Stefano Galieni
C’era da aspettarselo. In questi giorni di agosto, quando il parlamento è chiuso e anche ogni ristretto discussione politica è sommersa, nel clima vacanziero, il governo italiano realizza i progetti che da tempo contraddistinguono le scelte politiche che covava. L’area di interesse è quella del Mediterraneo, lo scontro è soprattutto fra le potenze europee, in primis Italia e Francia, per il monopolio delle relazioni politiche e soprattutto economiche con i paesi della costa nord africana, in primis quelli ad oggi più instabili. Il “collante ideologico” che permette di giustificare determinate scelte e di poter godere con le proprie azioni di un ampio e ben costruito consenso popolare è quello della “lotta all’immigrazione”. Con tale pretesto si sono messe a segno operazioni estremamente complesse. Prima l’attacco sempre più serrato alle Ong e a chiunque si provi a effettuare operazioni SAR (Search End Rescue), mediante campagne diffamatorie della stampa, con “indagini conoscitive del parlamento“, con inchieste di alcune procure non solo siciliane, (Catania, Trapani, Siracusa ed altre) ponendosi un solo obbiettivo: costringere le navi umanitarie a ritirarsi. Il ministro Minniti ci ha messo la sua con la complicità dei vertici istituzionali istituendo un Codice di Condotta che, anche con le modifiche apportate e pur non avendo alcun valore legale, di fatto minaccia e inibisce ad agire chi ha salvato decine di migliaia di vite. A finire nel tritacarne mediatico e giudiziario navi umanitarie e uomini di fede solidali come Don Mussie Zerai che fino a poco tempo fa veniva considerato come legittimo aspirante al Nobel per la Pace. A finire sotto accusa i tanti e le tante che non si rassegnano a guardare la fine di ogni tentativo di anteporre la vita delle persone alle logiche geopolitiche. Ed è grottesco come lo stesso Ministro degli Affari Esteri Angelino Alfano dichiari che «Le inchieste di alcune procure siciliane hanno creato il contesto “culturale” idoneo per ottenere il Codice delle Ong». Ad oggi l’unica imbarcazione che si avvicina alle coste libiche è la C-Star, la nave di “Generazione Identitaria”, il gruppo che ha realizzato la missione “Defend Europe” con cui fermare i migranti, impedire alle Ong di portare soccorso, collaborare con la Guardia Costiera Libica per riconsegnare i “clandestini”. Un gruppo chiaramente neofascista, che gode di protezioni occulte ma pesanti, e che si erge a difensore della purezza europea contro il tentativo di “sostituzione etnica” che si starebbe a loro avviso facendo favorendo l’arrivo dei migranti. Per loro nessun codice di condotta a fermarne l’operato, anche perché il lavoro sporco ormai lo faranno le navi della Guardia costiera libica, con il supporto della marina miliare italiana. Perché intanto il governo (con il benestare di buona parte del parlamento), dava il suo benestare alle operazioni militari davanti alle coste libiche ed ai porti da cui con maggiore frequenza partono i gommoni carichi di richiedenti asilo. «Nessun blocco navale», rassicuravano dal Viminale e dalla Farnesina, divenute ormai quasi un unico ministero, quello della guerra, le imbarcazioni italiane permettono ora di far si che a prestare soccorso ai fuggitivi sia la Guardia Costiera Libica. Cosa importa se coloro che, sotto gli occhi dei militari italiani, verranno ripresi, subiranno violenze, ricatti e torture nei centri di detenzione libici di cui c’é già ampia testimonianza. L’importante è che diminuisca il numero delle persone che arriveranno vive in Italia. Ce lo chiede l’Europa. E in effetti oggi è più difficile partire. Qualcuno tenta di forzare la frontiera spagnola, molti attendono. Si preparano condizioni di guerra in quelle acque, contro i migranti ma anche, almeno a parole, contro chi minaccia l’integrità territoriale libica, ovvero le navi italiane. Giungono minacce dal governo di Tobruk (la richiesta di 20 miliardi di euro per bloccare le partenze e le dichiarazioni del Generale Haftar che si dichiara disponibile ad attaccare le navi italiane), in Libia si bruciano tricolori e ricompare, il mai sopito odio che parte dall’orrendo passato coloniale. In questo quadro gran parte delle Ong che operavano in quelle acque, sia quelle che, come MSF coraggiosamente e lucidamente si sono rifiutate di firmare il Codice di condotta di Minniti, sia quelle che lo avevano firmato, dichiarano di ritirarsi perché non esistono più le condizioni di sicurezza per operare. Le prime sventagliate di mitra e i primi
