Un fermo elettorale per la Sea Watch 3

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. Oggi, dopo una ispezione in porto (PSC) durata oltre 13 ore, a Reggio Calabria, la locale Capitaneria di Porto ha disposto il fermo amministrativo della nave umanitaria Sea Watch 3, arrivata il 17 settembre scorso con 427 migranti, dopo l’ennesima ingiustificabile attesa di un porto di sbarco sicuro.

Le autorità hanno bloccato la nave con la contestazione “di aver soccorso troppe persone». Non si conoscono ancora i dettagli dei provvedimenti adottati dopo la visita a bordo della solita squadretta di ispettori, ma quanto emerge dalle dichiarazioni dei rappresentanti della ONG e la cadenza temporale, a pochi giorni dalle elezioni politiche, lasciano poco spazio ai dubbi. Per quanto risulta, l’ultimo fermo amministrativo disposto contro la Sea Watch 3 appare in contrasto con quanto deciso recentemente dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha posto freno al ricorso generalizzato dei fermi amministrativi nei confronti delle navi delle ONG.

Per i giudici europei, e secondo la logica del diritto, non disgiunta da un minimo di umanità, non possono essere considerati “passeggeri” i naufraghi che vengono soccorsi in mare, e le navi delle ONG non possono essere costrette a dotarsi di ulteriori certificazioni dello Stato che è obbligato a garantire il porto di sbarco (POS), certificazioni che in passato le autorità italiane hanno invece richiesto a loro discrezione. Nel caso dell’Italia queste certificazioni non sono peraltro previste neppure dai registri del naviglio civile ed erano frutto di richieste arbitrarie da parte delle autorità amministrative.

Secondo la Corte UE di Lussemburgo, “lo Stato di approdo non può imporre che venga provato che tali navi dispongono di certificati diversi da quelli rilasciati dallo Stato di bandiera o che esse rispettano tutte le prescrizioni applicabili a una diversa classificazione. Peraltro, nel caso in cui l’ispezione riveli l’esistenza di carenze, lo Stato di approdo può adottare le azioni correttive che ritenga necessarie. Tuttavia, queste ultime devono, in ogni caso, essere adeguate, necessarie e proporzionate. Lo Stato di approdo non può poi subordinare la revoca del fermo di una nave alla condizione che tale nave disponga di certificati diversi da quelli rilasciati dallo Stato di bandiera”.

Le autorità della Capitaneria di Porto di Reggio Calabria, come si è verificato in occasione di altri fermi amministrativi di navi delle ONG, non hanno certo agito di propria iniziativa, ma si sono mosse secondo una linea operativa ormai nota, frutto di scelte politiche di governo, mirata a rendere sempre più difficili i soccorsi in mare delle Organizzazioni non governative, per svuotare il Mediterraneo centrale di mezzi di soccorso inviati dalla società civile e dai cittadini solidali. Nelle acque internazionali, ripartite in una zona SAR “libica”,priva di una unica centrale di coordinamento, una enorme zona SAR maltese, nella quale La Valletta non sempre invia soccorsi, ed una più limitata zona SAR italiana, al di fuori della quale le nostre unità militari vanno di rado, gli Stati omettono sistematicamente di adempiere ai loro obblighi di soccorso, violando le Convenzioni internazionali e mantenendo accordi di cooperazione operativa con paesi terzi che non rispettano i diritti umani, come nel caso della Libia. Funzionale allo svuotamento del Mediterraneo centrale, ed al maggior ruolo attribuito alle motovedette libiche, è il rallentamento, se non la sospensione, delle attività di soccorso delle ONG in acque internazionali, attraverso le procedure di fermo amministrativo.

Con il fermo amministrativo delle navi che potrebbero salvare vite in mare, si cerca di dimostrare una efficacia dissuasiva delle politiche dei controlli in mare, strumentale al contenimento degli arrivi in Italia. Una politica di morte che è già costata troppe vite, e che ha condannato migliaia di persone alla deportazione in Libia, dopo essere stati intercettate dalla sedicente Guardia costiera “libica”, anche nella zona di ricerca e salvataggio maltese. Intanto detenzioni arbitrarie, pratiche estorsive ed abusi innominabili si ripetono in quel paese, sotto gli occhi indifferenti della comunità internazionale e delle autorità italiane che si apprestano a lasciare scorrere, il prossimo 3 novembre, qualunque sia il governo, il termine di proroga automatica del Memorandum d’intesa concordato nel 2017 da Gentiloni e Minniti con le autorità di Tripoli.

