Guida completa alle sedute della Commissione Difesa del Senato nell’Indagine conoscitiva sul contributo dei militari italiani al controllo dei flussi migratori nel Mediterraneo e l’impatto delle attività delle organizzazioni non governative

Stefano Galieni

Introduzione.

Sin dall’inizio, come ADIF, ci siamo occupati con estrema frequenza di quanto stava avvenendo in Italia contro l’operato delle Ong che, dalla fine dell’Operazione “Mare Nostrum” hanno salvato decine di migliaia di richiedenti asilo in mare altrimenti condannati ad aumentare il numero delle già incalcolabili vittime che giacciono sui fondali. Vittime di leggi ingiuste e di una guerra silenziosa che l’UE combatte contro chi fugge dalla guerra, dalle dittature, dai disastri ambientali ed economici prodotti da questo modello di sviluppo. Chi salva le persone in mare è finito in questi ultimi mesi sotto l’attacco violento e intimidatorio di media, forze politiche, procure ma soprattutto di chi dovrebbe invece garantire il rispetto del diritto delle leggi del mare, quelle praticate da sempre e che impongono a chiunque salpi di dover soccorrere e portare in salvo chi è in difficoltà.

L’operato delle Ong ha dato fastidio anche perché i soccorritori sono divenuti pericolosi testimoni di quanto sta avvenendo soprattutto al largo delle coste libiche, il lungo lavoro che abbiamo pubblicato della nostra Daniela Padoan, ricostruisce aspetti estremamente importanti di tale questione e ne consigliamo, a chiunque non l’abbia ancora fatto, una attenta lettura.

Le istituzioni italiane sono entrate direttamente in gioco aprendo una “Indagine conoscitiva sul contributo dei militari italiani al controllo dei flussi migratori nel Mediterraneo e l’impatto delle attività delle organizzazioni non governative” che è stata affidata alla Commissione Difesa del Senato. L’apertura dell’indagine è stata formalizzata con la seduta del 28 marzo 2017.Da inizio aprile si sono succedute riunioni e audizioni della Commissioni. Abbiamo deciso di ricostruirne i lavori, fornendo laddove possibile il materiale video e audio delle sedute, perché consentono di comprendere in maniera ancora più netta come stare dalla parte delle Ong sia un dovere civile e politico, come ben riportato dalla Carta di Milano a cui continuano a giungere numerose adesioni. Proviamo a fare una guida ragionata a tali sedute, partendo dal ruolo ricoperto dalle persone che sono state audite e lasciando poi a chi trova il tempo di ascoltare le riprese audiovisive delle audizioni, modo di farsi una propria idea. Cercheremo di rendere la lettura di quanto scritto il meno pedante possibile aiutandoci anche con i link ai tanti articoli che non solo noi, abbiamo dedicato a tale tema.

La prima seduta, la numero 215 della Commissione Difesa, presieduta dal senatore Nicola Latorre (Pd), è del 28 marzo 2017, e di fatto sancisce l’apertura dell’indagine con la definizione del calendario delle audizioni. Alla definizione del programma vengono dedicati pochi minuti.

Si iniziano effettivamente i lavori con la seduta 217 del 6 aprile con l’audizione del Comandante di EUNAVFOR MED – operazione SOPHIA, amm. div. Enrico Credendino. Una audizione estremamente interessante, anche alla luce di quanto sta avvenendo in questi giorni soprattutto nei pressi delle coste libiche. L’Ammiraglio Credendino ha innanzitutto precisato quali sono i compiti della missione EUNAVFOR MED-Sophia come elemento di un progetto europeo per la “gestione” dei flussi migratori e il contrasto al traffico di esseri umani. Conferma di poter operare soltanto in acque internazionali, mancando autorizzazione di Nazioni Unite e autorità locali ad entrare nelle acque territoriali libiche

Fra i tanti spunti interessanti offerti dalla testimonianza ci pare necessario segnalarne uno: rispondendo alle domande di chi chiedeva del perché i porti di destinazione dei migranti sono solo quelli italiani ha risposto che non esiste oggi un Centro di controllo libico come quello italiano ma si realizzerà entro il 2018.

Delle due audizioni che seguono abbiamo in parte già scritto. Nella seduta n. 219, 12 aprile 2017 sono stati ascoltati gli esponenti di Proactiva Open Arms Oscar Camps e Riccardo Gatti. Oscar Camps, direttore della Ong spagnola ha intanto rilevato che l’organizzazione da lui diretta, non particolarmente grande e finanziata per il 96 per cento da donazioni private, operava dapprima nel mar Egeo, è poi intervenuta anche nel Mediterraneo centrale per far fronte all’inazione dell’Unione europea nel soccorso in mare dei battelli alla deriva. Sotto questo aspetto, stigmatizza l’atteggiamento tenuto dall’agenzia europea FRONTEX verso l’operato delle organizzazioni non governative. Già nel 2015, infatti, l’agenzia europea aveva avanzato il sospetto che le imbarcazioni che trasportavano i migranti nel mar Egeo potessero contenere anche dei terroristi, contribuendo ad instillare nell’opinione pubblica un orientamento critico, se non e addirittura ostile, nei confronti dell’operato delle ONG. Tale linea da un lato incomprensibile e dall’altro umanamente inaccettabile si è quindi replicata con riferimento ai soccorsi effettuati nel Mediterraneo centrale, configurando quasi una sorta di intimidazione verso organizzazioni che sono state sempre rispettose del diritto internazionale, europeo ed italiano e che hanno salvato, nel solo 2016 (anno drammatico che ha visto ben 5 mila vittime di naufragi), oltre 70 mila migranti.

Nella successiva seduta, (stesso giorno ma il pomeriggio, si è svolta la seduta n. 220, con l’audizione del Direttore esecutivo di FRONTEX, Fabrice Leggeri. L’audizione di Fabrice Leggeri è stata già trattata su questo sito, Intanto ha delimitato area di azione di FRONTEX con la Missione Triton, (fino a 138 miglia a sud dell’Italia) e ha il numero di imbarcazioni (11) e unità di personale (350) di cui dispone, oltre a 3 velivoli ad ala fissa e a due elicotteri. Ha ribadito i compiti di sorveglianza, gestione dei migranti negli hotspot. Il direttore ha definito tutti i compiti, anche a terra svolti dai funzionari della agenzia che dirige, ivi compresa la gestione dei rimpatri di irregolari. Come agenzia europea, ha registrato un calo costante di arrivi nel primo trimestre del 2017, rispetto agli anni precedenti. Solo dalla Libia si è registrato un aumento consistente del 25% degli arrivi.

Il 19 aprile, nel corso della seduta 221 è stata invece disposta l’audizione del Capo del III Reparto Operazioni del Comando generale della Guardia di finanza, generale di divisione Stefano Screpanti.

Una testimonianza accompagnata da relazione scritta, che illustriamo in maniera più articolata delle precedenti, in quanto utile a comprendere meglio quanto accade nel Mediterraneo centrale in relazione alle diverse forze in campo. Intanto si definisce il ruolo rivestito dalla Guardia di Finanza, complessivamente dotato di 354 mezzi navali e 93 mezzi aerei (14 velivoli e 79 elicotteri) e articolato su 15 stazioni navali e 13 sezioni aeree, cui si aggiunge il comando operativo aeronavale di Pratica di mare per la sorveglianza dell’alto mare, il raccordo con gli organismi internazionali e l’attività di analisi sui grandi traffici. È infatti su questo campo che l’arma risulta particolarmente impegnata, tanto che nel triennio 2014-2016, a fronte di 207 tonnellate di sostanza stupefacente complessivamente sequestrate, ben 173, pari all’84 per cento del totale, sono state individuate in operazioni aeronavali. Ma in mare ci si occupa anche di tutela dell’ordine, della sicurezza pubblica, della navigazione e quindi anche con compiti di soccorso in mare in cui però la competenza preminente resta alle capitanerie di porto. La vigilanza in mare viene esercitata in 3 fasi: prevenzione nei paesi di origine, sorveglianza in alto mare, intervento in acque territoriali italiane. Settori cui la Guardia di Finanza svolge ruolo di supporto ai diversi attori a cui spettano le dirette competenze. La salvaguardia delle persone in mare resta prioritaria rispettando le regole dettate dal decreto del Presidente della Repubblica n.62 del 28 settembre 1994, attuativo della legge 3 aprile 1989, n. 47, di adesione dell’Italia alla convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo, adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979, che ha sancito il principio internazionale della doverosità incondizionata dell’assistenza a ogni persona in pericolo in mare e ha individuato, quale autorità nazionale responsabile per l’attuazione della convenzione, il Ministro dei trasporti e della navigazione ed il Comando generale delle Capitanerie di porto. Inoltre le funzioni di polizia sul mare sono state, di recente, oggetto di notevole potenziamento in conseguenza dell’attuazione del decreto legislativo n. 177 del 19 agosto 2016, con il quale sono state attribuite alla Guardia di finanza, unica Forza di polizia operante in mare, funzioni esclusive nell’ambito del comparto di specialità della “sicurezza del mare”, in relazione ai compiti di polizia, conferiti dallo stesso decreto e alle altre funzioni già svolte, ai sensi della legislazione vigente e ferme restando le attribuzioni già assegnate al corpo delle Capitanerie di porto. Il generale si è poi soffermato sulla collaborazione con FRONTEX, alla quale il Corpo fornisce, da tempo, una strutturata collaborazione. L’agenzia, istituita originariamente, dal regolamento (CE) 2007/2004 del Consiglio europeo del 26 ottobre 2004 con l’obiettivo di facilitare l’applicazione delle misure vigenti nell’Unione europea per la gestione delle frontiere esterne, è stata recentemente potenziata per effetto del regolamento (UE) 2016/1624 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 settembre 2016, con specifiche funzioni di Guardia costiera e di controllo delle frontiere. Il nuovo impianto normativo, infatti, ha ampliato i compiti e l’organigramma già esistenti, per supportare le singole autorità degli Stati membri responsabili del controllo delle proprie frontiere esterne. In quest’ottica la nuova agenzia può contare su una riserva di 1500 esperti messi a disposizione dalle varie amministrazioni nazionali che operano nell’ambito dell’agenzia, in grado di intervenire, in tempi rapidi, presso aree marittime o terrestri particolarmente soggette a criticità. In Italia, le strutture operative dell’Agenzia sono rappresentate innanzitutto dal Centro di coordinamento nazionale, identificato nel Ministero dell’interno-Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere. Detto Centro assolve infatti alle funzioni di raccordo degli interventi operativi in mare e ai compiti di acquisizione e analisi delle informazioni connesse alle attività di vigilanza, prevenzione e contrasto dell’immigrazione clandestina. Segue il Centro internazionale di coordinamento delle attività operative, istituito, fin dal 2011, presso il Comando operativo aeronavale del Corpo con sede in Pratica di mare, che ha funzioni di organizzazione e gestione delle operazioni congiunte promosse dall’agenzia, con scenario operativo individuato nel tratto di confine aeromarittimo comunitario prospiciente le coste italiane. Infine, figurano vari centri operativi locali, istituiti di volta in volta in base alle necessità delle diverse operazioni ed allocati presso le sale operative dei reparti del Corpo nelle sedi interessate dagli scenari di riferimento (Lampedusa, Messina, Cagliari e Taranto). La pianificazione delle attività viene quindi dettagliata negli operational plan, documenti operativi che specificano, per ogni singola operazione, quali siano gli obiettivi specifici, i Paesi membri partecipanti, gli assetti impiegati, gli organi nazionali coinvolti e le regole d’ingaggio. Negli ultimi 5 anni la Guardia di finanza ha preso parte a venti operazioni congiunte promosse da FRONTEX e, allo stato attuale partecipa a numerose iniziative: una denominata “Poseidon“, che comprende attività di pattugliamento aeronavale del confine marittimo e aereo europeo prospicente le coste greche, una denominata “Indalo”, che riguarda le coste meridionali della Spagna ed una denominata “Triton”, ossia la più importante attività di pattugliamento marittimo e aereo in atto nel bacino mediterraneo, prospiciente le coste italiane e, precisamente, quelle siciliane, calabresi e pugliesi. Nel dettaglio, l’operazione “Triton” è stata avviata il 1° novembre 2014 con varie edizioni che si sono succedute negli anni. Un evento che ha fortemente segnato la prosecuzione delle attività è stato il naufragio di oltre 700 migranti avvenuto il 19 aprile 2015 a circa 90 miglia nautiche dalla costa libica. Successivamente a questa immane tragedia, infatti, il Consiglio europeo straordinario del 23 aprile 2015 deliberò un netto potenziamento della missione attraverso un forte incremento delle risorse finanziarie. Negli anni successivi, quindi, l’impegno dell’Unione europea nel mediterraneo centrale si è notevolmente accresciuto, attraverso una partecipazione sempre più numerosa degli Stati membri e, soprattutto, con la disponibilità di un numero crescente di assetti aeronavali impiegati.

Ad oggi, nell’ambito dell’operazione “Triton 2017“, il sostegno si sta realizzando con la partecipazione alternata di ben 27 Paesi membri, 3 Paesi terzi, 9 agenzie ed organismi internazionali e con l’impiego complessivo – variamente distribuito nel tempo – di numerosi assetti aerei e navali. Si tratta di uno schieramento di forze senza precedenti nella storia della cooperazione per la sorveglianza delle frontiere marittime europee, che vede la Guardia di finanza fortemente impegnata nel ruolo di coordinamento delle operazioni a mare, attraverso il centro istituito presso il Comando del Corpo di Pratica di mare, dove ogni giorno si riuniscono tutti gli ufficiali di collegamento dei Paesi e delle agenzie partecipanti per scambiarsi informazioni operative e logistiche, predisporre punti di situazione, pianificare le operazioni e dare conto degli interventi eseguiti per la successiva attività di analisi. Operativamente, la Guardia di finanza sta quindi partecipando all’operazione con un rilevante dispositivo, composto da un pattugliatore multiruolo, due guardacoste d’altura, un aereo, un elicottero, due vedette costiere e quattro ufficiali di collegamento imbarcati sui mezzi aeronavali stranieri cui sono stati affiancati, in rinforzo, un pattugliatore veloce, un guardacoste d’altura e una vedetta costiera.

Il piano operativo è molto chiaro a proposito della priorità che il soccorso di vite umane assume anche nelle attività dell’agenzia FRONTEX, prevedendo tassativamente che, in caso di interventi di soccorso in mare, le operazioni debbano svilupparsi secondo le direttive impartite dal centro di coordinamento internazionale di soccorso marittimo, presso il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto. Peraltro, la complementarietà fra funzioni di soccorso e di sorveglianza delle frontiere marittime dell’Unione europea – che è attività tipica di polizia – emerge in maniera evidente dal regolamento n. 656/2014 del 15 maggio 2014 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’Unione europea, che ha ridisciplinato interamente le operazioni patrocinate da FRONTEX. Stante quanto precede, l’operazione “Triton” rappresenta – tanto di fatto quanto per esplicita previsione normativa – un’operazione di polizia del mare dove le funzioni di sorveglianza e di contrasto dei traffici illeciti devono integrarsi -fino a retrocedere innanzi alle seconde- con quelle di soccorso, rispettando il sistema di responsabilità e attribuzioni disciplinato dall’Italia per l’una e per l’altra finalità. Le aree sottoposte a vigilanza nell’ambito dell’operazione sono quelle a sud della Sicilia e della Calabria oltre al tratto di mare prospiciente le coste adriatiche e ioniche della Puglia, nonché quello a sud della Sardegna. L’area di pattugliamento marittimo, in un primo tempo circoscritta a 30 miglia nautiche dalle coste siciliane e dalle isole pelagiche, è stata poi ampliata, per effetto delle decisioni assunte dal citato Consiglio europeo straordinario del 23 aprile 2015, in maniera tale da comprendere una vasta zona nel complesso pari a 138 miglia nautiche a sud della Sicilia e che arriva fino a circa 70 miglia nautiche dal limite esterno delle acque territoriale libiche. Per quanto attiene al 2015, l’operazione “Triton” ha consentito di individuare, in 1.066 eventi, 151.728 migranti e, nel contempo, ha reso possibile l’arresto di 511 scafisti. Nel 2016, quindi, i dati hanno segnato un netto rialzo dei flussi migratori illegali rispetto alla precedente annualità. In 1.580 eventi, ben 181.450 migranti sono stati individuati e soccorsi e 574 scafisti tratti in arresto, con un aumento del 20 per cento sul totale dei clandestini individuati e del 12 per cento per quanto concerne gli arresti dei fiancheggiatori. Con l’avvio di “Triton 2017”, infine, nei primi tre mesi di attività, i dispositivi aeronavali impiegati sono già intervenuti in 202 eventi, per un totale di 18.065 migranti soccorsi e 56 scafisti arrestati.

Oltre alla missione navale “Mare sicuro” (con funzione di protezione delle linee di comunicazione e dei natanti commerciali), varata dal Governo italiano a seguito dell’aggravarsi della crisi libica, è stata infatti avviata, dal 22 giugno 2015, l’operazione navale militare EUNAVFOR MED-Sophia, il cui mandato è stato definito a seguito della decisione del Consiglio dell’Unione europea n. 2015/778 (datata 18 maggio 2015). La prima missione fa capo allo Stato maggiore della Difesa, mentre la seconda, a guida europea, è inserita nell’ambito della Politica europea di sicurezza comune (PESC), con sede del quartier generale in Italia.

L’operazione “Triton”, invece, si differenzia dalle altre per essere un’operazione di polizia, il cui coordinamento è assicurato FRONTEX e, per l’Italia, dal Ministero dell’interno e dalla Guardia di finanza.

Le operazioni aeronavali in atto nel Mediterraneo centromeridionale, pertanto, coinvolgono aree di intervento e responsabilità ben distinte, nonché differenti linee d’indirizzo politico, coordinamento strategico e comando operativo. Sono però previste, sul piano tattico, delle forme di coordinamento coerenti con l’evolversi dello scenario complessivo. Infatti, allo scopo di assicurare il reciproco scambio di informazioni, già dall’inizio dell’operazione “Triton”, nel 2014, presso l’ICC di Pratica di mare, sono presenti ufficiali della Capitaneria di porto e della Marina militare, mentre, presso il Comando in capo della Squadra navale della marina militare (CINCNAV) opera personale della Guardia di finanza ivi distaccato. Inoltre, a bordo dell’incrociatore portaeromobili “Cavour” della Marina militare italiana, nave comando delle operazioni in mare della flotta di EUNAVFOR MED, è presente un ufficiale del Corpo allo scopo di assicurare il continuo collegamento delle attività in corso tra l’operazione militare europea e l’operazione di polizia “Triton”.

