I fermi amministrativi per rafforzare la collaborazione con la Guardia costiera “libica”

di Fulvio Vassallo Paleologo

All’indomani del rinvio a giudizio del senatore Salvini, ma anche alla vigilia del viaggio della ministro dell’interno Lamorgese a Tripoli, a Pozzallo è andato in scena l’ennesimo fermo amministrativo di una nave umanitaria della ONG Open Arms, che pure a febbraio era stata ritenuta idonea alla navigazione ed al soccorso dopo l’arrivo a Porto Empedocle, da cui era poi ripartita senza essere fermata dalla Capitaneria di Porto. Come si era già verificato, sempre nello stesso porto, con la Open Arms, nel mese di gennaio di quest’anno. Nel corso delle operazioni SAR (di ricerca e salvataggio) nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale la Open Arms “si è trovata più volte a dover gestire le forti pressioni esercitate dalla cosiddetta guardia costiera Libica. Nel corso del primo salvataggio, avvenuto a febbraio in zona Sar maltese, la motovedetta libica Fezzan P658 si è avvicinata ai Rhib, intimandogli di abbandonare quelle che loro consideravano ‘acque territoriali libiche’”.  Dopo le mnacce provenienti dalla guardia costiera “libica” si rinnovano adesso le misure di fermo amministrativo disposte dalle Capitanerie di Porto. Negli ultimi mesi, invece, si era fatto ricorso al prolungamento delle misure di quarantena per tenere bloccate le ONG e ridurre le possibilità di loro interventi di soccorso nelle acque del Mediterraneo centrale a nord delle coste libiche. Ancora una volta tra i comportamenti illegali della sedicente Guardia costiera “libica” ed il blocco delle navi delle ONG attraverso i fermi ammnistrativi, una evidente linea di intesa e di cooperazione politica ed operativa.

La svolta impressa da Draghi ai rapporti con il governo provvisorio di Tripoli, confermata dall’annuncio di una Conferenza internazionale a Roma per rafforzare la collaborazione con le autorità libiche, ha probabimente imposto un inasprimento delle prassi amministrative volte a bloccare i soccorsi umanitari operati dalle Organizzazioni non governative, scomodi testimoni degli abusi commessi dalla sedicente Guardia costiera “libica”, in realtà composta da una miriade di milizie che gestiscono anche mezzi navali per proteggere i loro interessi illeciti, dal traffico di migranti al contrabbando di petrolio, controllando i porti della Tripoltania. Mentre dai porti delle Cirenaica, come è noto, non partono migranti ma motovedette bene armate, collegate alle milizie del generale Haftar, che semmai vanno ad intercettare i motopesca di Mazara del Vallo costretti a lavorare in battute di pesca ai limiti del golfo di Sirte. Dove si trova anche la missione europea Eunavfor Med-IRINI, tenuta ben lontano dalle rotte sulle quali transitano, e qualche volta fanno naufragio i migranti in fuga dalla Libia, e ormai anche dalla Tunisia, da dove molti subsahariani sono costretti a transitare.

In questo scenario che si vuole proporre come normalizzazione dei rapporti con la Libia, con l’alibi di qualche altro “corridoio umanitario” meramente simbolico, come quelli per poche decine di persone che abbiamo visto aprire finora dalla Libia, magari ricorrendo alla solita foglia di fico dell’UNHCR, è essenziale fare fuori definitivamente le Organizzazioni non governative che si ostinano ancora a soccorrere persone in difficoltà sulle rotte libiche del Mediterraneo centrale. Le rotte più letali del mondo per i migranti, anche se caratterizzzate da un intenso traffico commerciale e dalla presenza di numerose navi militari. Ma le navi delle ONG devono essere tenute lontano ad ogni costo. Se non con le attività di disinformazione e con i processi penali, con i fermi amministrativi.

Ecco allora che, oltre ai processi penali che si cerca di alimentare con nuovi impulsi, anche dopo decine di provvedimenti di archiviazione, la politica dei fermi amministrativi si ripropone come uno strumento utile per bloccare a tempo indeterminato le navi delle ONG anche per contrastare la propaganda leghista sul piano della difesa dei confini nazionali e del blocco degli arrivi. Arrivi che in realtà proseguono fino ad oggi “in autonomia”, a Lampedusa soprattutto, anche nei giorni di cattivo tempo, dopo pericolose traversate nelle quali decine di persone perdono la vita in mare, ma su cui si fa calare una cappa di silenzio. Come si colpisce in silenzio il soccorso umanitario con i fermi amministrativi. Riferisce il Corriere della Sera, “stando ai dati del ricercatore Matteo Villa dell’Ispi, durante la permanenza al Viminale della ministra nel governo Conte 2, si è arrivati al blocco contemporaneo di sette battelli delle Organizzazioni non governative tra il 9 ottobre e il 21 dicembre 2020 (Jugend Rettet, Sea Watch3, Sea Watch4, Eleonore, Alan Kurdi, Ocean Viking e Louise Michel); mentre nell’estate 2019, periodo di massimo attivismo in materia del leader leghista all’Interno, non si è mai andati oltre le quattro navi Ong ferme”

