Sbarchi e morte per ipocrisia

di Fulvio Vassallo Paleologo

1.Il senatore Salvini non ha perso occasione per sfruttare la morte di Abdou, un ragazzino ivoriano di quindici anni, deceduto lunedì scorso in ospedale a Palermo, dopo essere stato trattenuto undici giorni a bordo di una nave adibita a quarantena, l’Allegra, ed ha sferrato l’ennesimo attacco al governo ed alla magistratura, sostenendo che se fosse stato ancora lui al Viminale, in un caso come questo, i giudici sarebero arrivati addirittura al punto di “arrestarlo”.

Una affermazione che è risultata tanto più efficace nei confronti del pubblico meno informato per la rigida censura imposta dal governo, e dai mezzi di informazione che gravitano attorno alla maggioranza, sulla morte del giovane ivoriano a Palermo, e su un analogo episodio verificatosi ad Augusta (Siracusa) dove si è verificato il decesso, per cause ancora misteriose, di un giovane somalo sbarcato da una nave quarantena ancorata nello stesso porto di Augusta ( Siracusa). E’ rimasto relegato a qualche rigo di cronaca locale il recente episodio di sette migranti che si sarebbero tuffati da un traghetto per quarantena ormeggiato nel porto di Trapani, mentre non si è saputo più nulla del migrante che, insieme ad altri due compagni ,si era gettato in mare qualche giorno fa da un’altra nave quarantena, ormeggiata nel porto di Augusta (Siracusa), risultando poi disperso. Il dato certo è costituito dall’ammassamento di migranti di diversa provenienza sulle navi quarantena, da potenziali richiedenti asilo che non possono ancora formalizzare la loro posizione, ai minori non accompagnati che non dovrebbero neppure essere trattenuti a bordo di quelle navi in assenza della nomina di un tutore e in quanto soggetti vulnerabili, fino ai migranti per i quali si prepara un decreto di respingimento, e nel caso dei tunisini un probabile rimpatrio con accompagnamento forzato. Una miscela di disperazione che evidentemente non può essere contenuta a bordo di navi traghetto utilizzate come Hotspot, in nome dell’emergenza COVID 19, ma in deroga alle procedure previste dall’art. 10 comma ter del testo unico sull’immigrazione n.286/98 che impongono lo sbarco immediato a terra con una procedura di identificazione, e distinzione tra richiedenti asilo, soggetti vulnerabili, vittime di tratta, migranti cd. economici, secondo passaggi anche informativi e con precise garanzie di difesa.

Le prassi amministrative sembrano ormai prevalere sulle norme di legge e sugli obblighi di fonte internazionale imposti agli Stati. Oltre ottocento persone sbarcheranno giovedì a Bari provenendo dalla Sicilia,a bordo della nave Rhapsody, tra loro potrebbero esserci anche alcuni testimoni degli ultimi giorni trascorsi a bordo della nave quarantena GNV Allegra, dal ragazzo ivoriano deceduto a Palermo, testimoni importanti che potrebbero essere dispersi con il consueto decreto di respingimento adottato dal questore ( comunemente chiamato “foglio di via”).

Tutto questo accade in base al decreto del Capo Dipartimento della Protezione Civile n.1287 del 12 aprile 2020, il quale, “con riferimento alle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro)» prevede che «il soggetto attuatore, nel rispetto dei protocolli condivisi con il Ministero della salute, può utilizzare navi per lo svolgimento del periodo di sorveglianza sanitaria”. La normativa in vigore non prevede una particolare competenza del ministro dell’interno Lamorgese, a differenza di quanto si era verificato nella prassi con il suo predecessore. Che aveva imposto una procedura senza precedenti, se vogliamo fare riferimento alla passata legislatura quando Salvini occupava il posto di ministro dell’interno ed operava, prima con direttive amministrative “ad navem” a sua firma, e poi con un formale “atto di concerto” con altri ministri, ma di fatto in piena autonomia, in base al decreto sicurezza bis n.53/2019 che gli attribuiva tutti i poteri decisionali sulla indicazione del porto e dei tempi di sbarco.

