di Fulvio Vassallo Paleologo
1. Negli ultimi giorni almeno 194 potenziali richiedenti asilo in rotta verso l’Europa sono stati intercettati dalla sedicente guardia costiera libica e riportati a Tripoli, secondo quanto ha riferito giovedì 4 giugno l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM). Tra i naufraghi “ripresi” dai libici, donne e bambini. Secondo l’IOM l personale dell’agenzia era nel porto di sbarco “per fornire l’assistenza necessaria, comprese le visite mediche”. La stessa organizzazione non è stata però in grado di fornire altre notizie sulla sorte dei naufraghi dopo la loro riconduzione a terra. Secondo fonti diverse delle Nazioni Unite, nell’anno in corso,, sono stati almeno 4000 i naufraghi intercettati in mare e riportati in Libia.
Il riconoscimento di una fantomatica zona SAR ( ricerca e salvataggio) “libica”, malgrado da tempo le Nazioni Unite (UNHCR ed OIM) e la stessa Commissione Europea, oltre il Conisglio d’Europa affermino che la Libia non garantisce porti sicuri di sbarco, ed i recenti provvedimenti dei governi di Roma e de La Valletta, che definiscono come “non sicuri” i propri porti a causa dell’emergenza sanitaria derivante dalla pandemia COVID-19, hanno permesso alle autorità libiche di esercitare un potere di controllo su numerosi mezzi mercantili di vari paesi, da ultimo il cargo portoghese Anne, che dopo avere intercettato i naufraghi in acque internazionali, hanno attivamente collaborato nella riconsegna dei migranti alle motovedette libiche o li hanno riportati nei porti di Misurata, Khoms e Tripoli. Una violazione gravissima del diritto internazionale che è facilitata da prassi clandestine e dagli accordi bilaterali conclusi tra Italia, Malta e il governo di Tripoli, inaspriti dai decreti di chiusura dei porti adottatti dagli stati a seguito dell’emergenza da COVID-19,, e facilitati dal ruolo di tracciamento esercitato dagli aerei di Frontex. Che non garantiscono pià con la loro attività di comunicazione con le autorità libiche, e con le centrali di cocordinamento (MRCC) italiani e maltesi, lo sbarco dei naufraghi in un porto sicuro, come sarebbe invece imposto dai Regolamenti europei n.656 del 2014 e n. 1624 del 2016. Che su questo punto rendono vincolanti per gli Stati le prescrizioni contenute nelle Convenzioni internazionali di diritto del mare, ed in particolare nella Convenzione SAR di Amburgo del 1979 e nei suoi allegati. Gli ultimi accordi conclusi dal premier maltese Abela in missione a Tripoli ricalcano gli accordi conclusi in precedenza tra il governo italiano e Gheddafi tra il 2007 ed il 2008, quindi con Serraj nel 2017, adesso prorogati per altri tre anni, ma sono ancora più odiosi perchè adottati in un momento nel quale nessuno può ignorare quello che subiscono i migranti intrappolati in Libia e quante siano le vite che si sono perse nelle acque del Mediterraneo centrale per effetto di soccorsi che non sono arrivati in tempo, o per conflitti di attribuzione delle responsabilità da condividere tra gli Stati. In un suo reente documento l’OIM ha chiesto l’istituzione di un meccanismo di sbarco chiaro, sicuro e prevedibile nel Mediterraneo centrale. secondo l’OIM ,” gli stati europei devono agire ora per porre fine al ritorno dei migranti soccorsi in mare in Libia e garantire la loro sicurezza. Nonostante le richieste di intervento, i migranti continuano a essere sottoposti a detenzione arbitraria. Molti negli ultimi mesi sono stati segnalati dispersi e altri sono detenuti in condizioni disumane. I rapporti suggeriscono anche che migliaia di altri sono detenuti da trafficanti e trafficanti.” Malgrado questa chiara presa di posizione dell’OIM i naufraghi intercettati nelle acque internazionali tra la Libia e Lampedusa, o Malta, continuano ad essere riportati indietro.
Come riferisce il Post, “L’OIM, Organizzazione Internazionale per le migrazioni, ha detto che 98 migranti diretti in Europa attraverso il Mediterraneo centrale sono stati soccorsi il 25 maggio da una nave commerciale battente bandiera portoghese. I migranti sono stati poi affidati a una nave della cosiddetta Guardia Costiera libica e riportati in Libia, il paese da cui avevano cercato di scappare”. Queste operazioni, una volta “rare” quando le ONG potevano operare soccorsi in acque internazionali sotto il coordinamento della Guardia costiera italiana, stanno diventando sempre più frequente, come ha documentato in diverse occasioni Sergio Scandura di Radio Radicale, e costituiscono un aggiramento della sentenza Hirsi, adottata nel 2012 dalla Corte europea dei diritti dell’Uomo, Una sentenza che condannava l’Italia per i respingimenti collettivi ordinati da Maroni alla Guardia di finanza nel 2019. Questo tentativo di elusione di quanto deciso dai giudici di Strasburgo costituisce anche una violazione frontale delle normative europee, in particolare i Regolamenti europei n.656 del 2014 e n. 1624 del 2016, oltre che una gravissima violazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che all’art. 19 vieta i respingimenti collettivi. Dal 2018 è stata la portavove della Commissione europea Berthaud a ricordare a Malta ed all’Italia di non contribuire alla violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, con le loro attività alla riconduzione di naufraghi in Libia, perchè questo paese non offre porti sicuri (place of safety).Le Nazioni Unite in un recente documento dell’UNHCR hanno ricordato a tutti gli stati che l’emergenza derivante da COVID-19 non permette ai governi di eludere le norme ed i trattati internazionali che garantiscono i diritti fondamentali delle persone.
2. Secondo l’agenzia NOVA, mercoledì 27 maggio, il ministero dell’Interno del Governo di accordo nazionale di Tripoli ha denunciato che trenta migranti sono stati uccisi e undici feriti nella città libica di Mizda in una “vendetta” per la morte di un trafficante di esseri umani. “La famiglia della vittima si è vendicata uccidendo 26 persone di nazionalità del Bangladesh e quattro africani. Altri undici migranti sono stati feriti e portati nell’ospedale di Zintan per ricevere le cure. Il ministero ha diramato una circolare alle direzioni della sicurezza di Mizda per prendere tutte le iniziative e gli adempimenti legali necessari per trovare i responsabili. La legge non consente di farsi giustizia da soli”, si legge nella nota del governo di Tripoli.
Non si ha tuttavia notizia ad oggi di un solo caso in cui le milizie che si contendono il territorio libico ed i capi politici ai quali fanno riferimento, da Haftar in Cirenaica e nel Fezzan, a Serraj in Tripolitania, abbiano garantito lo stato di diritto in Libia, assicurando alla giustizia e condannando davanti ad un tribunale indipendente i responsabili dei terribili abusi ai quali sono sottoposti sistematicamente tutti i migranti intrappolati in Libia. Sono stati semmai i tribunali italiani ad accertare le responsabilità di alcuni carcerieri, riconosciuti in Italia dalle loro vittime, crminali che costituiscono l’anello terminale della catena del traffico di esseri umani, alimentata dagli accordi conclusi dagli stati europei e destinataria della maggior parte dei flussi finanziari che arrivano in Libia per “combattere l0immigrazione illegale”. Ma nel nostro paese tutte queste notizie si sono risolte nell’ennesima polemica infame contro le ONG che avrebbero sbarcato in Italia i “torturatori”, peraltro non senza vere e proprie fake-news diffuse dai canali dell’informazione sovranista. Nessun rilievo per la vita delle persone ed il rispetto del principio di legalità ( anche internazionale). Altri giornali hanno ridimensionato quest’ultima strage in Libia come se si fosse trattato di una “vendetta” dei familiari di un trafficante libico, che era stato precedentemente ucciso dalle sue vittime.
Il ministero degli Esteri del Bangladesh, citando la testimonianza di un sopravvissuto alla strage, ha invece denunciato che i 30 migranti uccisi dai trafficanti in Libia sono stati rapiti mentre attraversavano il Paese e poi torturati per ottenere un riscatto. I migranti hanno attraversato il deserto da Bengasi, il capoluogo della regione orientale della Cirenaica, in cerca di lavoro quando sono stati presi in ostaggio da un gruppo armato vicino a Mizda, 160 chilometri a sud di Tripoli, circa 15 giorni fa. “Li hanno torturati in modo disumano per ottenere un riscatto. Ad un certo punto del loro calvario, i prigionieri hanno ucciso il loro principale rapitore. Per rappresaglia, la milizia ha sparato indiscriminatamente contro tutti loro”, ha aggiunto il ministero degli esteri del Bangladesh in una nota.