2. Come ha dichiarato Johannes Bayer, membro del consiglio di amministrazione di Sea Watch: “Poco prima delle elezioni politiche, le autorità italiane stanno intensificando la criminalizzazione della migrazione e del soccorso civile in mare. Stanno ancora una volta cercando di impedirci di garantire il diritto alla vita e alla sicurezza delle persone in pericolo in mare. Nonostante i reiterati ostacoli, continueremo senza sosta il nostro lavoro di protezione e di assistenza delle persone in pericolo”.

La criminalizzazione dei soccorsi in mare si rinnova, oggi con un nuovo fermo amministrativo, e potrebbe aggravarsi nelle prossime settimane, in occasione dei processi penali Open Arms/Salvini a Palermo (2 dicembre la prossima udienza) e Iuventa a Trapani (29 ottobre la prossima udienza). Le residue attività di ricerca e salvataggio delle ONG in acque internazionali potrebbero diventare di nuovo un tema di “distrazione di massa” dopo la prossima scadenza elettorale, mentre si nascondono i venti di guerra che soffiano anche sul Mediterraneo e in Africa, come nell’Europa centrale, e si chiudono tutte le vie di accesso per i potenziali richiedenti asilo che cercano di arrivare sulle coste europee. Del resto, forze politiche che non hanno uno straccio di programma per affrontare davvero le questioni internazionali, la crisi ambientale, e i devastanti problemi sociali interni, torneranno, come in passato, ad agitare lo spauracchio dell’invasione per consolidare il consenso elettorale e spingere verso una svolta autoritaria il paese. Come tentò Salvini quando chiese i pieni poteri nel 2019,per bloccare le attività di soccorso in mare imposte dalle Convenzioni internazionali.

Si nascondono gli obblighi di soccorso degli Stati previsti dalle Convenzioni internazionali, e per l’Italia, dal Piano Sar Nazionale del 2020, e si ignorano persino le decisioni della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, secondo le quali le attività di salvataggio sono attività dovute a prescindere dal numero delle persone soccorse. Nessuno può essere lasciato a morire in mare soltanto perché la nave soccorritrice non è abilitata per il trasporto di un numero più elevato di passeggeri.

Alla vigilia di una stagione nella quale si può prevedere il ritorno a divieti di ingresso in porto già dichiarati illegittimi da parte della giustizia amministrativa e della stessa Corte di cassazione occorre prendere atto del fallimento dei tentativi di negoziazione da parte delle ONG nei confronti del Ministero dell’interno e delle autorità marittime, per concordare una collaborazione operativa nelle attività di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale. Dopo la decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che poneva precisi limiti nei confronti dei fermi amministrativi “pretestuosi” disposti contro le ONG non si è andati oltre sul piano giudiziario per fare valere nei confronti dei diversi ministeri competenti pretese risarcitorie che si fondano su mesi e mesi di blocco ingiustificato delle navi umanitarie.

 Il fermo amministrativo di una nave di una ONG, che avrebbe potuto operare attività di ricerca e salvataggio nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale, può configurare un danno grave ed irreparabile, tanto per le ONG coinvolte, costrette a tenere ferme in porto navi dai costi giornalieri comunque assai elevati, tenendo conto della natura non commerciale della loro attività, basata sulla raccolta fondi tra i donatori e sul volontariato, e soprattutto per le persone che tentano la traversata e che, ancora in questi mesi, si possono trovare privati di una sia pur minima possibilità di soccorso in alto mare, dopo che gli Stati competenti e l’Agenzia europea Frontex hanno ritirato i loro assetti navali presenti in passato nelle acque internazionali tra il nord-africa, Malta e la Sicilia

