIM, UNICEF) la Libia nella sua attuale consistenza politica e militare non garantisce porti sicuri di sbarco. Come non li garantisce neppure la Tunisia, per coloro che sono potenziali richiedenti asilo o cittadini di paesi terzi, a fronte della mancanza in quel paese di una legislazione effettivamente applicabile ai richiedenti asilo. Ormai su questo ha fatto chiarezza la Procura di Agrigento nelle richieste di archiviazione, poi accolte dal tribunale, dei procedimenti penali aperti contro le ONG nel 2019.

2.  La fine della politica dei fermi amministrativi ?

Soltanto di recente sembra che i giudici amministrativi riconfermino la giurisprudenza contraria alla prassi dei fermi amministrativi e delle navi quarantena, materia sulla quale dovrebbe anche intervenire la Corte di giustizia dell’Unione Europea. Gli argomenti per adottare i provvedimenti di fermo amministrativo sono stati oggetto di ricorsi davanti ai tribunali amministrativi, ed una recente decisione del TAR [5] smantella le motivazioni adottate dalle Capitanerie di Porto per bloccare le navi civili impiegate dalle ONG nelle attività di ricerca e soccorso in alto mare.

Per svolgere una attività di soccorso in alto mare e per avere diritto a sbarcare i naufraghi nel porto sicuro più vicino non occorre certo che le navi che effettuano i soccorsi abbiano particolari certificazioni. Dopo le pronunce di diversi tribunali amministrativi, contraddetti da una isolata sentenza del Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia, lo afferma adesso anche la Procura di Agrigento nella richiesta di archiviazione sul caso Mare Jonio [6]. Un caso che dovrebbe pesare sulla prossima decisione in materia da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Secondo la richiesta di archiviazione della Procura di Agrigento, “la Mare Jonio non era tenuta a dotarsi di alcuna certificazione SAR poiché non esiste nell’ordinamento italiano alcuna preventiva certificazione diretta alle imbarcazioni civili per lo svolgimento di tale attività”. Una considerazione a cui la Procura aggiunge che non è ammissibile l’idea di stabilire “un numero massimo di naufraghi imbarcabili” durante un’operazione di soccorso. Eppure, malgrado queste considerazioni basate sulle Convenzioni internazionali e sul diritto interno, la difesa del senatore Salvini nel caso Open Arms [7] non trova altre argomentazioni se non quelle che rilanciano contro le ONG accuse già definitivamente archiviate. Sono quelle stesse argomentazioni, secondo cui le missioni di soccorso delle ONG costituirebbero un “fattore di attrazione”[8] rispetto alle partenze dalla Libia ( e dalla Tunisia) che hanno portato nel corso degli anni allo svuotamento sostanziale degli obblighi di soccorso e del diritto di accesso al territorio per chiedere protezione, E le conseguenze di queste politiche continuano ancora oggi ad influenzare le attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali, che le autorità italiane continuano a ridurre al minimo, solo in presenza degli allarmi lanciati dalle ONG, tanto per non cadere nell’accusa di omissione di soccorso. In questo modo le poche navi delle ONG ancora operative dopo quarantene[9] e fermi amministrativi rimangono isolate e l’assenza dei mezzi militari e della Guardia costiera, che fino al 2018 operavano al limite delle acque territoriali libiche lascia campo libero alle motovedette delle varie guardie costiere delle città della Tripolitania ( Zuwara, Zawia, Sabratha, Tripoli). Migliaia di potenziali richiedenti asilo che potrebbero essere soccorsi in acque internazionali e sbarcati in un porto sicuro in Italia, vengono intercettati in mare e rigettati negli stessi campi di detenzione dai quali erano riusciti a fuggire, pagando un prezzo sempre più alto.

Per queste ragioni, se prendiamo atto che, nell’ultimo mese di ottobre, alcune navi delle ONG hanno potuto svolgere attività ri ricerca e soccorso nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale senza essere sottoposte in modo sistematico alle stesse ispezioni ed ai conseguenti fermi amministrativi, praticati a partire dall’autunno del 2019, rimane tuttavia costante il ritardo nella assegnazione di un porto di sbarco sicuro, che non sembra giustificabile soltanto con il richiamo alle esigenze organizzative delle prefetture che devono gestire i trasferimenti sulle navi quarantena ( generalmente per gli adulti maschi), o nei centri di prima accoglienza ( per le donne, per i minori non accompagnati e per i soggetti comunque in stato di vulnerabilità). Probabilmente peseranno gli attacchi che riceve la ministro Lamorgese quando, seppure con ritardo, autorizza lo sbarco in Italia di naufraghi soccorsi da navi delle ONG. Quanto continuerà a pesare sui soccorsi in mare la presenza della Lega al governo?

