di Fulvio Vassallo Paleologo
Come previsto, dopo una lunga fase di alta pressione, si sta verificando la prima rottura del tempo, una burrasca di vento con temporali che localmente potrebbero essere molto forti, che scenderà nel Mediteraneo centrale, in particolare nel Canale di Sicilia, e potrebbe fare affondare le imbarcazioni con cui in questi giorni i migranti, in fuga dalla Tunisia e dalla Libia cercano di raggiungere le coste di Lampedusa. I responsabili della sicurezza marittima non possono certo ignorare queste previsioni e devono predisporre servizi di ricerca e salvataggio in acque internazionali adeguati alla gravità della situazione ed alla scarsezza di mezzi di soccorso disponibili su un area tanto estesa di mare.

Nel Mediterraneo centrale, soprattutto nella pretesa zona SAR “libica”, si verifica infatti una crescente rarefazione dei mezzi di ricerca e salvataggio pubblici e privati. Purtroppo non è bastato che la tesi del pull-factor, che sarebbe stato operato dai soccorsi umanitari operati dalle ONG, sia stata sconfitta, prima nelle aule giudiziarie, poi nei fatti, da ultimo nelle analisi scientifiche diffuse a livello internazionale. Le ONG continuano ad essere nel mirino, bersagliate da provvedimenti di fermo amministrativo, ed allontanate anche senza avere soccorso tutte le persone che avrebero potuto salvare, verso porti di destinazione sempre più lontani, che si possono definire davvero come “vessatori”. Adesso anche con l’avallo del Tribunale amministrativo del Lazio, in linea con gli indirizzi del governo.
Ma non basta. Si continua a ritenere che contrastare gli scafisti ed i trafficanti sipulando accordi con governi che non rispettano i diritti umani possa costituire un freno alle partenze. Una visione politica strumentale già smentita dai fatti. In realtà sono proprio quegli accordi che legittimano autocrazie e milizie spesso colluse con i traficanti che accrescono il numero di persone in fuga, di prevalente origine subsahariana, che in Tunisia ed in Libia stanno subendo deportazioni in aree desertiche, espulsioni collettive, magari camuffate da rimpatri volontari, ogni forma di discriminazioni ed abusi, inflitti con crescente crudeltà, soprattutto alle persone più vulnerabili come le donne ed i minori.
Gli effetti immediati del Memorandum d’intesa tra la Tunisia di Saied e l’Unione Europea sono sotto gli occhi di tutti nella terra di nessuno tra la Libia e la Tunisia, dove si contano vittime di abbandono dopo le espulsioni collettive nel deserto ordinate dal governo tunisino.
Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha chiesto alla Tunisia di fermare l’espulsione dei migranti nelle aree di confine nel deserto, e che coloro che sono già bloccati in un ambiente difficile vengano trasferiti. “Siamo profondamente preoccupati per l’espulsione di migranti, rifugiati e richiedenti asilo dalla Tunisia ai confini con la Libia e anche con l’Algeria“, ha detto da parte sua il vice portavoce Farhan Haq. Secondo l’Onu “diversi sono morti” al confine tunisino con la Libia, mentre “centinaia, tra cui donne incinte e bambini, sarebbero rimasti bloccati in condizioni disastrose con scarso accesso a cibo e acqua”. Di fronte alla prospettiva di una deportazione nel deserto, o di un rimpatrio nei paesi di oriigine a torto ritenuti “sicuri”, e la vicenda del Niger , con l’ennesimo colpo di stato nell’Africa subsahariana, non è ancora servita a fare capire nulla ai governanti europei, la prospettiva sempre più rischiosa, ma ancora praticabile, dell’attraversamento del Mediterraneo, rimane l’ultima speranza di vita, anche per interi nuclei familiari.