L’ultimo fermo amministrativo disposto contro la Sea Watch 3 a Reggio Calabria costituisce il suggello di un periodo di tempo, segnato dalla presenza della ministro Lamorgese al Viminale, nel quale gli eventi di soccorso sono stati declassati ad eventi migratori e quindi gestiti con attese di settimane per le persone soccorse mentre erano in procinto di annegare. Queste lunghe fasi di stand by sono state possibili perché non si è contestato con la necessaria fermezza, e dunque con denunce, il rifiuto di dichiarare lo stato di emergenza (distress) nel quale si venivano a trovare barconi fatiscenti, sovraccarichi e privi di mezzi di salvataggio, e la mancata tempestiva indicazione di un porto di sbarco sicuro (POS) da parte del Viminale. Mentre si attendeva giorni su giorni l’assegnazione di un porto di destinazione (POD), come se i naufraghi fossero comuni passeggeri, ancorché privi di un titolo di ingresso in Italia, e dunque spacciati all’opinione pubblica italiana come “clandestini”. E’ chiaro da tempo, lo denunciava anche Altreconomia, come da parte del Ministero dell’interno si sia operato un” cambio di “etichetta”, da naufrago da soccorrere a soggetto “scortato o preso a bordo da assetti navali nazionali al di fuori di interventi Sar”, sempre per usare le parole del ministero”. E questa valutazione ha permesso prima la dilazione nella indicazione del porto di sbarco e poi la ulteriore criminalizzazione delle ONG, con la pratica dei fermi amministrativi. Ma domani, questa stessa qualificazione, potrebbe riaprire la fase dei procedimenti penali, per adesso conclusa nella maggior parte dei casi, con una serie di provvedimenti di archiviazione.

Le ONG avrebbero dovuto denunciare subito questa linea “negazionista” (degli eventi di soccorso) adottata dal Viminale, ma prima dell’assegnazione del “porto di destinazione” (POD) si è accettata una lunga attesa, nella quale le condizioni delle persone soccorse a bordo, dopo essere state già vittima di gravi abusi in Libia e di abbandono in mare, si sono deteriorate ben oltre i limiti segnati dal rispetto della dignità umana. Gli eventi di soccorso (SAR) vanno invece affrontati dagli Stati con la tempestività che impongono le Convenzioni internazionali, senza deroghe inserite in base a normative interne. In questi casi, chi non rispetta le leggi internazionali va denunciato e non ringraziato, quando consente finalmente lo sbarco a terra dei naufraghi, ormai giunti allo stremo delle forze.

3. Appare ormai evidente come, dopo le elezioni del 25 settembre, e dopo questo fermo amministrativo adottato con raro tempismo, in contrasto con quanto deciso dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, il clima di confronto instaurato dal ministro Lamorgese, che subito dopo il suo insediamento aveva convocato le ONG al Viminale, sia definitivamente finito. Nessuno può pensare del resto che interventi di governi europei, in un momento in cui si rischia il conflitto nucleare nel cuore dell’Europa, possano rivolgersi al sostegno delle attività di soccorso in mare nel Mediterraneo. Semmai il rischio è proprio che questo clima di guerra possa legittimare soluzioni ancora più drastiche di chiusura contro chi fugge verso l’Europa per fare valere il proprio diritto fondamentale d’asilo o di protezione. Si possono prevedere assetti operativi ed accordi di chiusura delle frontiere in contrasto con il diritto interazionale e con la normativa europea, come il Codice frontiere Schengen ed il Regolamento Frontex n.656 del 2014, ma capaci di costare la vita di migliaia di persone, a vantaggio della propaganda dei partiti nazionalisti e populisti.

Ritorna un tempo di forte conflittualità in cui il diritto al soccorso in mare dovrà essere fatto valere con scelte di disobbedienza civile ad ordini illegittimi, come aveva fatto la comandante Carola Rackete nel 2019, adesso assolta da tutte le accuse, entrando in porto a Lampedusa contro i diktat di Salvini. E sarà anche il tempo per denunciare tutte le omissioni di soccorso a carico degli Stati ed il mancato coordinamento tra le autorità marittime, a partire dai processi penali che sono ancora aperti, tanto nei confronti delle ONG, a Trapani ed a Ragusa, quanto nei confronti del senatore Salvini a Palermo o di esponenti della Guardia costiera e della Marina a Roma.

