di Fulvio Vassallo Paleologo
1. Nei giorni in cui il Parlamento sta convertendo in legge il Decreto “Piantedosi” n.1 del 2023, la situazione a Lampedusa ritorna ad essere drammatica, oltre 3000 migranti provenienti dalla Libia e dalla Tunisia stipati in condizioni disumane in un centro che ne dovrebbe contenere al massimo 300, ed i libici riprendono a minacciare le navi civili di soccorso, mentre il ministro dell’interno del governo provvisorio di Tripoli incontra i vertici del Viminale per concordare ulteriori aiuti per contrastare soccorsi ormai qualificati come immigrazione illegale. Sono tutti tasselli di una politica che in nome del popolo italiano e della maggioranza schiacciante in Parlamento, frutto del successo elettorale delle destre, continua a violare sistematicamente il diritto internazionale e la normativa eurounitaria sui soccorsi in mare (Reg. UE n.656 del 2014). Per il ritiro del decreto legge n.1 del 2 febbraio scorso si erano pronunciati la Relatrice per i difensori dei diritti umani delle Nazioni Unite, Mary Lawlor, il Commissario ai diritti umani del Consiglio d’Europa, numerosi parlamentari tedeschi. La Commissione Europea e prima ancora l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite con un documento del primo dicembre 2022 avevano sollecitato una regolamentazione delle attività di ricerca e salvataggio nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale che realizzasse compiutamente i doveri di coordinamento e di intervento nelle attività SAR degli Stati costieri, senza ulteriori ostacoli nei confronti delle navi civili delle Organizzazioni non governative.
Il governo maltese conferma intanto la sua linea di non intervento ed addirittura arriva al punto di commettere una evidente omissione di soccorso, ordinando ad una nave commerciale in navigazione in acque internazionali, nella zona SAR di competenza maltese, di non procedere ad un soccorso che sarebbe stato imposto dalle Convenzioni internazionali. Malta non ha ancora ratificato del resto l’emendamento alla Convenzione SAR di Amburgo del 2004 che impone allo Stato titolare della zona SAR di concedere un porto di sbarco alle persone soccorse in quell’area, quale che sia la nave, militare o civile che opera i salvataggi. E’ quindi inutile che il governo italiano continui a tirare in ballo la competenza di Malta per la indicazione di un porto di sbarco sicuro, soprattutto dopo che il Tribunale di Roma ha riconosciuto la responsabilità delle principali autorità marittime italiane, nel caso Libra, per il mancato coordinamento tra queste autorità e quelle maltesi, che produsse poi ritardi fatali nei soccorsi e centinaia di vittime. Tutto scritto nero su bianco in una sentenza che pur dichiarando la perscrizione dei reati, accerta responsabilità non si può continuare a nascondere.
Vediamo anche che il governo italiano sta facendo passare a colpi di fiducia, come se non bastasse la larga maggioranza di cui dispone, con un decreto legge (n. 1 del 2023) sulla “gestione dei flussi migratori”, misure che tendono soltanto ad allontanare le ONG dalla zona dei soccorsi in acque internazionali, quella nella quale più frequentemente si verificano i naufragi, sulle rotte dalla Libia e dalla Tunisia verso la Sicilia, sulle quali si vuole lasciare spazio libero alle incursioni violente della sedicente Guardia costiera “libica”. Anche se tutti i politici di governo sanno, o dovrebbero sapere, quale è la sorte dei migranti riportati in Libia, decine di migliaia ogni anno, la maggior parte dei quali non finisce neppure nei centri lager disseminati sul territorio ma viene fatta sparire nel nulla dello sfruttamento schiavistico e degli abusi fisici, nelle mani delle milizie che ne fanno commercio, o sotto i comandi di padroni libici. Ma per il governo italiano tutto questo non rileva e anzi si nasconde la realtà della Libia, ancora divisa e controllata da milizie che non si riconoscono in un unico governo, e priva di una unica centrale di coordinamento dei soccorsi in mare (MRCC).Che sarebbe imposta dalle Convenzioni internazionali per il riconoscimento di una zona Sar di competenza di uno Stato costiero.