Non sono certo i trafficanti che producono queste emergenze, ma sono i governi dei paesi terzi con i quali l’Italia e l’Unione Europea stipula accordi infami, che costringono alla fuga in mare chi non ha altra prospettiva se non la condizione di illegalità e di sfruttamento alla quale le autorità di Tripoli e di Tunisi, con diverse modalità condannano migliaia di persone. Persone che magari lavoravano da anni nei paesi di transito, ma che adesso sono diventati ostaggi, merce di scambio politico, militare ed economico, non con i trafficanti, che intervengono solo come un terminale finale, effetto di una domanda diffusa e sempre più impellente di fuga che non trova sbocco legale, ma con i vari governi Dbeibah a Tripoli e Saied a Tunisi, ricercati come partner essenziali. Per non parlare del generale Haftar, che rimane arbitro dei destini politici e degli equilibri militari di metà della Libia, la Cirenaica, con il sostegno russo ed egiziano. Ed anzi il modello del memorandum d’intesa tra Tunisia ed Unione Europea, un atto ancora non approvato dalle competenti autorità dell’Unione Europea, si vorrebbe estendere anche all’Egitto ed al Marocco. Ma tutti questi paesi non possono essere ritenuti come paesi terzi sicuri, neppure sotto il profilo della cooperazione di polizia per contenere le partenze e gli attraversamenti del Mediterraneo.

La situazione nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale è sempre più delicata, sembra che il diritto internazionale sia stato cancellato. Malta non interviene all’interno di una vastissima zona SAR (che dovrebbe essere di ricerca e salvataggio) ancora riconosciuta per ragioni storiche e commerciali, ma nella quale la vita umana e gli obblighi internazionali di soccorso non hanno alcun valore. E’ quindi inutile che il governo italiano continui a tirare in ballo la competenza di Malta nella pretesa zona SAR “maltese”, per attività di ricerca e salvataggio, che i maltesi omettono da anni, anche per evitare la indicazione di un porto di sbarco sicuro. Una prassi che è stata ormai smascherata, soprattutto dopo che il Tribunale di Roma ha riconosciuto la responsabilità delle principali autorità marittime italiane, nel caso Libra, per il mancato coordinamento tra queste autorità e quelle maltesi, che nel 2013 produsse ritardi fatali nei soccorsi e centinaia di vittime. Tutto scritto nero su bianco in una sentenza che pur dichiarando la prescrizione dei reati, accerta responsabilità non si può continuare a nascondere. Se il coordinamento internazionale non funziona, nessuno Stato può rifiutarsi di intervenire per salvare vite anche al di fuori dell’area di propria competenza, in acque internazionali. E la circostanza che Malta non abbia mai sottoscritto gli emendamenti alle Convenzioni SAR e SOLAS del 2004, che accrescono i doveri di coordinamento e gli obblighi di intervento SAR in acque internazionali a carico degli Stati, non può essere ancora a lungo oggetto di rimozione. Non basta dunque svolgere attività di ricerca e salvataggio nelle acque territoriali (12 miglia dalla costa), come ancora in questi giorni stanno facendo con grande abnegazione le unità più piccole della Guardia costiera e della Guardia di finanza, occorre garantire interventi SAR anche nelle acque internazionali, per evitare che i barchini che provengono dalla Tunisia e dalla Libia scompaiano dopo le prime chiamate di soccorso.
Le motovedette tunisine intervengono nel loro limitato spazio teritoriale con modalità che possono determinare il rovesciamento dei barconi, Saied deve dimostrare che i controlli di frontiera tunisini funzionano, anche quando poi rigetta nel deserto le persone intercettate in mare o rastrellate nelle città.