Il predetto bagaglio di esperienze e capacità ha dato ampia prova di efficacia in diversi scenari operativi, garantendo l’acquisizione, già durante le operazioni di salvataggio dei migranti, di elementi conoscitivi dimostratisi successivamente utili per lo sviluppo delle attività investigative, come avvenuto in occasione del ritrovamento dei cadaveri di 52 migranti nella stiva di un’imbarcazione soccorsa il giorno 26 agosto 2016 dal pattugliatore “Poseidon”, impiegato nell’ambito dell’operazione “Triton 2015”: in tale frangente, l’immediata e puntuale attività investigativa  svolta  dall’  ufficiale di collegamento del Corpo presente a bordo ha infatti permesso agli investigatori di Palermo di ricostruire un quadro indiziario che ha consentito il fermo di polizia giudiziaria per 10 responsabili che, secondo le numerose testimonianze raccolte, avevano impedito, durante la traversata e con inaudita violenza, alle persone rinchiuse nella stiva della nave di raggiungere la coperta già stracolma di migranti. In altra circostanza, invece, l’ufficiale di collegamento del Corpo presente a bordo della nave norvegese “Slem Pilot”, in occasione del salvataggio di 416 migranti ed il recupero di 49 cadaveri, avvenuto lo scorso 18 agosto in acque internazionali antistanti la Libia, secondo le stesse modalità precedentemente descritte, ha consentito al GICO di Catania l’avvio di mirate indagini, in esito alle quali sono stati sottoposti a fermo di polizia giudiziaria 8 presunti scafisti.

Interessante anche la descrizione fatta dal generale dell’European Union Regional Task Force di FRONTEX a Catania e dei suoi compiti: di procedere all’analisi degli elementi acquisiti nell’immediatezza degli sbarchi nell’ambito dell’operazione “Triton”, nonché di incrementare il livello di cooperazione con le agenzie Europol, Easo ed Eurojust, oltre che con le forze di polizia operanti e le autorità giudiziarie. Presso la citata task force sono presenti, oltre a rappresentanti delle forze di polizia e delle agenzie europee, anche militari della Guardia di Finanza con specifiche competenze investigative in materia di riciclaggio e controllo dei flussi finanziari. Peraltro, proprio presso la sede di Catania è stato sperimentato un efficace modulo operativo integrato, che vede impegnato il locale gruppo investigazione criminalità organizzata, con l’impiego di militari con compiti di polizia giudiziaria, a bordo dell’unità navale che presta soccorso, anticipando a mare l’esecuzione di una serie di attività investigative che risulterebbero più complesse ad avvenuto sbarco, tra le quali l’escussione dei migranti, finalizzate all’acquisizione di rilevanti elementi di prova circa la presenza di scafisti, le rotte seguite, le modalità di pagamento, nonché il sequestro di apparti telefonici, gps e documentazione di interesse investigativo. Secondo Screpanti, gli elementi raccolti nell’ambito dell’attività di contrasto all’immigrazione clandestina via mare (effettuata dagli assetti navali del corpo e successivamente sviluppati dalle componenti territoriali e speciali) hanno consentito, nel tempo, di analizzare il fenomeno illecito, adattando, di conseguenza, il dispositivo di contrasto in base ai diversi scenari. Il modus operandi delle organizzazioni che gestiscono illecitamente il traffico di migranti si adatta, infatti, al contesto di riferimento. Nel dettaglio, nello scenario del Mediterraneo centrale, con particolare riguardo al canale di Sicilia e in parte e il canale di Sardegna, gli innumerevoli interventi condotti negli ultimi anni, hanno chiaramente evidenziato una tendenza degli scafisti a “provocare” l’intervento di soccorso. L’utilizzo di imbarcazioni fatiscenti (cosiddette “a perdere”), caratterizza infatti questo tipo di scenario e lo scafista mira altresì a confondersi con i clandestini trasportati per non farsi rintracciare dalle unità navali che sopraggiungono. Molto spesso il soccorso viene attivato via telefono direttamente dagli scafisti. In questi casi, quindi, l’opportunità di effettuare sorvoli aerei sugli obiettivi prima di attivare concretamente l’azione di soccorso diviene determinante per trarre in arresto i responsabili.

Altre informazioni importanti riguardano le forniture e l’addestramento fornito alla Guardia costiera libica, In seguito allo scoppio della guerra civile nel corso dell’anno 2011, due unità navali erano state affondate e le rimanenti quattro, battenti bandiera libica, erano state rimpatriate da militari del corpo in attesa che si definisse positivamente lo scenario socio politico di quel Paese. Le forti instabilità in Libia, inoltre, non avevano consentito la prosecuzione dei rapporti di collaborazione con le autorità libiche negli anni seguenti. Tuttavia nel presente anno si è potuta riavviare una collaborazione con le autorità di quel Paese: nel corso del mese di febbraio 2017, infatti, mediante la sottoscrizione di una specifico memorandum d’intesa tra la Guardia di finanza e il comando della missione EUNAVFOR MED si è definito l’avvio di 4 cicli di formazione in favore di 28 militari della guardia costiera della marina militare libica da parte di personale della Guardia di finanza, finalizzati ad una familiarizzazione con strumentazioni di bordo analoghe a quelle istallate sulle unità navali cedute in precedenza, in vista di una futura riconsegna. Le attività hanno avuto inizio lo scorso mese di febbraio, a largo delle coste meridionali della Sicilia e nel mese di aprile, inoltre, (nell’ambito della progettualità europea denominata Sea Horse Mediterranean Project, gestita, in Italia, dal Ministero dell’interno), il Corpo ha dato corso all’avvio di ulteriori cicli di addestramento in favore di 39 militari libici, propedeutici alla definitiva riconsegna delle 4 unità navali da compiersi, presumibilmente a breve. I cicli di formazione, avviati lo scorso 1° aprile, sono in corso di svolgimento presso la scuola nautica del Corpo di Gaeta». Il generale ha poi concluso la sua audizione delineando le prospettive di impegno della GdF.

Lo stesso giorno, nella seduta pomeridiana 222, si è proceduto all’audizione di esponenti di SOS Meditarranée, (Sophie Beau, Valeria Calandra e Nicola Stalla), Life Boat (Susanne Salm-Hain e Christhian Brensing) e Save the Children, (Valerio Neri)

Ha preso per prima la parola Sophie BEAU, vicepresidente dell’organizzazione SOS Méditerranée, che ha definito il ruolo della propria organizzazione a fronte della inerzia dell’UE.

L’organizzazione SOS Méditerranée è stata fondata nel 2015: si tratta di un ente senza scopo di lucro (che ha dei precedenti ideali risalenti addirittura al XIX secolo, in occasione delle migrazioni dall’Europa verso gli Stati Uniti d’America), con tre sotto-organizzazioni affiliate: una tedesca, una francese ed una italiana (l’ultima ad essere stata creata, nel febbraio 2016).

L’imbarcazione dell’organizzazione, la nave “Aquarius”, ha una lunghezza di 77 metri ed è equipaggiata anche di una clinica interna per le operazioni di primo soccorso. Per quanto riguarda il modus operandi, il 100% delle operazioni viene condotto sotto il coordinamento del Centro di coordinamento del soccorso marittimo (noto con l’acronimo MRCC, ossia Maritime Rescue Co-ordination Centre), della Guardia costiera italiana, ubicato a Roma. In 13 mesi di operazioni, l’organizzazione ha provveduto al salvataggio di circa 16.600 migranti, 12.000 dei quali soccorsi direttamente e i restanti pervenuti da altre navi dietro richiesta del citato centro di coordinamento. La zona delle operazioni varia dalle 20/25 miglia nautiche dalle coste libiche di giorno alle 30 miglia di notte. La nave “Aquarius” non è mai entrata in acque territoriali libiche.

Nel rispetto del quadro delineato dalla convenzione di Amburgo del 1979, è sempre il servizio di coordinamento del MRCC di Roma, a individuare la nave più idonea al soccorso (che può essere anche una nave mercantile ovvero militare), per inviarla verso i natanti in stato di emergenza, dando indicazioni sulla condotta da tenere. L’organizzazione SOS Méditerranée, possiede, tra l’altro, una delle poche navi idonee al salvataggio e al trasbordo dei migranti in un porto sicuro.

A seguire poi l’audizione degli esponenti di Life Boat, Susanne Salm-Hain (co-fondatrice) e Christian Bressing, comandante dell’imbarcazione, la più piccola fra quelle delle Ong operante dal luglio 2016.

Anche l’esponente di questa Ong, si è ritrovata a dover ribadire di non aver mai ricevuto telefonate dirette di richiesta di soccorso e di essere intervenuti solo in caso di segnalazione da MRCC o per avvistamento diretto. La loro nave misura 23 mt di lunghezza per 5 di larghezza ed è in grado di fare solo piccoli salvataggi in assenza di altre imbarcazioni nelle vicinanze e sempre sotto il coordinamento dell’MRCC.

Valerio Neri, direttore generale di Save the Children, (quindi impegnata per il sostegno ai minori), ha spiegato come anche la sua organizzazione abbia dovuto decidere di dotarsi di una unità marina, battente bandiera italiana, per operare salvataggi. Sono riusciti a salvare 400 minori non accompagnati, in accordo con la Guardia Costiera italiana e ha negato qualsiasi relazione con i trafficanti.

Disincentivare le partenze non operando i soccorsi per Save The Children, è una responsabilità che non ci si può assumere. E alla ennesima riproposizione dell’inconsistenza delle ragioni per cui i migranti vadano a rischiare la vita in Libia, anche partendo da “paesi stabili”, come la Nigeria, la Costa d’Avorio e la Guinea, il dottor Neri ha replicato facendo riferimento «al mandato morale di procedere al salvataggio in mare che prescinde dalle ragioni che hanno spinto il migrante ad abbandonare la propria terra».

Nella seduta n. 224, 2 maggio 2017 è stato chiamato a parlare il Procuratore della Repubblica di Siracusa, Francesco Paolo Giordano accompagnato dal sostituto commissario Parini. Anche Giordano ha consegnato una documentazione frutto del lavoro svolto dalla procura di Siracusa che dal 2006 opera con un gruppo interforze per il contrasto all’immigrazione “clandestina” in cui il coordinamento fra i diversi attori è ormai consolidato ed efficace coinvolgendo anche il Ministero dell’interno e la Direzione centrale dell’immigrazione. Il procuratore ha ricostruito i cambiamenti intercorsi dal 2006 ad oggi, rispetto alla tipologia di flussi migratori, individuando diversi step. Giordano ha fornito dati aggiornati rispetto alle dimensioni degli sbarchi, degli arresti di presunti scafisti, e sugli strumenti di contrasto di cui finora ha disposto. Il gruppo interforze individuato dalla procura viene impegnato nella repressione dei reati connessi all’immigrazione illegale destinando i restanti reati ad altri servizi di polizia giudiziaria.

Per quanto riguarda l’acquisizione degli elementi di prova, tuttavia, nonostante i cambiamenti registrati nella dinamica dei flussi migratori, la procura ha continuato ad attenersi ad una impostazione garantista facente perno sull’articolo 10-bis del testo unico sull’immigrazione, esaminando le fonti di prova orali con l’assistenza del difensore e considerando, pertanto, le persone interrogate indagate di reato in procedimento connesso (e non semplici persone informate sui fatti come vorrebbe un recente orientamento giurisprudenziale non ancora pienamente consolidato). Fra le vicende poco note, il procuratore ha accennato ad un nuovo flusso migratorio, di persone provenienti soprattutto dalla Siria e dall’Egitto, che giungono fra Avola e Vendicari, su natanti a vela governati da personale russo o ucraino. Il 28 aprile scorso uno di questi equipaggi è stato tratto in arresto, il natante proveniva dalla Turchia. Per quanto riguarda invece le Ong, ha dichiarato che «alla Procura non risulta alcuna evidenza in ordine ad asseriti collegamenti tra queste ultime e i trafficanti di esseri umani. Peraltro, la reticenza di alcune organizzazioni non governative a fornire informazioni agli organismi istituzionali può essere – a suo avviso – meglio spiegata in base alla missione di esclusiva tutela del migrante contenuta nella missione, che le porta spesso a diffidare degli organismi di polizia giudiziaria per ragioni “ideologiche”».

Con la Seduta n. 225, 2 maggio 2017 si arriva all’Audizione di esponenti di Medici senza Frontiere (il presidente Loris De Filippi e il responsabile Advocacy,Marco Bertotto) A questa audizione abbiamo potuto già dare molto spazio e rimandiamo a quanto abbiamo pubblicato in merito dopo la loro affollatissima conferenza stampa. Ci preme però dire che se fino ad allora i senatori / commissari, avevano incontrato, oltre ad importanti figure operative nelle istituzioni civili e militari preposte e a magistrati, esponenti delle Ong che forse non si aspettavano un trattamento inquisitorio, contando sul valore morale e civile del proprio operato, con Msf hanno dovuto fare i conti con ben altro tipo di interlocutori. I due esponenti dell’associazione, premio Nobel perl la pace nel 1999, conoscono bene le dinamiche politiche italiane, da tanti anni affrontano le inadempienze nell’affrontare condizioni critiche trattate sempre come emergenze, erano insomma più consapevoli della posta politica in gioco. Ed essendo Msf una organizzazione che opera in quasi 70 paesi, ed essendo i suoi operatori interessati a far si che il proprio impegno in Italia possa presto cessare per potersi dedicare ad aree in emergenza maggiore, non hanno accettato di farsi mettere sul banco degli imputati. Anzi, nelle relazioni che invitiamo ad ascoltare, anche per la profonda passione civile che comunicano, hanno inchiodato la politica nazionale e soprattutto europea alle proprie responsabilità. Un atteggiamento che ha profondamente urtato qualcuno dei senatori ma che non era attaccabile da nessun punto di vista. Una lezione di alta politica a chi teoricamente ha in mano i destini di un tema estremamente delicato come quello della difesa al senato, le reazioni di alcuni senatori che sono intervenuti, pur volendo cercare di restare super partes – e non lo siamo – fanno emergere seri dubbi. In mano a chi è consegnata la nostra sicurezza?

Seduta n. 226, 3 maggio 2017. In tale seduta hanno preso parola vertici della marina come il Comandante in Capo della Squadra navale (Cincnav), amm. sq. Donato Marzano e l’amm. Giacomin.

L’ammiraglio Marzano ha depositato documentazione scritta e ha descritto i compiti della struttura alle sue dipendenze (CINCNAV) Comando in capo della Squadra navale ai sensi del Codice dell’ordinamento militare (di cui al decreto legislativo15 marzo 2010 n. 66) è al vertice dell’organizzazione operativa della Marina militare e dipende direttamente dal Capo di Stato maggiore della Marina e tramite lui dal Capo di Stato maggiore della Difesa. Dal Comando in capo dipendono le unità navali, i comandi operativi che le raggruppano e i reparti di aerei, elicotteri, sommergibili e forze anfibie della Marina militare. Anche a questa relazione abbiamo deciso di dedicare maggiore attenzione per gli elementi in più che fornisce.

Il Comandante in capo della Squadra navale è poi responsabile in via continuativa dell’addestramento e dell’approntamento delle forze aeronavali nel quadro delle disposizioni emanate dal Capo di Stato maggiore della Marina ed esercita il controllo operativo di tutti gli assetti non assegnati a specifiche missioni NATO, europee e multinazionali. In particolare, tra i compiti del Comando in capo rientrano, secondo quanto previsto dalla legislazione vigente, la vigilanza a tutela degli interessi nazionali e delle vie di comunicazione marittime al di là del limite esterno del mare territoriale e l’esercizio delle funzioni di polizia dell’alto mare demandate alle navi militari negli spazi marittimi internazionali, la salvaguardia dalle minacce agli spazi marittimi internazionali, ivi compreso il contrasto alla pirateria e la partecipazione alle operazioni NATO, UE e multinazionali nei limiti stabiliti da quanto approvato dal Parlamento nelle diverse aree di crisi. Con i propri assetti aeronavali, il CINCNAV contribuisce, inoltre, al contrasto delle attività illecite sul mare nelle acque internazionali, al servizio di vigilanza sulle attività marittime ed economiche (comprese quelle di pesca, sottoposte alla giurisdizione nazionale nelle aree situate al di là del limite esterno del mare territoriale, che in caso di necessità può integrare quello svolto dal Corpo delle capitanerie di porto) e alla sorveglianza per la prevenzione dagli inquinamenti delle acque marine da idrocarburi e dalle altre sostanze nocive nell’ambiente marino e l’accertamento delle infrazioni alle relative norme.

La missione del Comando in capo della Squadra navale afferisce quindi al conseguimento della “Sicurezza Marittima” attraverso la presenza nei diversi teatri operativi di assetti aeronavali e la compilazione della Maritime Situational Awareness, acquisita anche impiegando le capacità del sistema di comando e controllo di cui dispone. Il CINCNAV, attraverso la catena di sensori, attivi e passivi fissi (rete radar costiera, sistema di identificazione automatico – AIS, sistemi di controllo del traffico nei choke points – dati provenienti da VTS e blue box) e mobili di cui dispone e attraverso lo strumento aeronavale in alto mare, è l’elemento istituzionale, in ambito Difesa, in grado di realizzare un quadro di situazione marittimo aggiornato e affidabile nelle aree di interesse. Impiegando le proprie strutture di comando e controllo, elabora e condivide a livello nazionale e internazionale la Maritime Situational Awareness (MSA), per poter esprimere – qualora necessario/richiesto – la capacità di intervento a protezione degli interessi strategici nazionali ed a favore dei nostri connazionali.

La capacità del CINCNAV di realizzare un quadro di situazione marittima aggiornato è poi arricchita dalla condivisione delle informazioni e dei dati, in ambito nazionale (interforze/interagenzia), europei, NATO e di coalizione con una serie di collegamenti punto-punto ed un flusso informativo dedicato, classificato e non classificato.

Nel Mediterraneo il comando è presente nei molti sistemi automatici (in media  oltre 2300 contatti), ma essi non rappresentano la totalità del traffico mercantile e commerciale effettivamente in mare in quanto non tutte le unità mercantili rispondono con i sistemi di identificazione e i mezzi di piccolo-medio cabotaggio non hanno sistemi di riconoscimento. Per avere una situazione esaustiva e quanto più coerente alla realtà, è pertanto necessario integrare, in alcune aree d’interesse, i riporti dei sistemi terrestri, aerei, satellitari con una copertura radar e ottica garantita dal pattugliamento di assetti navali, aerei e subacquei allo scopo di sciogliere dubbi su comportamenti anomali apprezzati o confermare informazioni di Intelligence.

Già nel 2007, conscia dell’importanza rivestita dalla disponibilità di una Maritime Situational Awareness completa, aggiornata e affidabile per lo svolgimento delle attività sul mare, la Marina militare aveva inoltre lanciato il progetto DIISM (dispositivo interministeriale integrato di sorveglianza marittima), con il quale si intendeva concretizzare un’organizzazione integrata nazionale di sorveglianza marittima per la gestione di tutte le informazioni raccolte sul mare dai vari dicasteri attraverso un’unica «Centrale nazionale di sorveglianza marittima», ubicata presso il CINCNAV stesso. Per conseguire tale obiettivo fu predisposta all’interno del COMM (Centro Operativo Marina Militare) una struttura tecnologica adatta a svolgere tali funzioni, che è stata temporaneamente impiegata in alcune precedenti occasioni per il coordinamento con le altre amministrazioni coinvolte, dimostrando per l’occasione tutte le sue potenzialità.

Per assicurare la “Maritime Security”, oltre alla MSA, la Squadra navale è impegnata con uomini e mezzi in diverse tipologie di operazioni ove sono presenti i più significativi interessi della nazione dal punto di vista marittimo in Mediterraneo e in altre aree (precisamente vi sono unità dislocate nell’ambito delle missioni Triton, Mare Sicuro, MFO e ‘Atalanta‘). Le operazioni in cui è impegnata la Marina militare in Mediterraneo hanno poi un’origine datata nel tempo. Già a partire dal 1959, infatti, la Marina è stata pressoché continuativamente presente con una unità navale nello Stretto di Sicilia, con il compito di vigilanza pesca, finalizzata a monitorare  che il comportamento dei pescherecci nazionali nella zona limitrofa alle acque territoriali tunisine fosse aderente alle determinazioni del governo italiano (cosiddetta zona di ripopolamento ittico)e nel contempo a tutelare la nostra flotta peschereccia, attività, condotte oggi in coordinamento con la Marina militare tunisina.  Lo scorso ottobre il coordinamento con la Marina tunisina ha garantito l’immediato dissequestro di due pescherecci fermati da una motovedetta della dogana, mentre a dicembre 2016 l’intervento della Nave Cigala Fulgosi con il proprio elicottero sulla scena di azione si è rivelato risolutivo facendo desistere una motovedetta tunisina dal tentativo di sequestro di motopescherecci.

Dal 2004 inoltre, è in corso l’operazione Costant Vigilance che è stata avviata per affrontare il fenomeno migratorio proveniente dal Nord Africa (in particolare dalla Tunisia) e che già allora aveva assunto proporzioni importanti. L’assegnazione di assetti aeronavali (di massima corvette e i pattugliatori della base navale di Augusta) avviene ancora oggi in funzione degli indicatori di effettiva presenza del fenomeno ed è finalizzata a supportare il Ministero dell’interno.

Il 18 ottobre 2013, a seguito del naufragio (del 3 ottobre) a Lampedusa di un peschereccio stracarico di migranti, e su decisione del governo italiano, è stata avviata l’operazione “Mare Nostrum”, con l’obiettivo di fronteggiare lo stato di emergenza umanitaria in mare e garantire un’azione di contrasto alle attività illegali connesse al favoreggiamento della immigrazione clandestina. Il dispositivo vedeva impiegato il personale e i mezzi navali ed aerei della Marina militare, dell’Aeronautica militare, dei Carabinieri, della Guardia di finanza, della Capitaneria di porto, personale del Corpo militare della Croce Rossa Italiana nonché del Ministero dell’interno – Polizia di Stato imbarcato sulle unità della Marina (che con le loro capacità rafforzavano i controlli sanitari e l’identificazione dei migranti direttamente da bordo). L’operazione è terminata, in esito a decisione governativa, il 31 ottobre 2014, in concomitanza con l’avvio della nuova operazione europea denominata Triton, sotto l’egida dell’Agenzia europea Frontex.

A seguito dell’evolversi della crisi libica, dal 12 marzo 2015, è partita l’operazione Mare Sicuro, al fine di potenziare il dispositivo aeronavale della Marina dispiegato nel Mediterraneo centrale, anche a seguito di un evento che vide dei colpi d’arma da fuoco esplosi contro un mezzo navale della Guardia costiera italiana da bordo di una imbarcazione veloce proveniente dal territorio libico (il 15 febbraio 2015). La missione, nel dettaglio, si sostanzia in un’attività di presenza, sorveglianza e sicurezza marittima nel Mediterraneo centrale assicurando il libero uso del mare da parte dei mercantili e pescherecci italiani nell’area, garantendo la protezione del personale imbarcato sui mezzi della Guardia costiera intenti a svolgere attività di soccorso in mare (Search And rescue, o SAR), dalle possibili azioni delle organizzazioni criminali (conducendo attività di deterrenza e contrasto delle organizzazioni criminali dedite ai traffici illeciti e prevedendo altresì misure di contrasto al reimpiego dei natanti utilizzati per le suddette attività), esercitando funzioni di sorveglianza e protezione delle fonti energetiche strategiche nazionali ubicate in prossimità della costa libica – in acque internazionali – anche in concessione od operate dall’ENI e supporto all’operazione Ippocrate nell’area di Misurata, assicurando la sorveglianza aerea.

Per l’assolvimento della suddetta missione, il dispositivo impiega unità navali, elicotteri imbarcati e, periodicamente, un sommergibile; è supportato altresì da un apparecchio a pilotaggio remoto dell’Aeronautica e prevede la presenza continuativa in mare mediamente di tre unità navali da impiegare in relazione alla situazione operativa, agli indicatori intelligence e alle condizioni meteorologiche presenti nell’area di operazione. La situazione, peraltro, è soggetta a cambiamenti istante per istante, come dimostrato dalla necessità di inviare un’unità nelle acque innanzi a Tobruk per prevenire azioni di sequestro di unità mercantili da parte delle forze marittime del generale Haftar.

Una menzione particolare, inoltre, merita l’impiego dei sommergibili, mezzi realizzati per esercitare il controllo sistematico delle dimensioni sopra e sotto la superficie del mare con una “naturale” predisposizione all’occultamento e la capacità di permanere in maniera prolungata in area di interesse operativo per condurre attività di Intelligence Surveillance Reconnaissance e di operare in ambienti non permissivi. In particolare, per il controllo dei flussi migratori i sommergibili, durante l’operazione Mare Nostrum, sono stati impiegati lungo le principali rotte di flussi migratori nel Mediterraneo (rotta libica, egiziana e greco-turca), contribuendo in maniera efficace alla raccolta delle informazioni volte all’acquisizione degli elementi probatori da rendere disponibili alla autorità giudiziaria per contestare il reato di favoreggiamento della immigrazione clandestina, e hanno fornito immagini video fotografiche delle imbarcazioni durante la loro navigazione, che hanno aiutato ad identificare gli eventuali scafisti nonché evidenza del collegamento tra le navi madre e le unità trainate cariche di migranti (pratica tuttavia oggi meno seguita che in passato).

Nell’attuale contesto dell’operazione Mare Sicuro, quindi, i sommergibili continuano a svolgere missioni di sorveglianza e formano parte integrante del dispositivo aeronavale che opera nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale per la salvaguardia degli interessi nazionali, con l’obiettivo di acquisire informazioni su tutte le attività che possano costituire una minaccia alla sicurezza marittima.

Ovviamente questo si traduce anche nel coordinamento con le altre operazioni in corso nel Mediterraneo Centrale, da EURONAVFOR MED (la Marina militare vi partecipa con il Comandante e la nave comando), l’operazione TRITON sotto l’egida FRONTEX (dal 1° novembre 2014 e alla quale la Marina partecipa in forma non continuativa con un pattugliatore d’altura) e l’operazione della NATO Sea guardian, che prevede attività all’uopo finalizzate in specifiche aree del Mediterraneo.

Nell’ambito delle suddette operazioni esiste infatti un’efficace attività di coordinamento sia a livello operativo che tattico per realizzare le necessarie forme di deconfliction e ottimizzare l’impiego dei mezzi e lo scambio delle informazioni operative. Inoltre, per agevolare lo scambio informativo tra i vari organismi e dicasteri coinvolti, sono state anche stabilite forme strutturate di cooperazione attraverso l’impiego di reti e di personale di collegamento presso i comandi NATO, la sala di coordinamento della Direzione generale dell’immigrazione e delle frontiere (presso il ministero dell’Interno) e la Centrale operativa della Guardia di finanza presso Pratica di Mare, da dove, tra l’altro, vengono coordinate anche le operazioni dell’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (FRONTEX).

Solo dopo aver inquadrato il ruolo della propria struttura di riferimento l’ammiraglio interviene in merito alla questione in esame della commissione. Lo specifica partendo dal fatto che la Marina agisce tanto in un quadro normativo nazionale che internazionale.

L’attività di polizia dell’alto mare svolta dalle navi da guerra è infatti disciplinata, a livello internazionale, dalla Convenzione di Montego Bay del 1982, mentre, per ciò che riguarda i profili di impiego attinenti al concorso nelle attività di controllo dei flussi migratori, la cornice giuridica di diritto internazionale è quella del Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria del 2000 (Convenzione di Palermo). In ambito nazionale, quindi, il tema dell’immigrazione è invece disciplinato dal decreto interministeriale del 14 luglio 2003 recante “Disposizioni in materia di contrasto all’immigrazione clandestina”. Tale ultimo provvedimento suddivide poi l’attività di prevenzione e contrasto del traffico di migranti via mare in tre fasi.

In particolare, nella prima, che si sviluppa nei Paesi di origine dei flussi o interessati al transito, tramite attività di carattere prevalentemente diplomatico, può rientrare il “capacity building” a favore delle forze di sicurezza e delle marine militari e guardie costiere dei Paesi rivieraschi come realizzato e in corso nei confronti della Guardia costiera libica e come avviene con esercitazioni condotte con le marine del Marocco, dell’Algeria e della Tunisia. Nel dettaglio, appare rilevante il dato che la Guardia costiera libica abbia iniziato ad operare concretamente, effettuando 12 interventi in acque territoriali con oltre 1000 migranti salvati, in quanto primo passo verso la costituzione di un MRCC (Maritime Rescue Coordination Centre) libico.

La seconda fase, nelle acque internazionali, riguarda quindi la sorveglianza dell’alto mare dove la Marina ha disponibili sensori e assetti aeronavali. In tale fase, il Comando in capo della squadra navale svolge la necessaria azione di raccordo, in stretta cooperazione con il Comando generale della Guardia di finanza e con la Centrale operativa del Comando generale delle Capitanerie di porto.

La terza fase, infine, si sviluppa nella zona contigua (acque territoriali e interne italiane), dove le attività di sorveglianza e controllo per la prevenzione ed il contrasto del traffico di migranti sono svolte dalle unità navali delle Forze di polizia con il concorso della Marina militare grazie al supporto fornito dalla Rete Radar Costiera – a controllo remoto dalla centrale operativa di CINCNAV – attualmente in fase di potenziamento/ammodernamento.

L’intervento è finalizzato alla repressione dei reati e alla scoperta delle connessioni con le organizzazioni transnazionali che gestiscono i traffici illeciti, al fine di sequestrare e confiscare i patrimoni d’illecita provenienza e le procedure poc’anzi delineate restano comunque subordinate alle primarie esigenze di salvaguardia della vita umana in mare, come previsto dai principi fondamentali dell’ordinamento e dalle norme internazionali.

Per quanto invece riguarda il soccorso in mare, il quadro giuridico di riferimento, nel diritto internazionale, è quello della Convenzione di Amburgo del 1979.

Il regolamento di attuazione nazionale della suddetta Convenzione, ha quindi affidato al Comando generale delle Capitanerie di porto – Guardia costiera il compito di assicurare l’organizzazione efficiente dei servizi di ricerca e salvataggio nell’ambito dell’intera regione di interesse sul mare, che si estende ben oltre i confini delle acque territoriali. Il Comando generale delle Capitanerie di porto – Guardia costiera, infatti, assume le funzioni di I.M.R.C.C. (Italian Maritime Rescue Coordination Center), cui fa capo il complesso delle attività finalizzate alla ricerca ed al salvataggio della vita umana in mare, mediante l’impiego della componente aeronavale del Corpo, con l’eventuale ausilio di altre unità militari e civili operanti nell’area del soccorso.

All’interno di questa cornice normativa la Guardia costiera assume la titolarità delle attività di soccorso e la capacità di coordinare e disporre, agli assetti operanti in mare – civili e militari –  di dirigere verso una determinata zona per prestare soccorso ad imbarcazioni in condizioni di pericolo o che conducano una navigazione non sicura.

Atteso il quadro normativo esposto si evince che le attività della Marina militare, anche al largo del teatro libico, non hanno quale obiettivo la condotta e la responsabilità del coordinamento delle operazioni di salvataggio in mare. Ciò nonostante, in accordo al mandato dell’operazione Mare Sicuro, laddove richiesto, le unità della Marina concorrono a garantire la cornice di sicurezza/protezione nei confronti delle unità della Capitaneria di porto-Guardia costiera (o di mercantili nazionali impegnati in attività di SAR), in particolare quando le attività di soccorso sono svolte quasi in prossimità delle acque territoriali libiche, alla luce di una situazione operativa(quella del teatro libico) nella quale non può escludersi una qualunque forma di minaccia convenzionale e asimmetrica. Qualora poi, nello svolgimento delle proprie funzioni, le unità navali impegnate nell’operazione Mare Sicuro individuino una situazione di pericolo o siano oggetto di richiesta di intervento Search and Rescue (da parte dell’IMRCC), in aderenza al diritto internazionale e legislazione nazionale, viene effettuato l’intervento di salvataggio, cercando, laddove possibile, di limitare l’indisponibilità delle unità navali in area d’operazioni per il tempo strettamente necessario.

In particolare, dall’inizio del 2017, quindi nei primi 4 mesi di dell’anno in corso, le unità di Mare Sicuro hanno concorso allo svolgimento di 9 interventi di soccorso (su una totalità di oltre 300) traendo in salvo 1.366 migranti, di cui 915 trasbordati in giornata su altre unità navali ed altri 451, per l’anomalo numero di eventi SAR in atto contemporaneamente, condotti direttamente nel porto più sicuro indicato dal Ministero dell’interno. In altre situazioni è stato anche garantito il supporto sanitario attraverso interventi di prima assistenza a bordo o evacuazioni a mezzo elicotteri imbarcati.

Con riferimento all’attività di polizia giudiziaria nel contrasto al reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina, l’ammiraglio ha rilevato che quando le unità della Marina militare verificano la sussistenza di elementi che possano configurare l’ipotesi del reato, il comandante della nave procede direttamente ed autonomamente, come ufficiale di polizia giudiziaria, a tutti gli atti necessari alla raccolta delle evidenze probatorie per l’esercizio della giurisdizione nazionale in stretto coordinamento con la Procura della Repubblica competente (distrettuale o ordinaria) e, ove delegato, dispone il fermo dei presunti responsabili od il sequestro delle cose pertinenti il reato, per la successiva consegna in porto all’Autorità giudiziaria. Nell’ambito dell’attività di Polizia giudiziaria che il comandante dell’unità militare è titolato ad espletare, il supporto legale è fornito da un Legal Desk costituito presso il Comando in capo della Squadra navale, che assicura supporto alle unità in caso di dubbi sull’interpretazione ed attuazione di quanto prescritto dalle norme e dalle disposizioni in vigore.

Le attività di Polizia giudiziaria effettuate dalle navi della Marina, in stretto ed adeguato coordinamento con le procure distrettuali od ordinarie competenti, fanno in ogni caso salve le attribuzioni della Direzione centrale dell’immigrazione e della Polizia delle frontiere (in ordine alle funzioni di raccordo degli interventi operativi in mare ed ai compiti di acquisizione ed analisi connesse con il controllo dei flussi migratori), del Comando generale delle Capitanerie di porto-Guardia costiera (per quanto riguarda la salvaguardia della vita umana in mare), e delle Forze di polizia (per il contrasto del traffico illecito di migranti, entro le 24 miglia dalla linea di base nazionale). Tutto ciò si è concretizzato, per la missione “Mare Sicuro”, in oltre 150 notazioni di polizia giudiziaria con interessamento delle procure distrettuali e ordinarie.

Relativamente al delicato ruolo delle organizzazioni non governative, l’ammiraglio ha rilevato che, contestualmente al crescere della pressione migratoria proveniente dal Nord Africa, a partire dall’estate del 2014 e con una enfatizzazione nell’estate 2016, alcune organizzazioni umanitarie hanno avviato delle iniziative volte ad integrare le capacità e la presenza di assetti istituzionali presenti, a vario titolo, nel bacino libico-tunisino. Il modus operandi, per quanto osservato o riportato al Comando Squadra navale dalla Guardia costiera, vede, nel 2017, la permanenza di circa 4/5 mezzi, distribuiti al largo della costa libica nel tratto compreso tra Zuwarah (ovest di Tripoli) e Garabulli (est di Tripoli), a distanze comprese tra le 12 e le 18 miglia dalla costa, lungo i corridoi che statisticamente risultano essere rotte preferenziali del flusso migratorio.

Non risultano, in ogni caso, chiamate di soccorso alla centrale operativa della Marina da parte delle organizzazioni non governative e non esistono evidenze di manovre o attività ad opera delle stesse che abbiano costituito intralcio allo svolgimento delle operazioni della Squadra navale nell’area. Il coordinamento tra mezzi della Marina e delle organizzazioni non governative avviene infatti per il tramite della Guardia costiera ed in alcune occasioni il Comandante della nave sulla scena d’azione, su disposizioni dell’IMRCC, ha fornito supporto sanitario e logistico (viveri, medicinali).

Seduta n. 227, 3 maggio 2017

Una seduta importante perché vede rispondere il Procuratore della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro. Dalla procura da lui diretta è infatti partita l’inchiesta, che non vede ad oggi alcun indagato, tesa a comprendere se esistano nessi fra trafficanti e alcune Ong. Il procuratore aveva riferito del proprio operato già in sede di   Comitato Schengen, nella seduta del 22 marzo scorso, nel frattempo il suo lavoro è proseguito tanto da far divenire tale inchiesta elemento chiave della critica all’Operato delle Ong. Il dott. Zuccaro ha illustrato con dovizia dii particolari il proprio lavoro in entrambe le audizioni, parte di queste, su richieste dello stesso sono secretate in ragione delle indagini in corso. Pochi giorni prima della seduta il Csm ha chiesto di poter valutare l’operato del procuratore in relazione ad alcune dichiarazioni rese nei programmi televisivi che è stata vista da alcuni come una pressione indebita verso il suo operato. Il procuratore ha però dichiarato in Commissione Difesa di non considerare il proprio operato messo in discussione.

Seduta n. 228, 4 maggio 2017

Si prosegue con l’audizione del Comandante generale del Corpo delle capitanerie di porto, ammiraglio ispettore (CP) Vincenzo Melone. La seduta prende il via con un breve filmato esplicativo delle attività di soccorso condotto dai mezzi del Corpo delle capitanerie di porto. Il Comandante ha illustrato poi le caratteristiche e le attribuzioni del Corpo che vede ad oggi impegnati circa 11.000 uomini, suddivisi in 310 uffici marittimi territoriali e coordinati dal Comando generale. Nella sua relazione ha precisato molti elementi importanti che definiscono modalità e ragioni degli interventi SAR. Descrive la varietà della tipologia e titolarità dei mezzi aeronavali presenti nel Mediterraneo specificando che, per quanto riguarda i soccorsi, indipendentemente dalle ragioni per cui sono in mare, sono tutte assoggettate al principio internazionale contenuto nell’articolo 98 della convenzione di Montego Bay. E per quanto riguarda la scelta dei porti in cui trasbordare le persone a cui è stato prestato soccorso, il Comandante cita la La regola 3.1.9 della Convenzione di Amburgo sul SAR, infatti, prevede che i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione Marittima Internazionale. Risulta allora evidente che per “luogo sicuro” debba intendersi un posto in cui sia assicurata la “sicurezza” – intesa come protezione fisica – delle persone soccorse in mare. Inoltre, laddove le persone soccorse in mare, oltre che “naufraghi”, debbano qualificarsi anche come “migranti”, l’accezione del termine “sicurezza” del luogo di sbarco si connota anche di altri requisiti. Come affermato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel 2012 (riprendendo peraltro, il contenuto della risoluzione 1821 (2011) del Consiglio d’Europa), nel caso di salvataggio in mare di richiedenti asilo, rifugiati e migranti in situazione irregolare, la nozione di “luogo sicuro” non può essere limitata alla sola protezione fisica delle persone, comprendendo necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali, che impone agli Stati – pena la violazione della Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status di rifugiati del 1951 e della Convezione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – di astenersi dal ricorrere a qualsiasi pratica che possa essere assimilata a un respingimento diretto o indiretto e di considerare “luogo sicuro” un luogo che possa rispondere alle necessità delle persone sbarcate e che non metta in alcun modo a rischio i loro diritti fondamentali. L’audizione viene interrotta senza il consueto contraddittorio in quanto i senatori sono chiamati in aula. Riprende con la seduta 235 l’11 maggio

Seduta n. 229, 4 maggio 2017

È il giorno dell’audizione degli esponenti di MOAS (Migrant Offshore and Station), Christina Ramm-Ericson, Benjamin Briffa e Ian Ruggier.