Occorre eliminare le navi delle ONG dalla scena del Mediterraneo centrale con i fermi ammiistrativi, a qualsiasi costo, se non è possibile imporre loro un nuovo codice di cndotta che le obblighi a restare in stand by tutte le volte che si deleghi il respingimento collettivo in acque internazionali ad una motovedetta libica. Per raggiugere questo obiettivo non occorre fare clamore con i divieti di ingresso e con le denunce penali. E’ sufficiente ordinare ispezioni “mirate” che accertino irregolarità tecniche, utilizzando in modo distorto norme internazionali e Direttive europee. Che il ricorso ai fermi amministrativi sia illegittimo sta emergendo nei primi procedimenti cautelari davanti ai tribunali amministraivi e se ne dovrebbe occupare anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. La Sea Watch 3 che era stata “liberata” dalla ordinanza del TAR Sicilia è stata sottoposta ad un ennesimo fermo amministrativo lo scorso febbraio,non appena è entrata, dopo avere effettuato altri soccorsi in acque internazionali, in un porto italiano, ad Augusta (Siracusa).

La valutazione operata dal Tribunale amministrativo di Palermo nel provvedimento del marzo scorso che ha sospeso il fermo amministrativo della nave Saa Watch 3, bloccata l’8 luglio dello scorso anno , contiene la prova della pretestuosità dei provvedimenti di fermo amministrativo che si continuano ad adottare nei confronti di navi che, se non fossero bloccate in porto, potrebbero contribuire al salvataggio di migliaia di persone, invece abbandonate all’intervento dei sequestratori libici, se non ad un naufragio. Per quel Tribunale infatti “il provvedimento di fermo della SW3 adottato da parte della Capitaneria di Porto ai sensi della direttiva 2009/16/CE sulla base del presupposto della mancanza da parte della nave delle necessarie certificazioni e requisiti commisurati alla concreta attività cd. SAR da questa posta in essere sembra fondarsi su un presupposto che non appare conforme alla normativa comunitaria di riferimento“.

Si comprende bene perchè dopo questo provvedimento le attività ispettive a bordo della Open Arms nel porto di Pozzallo siano durate ben 17 ore e attendiamo di leggere in dettaglio le contestazioni che gli ispettori inviati dalla Capitaneria di Porto di Genova hanno elevato nei confronti di una nave che in precedenti occasioni era stata trovata in regola con tutte le normative nazionali ed internazionali. Chi vuole bloccare in questo modo i soccorsi umanitari nel Mediterraneo centrale sappia che, malgrado i fermi amministrativi, le navi umanitarie della società civile continueranno ad operare attività di monitoraggio, ricera e salvataggio che gli Stati colpevolmente omettono. O che delegano ad una Guardia costiera “libica” che di fatto non esiste e che ha reintegrato in uno dei porti cruciali per le partenze di migranti ( e per i traffici di petrolio) un personaggio come Milad ( Bija), sotto indagine dalle Nazioni Unite e dal Tribunale Penale internazionale. Anche una sentenza del Giudice delle indagini preliminari di Messina ha confermato le accuse di abusi rivolte alle milizie comandate dal cugino di Bija, custode del centro di detenzione di Zawia nel quale ancora oggi potrebbero verificarsi gravissime violenze ai danni delle persone intercettate in mare e riportate a terra dalla locale Guardia costera.

Facciano attenzione le autorità italiane che collaborano con comandanti di guardie costiere libiche che potrebbero provocare in futuro altri incidenti con conseguenze mortali. La catena di comando delle operazioni SAR e delle attività di law enforcement nel Mediterraneo centrale è ormai nota e non basterà classificare come eventi migratori quelli che sono eventi di ricerca e soccorso, per sottrarsi alle proprie responsabilità. Non basterà continuare a imporre alle navi delle ONG provvedimenti di fermo amministrativo. Altre navi delle ONG arriveranno comunque nel Mediterraneo centrale e i testimoni non mancheranno. Le responsabilità non potranno restare nascoste a lungo.