tentativi di sequestro di imbarcazioni, sono già arrivati per intimidire l’imbarcazione dell’organizzazione spagnola Proactiva Open Arms e oggi operare in quel tratto di mare è divenuto impossibile, non essendoci neanche la copertura dell’UE. Per ora le navi libiche garantiscono di controllare il mare fino a 96 miglia dalle coste, otto volte oltre il limite delle poprie acque territoriali. Ma la fragilità del governo Serraj unita alla corruzione e alla collusione comprovata fra Guardia Costiera e smuggler, porterà ben presto a partire, magari su barconi – come un tempo – sfondati e mal equipaggiati ma in grado di tenere il mare più dei fragili gommoni. Chi garantirà il soccorso a quei barconi? Il governo italiano ha annunciato di voler chiedere il potenziamento di Frontex e di EURONAVFOR – MED (Operazione Sophia) per garantire l’operato che le Ong non potranno più garantire. L’UE ha accolto con favore la proposta carica di ipocrisie: i soggetti che verranno utilizzati e i loro assetti non hanno come compito primario il salvataggio ma quello di impedire gli ingressi irregolari. Ma sono i migranti il vero obbiettivo? Solo in parte. Il controllo della Libia è fondamentale e, come si diceva all’inizio, Francia e Italia sono concorrenti disposti a tutto. Stabilizzare, secondo i propri criteri, questo immenso paese, non significa soltanto costruire immensi campi di concentramento in cui selezionare i pochi da prendere rispetto ai tanti da respingere. Significa mettere mano sui paesi del Sahel, significa aver garantito accesso ai pozzi petroliferi e al gas che la Libia ha ricominciato a produrre. Qualcuno avrebbe un tempo detto: “È il mercato bellezza” altro che diritti. Ma l’impresa in cui si sta imbarcando l’Italia sembra attualmente impossibile: la Libia non ha soltanto i 2 governi che si contendono il potere (Tripolitania e Cirernaica), ma centinaia e centinaia di milizie, di bande, di organizzazioni islamiste che vivono grazie ai traffici illegali di gas, di petrolio e di persone e che difficilmente potranno accettare di cedere, senza alcun risultato, il potere acquisito. La Francia, che oggi si tiene distante da operazioni militari, ufficialmente sostiene come gli altri paesi UE, il governo di Tripoli ma di fatto intrattiene rapporti anche con il governo di Tobruk, del generale Haftar. Il governo italiano e l’ENI ( il vero soggetto egemone in questa lotta) provano altre manovre. E qui entra in ballo – e non si tratta di fantapolitica ma di amara realpolitik- la scelta fatta il 14 agosto da Roma di normalizzare i rapporti con l’Egitto di Al Sisi, il più potente e vicino alleato di Haftar. Nonostante non sia stata mai fatta verità e giustizia in merito alla morte di Giulio Regeni, con una operazione semiclandestina, il ministro Alfano ha dichiarato di aver ricevuto ora finalmente collaborazione e materiale ( non è chiaro di che tipo) dal governo Egiziano, per poter ricostruire gli ultimi
giorni della vita di Giulio. In base a questo tutto torna come prima. Le proteste della famiglia Regeni e del loro legale si sono fatte subito sentire ma c’è qualcuno che vuole raccoglierle? C’è qualcuno nei palazzi deserti del potere che provi ad alzare la schiena e la voce? Se si decide di non volere avere verità su Giulio e a non avere esecutori e mandanti di quella brutale tortura, tutto tornerà come prima, come se nulla fosse accaduto. Fare affari con l’Egitto è conveniente e a pochi importerà dei tanti detenuti politici nelle carceri di Al Sisi, dei tanti desaparecidos, di quelli che l’Italia, in nome del controllo delle frontiere e del contrasto all’immigrazione irregolare, continuano ad essre rimpatriati in un paese dove regna il terrore. C’è da aspettarsi a breve la normalizzazione ufficiale dei rapporti con paesi come Sudan ed Eritrea che verranno considerati paesi sicuri in cui rimandare chi fugge senza doverlo fare di nascosto o con accordi fra capi di polizia. Si pensa così di ottenere la “pace” e la “sicurezza” lasciando fare il lavoro sporco ad altri. Ma anche questo progetto criminale fallirà, è destinato a fallire a prezzo di molte vite, chiunque abbia parlato una sola volta con una persona che è riuscita ad approdare in Italia certe parole se le è sentite dire. “Non è possibile fermarci. