Navi quarantena e Covid Hotel, nuove forme di trattenimento amministrativo. Quali basi legali ?

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. L’emergenza da Covid-19 ha inciso in modo sostanziale sulle prassi adottate dalle autorità italiane per garantire un porto sicuro di sbarco ai naufraghi soccorsi in mare, o arrivati autonomamente a Lampedusa e in altri luoghi delle coste italiane. Come si è verificato anche per le misure destinate a contenere la diffusione della pandemia, previste per i residenti nel territorio dello Stato, ancora di più nei confronti delle persone migranti che giungevano in Italia autonomamente via mare, o dopo essere state soccorse dalle navi delle ONG in acque internazionali, o da mezzi della Guardia costiera e della Guardia di finanza, seppure limitate ad operare nelle acque territoriali, l’esercizio della discrezionalità amministrativa ha messo a rischio diritti fondamentali sanciti dalla legge e dalle Convenzioni internazionali.

Il decreto legge 23 febbraio 2020 n. 6 (Misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19), convertito, con modificazioni, dalla legge 5 marzo 2020 n. 13, specifica alcune norme di rango costituzionale che possono essere derogate, tra queste, ma l’elenco non è tassativo, la libertà di circolazione e soggiorno (art. 16 Cost.), la libertà di riunione (art. 17 Cost.) e la libertà di professare la propria fede religiosa (art. 19 Cost, il diritto all’istruzione e alla cultura (artt. 9-33-34 Cost.), la libertà personale (art. 13)[; la libertà d’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.), il diritto al lavoro (artt. 4 e 35 ss. Cost).

Il decreto legge n. 19 del 25 marzo 2020, disciplina le procedure per l’adozione delle misure di contenimento, prevedendo che siano introdotte con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della salute o dei presidenti delle regioni interessate, nel caso in cui riguardino una o alcune specifiche regioni, ovvero del Presidente della Conferenza delle regioni e delle province autonome, nel caso in cui riguardino l’intero territorio nazionale. È anche previsto che, nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, il Ministro della salute possa introdurre le misure di contenimento con proprie ordinanze. Inoltre, per specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario, i Presidenti delle regioni possono emanare ordinanze contenenti ulteriori restrizioni, esclusivamente negli ambiti di propria competenza. In casi di estrema necessità ed urgenza, le misure di contenimento potranno essere adottate dal Ministro della salute, dai Presidenti di regione e dai sindaci, ai sensi dell’art. 32 della l. 23 dicembre 1978 n. 833, dell’art. 117 del d. lgs. 31 marzo 1998 n. 112 e dell’art. 50 del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali.

Sul ricorso ai Decreti del Presidente del consiglio dei ministri (DPCM), il costituzionalista Cesare Mirabelli, già presidente della Corte Costituzionale, ha osservato come :”l’esigenza forte è di esercitare il potere di controllo e di indirizzo del Parlamento, e che le Camere non immaginino di non riunirsi: non esiste una quarantena delle istituzioni”. Anzi, è proprio il Parlamento che deve esercitare con più forza e attenzione il suo ruolo di controllo: “Il ruolo di controllo del Parlamento – ma anche del Presidente della Repubblica – in un momento come questo deve essere ancor più forte”. ​Insomma,   non preoccupa tanto il fatto che ci siano delle limitazioni alla libertà di circolazione per esigenze di sicurezza o sanitarie, casi previsti dalla Costituzione, quanto che il ricorso a queste limitazioni possano diventare un’abitudine. “La nostra Carta prevede anche che” queste limitazioni siano previste “per legge e per un tempo determinato”, sottolinea Mirabelli. Inoltre, aggiunge, “occorre valutare se questi provvedimenti sono adeguati, se è legittima la fonte, Decreto del Presidente del Consiglio o legge che comunque lo autorizzi, e bisogna che si tratti di provvedimenti che prevedano tempi determinati di applicazione”.

Il 7 aprile 2020 il Ministro delle infrastrutture e trasporti, di concerto con quello degli esteri, della sanità e degli interni, ha adottato un Decreto interministeriale (n.150) con il quale si definivano i porti italiani “non sicuri” per le navi battenti bandiera estera e per tutta la durata dello stato di emergenza sanitaria deliberato il 31 gennaio 2020. Il provvedimento veniva giustificato nella parte motiva n relazione alla salvaguardia della “funzionalità delle strutture nazionali sanitarie, logistiche e di sicurezza dedicate al contenimento della diffusione del contagio e di assistenza e cura ai pazienti Covid-19”. E dunque,“in considerazione della situazione di emergenza connessa alla diffusione del coronavirus e dell’attuale situazione di criticità dei servizi sanitari regionali e all’impegno straordinario svolto dai medici e da tutto il personale sanitario per l’assistenza ai pazienti Codiv-19, non risulta allo stato possibile assicurare sul territorio italiano la disponibilità di [tali] luoghi sicuri”. E dunque era possibile “in virtù di quanto previsto dalla Convenzione di Amburgo sulla ricerca e salvataggio marittimo”, impedire l’ingresso nei porti italiani “per i casi di soccorso effettuati da parte di unità navali battenti bandiera straniera al di fuori dell’area SAR italiana» (art. 1). Un provvedimento in linea con il decreto sicurezza bis imposto da Salvini nel 2019 per limitare le attività di ricerca e salvataggio elle navi delle ONG impegnate nel Mediterraneo centrale. Un provvedimento che non è stato cancellato neppure con l’adozione del più recente decreto immigrazione convertito in legge dal Parlamento pochi giorni fa.

 Il decreto interministeriale del 7 aprile di quest’anno prevedeva tra l’altro, oltre al divieto di ingresso nei porti italiani delle navi delle ONG straniere che avessero operato soccorsi in acque internazionali, anche la possibilità di utilizzare navi traghetto private per trattenere in quarantena le persone che non si volevano fare sbarcare a terra. La stessa previsione poteva applicarsi sia dopo i soccorsi operati da navi straniere, che nel caso in cui, come si è verificato soprattutto nei mesi estivi, non fossero più disponibili posti nei centri di prima accoglienza e negli Hotspot previsti dall’art. 10 ter del Testo Unico sull’immigrazione n.286/1998, come modificato successivamente, che delinea le procedure per lo sbarco a terra delle persone soccorse in mare.

I1. n base al decreto del Capo Dipartimento della Protezione Civile n.1287 del 12 aprile 2020, “con riferimento alle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro)» prevede che «il soggetto attuatore, nel rispetto dei protocolli condivisi con il Ministero della salute, può utilizzare navi per lo svolgimento del periodo di sorveglianza sanitaria”.

Secondo l’art. 1, comma primo, del decreto del Capo Dipartimento della Protezione civile del 12 aprile di quest’anno,“Per assicurare il rispetto delle misure di isolamento fiduciario e di quarantena adottate per contrastare la diffusione epidemiologica  da COVID-19, anche nei riguardi delle persone soccorse in mare, ovvero giunte sul territorio nazionale a seguito di sbarchi autonomi, è nominato Soggetto attuatore, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, dell’ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 630 del 3 febbraio 2020, il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, che si avvale della Croce Rossa Italiana quale struttura operativa del Servizio nazionale ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1. Il Soggetto attuatore, previo assenso del Capo del Dipartimento della protezione civile, provvede all’assistenza alloggiativa e alla sorveglianza sanitaria delle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro) ai sensi  del decreto interministeriale citato in premessa e di quelle giunte sul territorio nazionale in modo autonomo. Con riferimento alle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro)  il Soggetto attuatore, nel rispetto dei protocolli condivisi con il Ministero della salute, può utilizzare navi per lo svolgimento del periodo di sorveglianza sanitaria. Per le attività  finalizzate all’individuazione delle suddette navi e dell’attività istruttoria di natura tecnico-amministrativa ai fini delle procedure di affidamento dei contratti pubblici il Soggetto attuatore provvede per il tramite delle strutture del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti anche in house. Relativamente ai migranti che giungono sul territorio nazionale in modo autonomo il Soggetto attuatore individua, sentite le Regioni competenti e le autorità sanitarie locali, per il tramite delle prefetture competenti, altre aree o strutture da adibire ad alloggi per il periodo di sorveglianza sanitaria previsto dalle vigenti disposizioni, avvalendosi delle prefetture medesime che procedono alla stipula di contratti per il trattamento di vitto, alloggio e dei servizi eventualmente necessari, per le persone soccorse ovvero, in caso di mancanza di accordo, ad attivare le procedure di cui all’articolo 6, comma 7 del decreto legge n. 18 del 2020. Nel caso in cui non sia possibile individuare le predette strutture sul territorio, il soggetto attatore provvede alla sistemazione dei migranti ai fini dell’isolamento fiduciario e di quarantena anche sulle predette navi.

Già ad aprile di quest’anno il Garante Nazionale delle persone private della libertà personale esprimeva preoccupazione sulla effettiva garanzia dei diritti fondamentali dei migranti trattenuti a bordo di queste navi a bordo delle quali si praticava nella sostanza una nuova forma fi trattenimento amministrativo, dunque una privazione della libertà delle persone che dopo essere state soccorse nel Mediterraneo centrale non venivano fatte sbarcare a terra secondo quanto invece sarebbe stato dettato dall’art. 10 ter del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998. Come se in nome dell’emergenza sanitaria fosse possibile derogare ai principi ed al sistema gerarchico delle fonti normative affermati dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo nel caso Khlaifia e ribaditi ancora quest’anno a febbraio dalla Corte di cassazione nel caso Rackete.

Un documento non vincolante della Commissione Europea, sembra purtroppo prevedere, con limiti assai discrezionali, questa vistosa violazione delle regole dettate in materia di prima accoglienza dalle Direttive dell’Unione Europea, dal diritto internazionale del mare e dall’articolo 10 ter del testo unico sull’immigrazione n.286 del 1998. Secondo la Commissione Europea, che si pronunciava il 16 aprile di quest’anno,“ Per quanto riguarda le condizioni di accoglienza, gli Stati membri possono avvalersi della possibilità prevista dalla direttiva 2013/33/UE (“direttiva accoglienza”) di stabilire, in casi debitamente giustificati e per un periodo ragionevole di durata più
breve possibile, modalità relative alle condizioni materiali di accoglienza diverse da quelle normalmente richieste. Tali modalità devono in ogni caso garantire che si provveda alle esigenze essenziali, compresa l’assistenza sanitaria. Le misure di quarantena o di isolamento per la prevenzione della diffusione della Covid-19 non sono disciplinate dall’acquis dell’UE in materia di asilo. Tali misure possono essere imposte anche ai richiedenti asilo conformemente alla normativa nazionale, a condizione che siano necessarie, proporzionate e non discriminatorie.

2. Quanto rilevato dal Garante nazionale per le persone private della libertà, nel corso della sua breve visita a bordo di una di queste navi, la Rhapsody, ormeggiata nel golfo di Palermo, giusto il 17 settembre scorso, si era limitato all’aspetto logistico, mentre nel tempo emergevano nuovi livelli di drammaticità della situazione a bordo di queste navi, per la eterogeneità delle persone che, seppure in piani diversi, vi venivano trattenute e per l’assenza di un supporto in termini di mediazione e di assistenza medica rapportato al numero elevato di quanti si tenevano a bordo in isolamento per la quarantena obbligatoria. Si verificavano anche casi nei quali venivano trattenuti indebitamente minori non accompagnati ed addirittura altri casi nei quali venivano imbarcate sulle navi quarantena persone già sbarcate a terra ed ospitate in un centro di accoglienza, ma poi risultate positive ad un successivo tampone per COVID 19. La morte di alcuni giovani anche di minore età, trattenuti per giorni a bordo di queste navi segnava tragicamente una esperienza che soprattutto per il protrarsi dello stato di emergenza sanitaria avrebbe dovuto essere chiusa. Del resto il clima a bordo di queste navi e l’assenza di qualsiasi forma di mediazione era già tragicamente nota dal mese di maggio, da quando un giovane tunisino aveva perso la vita dopo essersi tuffato mare da una delle prime navi quarantena per raggiungere terra davanti Porto Empedocle.

L’accelerazioni nelle procedure di rimpatrio dei cittadini tunisini, anticipata a livello comunicativo, più che effettivamente praticata, senza tutte quelle garanzie di difesa che comunque ci possono essere in un centro di permanenza per i rimpatri (CPR), ha fatto salire alle stelle la tensione, sia sulle navi hotspot per quarantena, che nei centri di prima accoglienza, trasformati di fatto in zone rosse a causa dell’emergenza da Covid 19. Da qui il moltiplicarsi dei tentativi di fuga e la moltiplicazione dei provvedimenti di respingimento differito (intesi come foglio di via), che hanno portato alla clandestinizzazione di migliaia di persone.

Appariva sempre più evidente che il governo, al di là del cedimento nei confronti delle richieste dei presidenti di regione di Sicilia, Calabria e Sardegna, i primi a richiedere il ricorso alle navi quarantena, riteneva di risolvere con questa modalità di quarantena in mare i problemi derivanti dalla mancata indicazione di un porto sicuro di sbarco alle navi delle ONG, alle quali si continuava ad impedire l’ingresso in porto, e poi si procedeva al loro blocco prolungato per mesi con le misure di fermo amministrativo. Malgrado la “pressione” esercitata dai “governatori” regionali di centro destra, il capo della Lega cercava di utilizzare le illegittimità amministrative reiterate dal nuovo governo nella gestione degli sbarchi per difendersi nel processo penale sul caso Gregoretti, e si scagliava poi contro la prassi delle navi quarantena, proprio mentre i suoi esponenti locali protestavano contro lo sbarco a terra dei naufraghi.

Ipocrisia e reticenza continuano purtroppo a caratterizzare anche l’operato di quest’ultimo governo, ancora arroccato sulla tesi cara alla ministro Lamorgese, secondo cui la competenza dei soccorsi e degli sbarchi spetterebbe ai paesi di bandiera (flagstate) delle navi soccorritrici. Una posizione che, insieme al riconoscimento di una zona SAR( di ricerca e salvataggio) interamente affidata alla sedicente Guardia costiera libica, e presupposta anche nel recente decreto immigrazione, che impone alle ONG di rivolgersi alle autorità “competenti”, per chiedere il coordinamento dei soccorsi, esprime una linea di continuità che si riscontra anche, seppure con forme molto diverse, per non dire opposte, tra i ministri che si sono succeduti al Viminale, dove peraltro sono rimasti immutati i livelli dirigenziali più alti. Ma in questo caso si tratta di una politica di continuità che dura da anni, da quando furono stipulati gli accordi del 2 febbraio 2017 con il governo di Tripoli e da quando si impedì, con denunce e procedimenti penali che non hanno ancora portato a nessuna condanna, l’attività di ricerca e soccorso delle ONG, nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. 

3. L’utilizzo delle navi quarantena, al di là delle conclamate esigenze di tutelare la salute pubblica, rispondeva anche all’oggettiva mancanza di posti negli Hotspot e nei centri di prima accoglienza, parte di un sistema destrutturato dai decreti sicurezza imposti dal precedente ministro dell’interno Salvini, ed ai rischi sempre più diffusi di fuga delle persone appena sbarcate a terra. Persone che si tentava di “contenere” in centri che, seppure formalmente privi del carattere formale ( e delle garanzie giurisdizionali) dei centri di detenzione, assolvevano alla funzione di luoghi di trattenimento di soggetti comunque destinate a ricevere un provvedimento di respingimento differito ed, in parte, anche ad essere destinatari di una procedura di accompagnamento forzato nei paesi di origine. Nel caso dell’isola di Lampedusa il ricorso alle navi quarantena colmava anche l’assenza di mazzi navali per il trasferimento dal centro, sovente sovraffollato, di Contrada Imbriacola ad altri centri di accoglienza ubicati nel territorio nazionale. Dove puntualmente, con una precisa regia politico-mediatica, scoppiavano le proteste degli amministratori locali e di parti, esigue ma rumorose, della popolazione.

4. A partire dal mese di aprile di quest’anno, i Covid Hotel in convenzione con le Aziende sanitarie (ASP), dunque in ambito regionale, avrebbero dovuto costituire la risposta all’esigenza di isolare persone positive al Coronavirus, ma non tanto gravi da richiedere un ricovero ospedaliero, per un periodo di quarantena. Nel tempo, e soprattutto con l’aggravarsi della pandemia in autunno, sono diventati luoghi di confinamento di persone nelle condizioni giuridiche più disparate, italiani che non potevano trascorrere il periodo di quarantena nella propria abitazione, altri senza fissa dimora, e poi, con l’aumento del numero delle persone soccorse nel Mediterraneo centrale o arrivate autonomamente, di migranti che sebbene avessero già completato un primo periodo di quarantena a bordo delle navi o nei centri di accoglienza, risultavano tuttavia ancora positivi al tampone. Nel caso dei migranti i trasferimenti in ingresso ed in uscita da queste strutture erano disposti dalle Prefetture, che affrontavano negli stessi mesi le conseguenze finali della destrutturazione del sistema di accoglienza nazionale, e della abolizione della protezione umanitaria, frutto dei decreti sicurezza Salvini approvati dal governo precedente.

Il decreto legge 17 marzo 2020,n.18 prevede all’art. 6  “l’eventuale requisizione in uso di strutture alberghiere, ovvero di altri immobili aventi analoghe caratteristiche di idoneità, per ospitarvi le persone in sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario o in permanenza domiciliare, laddove tali misure non possano essere attuate presso il domicilio della persona interessata” con l’invito a mantenere uno stretto raccordo con le Regioni (e le Aziende Sanitarie Territoriali) e le Prefetture, al fine di definire modalità concordate per l’individuazione delle strutture da porre al servizio di tali esigenze ed il rimborso dei costi che dovranno essere sostenuti dalle strutture che saranno utilizzate per ospitare le persone in quarantena. Nei casi in cui occorra disporre temporaneamente di beni immobili per far fronte ad improrogabili esigenze connesse con l’emergenza COVID, dunque “il Prefetto, su proposta del Dipartimento della protezione civile e sentito il Dipartimento di prevenzione territorialmente competente, può disporre, con proprio decreto, la requisizione in uso di strutture alberghiere, ovvero di altri immobili aventi analoghe caratteristiche di idoneità, per ospitarvi le persone in sorveglianza sanitaria e isolamento fiduciario o in permanenza domiciliare, laddove tali misure non possano essere attuate presso il domicilio della persona interessata”.

Se si analizzano i diversi decreti legge successivamente adottati dal governo e poi approvati dal Parlamento, manca una disciplina specifica dei Covid Hotel, il cui regime organizzativo ed il conseguente status degli “ospiti” è affidato al legislatore regionale, in realtà ai provvedimenti ordinatori di carattere amministrativo dell’ASP o dell’ente regionale. In ultima analisi la condizione socio-assistenziale degli ospiti è stabilita anche in base ai rapporti di convenzionamento. Nulla che soddisfi la garanzia della riserva di legge imposta dalla Costituzione per le misure limitative della libertà di circolazione (art.16) e della libertà personale (art.13).

Se sono tristemente note le vicende che hanno riguardato le cd. navi “quarantena”, con la morte di diversi immigrati trattenuti a bordo in condizioni nelle quali non risultavano garantiti né il diritto all’informazione, né il diritto alla salute, e che talvolta hanno costituito anche l’anticamera di un rimpatrio con accompagnamento forzato, sono rimaste sullo sfondo le vicende pure altamente drammatiche che hanno riguardato i Covid Hotel diventati nel tempo strutture sempre più inaccessibili, nelle quali, anche dopo la scadenza dei periodi di quarantena si sono protratte forme diverse di limitazione non solo della libertà di circolazione, prevista con una precisa “riserva di legge” dall’art. 16 della Costituzione, in taluni casi giungendo a limitare anche la libertà personale, sancita con precise garanzie (riserva di legge e riserva di giurisdizione), per tutti, dall’art. 13 della Costituzione italiana.