Si può ritenere che per effetto del ricorso al monitoraggio elettronico ed al tracciamento delle imbarcazioni cariche di migranti individuate nel Mediterraneo centrale da assetti operativi di Frontex/Eunavfor Med  e da questi comunicati alle autorità marittime e di polizia degli Stati che collaborano con Frontex nelle attività di “law enforcement”, si possano riscontrare ipotesi di responsabilità sul piano internazionale e a livello nazionale. Si tratta di casi ricorrenti nei quali le persone che si trovano in stato di distress a bordo di imbarcazioni, comunque prive dei requisiti di sicurezza e navigabilità richiesti dalle Convenzioni internazionali, e prive di una qualsiasi bandiera di nazionalità, si ritrovano sottoposte a forme di controllo che comportano la soggezione ad una potestà esclusiva, come quando uno Stato informato dell’evento di soccorso ne delega la gestione ad altro Stato, qualificando l’intervento o il tracciamento come un mero evento migratorio. Una potestà che radica varie forme di responsabilità, anche se si traduce successivamente nella delega dei compiti di intercettazione ad autorità marittime di stati terzi, e che dovrebbe invece comportare un immediato dovere di intervento a salvaguardia della vita umana in mare e a fronte degli obblighi di soccorso e di rispetto dei diritti umani sanciti dalle Convenzioni internazionali. Non si può accettare una sospensione a tempo indeterminato di qualsiasi esercizio della giurisdizione delle persone che si trovano in acque internazionali. Ipotesi che potrebbe configurare anche una vera  e propria omissione di soccorso. Ed allo stesso modo non si può accettare una dstorsione del Diritto dell’Unione Europea, con l’utilizzo di una Direttiva per rallentare o sospendere del tutto i soccorsi delle ONG nel Mediterraneo centrale. Su qualsiasi direttiva che prevede i controlli nei porti prevalgono gli obblighi di ricerca e soccorso ribaditi dal Regolamento europeo n.656/2014. Le navi soccorritrici non possono essere equiparate a navi passeggeri, chi si trova a bordo non ha pagato un biglietto ma è stato salvato in mare. Dietro la logica dei fermi amministrativi c’è la stessa visione distorta che ha fatto parlare di “taxi del mare” e che ha portato all’avvio di numerose indagini penali contro le ONG , ad oggi tutte senza esito, sulla base della confusione tra “ingresso clandestino” e “ingresso per ragioni di soccorso,” distinzione che la legge italiana, l’art. 10 ter del Testo Unico sull’immigrazione n.286/98, impone in qualsiasi sede giudiziaria, e nelle attività amministrative di controllo nei porti.

Le ripercussioni di questi ferni ammiistrativi sul traffico commerciale, se anche altri paesi comminciassero ad usare nei loro porti le stesse attenzioni dedicate in Italia alle ONG, potrebbero essere assai dannose per il nostro sistema economico e per i commerci via mare da e per l’Italia. Vedremo cosa deciderà la Corte di Giustizia dell’Unione Europea sull’applicazione distorta che sta facendo l’Italia della Direttiva 2009/16/CE. Se non saranno vincenti le ragioni del diritto dell’Unione Europea, o il richiamo alla tutela dei diritti umani ed agli obblighi di soccorso, sanciti dalle Convenzioni internazionali, alla fine le ragioni dell’economia, e del libero traffico marittimo, potrebbero prevalere sulle politiche di blocco praticate attraverso i fermi amministrativi.


Secondo il Tribunale amministrativo di Palermo ( in calce l’intero provvedimento),

a prescindere da ogni valutazione in ordine all’incidenza sul provvedimento impugnato del Report of Inspection (form A) rilasciato dall’Ufficio PSC competente per il porto di Burriana (Spagna) del 15 febbraio 2021 e impregiudicata ogni valutazione sul punto da parte della Corte di Giustizia UE, il tenore dell’art. 19 della direttiva 2009/16/CE e le convenzioni internazionali di diritto marittimo nonché la disciplina comunitaria in materia sembrano limitare il potere di controllo delle autorità nazionali, in sede di PSC, alla mera verifica della rispondenza dei requisiti posseduti dalla nave alle certificazioni ottenute e necessarie sulla base della relativa classificazione, escludendo la possibilità di procedere alla riqualificazione della concreta attività svolta con la conseguente integrazione dei requisiti necessari;