2. La realtà dei fatti è più forte della propaganda di governo, e questo spiega anche i silenzi del governo e dei media conniventi, di fronte a situazioni esplosive come il sovraffollamento del centro Hotspot di Contrada Imbriacola a Lampedusa, o come gli attacchi e le minacce che i guardiacoste libici rivolgono alle poche navi delle ONG che ancora riescono ad operare attività di soccorso in acque internazionali. Evidentemente non sono bastate le sonore sconfitte subite dal governo Meloni sugli “sbarchi selettivi” che si volevano imporre a Catania all’inizio di novembre dello scorso anno, o sulla competenza dello stato di bandiera nella ricezione delle domande di asilo, tesi cara alla difesa del ministro Salvini nel processo Open Arms a Palermo. Ma completamente disintegrata dalla ferma posizione assunta congiuntamente dalla Commissione europea e dai principali Stati dell’Unione che hanno anche respinto il ricatto italiano di trattare sulla ricollocazione dei naufraghi prima che fosse autorizzato lo sbarco a terra in un porto sicuro. Come prevede peraltro l’articolo 10 ter del Testo Unico sull’immigrazione n.296/98 (e succ. aggiornament)i.
La “guerra” condotta dal governo contro i soccorsi umanitari, ed il ritiro dei mezzi militari italiani e maltesi dalle acque a sud di Lampedusa, continuano a produrre vittime, e costituiscono la principale causa dell’ammasso di corpi, ristretti al di fuori di ogni previsione di legge, all’interno del Centro Hotspot di Contrada Imbriacola a Lampedusa. Una situazione che andrebbe denunciata ancora una volta alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, che già nel 2014 ha condannato l’Italia per gli abusi commessi proprio in quel centro ai danni di alcuni cittadini tunisini. Ma anche una situazione sulla quale starebbe indagando la Procura di Agrigento, soprattutto dopo la morte di una donna, e non è la pima vittima all’interno del centro, riportata nell’Hotspot due giorni fa dalla Guardia medica dell’isola, dopo una sommaria visita, richiesta per i malori che lamentava. In ogni caso, le responsabilità della situazione nel centro di Contrada Imbriacola non si possono scaricare soltanto sull’ente gestore, come sta tentando di fare la Prefettura di Agrigento, ma risalgono direttamente alle scelte del ministero dell’interno.
Se le navi delle Organizzazioni non governative fossero state ancora presenti in acque internazionali, in numero pari agli sforzi fatti da tanti cittadini solidali che si sono attivati per finanziarle, senza trasferimenti dilatori per centinaia di miglia, verso destinazioni di sbarco sempre più lontane, e se i mezzi della Guardia costiera, piuttosto che tentare inutilmente di effettuare trasferimenti da Lampedusa verso altri porti siciliani, fossero state stabilmente impegnate in acque internazionali, per soccorsi immediati, la situazione nel centro dell’isola non sarebbe degenerata al punto di infliggere trattamenti inumani e degradanti alle persone, molti i minori, trattenuti illegalmente all’interno della struttura. Infatti come avveniva dal 2014 (Operazione Mare Nostrum), fino al Memorandum d’intesa Gentiloni (2 febbraio 2017) ed al codice di condotta Minnti (agosto 2017), la presenza di 10 – 15 assetti navali di soccorso, militari e civili, nelle acque del Canale di Sicilia, permetteva alla Centrale operativa della Guardia costiera di Roma di distribuire gli sbarchi in tutta sicurezza e con la massima tempestività, nei porti di Trapani, di Porto Empedocle, di Pozzallo, di Augusta (Siracusa), di Catania, di Messina, di Palermo, se non nei porti calabresi. E da questi porti bastavano gli autobus per ritrasferire i naufraghi verso centri di accoglienza in tutta l’Italia. Ci sono i rapporti della Guardia costiera italiana degli anni dal 2014 fino al 2017, che lo confermano e dimostrano ancora oggi che le crisi esplosive di Lampedusa, oggi, come nel 2011, ai tempi di Alfano, sono frutto di scelte politiche errate e non di emergenze prodotte da “flussi migratori” imprevedibili. Negli ultimi annii7
tutti i dati sui soccorsi in mare sono stati silenziati persino nelle comunicazioni pubbliche e nei rapporti annuali diffusi dalla Guardia costiera.