Secondo l’art. 1, comma primo, del decreto del Capo Dipartimento della Protezione civile del 12 aprile di quest’anno,“Per assicurare il rispetto delle misure di isolamento fiduciario e di quarantena adottate per contrastare la diffusione epidemiologica  da COVID-19, anche nei riguardi delle persone soccorse in mare, ovvero giunte sul territorio nazionale a seguito di sbarchi autonomi, è nominato Soggetto attuatore, ai sensi dell’articolo 1, comma 1, dell’ordinanza del Capo del Dipartimento della protezione civile n. 630 del 3 febbraio 2020, il Capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, che si avvale della Croce Rossa Italiana quale struttura operativa del Servizio nazionale ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo 2 gennaio 2018, n. 1. Il Soggetto attuatore, previo assenso del Capo del Dipartimento della protezione civile, provvede all’assistenza alloggiativa e alla sorveglianza sanitaria delle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro) ai sensi  del decreto interministeriale citato in premessa e di quelle giunte sul territorio nazionale in modo autonomo. Con riferimento alle persone soccorse in mare e per le quali non è possibile indicare il “Place of Safety” (luogo sicuro)  il Soggetto attuatore, nel rispetto dei protocolli condivisi con il Ministero della salute, può utilizzare navi per lo svolgimento del periodo di sorveglianza sanitaria. Per le attività  finalizzate all’individuazione delle suddette navi e dell’attività istruttoria di natura tecnico-amministrativa ai fini delle procedure di affidamento dei contratti pubblici il Soggetto attuatore provvede per il tramite delle strutture del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti anche in house. Relativamente ai migranti che giungono sul territorio nazionale in modo autonomo il Soggetto attuatore individua, sentite le Regioni competenti e le autorità sanitarie locali, per il tramite delle prefetture competenti, altre aree o strutture da adibire ad alloggi per il periodo di sorveglianza sanitaria previsto dalle vigenti disposizioni, avvalendosi delle prefetture medesime che procedono alla stipula di contratti per il trattamento di vitto, alloggio e dei servizi eventualmente necessari, per le persone soccorse ovvero, in caso di mancanza di accordo, ad attivare le procedure di cui all’articolo 6, comma 7 del decreto legge n. 18 del 2020. Nel caso in cui non sia possibile individuare le predette strutture sul territorio, il soggetto attatore provvede alla sistemazione dei migranti ai fini dell’isolamento fiduciario e di quarantena anche sulle predette navi.

2. Quanto successo a bordo delle navi Hotspot per quarantena, richieste a gran voce proprio da presidenti di regione di destra vicini a Salvini, dopo lo smantellamento del sistema di accoglienza decentrata, prodotto dal Decreto sicurezza n.132 del 2018, viene così strumentalizzato dall’ex ministro dell’interno, che dopo avere ottenuto la chiamata in giudizio come testimone dell’attuale ministro dell’interno nel processo Gregoretti a Catania, giunge ad annunciare un referendum abrogativo del “nuovo” decreto immigrazione, qualora il Parlamento riuscisse a modificare i “suoi” decreti sicurezza.

Si completa così la “politicizzazione” del processo Gregoretti a Catania dove, con la chiamata in causa di componenti del governo attuale, convocati per le udienze del 20 novembre e del 4 dicembre, è prevalsa la linea della difesa, secondo cui tutti i ministri e lo stesso Presidente del Consiglio, sarebbero responsabili del trattenimento indebito dei naufraghi a bordo della nave soccorritrice, giustificato dalle trattative con l’Unione europea, o con singoli Stati, per la loro successiva redistribuzione in Europa. Come se gli accordi preliminari di Malta del 23 settembre 2019 fossero stati stipulati prima del caso Gregoretti, e del successivo caso Open Arms, e come se fossero diventati un testo condiviso e vincolante a livello europeo. Dunque nessuno sarebbe responsabile penalmente per una decisione di “chiusura dei porti” che, a tale livello di condivisione, avrebbe una natura meramente politica e non costituirebbe un illecito penale. Ma almeno con il calendario, qualche volta, il diritto dovrebbe andare d’accordo. E magari anche con una certa attenzione alla bandiera che battono le navi coinvolte nelle operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale.