Considerato altresì che, nell’ambito delle convenzioni internazionali di diritto marittimo, non sembra sussistere il parametro invocato dall’amministrazione resistente giacché non è specificatamente classificata l’attività cd. SAR di salvataggio di persone in pericolo di vita in mare ai fini dell’individuazione di puntuali certificazioni e requisiti;

Considerato, infatti, che le predette convenzioni sembrano disporre in merito alle operazioni di salvataggio di persone in pericolo di vita in mare solo con la finalità di esonerare le navi che prestano assistenza in mare dall’applicazione di alcune norme convenzionali, proprio al fine di evitare che queste possano subire ripercussioni negative a seguito del loro intervento di salvataggio di persone in pericolo di vita, espressione di un dovere costituente principio generale del diritto marittimo internazionale consuetudinario;

Considerato, inoltre, che:

la raccomandazione della Commissione UE 2020/1365 sulla “cooperazione tra gli stati membri riguardo alle operazioni condotte da navi possedute o gestite da soggetti privati a fini di attività di ricerca e soccorso” esprime la volontà dell’UE di stabilire norme armonizzate al fine di garantire che le navi ONG che svolgono sistematicamente attività di pattugliamento e di salvataggio di persone in pericolo di vita in mare siano adeguatamente registrate ed equipaggiate in modo da soddisfare i pertinenti requisiti sanitari e di sicurezza associati a tale attività, così da non mettere in pericolo l’equipaggio o le persone soccorse;

da ciò si può, tuttavia, dedurre che, allo stato, non esiste nemmeno una normativa armonizzata a livello comunitario avente a oggetto gli specifici profili interessati nella vicenda; ossia difetta, a livello comunitario, una normativa che richieda direttamente o attraverso l’attuazione da parte degli Stati membri, una specifica registrazione e il conseguente equipaggiamento per le predette navi private che svolgono attività cd. SAR in modo non occasionale;

– sembra mancare, pertanto, a livello comunitario, il necessario previo certo parametro di riferimento da tenere in considerazione ai fini della valutazione della conformità della nave sotto i profili interessati in sede di PSC;

ai sensi dell’art. 94 della c.d. convenzione UNCLOS, è lo Stato di bandiera il soggetto che può e deve effettuare i controlli e avere la giurisdizione esclusiva sui profili amministrativi, tecnici e sociali delle navi immatricolate e certificate dallo Stato medesimo;

lo stesso considerando n. 6 della direttiva 2009/16/CE stabilisce che le attività di rilascio delle certificazioni e le connesse competenze sulle ispezioni e i controlli spettano allo Stato di bandiera;

dall’esame degli atti è, invece, emerso che la Germania, ossia lo Stato di bandiera, non ha all’interno del proprio ordinamento giuridico alcuna disposizione relativa alla classificazione di navi private svolgenti attività cd. SAR e, quindi, all’individuazione di apposite certificazioni o di specifici requisiti per lo svolgimento di attività cd. SAR da parte di navi private; tanto è vero che, come in precedenza rilevato, il competente organo amministrativo tedesco ha rilasciato a SW3 e trasmesso apposita certificazione in ordine al riconoscimento dell’intervenuto superamento di tutte le criticità indicate da parte della Capitaneria di porto in sede di fermo, con la specificazione di ritenere conformi e adeguate le certificazioni in possesso di SW3;

– per altro verso, dall’altro, nemmeno l’Italia, ossia lo Stato di approdo, sembra disporre di una normativa nelle indicate direzioni; al riguardo, si rileva che l’amministrazione né in sede di adozione del provvedimento di fermo né nelle proprie difese, nonostante la ripetuta sollecitazione in tal senso da parte dell’organizzazione ricorrente, ha provveduto all’indicazione puntuale della predetta normativa;

– l’art. 36 del d.P.R. n. 435/1991 ‒ articolo peraltro richiamato nei soli scritti difensivi dell’amministrazione ‒ si limita, infatti, a statuire che è necessario il certificato di idoneità per le navi da carico, comprese quelle destinate al servizio speciale di salvataggio; laddove il n. 27 dell’art. 1 del medesimo decreto, nell’ambito delle definizioni, fa riferimento al “salvataggio di navi”;

– non sembra che si possano rinvenire, pertanto, nell’ordinamento italiano, norme che indichino con precisione quali attrezzature, caratteristiche tecniche e certificazioni debbano possedere le navi private qualora svolgano, anche sistematicamente, attività cd. SAR;