3. Con la definitiva conversione del Decreto legge n.1 del 2023 questa situazione si potrà aggravare ulteriormente, perchè il potere discrezionale del ministro dell’interno di assegnare porti di destinazione sempre più lontani e di sanzionare, tramite la longa manus dei prefetti, qualunque soccorso che implichi una deviazione dalla rotta assegnata a discrezione del Viminale dopo il primo salvataggio in acque internazionali, produrrà l’effetto di un ulteriore allontanamento dei mezzi di soccorso dal Mediterraneo centrale, dove i libici potranno spadroneggiare, con il supporto delle ultime unità navali donate dal governo di Roma. Sempre che non prevalgano ancora una volta le organizzazioni criminali ben collegate con il governo di Tripoli, come nel caso delle milizie di Zawia e di Sabratha, che sono organiche a quello stesso governo che invia in missione a Roma un ministro dell’interno di dubbia affidabilità. Si sono visti del resto, sul numero delle persone comunque fatte partrire dalla Libia, con l’evidente assenso di chi controlla i punti di partenza, quali sono stati gli esiti fallimentari del vertice dei responsabili italiani e libici della sicurezza, al più alto livello, che si è tenuto a Tripoli il 28 dicembre scorso, proprio lo stesso giorno in cui il governo varava il Decreto legge poi pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 2 gennaio di quest’anno.
Sarebbe bene ricordare che la previsione della sovranità popolare contenuta nell’art.1 della Costituzione, contiene limiti ben precisi per il suo esercizio, e che per effetto dell’art.117 della stessa Costituzione il legislatore deve rispettare il sistema gerarchico delle fonti che stabilisce la prevalenza del diritto internazionale e della normativa europea cogente, come il Regolamento n.656 del 2014, su tutte le norme di una legge nazionale, come il Decreto legge n.1 del 2023, in corso di approvazione in Parlamento.
Non si può quindi continuare ad affermare, come sta facendo anche il ministro Salvini per difendersi dalle accuse nel processo Open Arms a Palermo, che la volontà popolare e la maggioranza in Parlamento, e dunque divieti di sbarco o di soccorso imposti in base a leggi nazionali, consentono di scavalcare le previsioni che disciplinano le attività di ricerca e salvataggio in base alle Convenzioni internazionali, Tra le quali, oltre alle Convenzioni di diritto del mare (UNCLOS, SAR, SOLAS), va ricordata la Convenzione di Ginevra del 1951 che garantisce a tutte le persone, comunque arrivino, il diritto di chiedere asilo in frontiera e vieta i respingimenti (art.33) quando possono mettere a rischio la vita o la libertà delle persone. Principi questi che sono stati ribaditi anche dalla Corte di Cassazione nel caso Rackete (Cassazione n.6626 del 16 febraio 2020), ma che oggi si tende a dimenticare, quando si approvano i decreti legge proposti dal governo.
Il Decreto legge n.1 del 2023, attualmente in fase di conversione, ma già ostacolo per i soccorsi in mare pone questioni da affrontare con il criterio dell’ordine gerarchico delle fonti normative, imposto dagli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione, e ribadito dalla Corte di Cassazione, dunque tenendo conto delle prescrizioni vincolanti delle Convenzioni internazionali e dei Regolamenti europei.
Una di queste questioni, che viene sollevata per criminalizzare le operazioni di ricerca e salvataggio delle Organizzazioni non governative, riguarda la suddivisione del Mediterraneo centrale in zone SAR, zone che non segnano un limite alla giurisdizione degli Stati, ma prefigurano semplicemente delle competenze e delle responsabilità, attribuite alle autorità statali, in Italia, secondo la vigente legislazione ed il Piano Sar nazionale del 2020, al Ministero dell’interno, al Mnistero delle infrastrutture, al Ministero della difesa, ed a livello operativo, alla Centrale di coordinamento della Guardia costiera (IMRCC) ed al Coordinamento della Marina militare (CINCNAV). In base alle Convenzioni internazionali (UNCLOS, SAR, SOLAS) al di là della distinzione delle zone SAR, tutti gli Stati costieri comunque informati di un evento di soccorso hanno l’obbligo di coordinare gli interventi e di attivarsi tempestivamente, anche al di fuori della propria area di responsabilità, se lo Stato che risulterebbe competente in base ai registri IMO (Organizzazione marittima internazionale dell’ONU) non può o non vuole intervenire direttamente con propri mezzi. Il fine superiore da salvaguardare è la protezione della vita umana in mare, e anche l’accesso ad una equa procedura di asilo, che rientra tra i diritti fondamentali della persona, in base all’art. 33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati che sancisce il principio di non respingimento verso paesi nei quali si potrebbero subire trattamenti disumani o degradanti.
Qualunque disposizione di legge, come qualunque provvedimento amministrativo che vada contro questi principi può essere impugnato davanti ai giudici nazionali ed alle corti internazionali. Se il legislatore italiano mantiene una formulazione della norma che fa riferimento anche indiretto (con l’uso del termine “aree di competenza”) ad accordi con paesi terzi o a ripartizioni delle zone SAR(ricerca e soccorso) che comportano l’omissione di interventi di salvataggio, o la collaborazione con autorità militari che non rispettano i diritti umani, come si verifica da anni da parte delle autorità italiane, nei rapporti con il governo provvisorio di Tripoli, la legge può essere disapplicata in nome delle clausole generali di forza maggiore o di stato di necessità.
4. Secondo l’OIM (Organizzazione internazionale delle migrazioni),“la Libia non è un porto sicuro ed il numero delle persone riportate a terra dalla guardia costiera libica non collima con quello delle presenze nei centri di detenzione e questo apre a speculazioni. Queste persone possono essere vendute per lavoro temporaneo o addirittura soggette a richieste di riscatto da parte della famiglia per essere liberate”.
La Tunisia e la Libia non possono garantire porti di sbarco sicuri, malgrado gli sforzi diplomatici italiani, e dunque non possono essere designate come autorità competenti a gestire e coordinare attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali. In proposito basti il rinvio alle posizioni ed alle Linee guida formulate dalle Nazioni Unite nel 2017 e ribadite con un documento nel dicembre del 2022, per non parlare dei rapporti internazionali (Amnesty, Human Rights Watch) che segnalano in questi paesi pesanti violazioni dei diritti dei migranti ed il mancato riconoscimento effettivo del diritto di asilo, con una diffusa violazione del divieto di trattenimento arbitrario e con casi sempre più numerosi di respingimento collettivo illegale. Eppure, dal 2017, l’unica preoccupazione del Viminale è stata la collaborazione con governi che non garativano alcuna tutela per i diritti umani, oltre a non garantire alcun efficace contrasto delle attività delle organizzazioni criminali che sul loro territorio gestivano il traffico di esseri umani. Basti pensare allo scarto tra la realtà storica di questi ultimi anni e quanto dichiarato già nel 2017 circa il coordinamento italiano delle attività di contrasto dell’immigrazione illegale,rilevato anche dal GIP di Catania nel 2018 e sospeso nel 2020 con l’arrivo dei militari turchi che stabilivano una base navale a Khoms.
Secondo un comunicato del ministero dell’interno del 2017 si sarebbe addirittura costituita una “cabina di regia” dei ministri dell’Interno di Ciad, Italia, Libia, Mali e Niger. e si rilevavano “i progressi realizzati dalle autorità libiche e, in particolare, dalla guardia costiera nel salvataggio di vite umane a mare e nel contrasto ai trafficanti di esseri umani“. ,Il 28 dicembre dello scorso anno si tentava ancora una volta, con un incontro a Tripoli, di rafforzare la collaborazione con il governo provvisorio Dbeibah. “Il Ministro designato dell’Interno libico Emad Al-Trabelsi ha esaminato davanti a una delegazione della sicurezza italiana i piani di sicurezza emessi dal Ministero dell’Interno relativi al fascicolo dell’immigrazione clandestina e le ripercussioni che ne derivano. La delegazione italiana, che ha incontrato Al-Trabelsi presso la sede del Dipartimento Relazioni e Cooperazione a Tripoli, comprendeva funzionari del Ministero dell’Interno, il Comandante in Capo della Polizia, il Direttore del Dipartimento Immigrazione e un numero di funzionari.”