La nave Gregoretti era una nave della Marina militare italiana e quel caso, come il successivo caso Open Arms, che verrà all’esame del giudice dell’Udienza preliminare di Palermo tra poco tempo, era assolutamente singolare, nello svolgimento dei soccorsi e nelle modalità di trattenimento dei naufraghi a bordo di una nave militare. Tanto che si fatica davvero a comprendere cosa possa riferire al riguardo in Tribunale il ministro dell’interno Lamorgese, che all’epoca dei fatti, almeno di quelli che dovrebbero assumere rilievo nel processo penale sul caso Gregoretti, non era neppure componente del governo in carica. Purtroppo il mancato approfondimento degli aspetti tecnico-giuridici già forniti dal Tribunale dei ministri ed il rinnovato contrasto tra la Procura di Catania, che da tempo chiede l’assoluzione dell’ex ministro dell’interno e lo stesso Tribunale dei ministri, che ha chiesto il rinvio a giudizio, non ha finora consentito una qualificazione completa dei fatti e una esauriente ricostruzione delle normative che disciplinavano le operazioni di sbarco dei naufraghi da una nave militare battente bandiera italiana, con uno scontro politico che adesso potrebbe entrare nel processo e condizionarne l’esito. Esattamente come voleva la difesa del senatore Salvini.

Salvini sembra avere nel mirino proprio il Presidente del Consiglio Conte e l’attuale ministro dell’interno La Morgese. La morte del ragazzo ivoriano, un minore particolarmente vulnerabile, trattenuto per undici giorni a bordo della nave quarantena GNV- Allegra ormeggiata di fronte al porto di Palermo, malgrado il continuo peggioramento delle sue condizioni fisiche, rischia di “entrare” nel processo a Catania, prima che i giudici del Tribunale di Palermo, dopo la tempestiva denuncia della tutrice legale di Abdou e l’avvio delle indagini da parte della Procura, possano fare chiarezza sulla dinamica dei fatti e sulle responsabilità che si possono riscontrare. Un caso particolarmente complesso perché richiederà, oltre ad un completo esame autoptico, l’accertamento della natura del trattenimento a bordo delle navi hotspot, sia pure per il periodo della quarantena, con particolare riferimento ai soggetti minori, già vulnerabili per gli abusi subiti in Libia, e in condizioni psicologiche e sanitarie devastate. Condizioni in possibile peggioramento per effetto della costrizione della libertà personale e per la mancanza di mediazione a bordo di navi dove centinaia di persone vengono ristrette in regime di isolamento sanitario.

3. Se si vuole davvero risalire indietro nel tempo, sarebbe bene ricordare come, subito dopo la pubblicazione del Decreto legge sicurezza bis (D.L. 53/2019 nella Gazzetta Ufficiale del 14 giugno 2019, il ministro dell’interno allora in carica abbia utilizzato le norme, gli articoli 1 e 2 del decreto, che sembravano dare una copertura legislativa alle direttive/diffide adottate dallo stesso Salvini, che vietavano alle navi delle ONG, dopo il soccorso di naufraghi in acque internazionali, l’ingresso nelle acque territoriali e dunque nei porti italiani. Lo stesso ex ministro dell’interno voleva addirittura imporre la riconsegna dei naufraghi alle autorità libiche in violazioni di tutte le norme internazionali in materia di respingimenti collettivi, tra cui l’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Nel 2019, a pochi giorni dall’entrata in vigore, in Italia, del c.d. decreto sicurezza-bis, e dall’immediata adozione del primo “divieto ministeriale di ingresso” nelle acque territoriali italiane ai sensi del nuovo art. 11, co. 1-ter T.U. imm., il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, organo indipendente attualmente rappresentato dalla bosniaca Dunja Mijatović, aveva emanato una raccomandazione dall’eloquente titolo Lives Saved. Rights protected. Bridging the protection gap for refugees and migrants in the Mediterranean (ZIRULIA,DPC).

“Nel documento si sottolinea che “il primo RCC (Centrale di coordinamento) contattato, anche se l’emergenza è avvenuta al di fuori della sua SRR (Zona SAR), mantiene la responsabilità dell’evento finché sia accertato che l’RCC competente per quella regione, o altro RCC, abbia dichiarato di assumere il coordinamento e si sia effettivamente attivato in tal senso (p. 20)”. La Centrale operativa della guardia costiera italiana rimane dunque responsabile dell’operazione SAR, e per essa il ministero dell’interno che ne stabilisce le linee di azione, fino a quando non sia accertato che i naufraghi siano stati presi in carico da un paese che garantisca un porto sicuro di sbarco. E dunque “non è giustificabile la prassi degli Stati membri del Consiglio d’Europa consistente nel tentare di dirottare le richieste d’aiuto proveniente dalla SRR libica sul JRCC di quel paese; al contrario, deve ritenersi che il diritto internazionale determini il radicamento ed il mantenimento della responsabilità in capo agli stessi RCC continentali”. Indicazione queste che risultano in netto contrasto con le Direttive/diffide adotttate da Salvini nei confronti delle poche ONG che nel 2019 erano ancora operative nel Mediterraneo centrale, malgrado una raffica di denunce e di sequestri.