– sembra mancare pertanto ‒ anche ove fosse ritenuta rilevante ai fini che interessano ‒ comunque, a livello nazionale, sia dello Stato di bandiera che di quello di approdo, l’individuazione del necessario previo parametro di riferimento ai fini della valutazione della conformità della nave sotto i profili interessati;

da quanto esposto consegue che il provvedimento di fermo della SW3 adottato da parte della Capitaneria di Porto ai sensi della direttiva 2009/16/CE sulla base del presupposto della mancanza da parte della nave delle necessarie certificazioni e requisiti commisurati alla concreta attività cd. SAR da questa posta in essere sembra fondarsi su un presupposto che non appare conforme alla normativa comunitaria di riferimento;


REPUBBLICA ITALIANA

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

(Sezione Terza)

23 febbraio 2021

ha pronunciato la presente

ORDINANZA

sul ricorso numero di registro generale 1864 del 2020, proposto da

Sea Watch E. V., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati………….

contro

Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, Capitaneria di Porto di Porto Empedocle, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato…………….

per l’annullamento

previa sospensione dell’efficacia,

– del provvedimento (denominato “notice of detention for the master”) emesso il giorno 8 luglio 2020, n. 02/2020;

– del rapporto di ispezione emesso il giorno 8 luglio 2020 (denominato “Report of inspection in accordance with the Paris memorandum of understanding on port state control”);

-del rapporto di ispezione emesso il giorno 8 luglio 2020 (denominato “Report of inspection in accordance with eu legislation”);

– di ogni ulteriore atto antecedente, presupposto, connesso e/o conseguente, ivi compresi i doc 4, 5 e 6 in allegato all’atto introduttivo.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni resistenti;

Vista la domanda di sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;

Visto l’art. 55 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Ritenuta la propria giurisdizione e competenza;

Relatore il dott. ………………….. nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2021 e uditi i difensori delle parti tramite collegamento da remoto;

Considerato, quanto all’ammissibilità dell’adozione di una misura cautelare nelle more della definizione della questione pregiudiziale di interpretazione ex art. 267 T.F.U.E. dinanzi alla Corte di Giustizia UE, quanto segue:

– costituisce principio processuale eurounitario la possibilità per il giudice nazionale di adottare provvedimento cautelari e interinali nelle more della definizione della questione pregiudiziale di interpretazione ex art. 267 T.F.U.E. essendo a tal fine sufficiente ricordare i paragrafi 21 e 22 della sentenza della Corte di Giustizia, 19 giugno 1990, C-213/89, Factortame, ECLI:EU:C:1990:257: «Va aggiunto che la piena efficacia del diritto comunitario sarebbe del pari ridotta se una norma di diritto nazionale potesse impedire al giudice chiamato a dirimere una controversia disciplinata dal diritto comunitario di concedere provvedimenti provvisori allo scopo di garantire la piena efficacia della pronunci a giurisdizionale sull’esistenza dei diritti invocati in forza del diritto comunitario. Ne consegue che in una situazione del genere il giudice è tenuto a disapplicare la norma di diritto nazionale che sola osti alla concessione di provvedimenti provvisori.

– questa interpretazione trova conferma nel sistema istituito dall’art. 177 del Trattato CEE, il cui effetto utile sarebbe ridotto se il giudice nazionale che sospende il procedimento in attesa della pronuncia della Corte sulla sua questione pregiudiziale non potesse concedere provvedimenti provvisori fino al momento in cui si pronuncia in esito alla soluzione fornita dalla Corte.» (principio ribadito nella successiva sentenza 28 febbraio 1991, C-234/89, Delimitis, ECLI:EU:C:1991:91,);

– il predetto indirizzo è stato ulteriormente spiegato dalla giurisprudenza comunitaria secondo cui «Il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario deve essere interpretato nel senso che esso richiede, nell’ordinamento giuridico di uno Stato membro, che provvedimenti provvisori possano essere concessi fino a quando il giudice competente si sia pronunciato sulla conformità di disposizioni nazionali con il diritto comunitario, quando la concessione di tali provvedimenti è necessaria per garantire la piena efficacia della successiva pronuncia giurisdizionale sull’esistenza di tali diritti; il principio di tutela giurisdizionale effettiva dei diritti conferiti ai singoli dal diritto comunitario deve essere interpretato nel senso che, in caso di dubbio sulla conformità di disposizioni nazionali con il diritto comunitario, l’eventuale concessione di provvedimenti provvisori per sospendere l’applicazione di dette disposizioni fino a quando il giudice competente si sia pronunciato sulla loro conformità con il diritto comunitario è disciplinata dai criteri fissati dal diritto nazionale applicabile dinanzi a detto giudice, purché tali criteri non siano meno favorevoli di quelli concernenti domande simili di natura interna e non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile la tutela giurisdizionale provvisoria di tali diritti.» (13 marzo 2007, C-432/05, Unibet, ECLI:EU:C:2007:163);