3. Ancora rimpalli di responsabilità tra Malta ed Italia

Ritorna soprattutto nel dibattito politico, e sarà sicuramente ripreso dal senatore Salvini nella sua difesa nel processo Open Arms in corso a Palermo, il tema, ormai consunto, della responsabilità di Malta nei soccorsi nel Mediterraneo centrale. Un piccolo Stato, occorre ricordare, che pur avendo una popolazione ed una estensione territoriale assai ridotta, è titolare per ragioni economiche ormai storiche, di una zona SAR enorme, che lambisce ad oriente le acque greche ed a occidente le acque tunisine, oltre ad inglobare, secondo le carte dei maltesi, anche le isole di Pantelleria e Lampedusa. Uno Stato che non ha mai ratificato gli emendamenti più recenti alle Convenzioni internazionali di diritto del mare, che accrescerebbero gli obblighi di fare sbarcare a La Valletta la maggior parte delle persone soccorse nella zona Sar maltese. Decine di migliaia di persone che possono essere accolte su territori più ampi in Italia in vista di un loro successivo trasferimento in altri paesi europei, come si continua a verificare, ma che a Malta risulterebbero sicuramente destabilizzanti rispetto all’entità assai modesta della popolazione residente ed all’estensione territoriale dell’isola. Se questo non giustifica comunque il comportamento delle autorità maltesi e gli accordi che hanno stipulato con i libici, non può neppure essere ignorato quando si valuta il comportamento delle autorità italiane che tengono ferme nei porti le migliori unità della Guardia costiera, che fino al 2017, proprio nella zona SAR maltese, hanno soccorso decine di migliaia di persone a rischio di affondare sulle rotte del Mediterraneo centrale.

Si tratta di un argomento di sicuro effetto propagandistico, prediletto dai partiti sovranisti italiani, e neppure disdegnato dal cd. centro-sinistra, ma del tutto privo di rilievo da un punto di vista giuridico, come è stato più volte stabilito nei procedimenti penali nei quali questo stesso argomento, il soccorso operato nella zona SAR maltese, è stato utilizzato per criminalizzare l’operato delle organizzazioni non governative che avevano soccorso naufraghi in acque internazionali, ma ricadenti nella zona SAR maltese, a partire dal caso Cap Anamur nel 2004[10].

Non si puo’ poi dimenticare che lo scorso anno il governo di La Valletta ha adottato un provvedimento di chiusura dei suoi porti, dichiarati ” non sicuri” due giorni dopo che analogo provvedimento era stato adottato dal governo italiano il 7 aprile 2020, con un decreto interministeriale del governo Conte, firmato anche dal ministro della salute Speranza. Malta potrà essere un crocevia di affari loschi con la Libia, ma in Italia ed a Bruxelles sono in tanti che si nascondono dietro le responsabilità del governo maltese. Se uno stato non rispetta gli obblighi di ricerca e soccorso fino allo sbarco in un posto sicuro, imposti dal diritto internazionale, questo non significa che gli stati titolari di zone Sar limitrofe possano abbandonare i naufraghi al loro destino, quando invece potrebbero intervenire tempestivamente. Chiunque viene a conoscenza di un barcone in situazione di distress (grave pericolo) in acque internazionali ha l’obbligo di attivarsi immediatamente, se l’autorità competente in base alla ripartizione delle zone SAR ricnosciute dall’IMO non interviene, senza restare a guardare dall’alto, in attesa che le trattative tra i governi si concludano. 

4. Quale discontinuità di governo ?

Come ha rilevato l’Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR)  Nonostante le circostanze estremamente difficili che devono affrontare attualmente molti paesi a causa del COVID-19, la protezione delle vite e dei diritti umani fondamentali deve rimanere in prima linea nel nostro processo decisionale. Il salvataggio in mare è un imperativo umanitario e un obbligo ai sensi del diritto internazionale. I problemi legittimi di salute pubblica possono essere affrontati attraverso la quarantena, i controlli sanitari e altre misure. Tuttavia, il salvataggio ritardato o l’incapacità di sbarcare le barche in pericolo mettono in pericolo la vita. Un porto sicuro per lo sbarco dovrebbe essere fornito senza indugio, insieme a un rapido accordo su come condividere la responsabilità tra gli Stati per l’hosting delle persone una volta raggiunta la sicurezza sulla terra ferma. A causa del conflitto in corso in Libia, nonché della detenzione ordinaria di migranti sbarcati e richiedenti asilo, che spesso affrontano condizioni di sovraffollamento e insalubri e altre preoccupazioni in materia di diritti umani, l’UNHCR ribadisce che nessuno dovrebbe essere respinto in Libia dopo essere stato salvato in mare.