Nessuno potrà reiterare impunemente scelte di governo, come i decreti sicurezza, che sono state disattese sia dalle Corti italiane che dalla giustizia internazionale. Se ci proveranno ancora, troveranno una diffusa mobilitazione, attività in rete di contro-informazione, azioni di disobbedienza civile e denunce penali, e davanti le Corti europee, perché i diritti umani ed il diritto internazionale, in virtù dei richiami contenuti nella nostra Costituzione (artt. 10,11 e 117) non sono mere enunciazioni di principio, ma limiti precisi all’esercizio di poteri discrezionali (e di propaganda politica) da parte dei governi, limiti posti a salvaguardia della dignità e della vita delle persone.


Fermiamo i crimini contro l’umanità, non le navi umanitarie!

Da alcuni giorni nel porto di Reggio Calabria la Sea Watch3 è sottoposta al fermo amministrativo. L’accusa: aver salvato troppo vite (!).

Il provvedimento di fermo amministrativo adottato dalle autorita’ italiane giunge a pochi giorni dalle elezioni, e costituisce il suggello delle politiche ipocrite di militarizzazione delle frontiere, di ritiro dei mezzi di soccorso dal Mefiterraneo centrale e di sostanziale chiusura verso chi fuggiva dalla Libia. Politiche adottate dai diversi governi nei quali al Viminale e ‘rimasta la ministra Lamorgese responsabile nel 2020 di un decreto che consentiva la chiusura dei porti e prevedeva il ricorso a navi quarantena. Governi che in piena continuita’ hanno utilizzato tutti gli espedienti per rallentare le attività di soccorso delle Ong, che hanno mantenuto gli accordi con la sedicente Guardia costiera libica, che si sono caratterizzati per il costante supporto alle peggiori politiche dell’Unione Europea, quando si trattava di adottare misure di sbarramento e di respingimento nei confronti dei migranti e dei potenziali richiedenti asilo. Non sono bastate neppure importanti decisioni della Corte di Cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea per imporre alle autorità italiane il pieno e tempestivo rispetto degli obblighi di ricerca e salvataggio (Sar) stabiliti dalle Convenzioni internazionali.

Da anni denunciamo le responsabilità di Frontex nelle politiche di respingimento ,dalla rotta balcanica a Ceuta, dal Canale di Sicilia alla Polonia.Con i terribili venti di guerra che soffiano nel cuore dell’Europa si investono preziose risorse per aumentare la costruzione e l’uso di strumenti di morte militarizzando le frontiere. Le navi umanitarie delle Ong sono l’ultimo baluardo d’umanità rimasto nel gigantesco cimitero che è diventato il Mediterraneo.

Le autorità continuano a criminalizzare chi salva e chi si oppone ai muri, impongono controlli arbitrari in totale abuso di potere, tacciono di fronte ai naufragi, come l’ultimo di fronte alle coste della siria, con oltre 80 morti.

Costruiamo una rete euro-mediterranea di Solidarietà e di degna accoglienza, contribuendo ad un’alternativa dal basso alle micidiali politiche della Fortezza Europa. C’impegniamo a partecipare alla campagna contro il rinnovo del vergognoso Memorandum Italia-Libia ed alle iniziative che si articoleranno il prossimo ottobre.

Facciamo nostre le parole di Johannes Bayer, membro del consiglio di Sea-Watch, conclude: “Poco prima delle elezioni generali, le autorità italiane stanno intensificando la criminalizzazione della migrazione e il salvataggio civile in mare. Stanno ancora una volta cercando di impedirci di sostenere il diritto delle persone alla sicurezza e alla vita usando metodi assurdi. Ma non ci riusciranno perché continueremo il nostro lavoro e combatteremo più duramente che mai”.

Siamo tutti complici con le navi umanitarie: Noi vi accusiamo!

Lasciatele andare a salvare vite umane: Giù le mani dalla Sea Watch!

25 settembre 2022
ADIF, CarovaneMigranti, LasciateCientrare, Rete Antirazzista Catanese