Con questi incontri tra i ministri dell’interno italiano e libico, e con le missioni diplomatiche italiane in diversi paesi nordafricani, la storia si ripete. Se si è arrivati alla situazione odierna di totale negazione dei diritti della persona migrante, ed ai respingimenti su delega ai libici, le responsabilità partono da molto tempo indetro, ma ancora oggi, alla violazione del diritto internazionale corrisponde una totale inefficacia dell’assistenza tecnica-operativa e dei rifornimenti di mezzi e attrezzature, lautamente finanziati anche dall’Unione Europea in favore della sedicente guardia costiera libica. Sono aumentate le vittime di naufragio o di abbandono in alto mare, e le persone intercettate in acque internazionali e ricondotte a forza in Libia, ma non sono diminuiti gli arrivi in Italia, e non certo per la presenza delle navi del soccorso civile, che sono state allontanate con tutti i mezzi.
5. Di fronte ai porti di destinazione assegnati alle navi delle ONG dopo i soccorsi operati negli ultimi mesi ( Napoli, Civitavecchia, Livorno, La Spezia, in Tirreno, Taranto, Ortona, Ancona, addirittura Ravenna in Adriatico) e dopo la acquiescenza delle ONG a queste assegnazioni vessatorie dei porti di sbarco da parte del ministro dell’interno, quando le navi dopo i primi soccorsi sono ancora quasi vuote, occorre una riflessione sulle modalità di prosecuzione delle attività SAR di ricerca e salvataggio in acque internazionali da parte delle navi civili che operano soccorsi umanitari. Siamo di fronte a provvedimenti amministrativi (l’assegnazione del porto di sbarco),che adesso risultano attuazione di un decreto legge, dunque di una legge dello Stato, che si pongono contro il diritto internazionale che non prevede alcuna discriminazione tra i naufraghi soccorsi in acque internazionali e tra le imbarcazioni che operano i soccorsi, non penalizzando i cd. soccorsi multipli. Che peraltro hann,o costituito la prassi generalmente seguita fino al 2017. Le Convenzioni internazionali non sono mutate per effetto di decreti legge “sicurezza” e non vietano una presenza continuativa in acque internazionali, al fine di effettuare più soccorsi, in acque peraltro, che rientrano in una zona SAR di un paese (la LIbia) che non garantisce porti sicuri di sbarco, o di un paese (Malta) che non ha sottoscritto gli ultimi emendamenti alle Convenzioni internazionali di diritto del mare,e dunque si rifiuta di garantire quel porto di sbarco sicuro che le stesse Convenzioni imporrebbero. Quello che non è vietato a livello internazionale, in acque internazionali, non può essere vietato dal legislatore nazionale o dal ministro dell’interno, quando sono in gioco il diritto alla vita, il superiore interesse del minore, il diritto di accedere ad una procedura equa di asilo, il divieto di respingimenti collettivi, il divieto di trattamenti inumani o degradanti. Sono queste le ragioni che fanno dubitare della costituzionalità del Decreto legge n.1 del 2023 che il governo sta cercando di fare convertire in legge dal Parlamento.
Quanto previsto dal Decreto legge, prima anticipato nella prassi imposta dal Ministero dell’interno, va contro la previsione contenuta nell’allegato alla Convenzione SAR di Amburgo del 1979, nella parte in cui si prevede che lo sbarco dei naufraghi deve avvenire nel tempo più breve ragionevolmente possibile, e si infrange sul principio di contraddizione. Ora, se il governo italiano impone alle navi delle ONG e soltanto a loro, di fare rotta verso il porto assegnato con la massima rapidità possibile senza procedere ad ulteriori soccorsi in acque internazionali, ma poi assegna porti di destinazione a quattro giorni di navigazione, è evidente che la finalità perseguita dal Viminale è esclusivamente quella di rallentare al massimo le attività di ricerca e salvataggio delle navi umanitarie, a tutto scapito degli obblighi di salvaguardia della vita umana in mare, per laciare spazio agli interventi di intercettazione, piuttosto che di “soccorso” delle motovedette libiche. Obiettivo confermato dalle riunioni tra i vertici del ministero dell’interno libico e di quello italiano da dicembre ad oggi. In questo modo si conferma che la previsione contenuta nel Decreto legge n. 1 del 2023, secondo cui il comandante non potrebe proseguire, dopo il primo salvataggio, una attività di ricerca e soccorso in acque internazionali, dunque non ricadenti nella giurisdizione italiana,non risulta conforme alle Convenzioni internazionali ed al Regolamento Frontex n.656 che le richiama tutte, rendendole direttamemte vincolanti per le autorità italiane.
Anche la previsione contenuta nel Decreto legge n.1 del 2023, confermativa della prassi in atto dall’insediamento di Piantedosi al Viminale, di assegnare porti di sbarco sempre più lontani dai luoghi dei soccorsi, appare in contrasto con le previsioni vincolanti che si possono ricavare dal Diritto internazionale, espressamente richiamato dall’art.117 della Costituzione e dal Regolamento europeo n.656 del 2014, al quale fa ormai riferimento anche la giurisprudenza italiana.
Secondo la Convenzione di Amburgo SAR del 1979, e l’Allegato che ne costituisce parte integrante, «Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione (Marittima Internazionale). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile».
Il raggiungimento del porto di sbarco “nel più breve tempo ragionevolmente possibile”, come stabilisce il paragrafo 3.1.9 dell’allegato alla Convenzione SAR del 1979 non è soltanto nell’interesse del comandante e dell’armatore della nave che deve raggiungere un porto come destinazione commerciale e non si può permettere deviazioni che lo facciano ritardare rispetto al raggiungimento del porto di destinazione. La stessa previsione, che si applica anche a tutte le imbarcazioni che non hanno una rotta prefissata, come i pescherecci, corrisponde all’interesse dei naufraghi, già provati dalla navigazione su una imbarcazione priva di mezzi di sostentamento e di soccorso, costretti a bordo di un mezzo fatiscente e sovraffollato, in alto mare, spesso per giorni, che dopo essere stati soccorsi da una nave non possono essere costretti a restare in balia delle decisioni del ministro dell’interno che assegna a discrezione un porto di destinazione. La motivazione che l’assegnazione dei porti di sbarco tanto lontani viene fatta per non ingolfare il sistema di acolglienza delle regioni più esposte agli arrivi di migranti non regge alla prova dell’esperirenza storica, perchè per anni i naufraghi sbarcati in Sicilia o in Calbria sono stati trasferiti in poche ore verso le regioni centro settentrionali italiane. Dunque le attuali motivazioni del Viminale sulla assegnazione di porti tanto lontani, soltanto alle ONG, e non alle navi militari che prestano soccorsi nelle stesse zone, sono evidentemente pretestuose. In ogni caso, se le autorità italiane assumono di coordinare le navi delle ONG in acque internazionali, dopo il loro allontanamento, ed in presenza certa di altre imbarcazioni di naufraghi, dovrebbero inviare con la massima rapidità mezzi di soccorso della Guardia costiera o della Marina militare, anche nella zona SAR libica e nella zona SAR maltese, cosa che avviene solo in circostanze eccezionali, quando le ONG mettono in mora la Centrale di coordinamento della Guardia costiera italiana.
E’ solo il comandante della nave che in acque internazionali, avvertendo lo Stato di bandiera, e gli Stati costieri titolari di zone SAR limitrofe, può valutare il punto di equilibrio tra la condizione dei naufraghi soccorsi già a bordo e la presenza di ulteriori barconi da soccorrere in una area nella quale, malgrado il riconoscimento di una zona SAR, libica o maltese, le autorità più direttamemte responsabili non sono evidentemente in grado di adempiere agli obblighi di soccorso stabiliti dalle Convenzioni internazionali, valutazione sulla quale non può certo interferire un ministro o un prefetto. La giurisdizione in acque internazionali, al di fuori della zona SAR nazionale, si può esercitare, con i correlati poteri di coercizione, quando si assume il coordinamento dei soccorsi, non prima.
6. I comandanti della Sea Watch a Lampedusa nel 2019, ed ancora della Humanity 1 nel porto di Catania a novembre dello scorso anno, ma di comandanti ne potremmo citare anche altri che hanno disobbedito ad ordini palesemente illegittimi, sono finiti a processo o hanno rischiato l’apertura di un procedimento penale o amministrativo, non perchè intendevano compiere atti di disobbedienza civile, ma perchè in questo modo hanno adempiuto ad un dovere di soccorso imposto dalle Convenzioni internazionali. Come è stato riconosciuto dalla Corte di Cassazione nel caso Rackete, con la sentenza n.6626 del 2020, ed in altre sentenze delle corti di merito, fino all’ultima decisione del Tribunale di Catania, sul caso degli sbarchi selettivi che voleva imporre il VIminale, ordinando al comandante della Humanity 1 di lasciare il porto con il “carico residuale“. Ordini ai quali il comandante della nave si è opposto, non con un atto di disobbedienza, ma con un coraggioso adempimento di un dovere di di soccorso imposto dalle Convenzioni internazionali, e tra queste anche la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, contro una direttiva illegittima del ministro dell’interno. Un dovere di soccorso che, come conferma la Corte di Cassazione nella sentenza Rackete, comprende anche lo sbarco a terra in un porto sicuro. Non si tratta di migrazioni illegali, o di clandestini, come sostengono oggi Piantedosi e Trabelsi all’unisono, ma di ingresso per ragioni di soccorso, di naufraghi e richiedenti asilo. Chi nega questi status alle persone sbarcate in Italia, in maggior parte in autonomia, perchè le ONG operano ormai solo nel 10-12 per cento dei casi, si pone già solo per questa ragione al di fuori dello stato di diritto e del rispetto del diritto internazionale e dei Regolamenti europei.
Rimane quindi una scelta e una sola. opporsi all’applicazione di norme palesemente incostituzionali ed in contrasto con le Convenzioni internazionali e con i Reolamenti europei. Qualunque ulteriore acquiescenza ad ordini palesemente illegittimi rischia di consolidare prassi amministrative in contrasto con le Convenzioni internazionali e con le normative cogenti europee. Significa accettare lo svuotamento del Mediterraneo centrale da navi di soccorso che potrebbero salvaguardare la vita di centinaia di persone altrimenti abbandonate a navigazioni “in autonomia” che potrebbero concludersi con un naufragio o a intercettazioni da parte delle motovedette libiche, e dunque ad ulteriori segregazioni nei centri di detenzione o alle dipendenze di padroni senza scrupoli in Libia.
Migranti: Piantedosi incontra omologo libico Trabelsi = (AGI) – Roma, 21 feb. –
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha ricevuto oggi a Roma una delegazione libica guidata dal suo omologo Imad Mustafa Trabelsi. L’incontro rappresenta la prima riunione operativa che segue al rilancio del dialogo strategico tra i due Paesi, in materia migratoria e di sicurezza, avviato in occasione della missione congiunta, il 28 gennaio a Tripoli, del Presidente del Consiglio dei Ministri, del Ministro degli Affari Esteri e del titolare del Viminale. Durante il bilaterale, nel corso del quale e’ stata sottolineata la rilevanza delle proficue sinergie gia’ in atto tra Italia e Libia, e’ stato discusso il tema del contrasto al traffico di Migranti ed un focus e’ stato dedicato alla cooperazione tra le forze di polizia italiane e libiche nella lotta alla criminalita’ organizzata e nell’attivita’ di prevenzione e contrasto al terrorismo. I ministri Piantedosi e Trabelsi, prima del bilaterale al Viminale, hanno dato ufficialmente avvio, presso la Scuola Superiore di Polizia, ai lavori della task force Italia – Libia: un nuovo strumento operativo che consentira’ di condividere azioni comuni in materia di sicurezza e immigrazione. (AGI)

EMERGENCY ·
La sera del 14 febbraio alle ore 21, la Life Support è stata avvicinata da un mezzo veloce che ha effettuato manovre azzardate e intimidatorie senza identificarsi e senza dare alcun tipo di comunicazione, nonostante la Life Support abbia chiesto ripetutamente un contatto radio.
La Life Support stava effettuando da domenica attività di ricerca e soccorso al di fuori dalle acque territoriali libiche, dopo averne informato sia le autorità italiane sia le autorità libiche e senza aver ricevuto nessun coordinamento.
EMERGENCY ha scoperto ieri che il mezzo in questione apparteneva alle SSA (Stability Support Apparatus, un organismo dipendente dal ministero dell’Interno libico).
Denunciamo le intimidazioni ricevute e le manovre azzardate nei nostri confronti da parte di un mezzo che appartiene a forze di sicurezza libiche. Confermiamo che la nostra nave si trovava a oltre 25 miglia nautiche dalla costa libica, quindi a debita distanza delle acque territoriali che terminano a 12 miglia, come riscontrabile dagli apparati di navigazione presenti a bordo.
Il nostro mandato è e rimane soccorrere vite in mare, un bisogno confermato anche dai naufragi avvenuti in questi giorni.