L’Incontro con gli esponenti dell’Ong maltese era fra i più attesi anche in termini mediatici. Nonostante i tanti attestati di benemerenza che vanta l’organizzazione, da quelli del Papa al riconoscimento tributato dalla Guardia costiera in occasione del salvataggio nel 2014 – di 3000 persone in 60 giorni, su di loro si sono addensate le critiche più serrate. Il bilancio di 35 mila persone salvate in quasi 3 anni di attività, la collaborazione con MSF (c’è loro personale sulla nave Phoenix), e con l’Ordine di Malta, la collaborazione assicurata a tutte le agenzie e ai soggetti istituzionali italiani ed europei non sono ritenuti sufficienti. E sono tante le domande a cui MOAS fornisce puntuali risposte, dai bilanci (si trovano in rete), all’utilizzo di “strumentazione speciale” fino alle modalità con cui opera nel Mediterraneo centrale. MOAS è accusata espressamente di avere relazioni con aziende specializzate in attrezzature militari legate al gruppo Tangiers. Gli esponenti dell’Ong confermano in merito al detto gruppo di aver unicamente avuto in affitto da loro la nave Phoenix ma escludono qualsiasi legame di altro tipo anche con società consociate al gruppo. I commissari avrebbero voluto poter incontrare la fondatrice di MOAS, Regina Catambrone, attualmente però impegnata in mare e, in sua assenza le domande agli esponenti si fanno sempre più serrate ma lasciamo a chi ascolta l’audizione una valutazione sulle risposte. Tra le dichiarazioni rilasciate, legate anche ad una visione estremamente carica di supposizioni dei commissari, interessante il fatto che gli esponenti di MOAS, abbiano dichiarato che, contravvenendo ai loro costumi e volendo mostrarsi collaborativi, possono affermare che fra i finanziatori dell’Ong non figura George Soros, il cui nome è spesso aleggiato nel dibattito pubblico.

La seduta 230 del 9 maggio ha visto come relatori gli esponenti di una Ong meno nota, Jugend Retter. Sono stati ascoltati Lena Waldhoff, Jackob Schoen e Stefano Spinelli, si tratta di una organizzazione  tedesca, con sede a Ratisbona che, come del resto le altre, pubblica nel suo sito ogni notizia necessaria ad assicurare  la trasparenza del proprio operato. Di questa seduta è disponibile unicamente la versione video della trattazione.

La seduta n. 231, 10 maggio 2017 ha registrato l’audizione dei magistrati della Procura di Trapani, il

Procuratore aggiunto Ambrogio Cartosio e il Dott. Tarondo

La Procura di Trapani ha già aperto un’inchiesta sull’ipotesi di reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a carico di singoli membri degli equipaggi delle Ong. Il Procuratore aggiunto Ambrogio Cartosio, che si è trincerato dietro il segreto istruttorio sul contenuto dell’indagine, ha detto alla Commissione del Senato:«Alla Procura di Trapani risulta che in qualche caso navi delle Ong hanno effettuato operazioni di soccorso senza informare la centrale della Guardia costiera. Le indagini “coinvolgono non le Ong come tali ma persone fisiche delle Ong. La presenza delle navi delle Ong in un fazzoletto di mare potrebbe costituire, non da solo, ma con altri elementi, un elemento indiziario forte per dire che sono a conoscenza che in quel tratto di mare arriveranno imbarcazioni di migranti e dunque ipotizzare il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Soggetti a bordo delle navi sono evidentemente al corrente del luogo e del momento in cui arriveranno i migranti. Ma la risposta a questo quesito deve arrivare tenendo conto della legislazione italiana che prevede una causa di giustificazione. Se una nave qualsiasi viene messa al corrente del fatto che c’è il rischio che un’imbarcazione possa naufragare ha il dovere di soccorrerla in qualsiasi punto e questo principio travolge tutto. Insomma, per la legislazione italiana si potrebbe dire che viene commesso il reato di favoreggiamento di immigrazione clandestina ma non è punibile perché commesso per salvare una vita umana». Il procuratore Cartosio ha sottolineato che la sua indagine non ipotizza affatto comportamenti che possano far pensare a reati di associazione per delinquere e dunque non di competenza della Direzione distrettuale antimafia di Palermo e ha escluso di avere elementi per dire che i finanziamenti delle Ong possano avere origini illegittime e che le finalità dei soccorsi in mare delle navi umanitarie possano avere obiettivi diversi. Cartosio ha invece confermato le affermazioni del collega di Catania Zuccaro sugli interessi mafiosi nei centri di accoglienza. «Qui la cosa è ben diversa. Dalle nostre indagini è emerso che soggetti contigui alle organizzazioni mafiose erano inseriti nel business dell’accoglienza e in qualche caso le autorizzazioni sono state revocate». Il sostituto procuratore Andrea Tarondo ha riferito un recentissimo episodio che proverebbe il doppio gioco delle forze di polizia libiche. Due migranti algerini arrivati a Trapani il 28 marzo scorso hanno raccontato di essere saliti su un gommone in Libia scortati da un altro gommone con a bordo uomini in divisa con la scritta polizia. Dopo alcune miglia una nave della polizia libica avrebbe fermato le due barche sparando e ci sarebbe stata una lite in mare tra le due unità libiche. Probabilmente la nave che aveva fermato il gommone chiedeva soldi per lasciar passare i migranti scortati da un altro gommone della polizia evidentemente d’accordo con i trafficanti.

Con la seduta 233 del 10 maggio, sono stati ascoltati gli esponenti di Sea-Watch e Sea-Eye Axel Grafmanns e Markus Neumann. Sea Eye ha spiegato quale è la sua modalità di azione, più articolate le risposte di Sea –Watch che oltre a rendere chiari i propri mezzi, i propri finanziamenti e le proprie linee guida, hanno posto questioni di ordine politico strategico. Partendo dal fatto che con le proprie navi non portano i migranti in Italia queste hanno bisogno della collaborazione di Frontex e delle altre agenzie che però non mettono a disposizioni mezzi sufficienti. «La catastrofe non è la presenza delle Ong, ma i 30 mila, 40 mila morti nel Mediterraneo dal 2000 ad oggi». Da Sea –Watch hanno cercato da mesi di collaborare con Frontex ricevendo solo recentemente flebili risposte. Dichiarando poi di non avere fra i propri sostenitori e finanziatori nessun cittadino libico (Sea Watch è tedesca ed è finanziata soprattutto da privati e chiese evangeliche), gli esponenti di Sea Watch hanno puntato il dito contro l’UE. Si domanda alle Ong se hanno rapporti con la Libia? Ma ad avere rapporti con le fazioni libiche non sono forse le istituzioni europee in un contesto di guerra civile?

Seduta 236, 16 maggio

Conclusioni

Si tratta dell’ultima seduta della Commissione a cui farà seguito una conferenza stampa. Il presidente ha sottolineato l’atteggiamento collaborativo e costruttivo di tutte le parti politiche, e notato, altresì, come la delicata questione dei flussi migratori interessi, vista nella sua dimensione integrale, problematiche che vanno anche oltre la competenza della Commissione (come attestato, ad esempio, dalla pronuncia di ieri della Corte di cassazione sull’obbligo degli immigrati di conformarsi ai valori della società in cui hanno deciso di stabilirsi), illustra quindi una proposta di documento conclusivo da lui predisposta (pubblicata in allegato), divisa in due parti. La prima è di natura descrittiva e illustra le finalità dell’indagine e le audizioni effettuate, che dà conto degli assetti militari e civili operanti nel Mediterraneo centrale e che illustra, in sintesi, la composizione dei flussi migratori, corredata anche dai dati forniti dalla Guardia costiera e dal Ministero dell’interno. La seconda di natura propositiva, concentrata su quegli aspetti in cui si ravvisa una maggiore convergenza di opinioni tra i Gruppi, al netto di qualsiasi giudizio di valore. Il presidente ha proposto uno schema del documento conclusivo su cui si sono espressi i commissari.

Nel testo si ricostruisce l’evolversi dell’indagine conoscitiva dichiarando che gli unici a non aver raccolto l’invito ad essere ascoltati sono stati quelli della Ong Olandese Boat Refugee che hanno dichiarato di non operare più nell’area. Poi si è presentato un quadro della situazione partendo dalle attività di soccorso nel Mediterraneo Centrale (a), a seguire il contributo dei militari italiani (b) e le attività delle Organizzazioni non governative (c) Dietro specifica richiesta, il Corpo delle capitanerie di porto ha fornito i tracciati delle imbarcazioni delle ONG dal 26 ottobre 2016 al 26 aprile 2017, che sono state allegate. Poi un esame dei flussi migratori (d)

Da questo quadro sono emerse conclusioni e proposte

Una doverosa premessa è che l’indagine conoscitiva svolta dalla Commissione non ha inteso interferire in alcun modo con l’attività giudiziaria né intervenire in un campo non attinente all’esercizio dei poteri parlamentari. Il lavoro svolto dalla Commissione ha tuttavia consentito di appurare come non vi sarebbero indagini in corso a carico di organizzazioni non governative in quanto tali; né emergerebbero elementi tali da far supporre rapporti tra queste e i trafficanti di esseri umani. Scopo dell’indagine conoscitiva è stato invece quello di raccogliere elementi utili alla comprensione del fenomeno in atto, per consentire alla Commissione e alle forze politiche in essa rappresentate di formulare proposte atte a superare le eventuali criticità riscontrate.

