L’Italia delega alla Gran Bretagna una nuova (vecchia) strategia di attacco contro i soccorsi umanitari. E ferma le navi civili di soccorso.

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. L’Italia del governo Draghi, con Di Maio, Lamorgese e Salvini che condividono le stesse politiche di contrasto dei soccorsi in mare, ancora operati dalle Organizzazioni non governative, riprende una strategia che nel 2018 aveva già costretto al ritiro la nave umanitaria Aquarius, per effetto delle pressioni esercitate dalle nostre autorità sugli Stati di bandiera delle navi per revocare l’iscrizione nei registri navali e impedirne cosi’ la navigazione.

In quell’anno Aquarius aveva subito per due volte il ritiro della bandiera: prima Gibilterra aveva revocato l’iscrizione al suo registro navale e poi Panama. In entrambi i casi su pressione del governo italiano, dopo incontri in sede diplomatica. 

L’attuale ministro degli esteri Di Maio si era spinto anche oltre, e nel luglio del 2019 aveva dichiarato di volere confiscare le navi delle ONG che entravano senza autorizzazione nei porti italiani dopo avere completato operazioni di ricerca e salvataggio. Il ministro, oggi al centro di una clamorosa svolta politica, affermava: Dobbiamo fare in modo che le navi che provocano il nostro Paese, compromettendo anche la sicurezza delle nostre forze dell’ordine com’è accaduto in questi giorni, restino in dotazione allo Stato italiano. Se entri nelle nostre acque violando la legge, perdi definitivamente l’imbarcazione, senza attenuanti e multe che incidono ben poco. Se forze armate, capitaneria o corpi di polizia lo vorranno daremo a loro le navi confiscate”. Una tesi che veniva smantellata dalla sentenza della Corte di Cassazione del 16-20 febbraio 2020 sul caso Rackete, e dalle successive archiviazioni della maggior parte dei procedimeti penali che le procure siciliane avevano intentato contro comandanti e soccorritori, colpevoli forse di avere salvato troppe vite nel Mediterraneo centrale.

Per la Corte di Cassazione, “Non può quindi essere qualificato “luogo sicuro”, per evidente mancanza di tale presupposto, una nave in mare che, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse. Né può considerarsi compiuto il dovere di soccorso con il salvataggio dei naufraghi sulla nave e con la loro permanenza su di essa, poiché tali persone hanno diritto a presentare domanda di protezione internazionale secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, operazione che non può certo essere effettuata sulla nave“.

2. Da un comunicato di Sea Watch si apprende adesso che ” Dopo la sua prima operazione e il salvataggio di 85 persone, la British Maritime and Coastguard Agency ha vietato alla nave di navigare. L’Aurora, certificata come imbarcazione di salvataggio in Inghilterra, appartiene all’organizzazione no-profit britannica Search and Rescue Relief (SARR), che ha collaborato con Sea-Watch per salvare vite nel Mediterraneo. Il 29 maggio di quest’anno, l’equipaggio dell’Aurora ha salvato 85 persone in pericolo in mare e le ha portate a riva in sicurezza a Lampedusa, in Italia, il giorno dopo. Il 31 maggio successivo, la Maritime and Coastguard Agency (MCA) del Regno Unito ha vietato alla nave di lasciare il porto.”. Secondo le autorità marittime imglesi l’abilitazione al soccorso in mare varrebbe soltanto nelle loro acque territoriali e non nel Mediterraneo centrale. Una motivazione di un vero e proprio fermo amministrativo che il governo inglese ha deciso, perchè su queste questioni decidono i governi e non i capi della guardia costiera, o i funzionari incaricati della registrazione del naviglio, su evidente pressione del governo italiano.

Gioved 2 dicembre dello scorso anno, secondo quanto comunicato da fonti ufficiali, il Ministro degli Interni (Secretary of State for the Home Department) del Regno Unito, Mrs. Priti Patel, è stata ricevuta dal Comandante Generale, Ammiraglio Ispettore Capo (CP) Nicola Carlone. Il Ministro ha visitato la Centrale Operativa della Guardia Costiera (Italian Maritime Rescue Coordination Centre) dove, a cura del Capo Centrale C.V. (CP) Gianluca D’Agostino, sono stati illustrati i sistemi di monitoraggio ed informazione del traffico marittimo ed è stata descritta l’organizzazione nazionale di ricerca e soccorso in mare, con particolare riferimento al ruolo del Corpo per il coordinamento delle operazioni di salvaguardia della vita umana connesse ai flussi migratori. Vediamo adesso i risultati di quella visita, e siamo certi che gli avvocati inglesi sapranno neutralizzare questo ennesino attacco al diritto al soccorso in mare, così come sono riusciti finora a neutralizzare i tentativi di deportazione di richiedenti asilo dal Regno Unito verso il Rwanda.