5. Diverse delibere del Consiglio dei ministri, e da ultimo la delibera del 7 ottobre del 2020 hanno prorogato lo stato di emergenza sanitaria (“in conseguenza all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”), adesso fino al 31 gennaio 2021. In base a questa dichiarazione di “stato di emergenza” il Presidente del Consiglio dei ministri ha adottato numerosi DPCM, i Presidenti di Regione hanno emanato un profluvio di ordinanze e sono stati attivi in permanenza organismi di contatto tra le autorità centrali e gli enti regionali, come la Conferenza Stato-Regioni.

La possibilità che la legislazione e la decretazione dell’emergenza si protraggano a lungo è sempre più concreta. Nulla sarà più come prima. Le prospettive di cura e la soluzione di vaccini a diffusione globale appaiono ancora assai lontane, e potrebbe sempre verificarsi la mutazione del virus o la irruzione di altre pandemie estese su scala globale. La mobilità umana globale basata sulla libertà di autodeterminazione appare ormai un lontano ricordo, mentre si profilano nuove migrazioni forzate e nuovi sistemi di confinamento, non solo per i migranti, ma anche per le popolazioni autoctone. Come ha affermato Rifkin “la distanza sociale sarà la regola”.

Ll’Unione Europea sta andando in pezzi per gli egoismi dei singoli stati membria livello nazionale le Regioni sembrano spingere in tante direzioni diverse, ma non manca neppure il protagonismo dei sindaci. La concorrenza tra i diversi territori diventerà più feroce quando ci saranno da redistribuire i costi della crisi economica, già grave per effetto dei fallimenti del neo-liberismo globale, ma resa irreversibile, soprattutto nelle aree economiche più deboli, dalle conseguenze economiche del COVID-19. Come rilevava Chomsky già mesi fa, si sapeva da tempo che era molto probabile che si  verificassero delle pandemie e si era capito molto bene che delle leggere modifiche dell’epidemia di SARS dovute alla pandemia di coronavirus erano probabili. Avrebbero potuto lavorare sui vaccini, sullo sviluppo di una protezione per potenziali pandemie da coronavirus, e con lievi modifiche avremmo potuto avere i vaccini disponibili oggi”. Si è preferito invece puntare sul rafforzamento del sistema neo-liberista diffuso su scala globale e sulla paura indotta dall’arrivo dei migranti e si è costruita ancora di più durante la diffusione del Covid 19 la figura del migrante pericoloso, prima “clandestino” ed adesso anche “infetto”.

Il quadro normativo fortemente inciso da provvedimenti emergenziali di natura amministrativa, come i Decreti del Presidente del Consiglio (DPCM) o dei Presidenti di Regione, e le Ordinanze della protezione civile, destinati a perpetuarsi nel tempo, ha sancito in Italia una svolta culturale e politica che appare oggi irreversibile e che mette a rischio i pilastri dello “Stato di diritto” e le garanzie democratiche previste dalla Costituzione. ”Secondo Maria Giuliana Civinini e Giuliano Scarselli in Questione Giustizia, “l’assenza di riferimento costituzionali e ordinari per far fronte ad una pandemia da virus non significa allora libertà piena per il Governo di adottare ogni misura. A questo riguardo, ciò è escluso dallo stesso Codice della protezione civile, che, come detto, all’art. 25 espressamente prevede che ogni provvedimento debba essere adottato “nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico e dell’Unione europea”. Dunque, seppur la nostra Costituzione non contenga una disciplina specifica dello “Stato di emergenza”, non di meno la legislazione di emergenza deve rispettare la nostra Costituzione nonché i principi dell’Unione europea per quello che dalla nostra Costituzione e dai principi dell’Unione europea emerge”.