  1. La principale risultanza dell’indagine consiste nell’aver messo in luce l’emersione, in via fattuale, di un tertium genus di unità operanti in mare, a metà tra le unità navali pubbliche e quelle mercantili. Le prime, infatti, hanno tra i propri compiti istituzionali, diretti o indiretti, le attività di salvataggio e le seconde vi sono obbligate ove investite dalle competenti autorità. Negli ultimi tempi, però, nel Mediterraneo centrale, è comparsa, in misura rilevante, una categoria di imbarcazioni, formalmente mercantili ma di fatto dedicate all’esclusivo svolgimento, in via privata e sistematica, di attività di search and rescue. Trattandosi di una fattispecie nuova, questa non è contemplata dal vigente ordinamento internazionale, per il quale tali unità sono considerate a tutti gli effetti navi mercantili.
  2. Il controllo dei flussi migratori deve essere improntato ai due principi cardine della solidarietà e del rigore. Non è infatti in alcun modo tollerabile lasciare perire in mare le persone che lasciano le coste africane nel tentativo di raggiungere l’Europa, a prescindere dalla loro condizione legale: al contempo va contrastato ogni incentivo all’immigrazione clandestina e, soprattutto, al traffico di esseri umani, con una lotta senza quartiere contro i trafficanti di morte.
  3. Come è stato facile constatare nel corso delle audizioni, l’assenza di un centro marittimo di coordinamento dei soccorsi (MRCC) libico e i controversi rapporti con Malta fanno sì che la Guardia costiera italiana, con il suo centro di Roma (IMRCC), si debba fare carico, di fatto, di tutte le operazioni di soccorso dei migranti a sud del nostro Paese, fino al limite delle acque territoriali libiche:
  4. da un lato, si pone come prioritario l’obiettivo di istituire quanto prima un MRCC libico, al fine di garantire lo svolgimento dell’attività SAR all’interno delle acque territoriali di quel Paese e, contemporaneamente, consentire una delimitazione ragionevole tra le zone SAR di competenza, rispettivamente, dell’Italia e della Libia e, a tale riguardo, proporre alla Guardia costiera libica di condividere ogni possibile collaborazione fino alla completa autonoma capacità operativa;
  5. dall’altro è urgente delimitare le aree SAR tra Italia e Malta. Nonostante tale Paese abbia dichiarato un’area estremamente ampia e in parte sovrapposta a quella italiana, molti degli auditi hanno tuttavia riportato come, al sopraggiungere della crisi migratoria, Malta abbia cessato di rispondere a chiamate di soccorso provenienti da imbarcazioni di migranti. Occorre porre fine a una situazione evidentemente non sostenibile e pervenire quanto prima a un accordo, con piena assunzione di responsabilità da parte di Malta per il mare che venisse riconosciuto di sua competenza. Inoltre, non èpiù rinviabile l’esigenza di porre rimedio al mancato recepimento, da parte maltese, della direttiva IMO in materia di Place of safety (unico Paese europeo a non avervi proceduto);
  6. si reputa poi necessario procedere un accordo di questo tipo con la Tunisia, che parimenti sembra non rispondere alle chiamate di soccorso.
  1. Un altro dato emerso nel corso dell’indagine è che la presenza delle organizzazioni non governative nel tratto di mare prospiciente le coste libiche ha preso corpo in un tempo molto concentrato, essenzialmente tra il 2014 e il 2016 ma – come prevedibile – in maniera volontaria e non coordinata a monte da alcuna autorità, che interviene però a valle, attraverso l’IMRCC di Roma, per impartire istruzioni sui singoli soccorsi, i quali peraltro, sulla base dei dati forniti dalla Guardia costiera, in oltre la metà dei casi avvengono a seguito non di chiamate ma di avvistamenti. Dal momento che i soccorsi effettuati non possono prescindere, rebus sic stantibus, dal contatto con le autorità italiane, si rende necessaria una razionalizzazione della presenza delle ONG, che potrebbe portare a un aumento dell’efficienza dei soccorsi e dei margini per salvare vite con la contestuale riduzione delle relative imbarcazioni nell’area, peraltro dalle caratteristiche tecniche molto variegate. A tal fine, sarebbe opportuno che, poiché si tratta di natanti presenti esclusivamente a fini di attività SAR e non di mercantili investiti di volta in volta sulla base del diritto internazionale, queste rientrassero a pieno titolo in un coordinamento permanente curato dalla Guardia costiera, ricevendo istruzioni anche su tempi e modalità di svolgimento del servizio, oltre che sull’area nella quale posizionarsi.
  2. In nessun modo può ritenersi consentita dal diritto interno e internazionale, né peraltro desiderabile, la creazione di corridoi umanitari da parte di soggetti privati, trattandosi di un compito che compete esclusivamente agli Stati e alle organizzazioni internazionali o sovranazionali. Viceversa, i privati, se opportunamente inseriti in un contesto saldamente coordinato dalle autorità pubbliche possono fornire un apporto significativo e costruttivo.
  3. Nel momento in cui le organizzazioni non governative vengono riconosciute parte e integrate in un sistema di soccorso nazionale, da un lato dovranno coordinarsi con la Guardia costiera e con le amministrazioni competenti non solo nella fase del salvataggio e, dall’altro, dovranno conformarsi ad obblighi e requisiti che le abilitino allo svolgimento di tali compiti. Occorrerà perciò elaborare forme di accreditamento e certificazione che escludano alla radice ogni sospetto di scarsa trasparenza organizzativa e operativa: in particolare, si dovranno adottare disposizioni che obblighino le ONG interessate a rendere pubbliche nel dettaglio le proprie fonti di finanziamento, cosa che alcune di loro già fanno, oltre che i profili e gli interessi dei propri dirigenti e degli equipaggi delle navi utilizzate, spesso prese a noleggio. Anche altri indicatori sono da tenere in debita considerazione, quale la collaborazione con le autorità italiane.
  4. Al fine di non disperdere preziosi dati ed elementi di prova utili per perseguire i trafficanti di esseri umani, sarebbe opportuno adeguare l’ordinamento italiano o comunque prevedere modalità operative tali da consentire l’intervento tempestivo della polizia giudiziaria contestualmente al salvataggio da parte delle organizzazioni non governative. Parallelamente, occorrerebbe potenziare la forza e gli strumenti investigativi, favorendo ad esempio l’intercettazione dei telefoni satellitari.
  5. Si rende poi particolarmente utile, che tutte le istituzioni internazionali supportino l’impegno a governare questa situazione anche rispettando gli impegni già assunti, a iniziare da quelli previsti dalle Nazioni Unite, con l’auspicio che il Consiglio di Sicurezza, di cui fa parte anche l’Italia, le renda operative. In tale contesto, si dovrebbe prevedere di realizzare, in territorio libico, tunisino e maltese, sotto l’egida dell’ONU, dell’UNHCR e dell’OIM, Place of Safety in grado di accogliere i migranti soccorsi in corrispondenza delle zone SAR di competenza, nel rispetto dello spirito e della lettera della Convenzione di Amburgo.
  6. La Commissione ritiene utile monitorare, con cadenza mensile, gli sviluppi della situazione e le iniziative che verranno assunte.

 

Note a Margine

L’ascolto di ore e ore di registrazioni, la lettura dei resoconti  stenografici di una intera indagine  conoscitiva – che  consigliamo per poter avere un quadro reale dei lavori  svolti – porta a dover trarre alcune  conclusioni. Che l’operato di FRONTEX si sia rivelato fondamentale per aprire una polemica politica e mediatica almeno ad oggi  priva di qualsiasi ipotesi di reato da contestare alle Ong è facilmente percepibile. Ma quello che lascia interdetti è lo scoprire, in maniera estremamente completa, grazie alle testimonianze rese dagli alti gradi della Marina Militare, della Guardia di Finanza, della Guardia Costiera, di chi gestisce singole competenze che riguardano quel terribile tratto di mare, che di strumenti per salvare le persone ed evitare morti inutili nel Mediterraneo  Centrale ne sono già operativi in grande quantità. Ma per molti il compito fondamentale  è il “controllo delle frontiere” si avventurano in operazioni SAR quando inevitabile e  comunque,  tutte insieme, hanno garantito il salvataggio, nel 2016 di quasi il 72% dei migranti. Le 12 imbarcazioni che al massimo hanno solcato le stesse acque e appartenenti alle Ong, ne hanno portati in Italia il 28% eppure vengono additate come coloro che favoriscono le  fughe, sovente mortali dall’inferno libico. Le imbarcazioni delle  Ong,  coordinate  dalla Guardia costiera e dal suo ufficio a Roma dell’MRCC, sono intervenute a volte in prossimità dei confini delle acque  territoriali libiche,  in pochissimi casi le hanno forse oltrepassate ma con il solo scopo di salvare vite umane. E invece finiscono alla gogna. I loro  esponenti, il cui impegno umanitario  è spesso riconosciuto negli ambiti internazionali più severi, sono trattati, soprattutto da alcuni senatori, facenti parte della Commissione, come complici dei trafficanti, come danneggiatori dell’economia italiana, come agenti oscuri di chissà quale disegno, o al massimo, come anime belle di cui ne viene  sfruttata la passione civica. Questo il ritratto che hanno fornito molti esponenti del parlamento che si possono ascoltare in diretta reiterare domande, alludere, trarre conclusioni basate su pregiudizi ideologici, mostrare assoluta inadeguatezza a comprendere l’entità del dramma che si va consumando nel Mediterraneo Centrale. Quando si arriva a confutare il numero delle vittime dicendo “non sono 40 mila ma al massimo 30 mila” si mostra di avere una percezione del valore della vita umana altrui alquanto bassa. Ed ascoltare queste e altre argomentazioni simili, se lo farete, lascia  attoniti.

Torniamo Umani.