Secondo qualificate fonti inglesi, “The UK’s Maritime and Coastguard Agency (MCA) sent the charity a prohibition notice preventing Aurora from going back to sea – saying it was operating “beyond the geographical limitations” of the UK’s Rescue Boat Code under which it is certified. The MCA says it took action after the Italian maritime administration contacted the MCA with concerns over the boat’s certification.”

In questo modo il governo italiano ha dimostrato ancora una volta tutta la sua ipocrisia nel sostenere il pieno rispetto degli obblighi di soccorso in mare, dettati peraltro in modo analitico e vncolante dal nuovo Piano SAR nazionale del 2020, che non viene neppure rispettato per quanto concerne gli obblighi di informazione verso i giornalisti, e prepara il terreno per ulteriori iniiziative giudiziarie a cui potrebbero andare incontro i soccorritori nel loro paese di origine o in mare.

3. Nel silenzio dell’opinione pubblica, anestesizzata dalla crisi economica conseguenza della guerra e del disastro ambientale incombente, le Organizzazioni non governative continuano a mantenere una linea di basso profilo, senza denunciare con la necessaria forza i trattamenti inumani e degradanti a cui vengono sottoposti i naufraghi tenuti a bordo delle navi soccorritrici per settimane, prima dello sbarco in un porto sicuro. Anche se si tratta di persone in condizioni di particolare vulnerabilità per le sevizie subite in Libia.

Al di là della denuncia, che non si può limitare a qualche tweet, vorremmo consigliare a tutte le ONG che ancora intendono svolgere attività di monitoraggio e di soccorso in acque internazionali, di operare soltanto con mezzi battenti bandiera italiana, cosi’ da evitare queste squallide pressioni diplomatiche, ed al contempo svuotare di effetti la nota teoria (del cd. flag state) della competenza per la indicazione del porto di sbarco e per la destinazione dei naufraghi nel paese di bandiera della nave soccorritrice. Una tesi che accomuna l’ex ministro Salvini nel suo processo per il caso Open Arms a Palermo, e la ministra dell’interno Lamorgese che ne continua a fare un baluardo delle sue difese politiche quando si ritrova sotto attacco. Ed anche quando incontra le ONG al Viminale. Una tesi smentita dalla magistratura e dalla stessa Marina militare italiana, ma che ritorna, anche a fini propagandistici, ad ogni sbarco richiesto da una ONG straniera. Se non per rifiutare il porto di sbarco sicuro, come accadeva con Salvini al Viminale, per ritardare al massimo lo sbarco dei naufraghi a terra.

Intanto ancora oggi si sta consumando l’ennesimo abuso nei confronti di chi ha soccorso naufraghi in mare e delle persone che dopo quanto hanno subito non possono essere abbandonateper giorni sotto il sole cocente a vista del porto di sbarco.. La piccola imbarcazione a vela battente bandiera tedesca NADIR della ONG RESQSHIP, con 19 persone a bordo non riceve ancora l’autorizzazione allo sbarco a Lampedusa e viene tenuta ferma in rada, poco fuori dall’imboccatura del porto. Nessuna pietà verso chi è in mare da oltre una settimana in condizioni meteo di estrema calura. In questo modo il governo italiano insiste nella sua politica di svuotamento del Mediterraneo centrale da tutte le navi che possono prestare soccorso ai naufraghi o fare monitoraggio indipendente sulle pratiche di omissione di soccorso attuate nell’ambito degli accordi intercorrenti con Malta e con il governo provvisorio di Tripoli. Senza le navi delle ONG sono anche agevolati i respingimenti collettivi su delega, affidati alla sedicente Guardia costiera libica, documentati anche dall’OIM. La propaganda di destra rilancia comunque i consueti allarmi invasione e si profila una nuova campagna mediatica ( o anche giudiziaria ?) contro le navi di soccorso inviate dalla società civile.

4. Cambiano i metodi, e si evitano forse i processi penali per i ministri, ma la linea di continuità con i precedenti governi di centro destra è evidente. Occorre dire basta a questo stillicidio di chiusure e di tardive aperture dei porti. Non si vede davvero perchè e ONG dovrebbero accettare supinamente che si neghi la qualità di naufrago alle persone che hanno salvato, che sarebbero persone “scortate”, in modo che le loro navi siano bloccate per tanto tempo in attesa di un porto di sbarco sicuro, in violazione del diritto internazionale del mare che prevede lo sbarco tempestivo nel porto sicuro più vicino. Mentre le navi umanitarie assomigliano sempre più a piccoli hotspot galleggianti, ferme davanti ad un porto italiano, in attesa che le prefetture trovino i posti per l’accoglienza dei naufraghi, e che le questure preparino i voli di rimpatrio in Tunisia, altre persone, nel Mediterraneo centrale, probabilmete ancora in queste ore, potrebbero perdere la vita. La sentenza della Cassazione sul caso Rackete, rafforzata da altre analoghe decisioni della stessa Corte e dei giudici di merito, è un precedente che può essere fatto valere anche oggi.