Libia, Niger e Sudan, le nuove frontiere europee.

Fulvio Vassallo Paleologo

Effetti perversi del Processo di Khartoum e del Migration Compact. Cosa significa l’esternalizzazione dei controlli di frontiera: Libia, Niger e Sudan nuove “frontiere” europee.

La realizzazione del Processo di Khartoum attraverso la conclusione di accordi con i paesi terzi (Migration Compact) per bloccare le partenze, rafforzare i controlli di frontiera ed attivare procedure di rimpatrio forzato, sta andando avanti con crescente velocità, malgrado il rischio di legittimare dittature o governi militari che non garantiscono i diritti umani sul proprio territorio, né per i propri cittadini, né per i migranti.

Nelle acque del mediterraneo centrale, la esternalizzazione dei controlli di forntiera si sta traducendo nella delega alla cd. Guardia Costiera libica delle attività di contrasto all’immigrazione “illegale” che potrebbero trasformarsi in veri e propri respingimenti collettivi per “interposta Guardia costiera”.  La collaborazione con la sedicente Guardia Costiera o con la Marina libica va avanti proprio in questa direzione, dopo il fallimento della fase tre dell’Operazione Eunavformed, quella che avrebbe dovuto svolgersi all’interno delle acque territoriali libiche. Si è appena conclusa la prima fase di formazione della nuova Guardia Costiera libica, quella fedele al governo Serraj, da parte dell’Operazione europea  altrimenti definita “Operazione Sophia”. Adesso il livello di collaborazione nella intercettazione dei natanti in partenza dalla costa libica sarà di certo più efficace, in attesa che arrivino le motovedette richieste dai libici ( dall’Italia, sarebbero le stesse regalate nel 2009 da Maroni, e poi restituite al nostro paese perché guaste e prive di pezzi di ricambio).

A nulla sono valse le proteste di chi ha ricordato la terribile sorte che attende i migranti che sono recuperati dalle unità militari libiche al limite delle acque territoriali, ed adesso anche oltre, e ricondotti a terra nelle celle dei tanti centri di detenzione disseminati nel paese.

LibiaDopo le intimidazioni da parte delle milizie libiche, seguite dalle bordate critiche del rappresentante ONU Martin Kobler, che ha definito i soccorritori dei naufraghi come fiancheggiatori dei trafficanti, le navi umanitarie hanno ridotto fortemente la loro presenza, e non saranno certo le condizioni meteo invernali o la rarefazione dei mezzi di soccorso a ridurre le partenze e dunque le vittime in mare.

Vittime che continuano ad aumentare in modo esponenziale. Sono questi corpi dispersi  in mare che smentiscono chi sostiene da anni che solo aumentando i controlli a terra ed impedendo le partenze, allontanando gli operatori umanitari dalle aree di soccorso, si ridurrebbero le vittime.  Esattamente quello che invece determina  la reiterazione di stragi sempre più atroci.

Secondo Medici senza Frontiere, «Il 2016 è già l’anno più letale di sempre, abbiamo visto trafficanti sempre più spietati, soccorsi sempre più complessi, persone sempre più vulnerabili» ha affermato Stefano Argenziano, coordinatore dei progetti MSF per la migrazione. «Di fronte a questa enorme sofferenza e perdita di vite umane, la risposta dell’Europa è ancora trincerata dietro a politiche restrittive e guerra ai trafficanti. Ma è una guerra che sta perdendo e i cui costi vengono pagati dalle migliaia di persone che muoiono nella traversata. Servono vie legali e sicure per porre fine a questa assurdità e riportare nel nostro mare un po’ di umanità».

Ad oggi, delle sette imbarcazioni umanitarie che erano presenti al largo della costa libica fino a qualche giorno fa, sembra essere ancora operativa soltanto la nave Aquarius dell’organizzazione SOS Meditarrenée, secondo quanto dichiarato da questa associazione.

«Con l’arrivo dell’inverno, la situazione nel Mediterraneo si fa sempre più drammatica. Le cattive condizioni del tempo non fermano i flussi, mentre la maggior parte delle navi civili di soccorso è costretta a fermarsi. La nostra Aquarius sarà la sola nave della società civile a restare nella zona SAR (Search and Rescue) e a continuare senza interruzioni le operazioni di ricerca e soccorso durante l’inverno».

Opera ancora in funzione umanitaria al di fuori degli assetti di Frontex e di Eunavfor Med la nave militare irlandese Samuel Beckett che ancora oggi, di fronte alle coste di Tripoli, ha soccorso decine di persone altrimenti condannate a morte certa. MSF ha ritirato due navi, la Dignity e la Bourbon Argos, mentre non si hanno notizie delle navi di Save The Children e di MOAS, missione di soccorso  privata con bandiera maltese, che fino a pochi giorni fa comunicava continui interventi di salvataggio.

Mentre si attende che in Libia avvenga il “miracolo” e che le diverse fazioni in lotta trovino un accordo su un governo e su un esercito comune, inclusa la Guardia Costiera, attualmente in franchising alle milizie delle diverse città,  il governo italiano sta spingendo al massimo nella direzione di concludere accordi con il Sudan per intensificare le attività di blocco in uscita alle frontiere sudanesi, luogo di transito per migliaia di profughi sudanesi ed eritrei, oltre che per facilitare le operazioni di respingimento o di espulsione collettiva, come quelle realizzate da Torino a Khartoum lo scorso mese di agosto.

suda-mmap-mdNon si ricorda per esempio che la Libia ed il Sudan stanno realizzando numerose operazioni di rimpatrio, e che lo stesso Sudan di Bashir, ormai inserito a pieno titolo nei giochi della diplomazia internazionale dal Processo di Khartoum e dal Migration Compact, dà buona prova della propria efficienza poliziesca, riprendendosi qualche centinaio di profughi in fuga dal regime.