– il predetto principio è stato ulteriormente valorizzato dalla Corte di Giustizia nella sentenza 21 febbraio 1991, Zuckerfabrik, cause riunite C-143/88 e C-92/89, ECLI:EU:C:1991:65 nella quale al punto 20 si spiega che «La tutela cautelare garantita dal diritto comunitario ai singoli dinanzi ai giudici nazionali non può variare a seconda che essi contestino la compatibilità delle norme nazionali con il diritto comunitario oppure la validità di norme del diritto comunitario derivato, vertendo la contestazione, in entrambi i casi, sul diritto comunitario medesimo»;

– pertanto, al giudice nazionale è riconosciuto dal diritto comunitario il potere di adottare provvedimenti provvisori e cautelari e di sospensione del provvedimento amministrativo nazionale impugnato anche nell’ipotesi estrema, del tutto diversa dal caso che ci occupa, in cui sussista un dubbio sulla validità della norma comunitaria su cui l’atto amministrativo interno si fonda;

– anche nell’ipotesi di rinvio pregiudiziale di validità, non si dubita della sussistenza del potere cautelare del giudice nazionale, ove soddisfatte le condizioni di cui alla sentenza Atlanta, C.G.U.E., 9 novembre 1995, n. C-465/93 (punto 111: «Spetta infatti al solo giudice nazionale verificare, prendendo in considerazione le circostanze del caso di specie che gli è sottoposto, se siano soddisfatte le condizioni per la concessione di provvedimenti provvisori»);

Considerato che, pertanto, questo giudice può deliberare sull’istanza cautelare proposta dalla ricorrente ai sensi dell’art. 55 c.p.a. ancorando il fumus bonis iuris alle soluzioni interpretative prospettate al giudice comunitario in sede di rinvio pregiudiziale interpretativo ai sensi dell’art. 267 TFUE da parte del giudice nazionale di primo grado remittente, soprattutto quando si verta in un ambito del diritto comunitario (e nazionale, e nel caso di specie anche internazionale, come introdotto in sede comunitaria) molto tecnico e articolato, in cui non sono annoverabili pertinenti precedenti della giurisprudenza comunitaria o atti vincolanti dell’Unione Europea e che coinvolge scelte di carattere politico in seno all’Unione nell’ambito dei rapporti tra i singoli Stati membri, un’interpretazione uniforme del predetto diritto comunitario, in un’ottica di collaborazione sostanziale tra organi di giustizia;

Considerato, pertanto, che, in base alla giurisprudenza eurounitaria sopracitata, questo giudice deve procedere all’esame della domanda cautelare sulla base del rito cautelare delineato in via generale dall’art. 55 c.p.a.;

Preso atto che:

– il provvedimento di fermo è stato adottato per avere l’Ufficio PSC riscontrato, da un lato, “uno o più dei criteri per il fermo di cui all’Allegato X della Direttiva 2009/16/CE del Consiglio del 23 aprile 2009 (Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee n. L 131) e all’Allegato 11 del Decreto 24 marzo 2011, n. 53 (Gazzetta Ufficiale, 27 aprile 2011 n. 96)” e, dall’altro, “altre carenze che, singolarmente o insieme, sono chiaramente pericolose per la sicurezza, la salute o l’ambiente”, nonché l’inadeguatezza dell’equipaggio ai sensi dell’art. 12 della Direttiva 2008/106/EC;

– dal Report of Inspection (form A) rilasciato dall’Ufficio PSC competente per il porto di Burriana (Spagna) del 15 febbraio 2021 e depositato in atti dalla parte ricorrente il 19 febbraio 2021, si attesta l’intervenuta rettifica delle carenze contestate dall’autorità italiana;

Considerato che:

– a prescindere da ogni valutazione in ordine all’incidenza sul provvedimento impugnato del Report of Inspection (form A) rilasciato dall’Ufficio PSC competente per il porto di Burriana (Spagna) del 15 febbraio 2021 e impregiudicata ogni valutazione sul punto da parte della Corte di Giustizia UE, il tenore dell’art. 19 della direttiva 2009/16/CE e le convenzioni internazionali di diritto marittimo nonché la disciplina comunitaria in materia sembrano limitare il potere di controllo delle autorità nazionali, in sede di PSC, alla mera verifica della rispondenza dei requisiti posseduti dalla nave alle certificazioni ottenute e necessarie sulla base della relativa classificazione, escludendo la possibilità di procedere alla riqualificazione della concreta attività svolta con la conseguente integrazione dei requisiti necessari;