In precedenza, la portavoce della Commissione Europea Nathasha Berhaud, ancora prima della denuncia di un gruppo di giuristi al Tribunale penale internazionale, aveva escluso che la Libia, nelle sue diverse articolazioni territoriali, potesse essere considerata come un luogo sicuro di sbarco. Eppure Salvini in diverse occasioni non esitava a ringraziare il “governo della Libia” per le operazioni di blocco in acque internazionali di migranti diretti verso le coste italiane. Anche se in base ai rapporti delle principali agenzie dell’ONU ( UNHCR ed OIM) era noto a tutti quale fosse la sorte che attendeva i naufraghi intercettati dalla sedicente Guardia costiera libica e riportati a terra.

La Corte Suprema di Cassazione, III Sez. pen. sent. 16-20 gennaio 2020, riconosce in pieno le posizioni del Consiglio d’Europa ed afferma: ad ulteriore conferma di tale interpretazione è utile richiamare la risoluzione n. 1821 del 21 giugno 2011 del Consiglio d’Europa (L’intercettazione e il salvataggio in mare dei domandanti asilo, dei rifugiati e dei migranti in situazione irregolare), secondo cui «la nozione di “luogo sicuro” non può essere limitata alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali» (punto 5.2.) che, pur non essendo fonte diretta del diritto, costituisce un criterio interpretativo imprescindibile del concetto di “luogo sicuro” nel diritto internazionale”.

Come afferma la dottrina, “il diritto alla salute è un diritto fondamentale dell’«individuo» (art. 32 Cost.), anche del naufrago che ha diritto ad un porto sicuro. Il diritto ad un porto sicuro è condizione necessaria per la tutela di diritti fondamentali e riconosciuti in capo a ciascuna persona umana quali il diritto alla vita, il divieto di trattamenti inumani o degradanti (quando non di tortura), il diritto di asilo quando non la libertà personale. Le condizioni a bordo delle navi condannate a stare in mare per giorni configurano trattamenti inumani o degradanti, di cui è responsabile chi dispone la chiusura dei porti.”

4. Quando si scende dal livello dell’accertamento delle responsabilità penali personali su fatti singoli allo scontro politico su scelte di un ministro si scatena l’ipocrisia con il rovesciamento del principio di realtà, perché alla fine ognuno possa apparire al proprio elettorato come meritevole di consenso. Con la giustizia penale che batte in ritirata. In un momento in cui la politica sembra riprendere il sopravvento con una modifica dei decreti sicurezza voluti da Salvini, che malgrado alcuni significativi miglioramenti, lasciano intatta la criminalizzazione delle attività di soccorso ed i poteri assegnati al governo, poco importa se sia il ministro dell’interno o quello delle infrastrutture, di ritardare a discrezione lo sbarco dei naufraghi, che per legge ( art. 10 ter T.U. 286/98) e secondo le Convenzioni internazionali, non possono essere trattenuti a bordo delle navi per tutto il tempo necessario agli Stati per stabilire la loro successiva ricollocazione in un paese europeo.

Per ragioni meramente cronologiche, per la diversa natura delle navi, e per le diverse normative che si sono succedute nel tempo, fino all’infausto decreto interministeriale del 7 aprile scorso, dunque, occorre tenere distinte le vicende penali che riguardano i singoli processi relativi lalo sbarco dei naufraghi soccorsi nel Mediterraneo centrale, sia che riguardino navi private appartenenti alle Organizzazioni non governative, processi dalla durata interminabile, come il processo IUVENTA a Trapani, ancora senza una udienza preliminare dopo tre anni, sia che si tratti di navi militari battenti bandiera italiana, per i quali si applicano procedure lampo, magari con uno stop deciso già a livello parlamentare (come nel caso Diciotti). Navi militari che costituiscono territorio italiano a tutti gli effetti anche al di fuori delle acque territoriali e alle quali dunque vanno comunque applicate tutte le norme, civili, penali ed amministrative previste dall’ordinamento italiano. Navi soprattutto, alle quali non si può negare l’ingresso in porto e lo sbarco immediato dei naufraghi a terra.

Gli sbarchi dei migranti sono quindi soggetti a regole diverse a seconda che siano operati da navi militari o da navi private appartenenti alle ONG, alle quali si rivolgeva il decreto sicurezza bis n.53 del 2019. E regole ancora diverse valgono per le navi private commerciali, anche queste oggetto in diverse occasioni di divieti illegittimi di ingresso nelle acque territoriali e quindi nei porti italiani. L’unico elemento comune delle decisioni dei ministri competenti è costituito dal carattere amministrativo, seppure frutto di “valutazioni politiche” dei provvedimenti che riguardano l’indicazione del porto sicuro di sbarco (altrimenti inteso come POS- Place of safety) e la successiva destinazione dei naufraghi verso altri luoghi o addirittura verso l’estero. La nave soccorritrice non può costituire un “place of safety” a tempo indeterminato, una condizione che esaspera persone già duramente provate dal transito in Libia, o per le quali, come nel caso dei tunisini, non si prospetta altra alternativa se non quella tra respingimento differito con intimazione a lasciare il territorio e rimpatrio con accompagnamento forzato. In ogni caso la limitazione della libertà personale deve rispettare il doppio principio della riserva di legge e della riserva di giurisdizione sancito dall’art. 13 della Costituzione italiana. E norme ancora più rigorose che dovrebbero imporre lo sbarco immediato sono previste dalla legge Zampa n. 47 del 2017 nel caso dei minori stranieri non accompagnati.

Ma anche se si dovesse qualificare come “atto politico” la scelta del ministro competente, in sede penale si tratterebbe sempre dell’accertamento di una responsabilità personale, o di altri casi di responsabilità personali in concorso, non potendo la qualificazione dell’atto come politico fare scomparire qualunque possibile rilevanza penale dei comportamenti individuali che possono anche corrispondere a diversi elementi soggettivi, come l’intenzione dell’evento (nel caso di specie il trattenimento dei migranti a bordo di una nave militare e la sua finalizzazione ad uno scopo politico ( la trattativa con altri Stati al fine di una loro redistribuzione).

5. L’accertamento di eventuali responsabilità penali nel caso del minore ivoriano deceduto il 5 ottobre a Palermo, come la posizione tenuta dal ministro Lamorgese negli sbarchi che si sono verificati nel periodo del secondo governo Conte, non possono incidere sull’accertamento delle responsabilità penali per i casi di trattenimento imposti nel 2019 dall’ex ministro dell’interno Salvini ,nei casi Gregoretti ed Open Arms, anche per la ovvia considerazione che le catene di comando che sono state attivate nei diversi casi, soprattutto dopo l’adozione del Decreto interministeriale del 7 aprile 2020, appaiono ben differenti, con un ruolo più marcato attribuito dalla Protezione civile alla dirigenza del Ministero dell’interno, ed alle prefetture, mentre ai tempi del ministro Salvini al Viminale risultava evidente, anche a livello documentale, l’accentramento delle decisioni nelle mani del ministro dell’interno ed il loro chiaro indirizzo politico-elettorale. L’intero impianto del decreto sicurezza bis, la cui modifica appare ancora dubbia, visto l’annunciato ostruzionismo delle destre in Parlamento, oltre alla minaccia di referendum abrogativo lanciata da Salvini, era tutto incentrato sull’attribuzione di poteri straordinari al ministro dell’interno, poteri che adesso la proposta del governo Conte 2 attribuirebbe al ministro delle infrastrutture. Chi ha imposto un decreto legge per accentrare su di sè tutti i poteri sulla indicazione di un porto sicuro di sbarco e sulla destinazione dei naufraghi non ha adesso alcun titolo per chiamare in causa sul caso Gregoretti altri ministri, e lo stesso Presidente del Consiglio, che venivano regolarmente scavalcati anche nelle trattative internazionali.

6. Quanto rilevato sulle responsabilità del senatore Salvini nel caso Gregoretti, o quanto verrà fuori nel caso Open Arms, e persino il suo tentativo di strumentalizzazione della morte di un minore ivoriano sbarcato da una nave quarantena, non possono impedire una severa valutazione delle prassi adottate dal governo attuale, e dunque disposte in larga parte dal ministro dell’interno La Morgese in base al decreto sicurezza bis ed al decreto interministeriale del 7 aprile del 2020, che neppure le recenti proposte di modifica dei decreti sicurezza sembrano scalfire. E’ già aperto del resto un procedimento penale ancora a carico di ignoti per quanto occorso a bordo della nave GNV Allegra e poi per il decesso del minore all’Ospedale Ingrassia di Palermo, dopo un passaggio nell’Ospedale Cervello, nel quale però non erano più disponibili posti liberi per terapie intensive. E questo dopo che il governo aveva motivato i provvedimenti di “chiusura” dei porti, scaturiti dal decreto interministeriale del 7 aprile scorso, con l’esigenza di non sovraccaricare il sistema sanitario nazionale. Che invece in Sicilia, per quanto riguarda le terapie intensive, è già andato in sovraccarico con la diffusione del virus tra italiani e non certo per gli sbarchi dei naufraghi raccolti nel Mediterraneo centrale o arrivati isolatamente a Lampedusa.

In questo ultimo caso però la catena delle decisioni e delle responsabilità dei soggetti che operavano sulle navi hotspot per quarantena appare profondamente diversa dai casi Gregoretti od Open Arms. Semmai si dovrebbe approfondire cosa successo realmente ad Augusta (SR) dove all’inizio di settembre è deceduto in ospedale un ragazzo somalo sbarcato da Azzurra, un’altra nave utilizzata per la quarantena dei naufraghi soccorsi nel Mediterraneo centrale o arrivati autonomamente con i propri mezzi a Lampedusa. Gli sbarchi autonomi sono stati la caratteristica prevalente di quest’anno, rispetto ad un numero minimo di naufraghi soccorsi dalle navi umanitarie delle ONG, tutte (meno il recente caso che ha riguardato la Open Arms) bloccate dai porti da provvedimenti di fermo amministrativo che nessuno ha impugnato.

Di certo la permanenza prolungata di minori non accompagnati , vulnerabili per quanto subito in Libia, a bordo di navi traghetto adibite a spazi di trattenimento in quarantena appare una prassi disumana che si pone in continuità con le prassi adottate da Salvini nei casi Gregoretti ed Open Arms, nei quali erano però intervenuti i tribunali minorili ad imporre lo sbarco. Ma la reiterazione di un reato è cosa diversa dalla continuità politica, anche se in materia di sbarchi non si vede davvero cosa si stia modificando di sostanziale riguardo l’approccio nel trasferimento e nei trasbordi dei naufraghi, oscurità che rimane nel decreto immigrazione che dovrebbe modificare ( non sostituire) i decreti sicurezza imposti da Salvini. Il trasferimento delle competenze sulla gestione degli sbarchi dal ministero dell’interno al ministero delle infrastrutture non modifica per nulla la situazione di pura discrezionalità dell’esecutivo, ed ancora del ministro dell’interno, fino a quando non passeranno le modifiche del nuovo decreto immigrazione. Una continuità determinata soprattutto dal decreto interministeriale del 7 aprile 2020, che non viene abrogato, e dalla prassi ormai seguita da tutte le Capitanerie di porto consistente nel blocco delle navi umanitarie con misure di fermo amministrativo. Una politica che evidentemente sul piano politico è riferibile all’intero governo, mentre sul piano legale si attua con provvedimenti adottati dalle singole Capitanerie di Porto.

7. Avevamo già contestato per tempo la scelta, adottata in regime di emergenza da Covid 19, del ricorso a grandi navi traghetto per fare trascorrere, in una situazione di limitazione totale della libertà personale, il periodo di tempo previsto dalla quarantena. E già c’era stata una prima vittima dopo un tentativo di fuga, non certo un caso di suicidio, come era stato frettolosamente comunicato.

Quanto rilevato dal Garante nazionale per le persone private della libertà, nel corso della sua breve visita a bordo di una di queste navi, la Rhapsody, ormeggiata nel golfo di Palermo, giusto il 17 settembre scorso, si è limitato all’aspetto meramente logistico, ma come i fatti dimostrano, non è emerso il livello di drammaticità della situazione a bordo di queste navi, anche per la forte eterogeneità delle persone che, seppure in piani diversi, vi venivano trattenute e per l’assenza di un supporto in termini di mediazione e di assistenza medica rapportato al numero elevato delle persone che si tenevano a bordo in isolamento. L’accelerazioni nelle procedure di rimpatrio dei cittadini tunisini, anticipata a livello comunicativo, più che effettivamente praticata, senza tutte quelle garanzie di difesa che comunque ci possono essere in un centro di permanenza per i rimpatri (CPR), ha fatto salire alle stelle la tensione, sia sulle navi hotspot per quarantena, che nei centri di prima accoglienza, trasformati di fatto in zone rosse a causa dell’emergenza da Covid 19. Da qui il moltiplicarsi dei tentativi di fuga e la moltiplicazione dei provvedimenti di respingimento differito (intesi come foglio di via), che hanno portato alla clandestinizzazione di migliaia di persone.

La ricorrenza di eventuali profili penali nella gestione di questo nuovo tipo di prima accoglienza su navi per quarantena non può comunque incidere per nulla sull’accertamento delle responsabilità nei procedimenti che vedono imputato il senatore Salvini, addirittura per sequestro aggravato di persona. Anche se potrebbero emergere altri reati, come l’abuso di ufficio, di più agevole accertamento, ad esempio per la violazione dell’art. 10 comma ter del T.U. 286/1998 o per la mancata tempestiva designazione di un porto di sbarco sicuro in casi in cui la richiesta proveniva non da una ONG, ma dalle autorità marittime italiane (IMRCC).

Ipocrisia e reticenza continuano purtroppo a caratterizzare l’operato di quest’ultimo governo, ancora arroccato sulla tesi cara alla ministro La Morgese, secondo cui la competenza dei soccorsi e degli sbarchi spetterebbe ai paesi di bandiera (flagstate) delle navi soccorritrici. Una posizione che, insieme al riconoscimento di una zona SAR( di ricerca e salvataggio) interamente affidata alla sedicente Guardia costiera libica, e presupposta anche nel recente decreto immigrazione, che impone alle ONG di rivolgersi alle autorità “competenti”, per chiedere il coordinamento dei soccorsi, esprime una linea di continuità che si riscontra anche, seppure con forme molto diverse, per non dire opposte, tra i ministri che si sono succeduti al Viminale, dove peraltro sono rimasti immutati i livelli dirigenziali più alti. Ma in questo caso si tratta di una politica di continuità che dura da anni, da quando furono stipulati gli accordi del 2 febbraio 2017 con il governo di Tripoli e da quando si impedì, con denunce e procedimenti penali che non hanno ancora portato a nessuna condanna, l’attività di ricerca e soccorso delle ONG, nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. Una politica di abbandono in mare condivisa dall’Unione Europea che nel frattempo ritirava tutti gli assetti navali dell’agenzia Frontex, che in base al Regolamento 656/2004 erano obbligate a praticare soccorsi tempestivi, mantenendo operativi soltanto gli assetti aerei che, in collaborazione con la missione italiana Nauras della Marina militare, stabilita nel porto di Tripoli, aiutavano le motovedette libiche a riportare a terra, spesso nelle mani dei trafficanti, le persone che riuscivano ad intercettare in alto mare, più di 8000 anime soltanto quest’anno. Persone il cui destino è segnato, come dimostrano i segni sui corpi di chi arriva, e da ultimo la tragica morte del minore ivoriano a Palermo, al di là della propaganda leghista che ironizza sugli abiti indossati dai naufraghi, sulla loro muscolatura o sul possesso dei telefonini, che spesso costituiscono l’unica speranza di salvezza di fronte a Stati che condannano all’abbandono.

Stiamo assistendo alla reiterazioni di crimini contro l’umanità che i tribunali penali nazionali non hanno certo gli strumenti di sanzionare ma che la società civile saprà denunciare con prove sempre più schiaccianti, ricorrendo ai tribunali internazionali ed ai tribunali di opinione, come il Tribunale permanente dei popoli. Se si vuole bloccare la giustizia portando la politica dentro i palazzi di giustizia, si potrà comunque “condannare” la politica, che abbandona in mare, e non accoglie tempestivamente, riaffermando la giustizia nella consapevolezza e nel giudizio della società civile.