Come si trasformano i soccorsi delle ONG in “eventi migratori”.

di Fulvio Vassallo Paleologo

Il Viminale continua a negare ancora oggi, ad Augusta con il caso Ocean Viking, la classificazione di eventi di soccorso (SAR) ed assegna alle Ong, dopo attese disumane in alto mare, attese illegali non giustificabili con la zona Sar maltese, soltanto un POD, che vuol dire porto di destinazione, e non un POS (place of safety) porto sicuro di sbarco, che andrebbe indicato tempestivamente e non dopo una settimana. Il Viminale impone alla Centrale di coordinamento della Guardia costiera ( IMRCC) prassi dilatorie, come se si trattasse di una nave carica di “clandestini” fermata dalla guardia di finanza, se non da respingere, o di una comune nave passeggeri. Una pratica adottata per convenienze politiche per non dare spazio alla propaganda della Meloni e della Lega di governo. Ma del tutto priva di basi legali e di risultati, sia sul piano politico, dove ad ogni sbarco riparte lo sciacallaggio, che a livello operativo. Dipende infatti da questa prassi l’ingolfamento del centro di prima accoglienza di Lampedusa su cui si concentrano i cd. “sbarchi autonomi”, che sono conseguenza del mancato intervento delle autorità italiane in acque internazionali.

Il Piano Nazionale SAR 2020 stabilisce chiaramente, in coerenza con il Diritto internazionale e con la normativa italiana (art. 10 ter T.U. n.286/98) , alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione, gli obblighi di soccorso e sbarco elusi dal Viminale e dalla Centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC), che rifiutano la classificazione dei soccorsi in alto mare come “eventi SAR” e li definiscono, se avvengono in acque internazionali ed intervengono le Ong, come comuni “eventi migratori ” per i quali basta indicare con tutto il tempo che si prende il ministero dell’interno, un porto di destinazione (POD).. Dopo dodici ore dall’ingresso nel porto di Augusta centinaia di persone attendono ancora adesso di potere sbarcare, sotto la pioggia battente, a bordo della Ocean Viking, alla quale è stato indicato il porto di destinazione dopo nove giorni di richieste di un porto sicuro di sbarco, lasciate cadere nel vuoto dal Viminale mentre in mare infuriava la burrasca. Forse non si trovano più navi quarantena disponibili, di certo il sistema di prima accoglienza, demolito dai decreti sicurezza di Salvini, non garantisce un numero sufficiente di posti. E la situazione in Libia, per tutti i migranti intrappolati in quel paese, si aggrava giorno dopo giorno. Le partenze dei migranti dalle coste libiche e tunisine non dipendono dalla volontà dei ministri dell’interno italiani, ma dalle condizioni terribili di negazione dei diritti fondamentali e di mancanza di prospettive di vita che le persone si trovano davanti prima di imbarcarsi per traversate che possono anche costare la vita.

Soltanto quando la Centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC) ritenga sussistere pericolo immediato (distress) per la sicurezza delle persone a bordo di un natante si potrebbe classificare l’evento (destrefa) come evento “S.A.R.” (ricerca e soccorso) facendo scattare senza ulteriore dilazione di tempo tutte le attività di soccorso previste dal DPR 662/1994 e dal Piano Nazionale S.A.R. In tutti gli altri casi invece, come previsto dalle “Linee guida” adottate nel 2009 ai tempi di Maroni al Viminale, la presenza dell’imbarcazione in acque internazionali viene configurata, in base alla Bossi-Fini, soltanto come un “evento migratorio” da affrontare con gli strumenti del cd. law enforcement, come mero contrasto dell’immigrazione irregolare, quindi con un tracciamento della navigazione, e la ricerca di eventuali “navi madre”, sia pure tenendo sotto attenzione la sorte dei migranti dal punto di vista della salvaguardia del diritto alla vita. Con le conseguenze che ne possono derivare sia nei rapporti di collaborazione con le guardie costiere dei paesi di partenza, principalmente l’Egitto, la Libia e la Tunisia, che sotto il profilo della repressione penale di qualunque comportamento potesse costituire “agevolazione dell’immigrazione irregolare” (law enforcement). Si deve invece osservare come tutte le imbarcazioni che partono dalle coste nordafricane sono in condizioni di distress per il sovraccarico e per la mancanza di mezzi collettivi di salvataggio, spesso per la mancanza di carburante o per falle nello scafo, oltre che per la mancanza di equipaggio e di sistemi di comunicazione. La Libia e la Tunisia non costituiscono porti sicuri di sbarco, lo afferma finalmente anche la giurisprudenza italiana. Soccorrere non è mai reato, semmai è reato non soccorrere quando si è obbligati a farlo. Le navi delle ONG che operano soccorsi in acque internazionali adempiono doveri di ricerca e soccorso immediato in conformità delle Convenzioni internazionali, e per questa ragione gli eventi di soccorso in cui intervengono non sono qualificabili come “eventi migratori”, e il loro ingresso nelle acque territoriali e nei porti italiani costituisce completamento di un salvataggio, e non certo l’arrivo in un porto di destinazione (POD).