Considerato altresì che, nell’ambito delle convenzioni internazionali di diritto marittimo, non sembra sussistere il parametro invocato dall’amministrazione resistente giacché non è specificatamente classificata l’attività cd. SAR di salvataggio di persone in pericolo di vita in mare ai fini dell’individuazione di puntuali certificazioni e requisiti;

Considerato, infatti, che le predette convenzioni sembrano disporre in merito alle operazioni di salvataggio di persone in pericolo di vita in mare solo con la finalità di esonerare le navi che prestano assistenza in mare dall’applicazione di alcune norme convenzionali, proprio al fine di evitare che queste possano subire ripercussioni negative a seguito del loro intervento di salvataggio di persone in pericolo di vita, espressione di un dovere costituente principio generale del diritto marittimo internazionale consuetudinario;

Considerato, inoltre, che:

– la raccomandazione della Commissione UE 2020/1365 sulla “cooperazione tra gli stati membri riguardo alle operazioni condotte da navi possedute o gestite da soggetti privati a fini di attività di ricerca e soccorso” esprime la volontà dell’UE di stabilire norme armonizzate al fine di garantire che le navi ONG che svolgono sistematicamente attività di pattugliamento e di salvataggio di persone in pericolo di vita in mare siano adeguatamente registrate ed equipaggiate in modo da soddisfare i pertinenti requisiti sanitari e di sicurezza associati a tale attività, così da non mettere in pericolo l’equipaggio o le persone soccorse;

– da ciò si può, tuttavia, dedurre che, allo stato, non esiste nemmeno una normativa armonizzata a livello comunitario avente a oggetto gli specifici profili interessati nella vicenda; ossia difetta, a livello comunitario, una normativa che richieda direttamente o attraverso l’attuazione da parte degli Stati membri, una specifica registrazione e il conseguente equipaggiamento per le predette navi private che svolgono attività cd. SAR in modo non occasionale;

– sembra mancare, pertanto, a livello comunitario, il necessario previo certo parametro di riferimento da tenere in considerazione ai fini della valutazione della conformità della nave sotto i profili interessati in sede di PSC;

– ai sensi dell’art. 94 della c.d. convenzione UNCLOS, è lo Stato di bandiera il soggetto che può e deve effettuare i controlli e avere la giurisdizione esclusiva sui profili amministrativi, tecnici e sociali delle navi immatricolate e certificate dallo Stato medesimo;

– lo stesso considerando n. 6 della direttiva 2009/16/CE stabilisce che le attività di rilascio delle certificazioni e le connesse competenze sulle ispezioni e i controlli spettano allo Stato di bandiera;

– dall’esame degli atti è, invece, emerso che la Germania, ossia lo Stato di bandiera, non ha all’interno del proprio ordinamento giuridico alcuna disposizione relativa alla classificazione di navi private svolgenti attività cd. SAR e, quindi, all’individuazione di apposite certificazioni o di specifici requisiti per lo svolgimento di attività cd. SAR da parte di navi private; tanto è vero che, come in precedenza rilevato, il competente organo amministrativo tedesco ha rilasciato a SW3 e trasmesso apposita certificazione in ordine al riconoscimento dell’intervenuto superamento di tutte le criticità indicate da parte della Capitaneria di porto in sede di fermo, con la specificazione di ritenere conformi e adeguate le certificazioni in possesso di SW3;

– per altro verso, dall’altro, nemmeno l’Italia, ossia lo Stato di approdo, sembra disporre di una normativa nelle indicate direzioni; al riguardo, si rileva che l’amministrazione né in sede di adozione del provvedimento di fermo né nelle proprie difese, nonostante la ripetuta sollecitazione in tal senso da parte dell’organizzazione ricorrente, ha provveduto all’indicazione puntuale della predetta normativa;

– l’art. 36 del d.P.R. n. 435/1991 ‒ articolo peraltro richiamato nei soli scritti difensivi dell’amministrazione ‒ si limita, infatti, a statuire che è necessario il certificato di idoneità per le navi da carico, comprese quelle destinate al servizio speciale di salvataggio; laddove il n. 27 dell’art. 1 del medesimo decreto, nell’ambito delle definizioni, fa riferimento al “salvataggio di navi”;

– non sembra che si possano rinvenire, pertanto, nell’ordinamento italiano, norme che indichino con precisione quali attrezzature, caratteristiche tecniche e certificazioni debbano possedere le navi private qualora svolgano, anche sistematicamente, attività cd. SAR;