La sedicente Guardia costiera libica, frammentata per quante sono le milizie che controllano il territorio di un paese ancora diviso tra due governi ed una miriade di potentati locali, spara sulle navi umanitarie che continuano a fare soccorsi e sui pescherecci che operano a nord delle coste libiche. Secondo l’OIM (Organizzazione internazionale delle migrazioni),“la Libia non è un porto sicuro ed il numero delle persone riportate a terra dalla guardia costiera libica non collima con quello delle presenze nei centri di detenzione e questo apre a speculazioni. Queste persone possono essere vendute per lavoro temporaneo o addirittura soggette a richieste di riscatto da parte della famiglia per essere liberate”. Ma le autorità italiane, quando le chiamate di soccorso arrivano dalla pretesa zona SAR “libica”, indicano come competente a coordinare le attività di ricerca e salvataggio soltanto la Centrale congiunta di coordinamento di Tripoli (JRCC) la cui competenza peraltro non si estende all’intera zona SAR impropriamente riconosciuta alla Libia. Una finzione giuridica, un pretesto per legittimare una reitarata prassi di omissione di soccorso, tanto più evidente quanto appare evidente che la Libia, caratterizzata da una diffusa corruzione, non ha ancora raggiunto l’assetto di un paese sovrano governato da una unica autorità statale con istituzioni militari e giudiziarie unificate. Nella zona SAR” libica”, come del resto in quella maltese, il governo di La Valletta lascia intervenire le motovedette libiche, se non affida i respingimenti collettivi a fantomatici pescherecci privi di segni di riconoscimento, come si è verificato in occasione della strage di Pasquetta del 2020.

In questa situazione, che, con le prime burrasche, dopo una lunga pausa di tempo stabile che ha favorito le traversate, diventa ancora più grave e pericolosa per la vita delle persone in mare, non si può continuare con la politica e con le prassi dell’abbandono dei naufraghi (left to die), che si trovano in acque internazionali, ad autorità marittime di paesi che non hanno neppure capacità di coordinamento delle attività di ricerca e salvataggio.

Occorre smettere con il tracciamento ed il coordinamento delle attività di intercettazione in mare, intese come law enforcement e condivise con Frontex all’esclusivo fine di fare riportare indietro le persone che sono riuscite comunque a fuggire dalla Libia e dalla Tunisia. Una complicità italiana ed europea che dovrà diventare oggetto di giudizio davanti ai tribunali internazionali, se non interverrà prima la magistratura nazionale. Le critiche della Commissaria ai diritti umani del Consiglio d’Europa sono da anni sempre più dure e impongono, se non si avvia un cambiamento di linea politica, oggi alquanto improbabile, una serie di ricorsi davanti alle giurisdizioni europee ed interne.

Occorre impiegare tutte le risorse disponibili in attività di ricerca e salvataggio in mare, nelle acque inrernazionali del Mediterraneo centrale, attività finalizzate al soccorso immediato ed allo sbarco dei naufraghi nei tempi più rapidi, in porti sicuri. Non si possono ammettere prassi di stand by, imposto alle ONG, o di vero e proprio abbandono in mare, in attesa che arrivino le motovedette di paesi che, pur essendo titolari di una zona di ricerca e salvataggio (SAR), hanno trasformato i soccorsi in intercettazioni finalizzate a respingimenti collettivi su delega italiana ed europea.
Occorre superare il criterio ipocrita di ripartizione “politica” delle zone di ricerca e salvataggio (SAR), che la Tunisia non ha mai dichiarato e che la Libia non è in grado di garantire con una unica centrale di coordinamento (MRCC), ragione per la quale l’IMO (Organizzazione internazionale del mare) dovrebbe sospendere immediatamente il riconoscimento intervenuto nel 2017, dopo il Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti, e dopo forti pressioni diplomatiche europee, ed in particolare italiane. Quando ci sono vite umane in pericolo in acque internazionali gli Stati sono comunque obbligati ad avviare attività di ricerca e salvataggio, anche al di fuori della zona SAR di propria competenza, utilizzando tutti gli assetti navali disponibili, militari e civili.

Le navi guardiacoste più grandi non possono essere tenute ferme in porto. E tutte le navi militari impegnate in attività di vigilanza pesca (VIPE), o in sorveglianza ai fini del contrasto del contrabbando, non sono esonerate dal rispetto degli obblighi di salvaguardia della vita umana in mare. Il Mediteraneo centrale è pieno di navi militari, anche sottomarini, come è emerso nel proceso Salvini a Palermo. Unità navali ed assetti aerei che tracciano qualunque natante in transito, ma che non intervengono mai in attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali.
Occorre dunque fare uscire dall’ombra del segreto militare gli assetti aereo-navali dei dispositivi Eunavfor Med- Missione Irini e della operazione “Mediteraneo sicuro” della Marina militare italiana, che di recente ha nuovi comandi. Navi la cui presenza nel Mediterraneo centrale non è tracciabile, ma che, sotto coordinamento della Centrale operativa dela Guardia costiera italiana, potrebbero svolgere una importantisima attività di ricerca e salvataggio, come avveniva del resto nel 2014, ai tempi della operazione Mare Nostrum. Le Convenzioni internazionali di diritto del mare e la Convenzione di Ginevra sui rifugiati da allora non sono cambiate, e non si possono giustificare in nome della sovranità nazionale, o della lotta ai trafficanti, le violazioni sistematiche degli obblighi di ricerca e salvataggio in acque internazionali alle quali abbiamo dovuto assistere in questi anni.
Occorre anche superare l’assurdo divieto dei soccorsi “multipli” introdotto solo per le ONG dal Decreto legge n.1 del 2023, e vanno utilizzate in sinergia con le navi del soccorso civile tutte le unità disponibili della Guardia costiera italiana, che non possono restare bloccate per ordini politici, o per la carenza di carburante nell’isola di Lampedusa. Ocorre anche impiegare nei soccorsi, quando non siano disponibili altri mezzi, i rimorchiatori di servizio delle piattaforme petrolifere “offshore” di Sabratha e di Bouri Field che in passato hanno operato importanti attività di salvataggio, e che in qualche caso hanno però riportato i naufraghi in un porto libico o tunisino. Come hanno affermato il Tribunale e la Corte di Appello di Napoli, anche i rimorchiatori della serie ASSO devono garantire, oltre ai soccorsi, lo sbarco in un porto sicuro, e la Libia, come oggi la Tunisia per i subsahariani, non è in grado di garantire porti sicuri.

Con l’arrivo delle burrasche autunnali gli arrivi sule coste italiane vedranno sicuramente un drastico calo che non sarà certo “merito” degli accordi conclusi o incentivati dal governo italiano con le autorità tunisine o libiche. Putroppo, potrebbero aumentare anche le vittime di una politica che ha di fatto svuotato il Mediterraneo centrale di tutte le unità che potevano operare attività di ricerca e salvataggio, costringendo anche il traffico commerciale, che ormai privilegia le rotte a nord di Malta, a modificare i percorsi in modo da non restare coinvolto in attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali, che gli Stati non vogliono più operare per non essere costretti successivamente a garantire un porto di sbarco sicuro, e magari l’accesso ad una procedura di protezione internazionale, come prescritto dalle Convenzioni internazionali.

La politica deve smettere di attaccare chi salva vite in mare e deve finalmente concludere accordi con i paesi terzi, non per incentivare attività illegali di respingimento, di detenzione e di deportazione, ma per coordinare le atività di ricerca e salvataggio fino allo sbarco in un porto sicuro. Ocorrono poi accordi di partenariato che favoriscano i processi democratici, la riconciliazione nazionale, il riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone migranti alla pari degli stessi diritti che andrebbero riconosciuti ai cittadini dei paesi terzi di transito.
La deterrenza delle partenze verso l’Europa non si può affidare alle burrasche marine, o ai deserti che uccidono, e neppure alle motovedette o alle tecnologie cedute a forze di polizia che non rispettano i diritti fondamentali delle persone. Solo la democrazia, meglio, il ritorno alla democrazia, potrebbe permettere lo sviluppo delle popolazioni autoctone, la convivenza pacifica con i migranti, ed una distribuzione equa delle risorse, e quindi solo il rispetto dello Stato di diritto nei paesi di transito, oltre che in quelli di origine, favorisce il contenimento delle migrazioni forzate. Che altrimenti crescono e cresceranno in modo esponenziale quanto più gli Stati europei concluderanno accordi con i paesi di transito per “esternalizzare” respingimenti e detenzioni arbitrarie, cancellando gli obblighi di salvaguardia dei diritti umani, a partire dagli obblighi di soccorso in mare e dal diritto alla vita ed alla dignità, per tutte le persone, obblighi sanciti dalle Convenzioni internazionali. Quello che accade in mare, quello che potrebbe accadere ancora in questi giorni, è la denuncia più evidente, quando non viene occultato dai partiti di governo, del fallimento delle attuali politiche di deterrenza delle migrazioni, basate sulla cancellazione della dimensione umana della persona migrante e sulla sua riduzione ad un numero, quello che una volta si definiva come un vero e proprio genocidio.
Lo denunciamo da anni, ma ogni giorno che passa ci possono essere altre vittime della ripartizione in zone SAR del Mediterraneo Centrale, delle modalità di intervento dei guardiacoste libici e tunisini, della sistematica omissione di soccorso delle autorità maltesi. Non si possono limitare gli interventi di ricerca e salvataggio alla fascia delle acque territoriali e della zona contigua ( 12-24 miglia dalla costa).
OCCORRE CHE GLI STATI COSTIERI TROVINO UN ACCORDO, NON SULLE PRASSI DI RESPINGIMENTO, MA SUGLI INTERVENTI DI RICERCA E SALVATAGGIO IN ACQUE INTERNAZIONALI, CHE SI DEVONO CONCLUDERE CON LA ASSEGNAZIONE DI UN PORTO SICURO DI SBARCO.
IL MANCATO COORDIMENTO DELLE ATTIVITA’ SAR (SEARCH AND RESCUE) IN ACQUE INTERNAZIONALI DA PARTE DEGLI STATI COSTIERI COMPORTA UNA SERIE DI GRAVI VIOLAZIONI DEGLI OBBLIGHI DI SALVATAGGIO IMPOSTI DALLE CONVENZIONI INTERNAZIONALI E DAI PIANI NAZIONALI SAR
5 AGOSTO 2023
RAINEWS
Lampedusa: naufragio a sud ovest dell’isola: 1 morto e due dispersi
5 AGOSTO 2023
ANSA
Migrants stranded on rocks on Lampedusa after shipwreck
5 AGOSTO 2023
THE LIBYA OBSERVER
Libya receives three boats for maritime rescue from Italy
4 AGOSTO 2023
GULF TIMES
Tunisian authorities rescue 150 illegal immigrants from drowning
4 AGOSTO 2023
AFRICANEWS
Migrants continue to pour into Libya following expulsions from Tunisia
Maledetti.
Hanno cancellato pure il diritto all’informazione.
Decine di dispersi a sud di Lampedusa e non ne parla nessuno.
Non si deve sapere. Opure occorre trasmettere le informazioni nel senso che conviene di più. I giornali di destra lo fanno anche oggi.
Soltanto dopo le testimonianze dei superstiti raccolte dall’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) si sgretola il muro della disinformazione, anche se le persone disperse rimangono sempre sullo sfondo.
La Procura di Agrigento apre una inchiesta, sarà difficile attribuire tutte le responsabilità soltanto agli scafisti o ai trafficanti
I soccorritori, a mare e dal cielo, fanno miracoli, ma non si possono nascondere le responsabilità politiche di altre tragedie annunciate.
6 AGOSTO 2023
“Due naufragi nelle scorse ore al largo di Lampedusa“
“Nelle scorse ore al largo di Lampedusa si sono intanto registrati due naufragi. Sull’isola, nella tarda serata di ieri, sono sbarcati 57 migranti e due cadaveri (una donna e un bimbo) ripescati dalle motovedette della Guardia costiera. Dai racconti dei superstiti i mediatori dell’Oim hanno ricostruito che le barche colate a picco sarebbero state due.
La prima aveva a bordo 48 migranti, 45 dei quali sono stati salvati. Stando ai racconti, vi sarebbero quindi tre dispersi. Sul secondo natante c’erano invece 42 subsahariani, 14 dei quali recuperati. I dispersi dovrebbero essere circa una trentina.
La prima imbarcazione, partita da Sfax in Tunisia, sarebbe colata a picco un paio d’ore prima rispetto a quando i militari della Guardia costiera hanno intercettato, a circa 23 miglia Sud-Ovest da Lampedusa, le persone in mare. I superstiti hanno parlato di tre dispersi: una donna e due uomini.
I 14 naufraghi della seconda imbarcazione, anch’essa salpata da Sfax giovedì scorso, hanno sostenuto di essere partiti in 42. 28 mancherebbero quindi all’appello.”
6 AGOSTO 2023
AGRIGENTONOTIZIE.IT
I migranti superstiti raccontano: due i naufragi nel canale di Sicilia, più di 30 i dispersi
Dopo lo sbarco a Lampedusa dei 57 sopravvissuti e dei due cadaveri ripescati in mare, i mediatori dell’organizzazione internazionale per le migrazioni sono riusciti a ricostruire che i natanti colati a picco sarebbero stati due.
6 AGOSTO 2023
AGRIGENTONOTIZIE.IT
6 AGOSTO 2023
ORE 13.31
GUARDIA COSTIERA ITALIANA
link file video ( https://drive.google.com/file/d/1KBTyJhVRg75ceFBjalaJ0F9PYBBfhTzA/view?usp=sharing)
Si invia di seguito un contributo di immagini relative alle complesse operazioni di soccorso avvenute ieri a sud di Lampedusa.
Le motovedette SAR della Guardia Costiera CP319 e CP324 hanno tratto in salvo 57 migranti, recuperando a bordo anche i corpi esanimi di una donna e di un minore. Alle operazioni di ricerca hanno partecipato anche elicotteri Gdf e Frontex
I migranti si trovavano a bordo di due natanti partiti verosimilmente da Sfax nei giorni precedenti e risulterebbero mancare all’appello circa 30 persone
6 AGOSTO 2023
GDS.IT
6 AGOSTO 2023
Soccorso Alpino e Speleologico Siciliano – CNSAS
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Soccorso Alpino e Speleologico Siciliano e 82° Csar dell’Aeronautica militare in azione a Lampedusa (Agrigento) per recuperare dei migranti bloccati da quasi 48 ore, dopo il naufragio della loro imbarcazione, su una scogliera ai piedi di una parete verticale alta più di 100 metri nella zona di Cala ponente.
Vista l’impossibilità di operare via mare a causa delle avverse condizioni meteo, allertato dalla Direzione marittima di Palermo della Capitaneria di porto, il Soccorso alpino ha a sua volta chiesto il supporto dell’Aeronautica, con la quale vige un consolidato rapporto di collaborazione. Due tecnici di elisoccorso si sono imbarcati all’aeroporto di Birgi su un elicottero HH 139B dell’82° centro Csar che in pochi minuti ha raggiunto l’isola delle Pelagie. Il velivolo ha fatto una brevissima sosta per lasciare materiale tecnico imbarcato nel caso di un intervento più complesso anche via terra e avere più spazio a bordo.
A questo è iniziata la vera e propria operazione di recupero. I tecnici del CNSAS e dell’Aeronautica si sono calati col verricello e hanno imbarcato per prime sei donne per sbarcarle all’aeroporto dell’isola.
L’operazione si è conclusa con il recupero di 34 migranti.
7 AGOSTO 2023
REUTERS
Four dead, 51 missing after migrant ship sinks off Tunisian coast
“TUNIS, Aug 7 (Reuters) – At least four migrants died and 51 were missing after a migrant ship sank off Tunisia’s Kerkennah island, a judicial official told Reuters on Sunday, adding that all the migrants onboard were from sub-Saharan Africa.
The Tunisian coast guard recovered 901 bodies of drowned migrants off its coast from Jan. 1 to July 20 this year, the country’s interior minister said in July, marking an unprecedented number of victims off the country’s coasts.