Le disposizioni adottate il 7 aprile (Decreto interministeriale n.150) e il 12 aprile dello scorso anno ( Decreto del capo della Protezione civile) come conseguenza dello stato di emergenza proclamato a febbraio del 2020 non possono legittimare una qualificazione degli eventi di soccorso in acque internazionali come “eventi migratori”, né possono rendere discrezionale, senza limiti di tempo, la concessione di un porto di sbarco sicuro (POS) da parte del Ministero dell’interno. Lo vieta il principio di gerarchia delle fonti chiaramente indicato dalla prevalente giurisprudenza di merito e dalla Corte di cassazione con la sentenza del 16-20 febbraio 2020 sul caso Rackete.. L’espediente delle navi quarantena, per impedire che le ONG sbarcassero a terra i naufraghi soccorsi in acque internazionali sembra ormai arrivato al punto di caduta. Il fallimento delle navi quarantena è sotto gli occhi di tutti, dunque anche della magistratura.

Anche la prassi dei fermi amministrativi ha sistematicamente travisato la natura degli eventi di soccorso nei quali sono intervenute le ONG, parificando il trasporto dei naufraghi verso un porto sicuro di sbarco, al trasporto di passeggeri operato da navi commerciali, richiedendo i medesimi requisiti di sicurezza e procedendo al fermo amministrativo delle navi delle ONG, come se queste non fossero già classificate dai propri Stati di bandiera ed in regola con le certificazioni previste da questi Stati. Alcune ONG hanno pensato che fosse meglio la linea della trattativa con le Capitanerie di Porto per adeguarsi a prescrizioni prive di basi legali, a partire dalla mancanza nel nostro ordinamento, di una specifica categoria di “navi da soccorso”, per il mero ripetersi delle attività di soccorso alle quali le navi civili sono costrette dalla mancanza di unità navali statali al di fuori delle acque territoriali italiane e maltesi. I fermi amministrativi sono durati per mesi ed hanno gravemente inficiato le opportunità di soccorso dei naufraghi abbandonati nel Mediterraneo centrale, dove le motovedette libiche hanno avuto campo libero per intercettare, sequestrare e riportare a terra chi sperava di fuggire dagli abusi e dalle torture subite in Libia.

In altri casi si sono presentati ricorsi che alla fine sono risultati vincenti, e sui fermi amministrativi si attende ancora la pronunzia pregiudiziale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Gli ultimi “eventi migratori” nei quali sono state coinvolte navi delle ONG, dal 16 agosto ad oggi, si sono conclusi senza che le Capitanerie di porto adottassero altri fermi amministrativi, e da ultimo, dopo un ricorso al TAR di Catania, è stata sospesa anche la procedura di quarantena adottata nei confronti dell’equipaggio della nave umanitaria ResQ, che ha potuto lasciare il porto di Pozzallo senza essere sottoposta a quarantena e a fermo amministrativo. Le prassi imposte dal Viminale su quarantenne e fermi amministrativi cambiano solo per effetto di ricorsi giurisdizionali e decisioni della magistratura, alla quale, dopo il mancato rispetto del ministro dell’interno Salvini dell’ordinanza del Tar Lazio sul caso Open Arms il 14 agosto 2019, adesso si preferisce obbedire, come sarebbe giusto che facessero le autorità politiche e amministrative di fronte ad un provvedimento giurisdizionale. Almeno, in uno Stato di diritto, dovrebbe succedere questo.