La trattativa  in  corso tra il governo italiano e la controparte sudanese ha anche ad oggetto il controllo delle frontiere ed il contrasto dell’immigrazione “illegale” in Libia, che richiedono la composizione dei conflitti tribali e la soluzione di storiche questione di confini contesi. Per questo si cerca l’aiuto di un dittatore come Bashir, già condannato dal Tribunale penale internazionale per crimini contro l’umanità.

Si dovrebbe davvero parlare del Sudan, al centro del Processo di Khartoum, dove continuano gli arresti ed i processi nei confronti di esponenti delle comunità cristiane e dove gli oppositori politici sono sempre più a rischio. Non si possono respingere o espellere verso quel paese persone che dopo la deportazione rischiano carcere e torture. Particolarmente grave la condizione dei cristiani e dei profughi dal Darfur, oltre che delle altre regioni sudanesi nelle quali lo stato non garantisce alcuna tutela effettiva alle persone e perseguita gli oppositori politici e gli esponenti delle minoranze.

Ed è proprio verso il Sudan che l’Italia, ed adesso anche la Francia e la Germania, vorrebbero realizzare, con il supporto economico ed operativo dell’Agenzia europea FRontex, Voli di rimpatrio, come quelli effettuati dall’Italia verso Khartoum nello scorso agosto.

Voli di rimpatrio e trattenimenti prolungati negli Hotspots, in assenza di alcun provvedimento che legittimi la deportazione collettiva ed il trattenimento arbitrario all’interno degli Hotspots, luoghi che ancora sono del tutto privi di un riconoscimento legislativo. Dove le circolari del ministero dell’interno contano più delle leggi dello Stato e dei Regolamenti dell’Unione Europea, per non parlare delle norme cogenti contenute nella Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. Ma espulsioni e respingimenti sono tanto rapidi che non è possibile neppure nominare un avvocato e fare valere i propri diritti davanti ad un giudice.

Non si può negare l’evidenza delle espulsioni collettive effettuate dall’Italia lo scorso agosto, malgrado le condanne già ricevute proprio per l’esecuzione di espulsioni collettive, da parte della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, nel 2012 sul caso Hirsi, nel 2014 sul caso Sharifi, e nel 2015 sul caso Khlaifia.

«According to eyewitnesses, Italian police detained the Sudanese from Ventimiglia, a border town near France, and then loaded them on two buses and deported them from Turin-Caselle Airport via a chartered EgyptAir flight.
“I saw two buses full of Sudanese youth being forcibly relocated,” said Musa Ibrahim, a Sudanese human rights activist and eyewitness based in Italy».

Di fronte alle prassi di polizia, che si cerca di legittimare con questa politica estera italiana, ed ormai anche europea, nei confronti della Libia e del Sudan, occorre chiedere una svolta. Occorre ripartire dalla tutela dei diritti fondamentali delle persone e subordinare gli accordi commerciali e le attività della cooperazione internazionale alla tutela effettiva dei diritti delle persone che oggi vengono perseguitate, incarcerate, espulse, come fa il governo sudanese, verso altri paesi, come l’Eritrea o l’Etiopia, nei quali si rischia altro carcere ed altre torture. Non si possono legittimare i paini già pronti per creare dei campi di trattenimento in Niger, camuffati da centri di accoglienza. Luoghi che sarebbero soltanto occasione per altre violenze e strumento per una selezione brutale

imagesSe si pensa di risolvere il problema dei richiedenti asilo denegati, o dei cd. migranti “economici” in situazione di irregolarità, concludendo accordi con i dittatori e approntando espulsioni di massa, si vuole fare solo propaganda, perché in numero tanto elevato quegli allontanamenti forzati non saranno MAI eseguibili con l’accompagnamento di forze di polizia. Si tratta di decine di migliaia di persone che prima sono state indotte a presentare una richiesta di asilo, soprattutto durante l’operazione italiana Mare Nostrum, ed adesso dopo anni di cattiva accoglienza nei centri di varia denominazione nei quali sono stati inseriti, si trovano rigettati in una condizione di irregolarità irrecuperabile.

Non saranno certo i voli di rimpatrio collettivo verso il Cairo o Khartoum, o accordi con dittatori del calibro di Bashir o di A Sisi, che risolveranno questo problema e daranno maggiore sicurezza agli italiani, o renderanno “effettivi” i controlli di frontiera, o più sicuri i confini europei. Un miraggio sbandierato da chi è interessato soltanto a limitare la libera circolazione prevista dal regolamento Schengen, con gli effetti devastanti costituiti dalle vittime di frontiera sulla rotta del Brennero a al confine francese di Ventimiglia.

Nessun governo che abbia giurato fedeltà ad una Costituzione, come la Costituzione italiana, o faccia parte dell’Unione Europea, che ha adottato la Carta dei diritti fondamentali, che riconosce ad ogni individuo il diritto di chiedere asilo e di non subire respingimenti o espulsioni collettive, può  firmare accordi come quelli già conclusi con il Sudan e in corso di definizione con le milizie libiche ed il governo di Serraj in Libia, per liberarsi di qualche migliaio di migranti forzati, non certo riconducibili alla categoria strumentale di “migranti economici”, come se provenissero da “paesi terzi sicuri”.  Il Sudan e la Libia non sono paesi sicuri per nessuno, neppure per i loro cittadini, tantomeno per i migranti in transito, o per gli operatori umanitari che in futuro dovessero avventurarsi per quei territori.