Anche se le ultime statistiche comunicate dal governo forniscono un quadro di sostanziale stabilizzazione dell’andamento dei contagi, in molte regioni i tassi di occupazione dei posti in ospedale, fino al numero di terapie intensive e di vittime, anche di giovane età, appare ancora assai elevato, e tale di fare ritenere che sarà ancora necessario, per molti mesi, disporre di strutture dedicate alla quarantena dei soggetti meno gravi che non dispongono di una abitazione, o che non sono accolti nel sistema dei centri, o che sono appena arrivati nel nostro paese. Strutture che però saranno poco efficaci se non si andrà ad una ristrutturazione del sistema di accoglienza e dell’intera sanità territoriale. In ogni caso, è necessario evitare che continui l’attuale promiscuità tra le persone in situazioni giuridiche affatto diverse, e che continui il circuito vizioso tra navi, centri di prima accoglienza, centri di detenzione, Hotspot Covid, e alberghi destinati alla quarantena, nei quali si realizza una grave limitazione della libertà di circolazione, ed in qualche caso anche della libertà personale, al di fuori di ipotesi tassativamente previste per legge,

Non possono continuare sprechi di danaro che potrebbe servire per strutturare un nuovo sistema di accoglienza. Appare evidente che, dovendo convivere a lungo con la pandemia da COVID, bisognerà sostituire le navi quarantena con strutture di accoglienza a terra, e gestire i COVID Hotel non come un surrogato di un sistema di accoglienza che oggi è in crisi profonda, ma come strutture complementari che possono garantire la salute pubblica ed individuale, con una gestione trasparente, e con il rispetto delle regole dettate anche dalla Costituzione in materia di libertà personale e di circolazione, nel quadro di una garanzia effettiva del diritto alla salute previsto per tutti, e non solo per i cittadini, dall’art. 32 della stessa Costituzione. Ma occorrerà anche rivedere gli accordi di riammissione e garantire il valore primario del diritto alla salute anche per i migranti sottoposti alle procedure di allontanamento forzato, senza creare altri ghetti come i Centri di permanenza per i rimpatri (CPR). Ed il 7 gennaio prossimo è prevista l’ennesima “riconversione” del Centro di prima accoglienza di Trapani (Milo), chiuso (formalmente) dal mese di febbraio di quest’anno, in centro di detenzione (CPR).

Si corre il rischio concreto che le nuove procedure accelerate in frontiera previste per i richiedenti asilo, inserite nel sistema delle navi , degli hotspot per la quarantena e dei CPR, non garantiscano più alcun diritto all’informazione, la individuazione dei soggetti vulnerabili, i diritti di difesa e l’accesso effettivo alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale.

Su tutto questo chiediamo la vigilanza del Garante nazionale per le persone private della libertà personale ed un attento monitoraggio dell’attuazione delle Convenzioni da parte delle Prefetture e degli enti gestori. La società civile e le associazioni faranno la loro parte, nella denuncia e nell’assistenza ai migranti.

Occorre finirla con la censura totale che circonda oggi gli sbarchi ed il sistema di prima accoglienza, e copre ogni sorta di responsabilità. Difficile attendersi da questo Parlamento e dal governo una revisione profonda delle politiche di contenimento dell’emergenza sanitaria che tutelino i diritti fondamentali dei migranti comunque riconosciuti dalla legge (art. 2 del testo unico sull’immigrazione n.286 del 1998) a qualunque cittadino straniero, qualunque sia la sua condizione giuridica, dunque a coloro che rimangono privi di un valido permesso di soggiorno. Una svolta che sarebbe auspicabile non solo nell’interesse delle persone migranti, ma anche nell’interesse della popolazione italiana che comunque dovrà adeguarsi a lungo alla presenza di persone che nessun provvedimento di legge, o di natura amministrativa, riuscirà a respingere in misura rilevante nei paesi di origine e transito. Soprattutto, ed ancora a maggior ragione, in tempi di diffusione globale della pandemia da Covid 19.