Riguardo alle persone in fuga dalla Libia che provengono dal Bangladesh, si deve ricordare come ormai siano sempre più frequenti le decisioni dei tribunali italiani secondo i quali “procedendo alla valutazione comparativa tra la situazione di integrazione che il richiedente ha in Italia e quella che egli ha vissuto prima della partenza ed in cui si troverebbe a vivere in caso di rientro, risulta un’effettiva ed incolmabile sproporzione tra i due contesti di vita nel godimento dei diritti fondamentali che costituiscono presupposto indispensabile di una vita dignitosa (sul punto v. Cass. n. 4455 del 2018).” Se i migranti provenienti dal Bangladesh fossero riusciti ad arrivare in Italia ed a presentare una richiesta di protezione internazionale, ben difficilmente sarebbero stati riportati nel loro paese di origine, anche se i diversi governi italiani tentano da tempo di effettuare i rimpatri forzati, in assenza di accordi bilaterali conclusi con il Bangladesh. Paese che non è stato comunque inserito, come invece la Tunisia e l’Algeria, nell’elenco dei paesi terzi sicuri, adottato con un decreto alla fine dello scorso anno.
La delegazione dell’Unione europea in Libia e i capi missione degli Stati membri dell’UE hanno condannato l’omicidio dei trenta migranti del Bangladesh, Nel comunicato la delegazione UE “accoglie con favore le istruzioni delle autorità di aprire un’indagine su questo crimine spaventoso e aspetta che gli autori siano assicurati alla giustizia”. La dichiarazione afferma “che l’UE rimane impegnata a continuare a sostenere le autorità nel rafforzamento delle capacità dello Stato di diritto per consentire loro di contrastare reti criminali come quella responsabile di questo crimine e di massimizzare l’assistenza alle comunità libiche colpite dal traffico e dal traffico di migranti”. Se si guarda ai risultati di questa modalità di approccio al problema dei migranti intrappolati nel conflitto civile libico, che adesso si è allargato con la partecipazione della Russia a sostegno di Haftar e della Turchia dalla parte di Serraj, non ci si può illudere ancora che la condizione delle persone ostaggio della guerra civile, insieme alla popolazione civile libica, possa significativamente migliorare.
La delegazione dell’UE ha inoltre espresso “preoccupazione per “l’aumento delle vittime civili in Libia nelle ultime settimane, poiché il conflitto in corso continua a pesare pesantemente sui più vulnerabili, in particolare i libici sfollati internamente, nonché i migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo. La Libia ha bisogno di una risoluzione politica pacifica del conflitto in corso per porre fine alla sofferenza e alla perdita di vite umane “, secondo la dichiarazione. Intanto però non si affronta il problema della protezione della popolazione civile e dell’evacuazione dalla Libia delle migliaia di persone che per effetto della guerra civile da migranti economici si sono trasformati in potenziali richiedenti asilo costretti a nascondersi ed a fuggire nel tentativo di attraversare il Mediterraneo. Anche gli inviti dell’Unione Europea rivolti ai singoli paesi membri per rivedere gli accordi con la Libia sono caduti nel vuoto, ed anzi sembra intensificarsi la collaborazione operativa con le autorità di Tripoli volta esclusivamente alla finalità di inrercettare i migranti in mare per respingerli, anche con il coinvolgimento delle navi commerciali, verso i porti di partenza. L’Unione europea, del resto, continua a rinforzare l’agenzia per il controllo delle frontiere esterne (FRONTEX), oggi ridefinita Guardia di frontiera e costiera europea, presente nel Mediterraneo, ma limita la sua presenza sulle rotte libiche ad alcuni assetti aerei che assistono gli stati membri, in particolare Italia e Malta, e le autorità di Tripoli, nelle attività di intercettazione dei barconi diretti verso l’Europa.
Secondo le Nazioni Unite, come ampiamente documentato già in un rapporto di aprile del 2018, gli abusi ai danni dei detenuti si verificano tanto nei centri gestiti dalle milizie, spesso colluse con i trafficanti, come nel caso tragico dei bengalesi uccisi pochi giorni fa, ma anche nei centri governativi. Chi ordina di riconsegnare naufraghi alle motovedette di Tripoli o regala altri mezzi a Serraj è complice morale dei torturatori e di chi traffica arricchendosi dietro la divisa che veste. Coe ha insegnato il caso Bija, che è stato frettolosamente rimosso ed archiviato in un cassetto. Non si comprende ancora come nel quadro degli accordi bilaterali intercorrente tra Italia e Libia una persona già nota da anni come trafficante abbia potuto fare parte della delegazione libica che ha visitato a Roma il ministero dell’interno e la sede della Centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC).