Toccherà a Salvini difendersi nel processo penale che lo vede imputato a Palermo. Di certo non potrà confondere le proprie responsabilità con l’operato di chi ha preso il suo posto al Viminale. Malgrado apparente allentamento della prassi dei fermi amministrativi, l’attuale governo ed il ministro dell’interno Lamorgese non hanno dato attuazione alle richieste del Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa, che in un Rapporto sulle politiche migratorie europee pubblicato il 9 marzo di quest’anno ha sollecitato gli Stati membri del Consiglio d’Europa, dunque tra questi anche l’Italia, a garantire 1) efficacia delle operazioni di search and rescue (SAR); 2) sbarco sicuro e tempestivo (place of safety); 3) cooperazione tra Stati e ONG; 4) cooperazione con gli Stati terzi; 5) vie sicure e legali per l’accesso al continente europeo” e “ad ottemperare ai loro obblighi, esortandoli in particolare a: 1) far cessare i rimpatri per la Libia; 2) non ostacolare e non criminalizzare l’azione delle ONG.

Sarà su tutti questi temi che si verificherà, se mai ci sarà, una futura discontinuità con le politiche seguite dagli ultimi governi italiani nei confronti dei soccorsi in mare e degli sbarchi di persone che attraversavano il Mediterraneo centrale, temi politici che tuttavia non devono costituire oggetto di accertamento in sede penale, dove invece dovrebbero rilevare gli atti direttamente riferibili alle autorità competenti, sul piano della responsabilità individuale, ed i fatti che dalle loro decisioni sono derivati.


[1] Cfr. F. Vassallo Paleologo, I fermi amministrativi per rafforzare la collaborazione con la Guardia costiera “libica”, in https://www.a-dif.org/2021/04/20/i-fermi-amministrativi-per-rafforzare-la-collaborazione-con-la-guardia-costiera-libica/

[2] Cfr. A. Algostino, Lo stato di emergenza sanitaria e la chiusura dei porti, in https://www.questionegiustizia.it/articolo/lo-stato-di-emergenza-sanitaria-e-la-chiusura-dei-porti-sommersi-e-salvati_21-04-2020.php

[3]  Cfr. C. Denaro, Politiche di (ri)confinamento in tempo di pandemia,: l’utilizzo di “navi quarantena” in Italia e l’accesso al diritto d’asilo, in Diritto, Immigrazione, Cittadinanza, 2021, 2, consultabile alla pagina https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-2-2021-1/760-politiche-di-ri-confinamento-in-tempo-di-pandemia-l-utilizzo-di-navi-quarantena-in-italia-e-l-accesso-al-diritto-di-asilo

[4] Cfr. Il sistema Hotspot e la negazione dello Stato di diritto in Europa, in https://www.meltingpot.org/Il-sistema-hotspot-e-la-negazione-dello-stato-di-diritto-in.html#.YYP89mDMKyI

[5] G. Merli, Navi ONG, stop a quarantene e fermi amministrativi, in  I l Manifesto del 2 novembre 2021, in https://ilmanifesto.it/navi-ong-stop-a-quarantene-e-fermi-amministrativi/

[6] Antimafiaduemila, Migranti: la Procura di Agrigento chiede archiviazione per ”Mare Jonio”, in https://www.antimafiaduemila.com/home/terzo-millennio/232-crisi/86376-migranti-la-procura-di-agrigento-chiede-archiviazione-per-mare-jonio.html

[7] Vedi F. Vassallo Paleologo, Maggioranze di governo e processi penali, in https://www.a-dif.org/2021/10/30/maggioranze-di-governo-e-processi-penali/

[8] Cfr. C.Amenta, P.Di Betta, C.G. Ferrara, La crisi dei migranti nel Mediterraneo Centrale: le operazioni search and rescue non sono un fattore di attrazione, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2021, 2, reperibile all’indirizzo, https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-2-2021-1/759-la-crisi-dei-migranti-nel-mediterraneo-centrale-le-operazioni-search-and-rescue-non-sono-un-fattore-di-attrazione

[9] Cfr. G. Savio, L’incidenza delle misure di contrasto della pandemia sulla condizione giuridica dei migranti sbarcati sulle coste italiane: il caso delle navi “quarantena”, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2021 2, consultabile in https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-2-2021-1/761-l-incidenza-delle-misure-di-contrasto-della-pandemia-sulla-condizione-giuridica-dei-migranti-sbarcati-sulle-coste-italiane-il-caso-delle-navi-quarantena

[10] Cfr. I. Papanicolopulu, Immigrazione irregolare via mare, tutela della vita umana ed organizzazioni non governative, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, 2017, 3, consultabile alla pagina  https://www.dirittoimmigrazionecittadinanza.it/archivio-saggi-commenti/saggi/fascicolo-n-3-2017/162-immigrazione-irregolare-via-mare-tutela-della-vita-umana-e-organizzazioni-non-governative-1/file