– sembra mancare pertanto ‒ anche ove fosse ritenuta rilevante ai fini che interessano ‒ comunque, a livello nazionale, sia dello Stato di bandiera che di quello di approdo, l’individuazione del necessario previo parametro di riferimento ai fini della valutazione della conformità della nave sotto i profili interessati;

– da quanto esposto consegue che il provvedimento di fermo della SW3 adottato da parte della Capitaneria di Porto ai sensi della direttiva 2009/16/CE sulla base del presupposto della mancanza da parte della nave delle necessarie certificazioni e requisiti commisurati alla concreta attività cd. SAR da questa posta in essere sembra fondarsi su un presupposto che non appare conforme alla normativa comunitaria di riferimento;

Premesso, quanto al danno grave e irreparabile, che:

– come esposto dalla stessa parte ricorrente in seno alla memoria depositata il 19 febbraio 2021, sulla base della certificazione dell’Ufficio PSC competente per il porto di Burriana (Spagna) del 15 febbraio 2021 la SW3 può riprendere la navigazione, fatte salve le eventuali determinazioni dell’autorità nazionale che ha disposto il fermo e i connessi effetti di cui all’art. 21 della direttiva 2009/16/CE;

– pertanto il pericolo di danno originariamente prospettato in seno al ricorso introduttivo in ordine all’impossibilità per l’organizzazione di svolgere la propria attività statutaria e di grave lesione dell’esercizio del diritto di proprietà appare, allo stato, assente o, in ogni caso, notevolmente ridotto;

– inoltre, il rischio di essere destinataria di nuovi provvedimenti da parte dell’amministrazioni resistente, anche ai sensi dell’art. 21 della direttiva 2009/16/CE, prospettato dall’organizzazione ricorrente, costituisce circostanza futura e incerta sia nell’an sia nel quando, sicché non appare predicabile l’attualità delle esigenze cautelari;

– le residue esigenze cautelari possono essere soddisfatte con la misura prevista dall’art. 55, comma 10, c.p.a. secondo cui “Il tribunale amministrativo regionale, in sede cautelare, se ritiene che le esigenze del ricorrente siano apprezzabili favorevolmente e tutelabili adeguatamente con la sollecita definizione del giudizio nel merito, fissa con ordinanza collegiale la data della discussione del ricorso nel merito”;

– tale misura cautelare deve necessariamente tenere conto della sospensione della presente causa in attesa dell’esito del rinvio pregiudiziale promosso con l’ordinanza collegiale n. 2994/2020 ai sensi dell’art. 267 TFUE, dell’art. 23 del protocollo sullo statuto della Corte di giustizia e dell’art. 3 comma 1 l. n. 204 del 1958, sicché il suo effetto può apprezzarsi in funzione dell’obbligo di riassunzione del giudizio dopo la decisione del giudice comunitario incombente sulle parti ai sensi dell’art. 80 c.p.a.;

– la riassunzione del processo su impulso processuale di parte non impedisce al giudice del processo sospeso di definire il calendario di svolgimento del processo, anche per relationem, con la fissazione dell’udienza pubblica per la discussone nel merito (Cons. Stato, Sez. III, 5 ottobre 2018, n. 4947 secondo cui «l’art. 80 del CPA disciplina le modalità di prosecuzione del processo sospeso, definendo gli oneri delle parti, ma non prevede alcuno specifico limite ai poteri officiosi del giudice riguardanti lo sviluppo e la definizione del giudizio»);

– pertanto, a fronte del tempestivo e regolare atto d’impulso processuale di parte, il Tribunale, dopo la definizione del giudizio pregiudiziale, provvederà alla sollecita fissazione per la trattazione nel merito della prima udienza pubblica utile nel rispetto dei termini a difesa;

– le spese della fase cautelare possono compensarsi tenuto conto della particolarità della questione giuridica affrontata e delle decisività ai fini della decisione delle statuizioni che adotterà il giudice comunitario all’esito del procedimento di rinvio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza) accoglie l’istanza cautelare ai limitati effetti dell’art. 55 comma 10 c.p.a., nei sensi indicati in parte motiva.

Spese di fase compensate.

La presente ordinanza sarà eseguita dall’Amministrazione ed è depositata presso la segreteria del tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità.

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2021, tenutasi tramite collegamento da remoto ai sensi dell’art. 25 del d.l. n. 137/2020 conv. in l. n. 176/2020, con l’intervento dei magistrati:

Presidente

Consigliere

Estensore

IL SEGRETARIO