3. Le ONG non si dovranno più prestare a supplire al ritiro dei mezzi europei dalle operazioni SAR in acque internazionali, come successo a partire dal 2016, ma dovranno continuare ad essere presenti nel Mediterraneo centrale con l’esclusivo compito di documentare e denunciare, con giornalisti, parlamentari ed avvocati a bordo, senza cadere in altre trappole, e senza alcuna collaborazione con le autorità libiche. Come hanno accertato i rapporti delle Nazioni Unite e poi confermato i giudici di Ragusa e di Palermo, la Libia non offre “porti sicuri di sbarco”.
L’OIM ( Organizzazione internazionale delle migrazioni) e l’UNHCR ( Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati) saranno messi di fronte ad una responsabilità enorme. Dovranno scegliere se avallare la tesi che in Libia la loro presenza, ancora frammentaria e sporadica, anche nei centri governativi, garantirebbe “luoghi sicuri di sbarco”, nonostante la stessa Libia non esista come entità territoriale unitaria e non abbia mai aderito alla Convenzione di Ginevra per i rifugiati. O dovranno denunciare con forza, fino all’Assemblea delle Nazioni Unite, ma anche a livello nazionale, le conseguenze nefaste di queste politiche di sbarramento e di abbandono sostenute dai governi europei.
Avere affidato anche alle navi commerciali nel mar libico operazioni di intercettazione/soccorso in alto mare, sotto il “coordinamento” dalla guardia costiera libica, più spesso indirizzate da mezzi aerei europei supportati dalle autorità italiane e maltesi, aggrava le responsabilità derivanti dal mancato intervento diretto degli stati europei e dall’assenza di un coordinamento tra i responsabili delle aree SAR, effettivamente finalizzato alla salvaguardia della vita umana in mare. Rischi sempre più gravi attendono le persone che vengono avvistate in alto mare e rimangono per ore in attesa di soccorso, mentre tante navi commerciali sfilano vicino senza fermarsi, e proseguono per la loro rotta.
I soccorsi operati da grossi mezzi commerciali sono molto più a rischio dei soccorsi operati dalle imbarcazioni più piccole delle ONG che hanno dotazioni ed operatori/trici ben allenati nelle attività di Search and Rescue. Imbarcazioni che sono nelle condizioni ottimali di prestare soccorso ad imbarcazioni con il bordo molto basso sull’acqua. Mentre quando sono chiamate ad intervenire le navi commerciali le persone, soprattutto quelle più vulnerabili, non ricevono immediatamente i giubbetti salvagente e non possono affrontare facilmente il trasbordo su navi le cui murate possono essere anche alte diversi metri.
Si negano i naufragi e si scambiano come soccorsi le attività di intercettazione.
Su queste stragi nascoste, per accertare responsabilità, per impedire che si ripetano, si deve promuovere una Commissione internazionale di inchiesta, magari sotto l’egida delle Nazioni Unite. Va immediatamente sospeso il riconoscimento e l’inserimento nei data base dell’IMO di una zona SAR “libica”. In Libia non esiste neppure un vero Coordinamento centrale dei soccorsi. Nella sede indicata nei database dell’IMO, il vecchio aeroporto di Tripoli bombardato in più occasioni ci sono solo macerie. Rimane oscuro il ruolo attuale della missione della Marina militare NAURAS ancora presente con una nave nel porto di Tripoli, dopo che i giudici italiani avevano affermato, nel 2018, che la Guardia costiera libica era sostanzialmente coordinata dalle autorità italiane. Come si s’ potuto provare fino allo scorso anno sulla base di documenti inconfutabili.
Occorre una grande missione internazionale di soccorso nel Mediterraneo centrale, si deve favorire l’evacuazione della Libia attraverso la concessione di visti umanitari anche nei/dai paesi confinanti. Se non ci sarà il consenso unanime di tutti i paesi UE,si dovrà costruire una coalizione di stati volenterosi, e di comunità locali solidali, che garantiscano il pieno rispetto dei diritti umani delle persone migranti bloccate e torturate in Libia o intercettate in acque internazionali. Soprattutto, occorre affermare il principio di realtà ed il rispetto del diritto internazionale, contro la negazione dei naufragi e la propaganda elettorale sulla pelle delle vittime delle politiche di deterrenza. Lo chiediamo da anni, ogni giorno che passa aumentano le responsabilità dei governi che legittimano le politiche e le prassi di omissione di soccorso, di abbandono in mare e di respingimento in Libia.