7 AGOSTO 2023
MIDDLE EAST EYE
Tunisia: Four dead, 51 missing after migrant ship sinks off coast
9 AGOSTO 2023
EURONEWS
Four shipwrecks in five days: Why migrants tragedy keep happening in the Med
Quarantuno migranti sono morti al largo dell’isola italiana di Lampedusa, secondo gli unici quattro sopravvissuti, negli ultimi naufragi segnalati nel Mar Mediterraneo.
Quarantuno migranti sono morti al largo dell’isola italiana di Lampedusa quando la barca su cui viaggiavano si è capovolta ed è affondata, hanno riferito i sopravvissuti ai media locali mercoledì mattina. Solo quattro dei 45 passeggeri totali a bordo sono sopravvissuti dopo essere stati soccorsi dalle autorità italiane.
I quattro, tre uomini e una donna della Costa d’Avorio e della Guinea, hanno detto alle autorità italiane di essere partiti da Sfax in Tunisia giovedì della scorsa settimana con 45 persone a bordo, tra cui 3 bambini.
Hanno detto che la barca di 7 metri ha viaggiato per circa 6 ore prima di essere ribaltata da una grande onda che ha gettato tutti fuori bordo e in acqua. Solo 15 persone avevano salvagenti anulari, secondo i sopravvissuti, ma sono comunque annegate.
I quattro hanno detto di essere sopravvissuti dopo essere riusciti a salire a bordo di una nave abbandonata in mezzo al mare, probabilmente abbandonata dopo il trasporto di migranti. Quattro giorni dopo, sono stati individuati da Frontex, che ha allertato le autorità italiane.
Sono stati soccorsi martedì, secondo l’agenzia di stampa italiana ANSA, giorni dopo il naufragio e a una distanza significativa dal punto in cui la barca si è capovolta, in mare aperto, tra Sfax e Lampedusa. I funzionari italiani hanno affermato di non essere riusciti a trovare i corpi di coloro che sono annegati.
9 AGOSTO 2023
POLITICO.EU
41 migrants die in shipwreck off Italy’s Lampedusa island
Maltese boat rescues 4 survivors.
“Four people survived the shipwreck, three men and one woman originally from Ivory Coast and Guinea. They were rescued by a Maltese cargo ship and taken to Lampedusa by the Italian Coast Guard, according to Italian newswire ANSA”.
Soccorsi da una unità “mercantile” maltese, e sbarcati a Lampedusa, in quattro. Quarantuno persone disperse. Anncora una volta i libici non sono intervenuti.
Vogliamo date, orari, nomi, tracciati. Vogliamo giustizia. Qualcuno dovrà renderne conto.
Era tutto prevedibile con giorni e giorni di anticipo in cui nessuna autorità statale ha predisposto piani di intervento coordinati in acque internazionali approfittando del rimpallo di competenze, conseguenza della ripartizione del Mediterraneo centrale in tante zone di ricerca e salvataggio (SAR), in cui l’unico coordinamento esistente mira alla delega dei respingimenti collettivi ai libici ed ai tunisini, senza alcun rispetto per gli obblighi di salvataggio della vita umana in mare, imposti agli Stati dalle Convenzioni internazionali.
Per i governi europei 130 persone annegate in quattro giorni sono solo “effetti collaterali” della guerra “globale” ai trafficanti, se non agli scafisti, e conseguenza della difesa delle frontiere europee. Scelte politiche infami che condannano a morte chi e’ costretto a fuggire in mare.
9 AGOSTO 2023
Collective #pushback by proxy! Yesterday we learned that a boat with 24 people who had alerted us when in the #Malta SAR zone was pushed back to #Libya. The boat had lost its way in a storm and was later discovered by a merchant vessel. 1/3
The merchant vessel PGE TORNADO rescued the people but #Malta, #Italy & #Greece all refused to assign a port of safety and the merchant vessel was told to return the people to Libya. They are now imprisoned. 2/3
The group is now in #Misrata, separately imprisoned in two centres. Some of them are sick and they fear deportation to #Syria and #Egypt. There are 9 children among them. We call on the authorities to immediately release them! 3/3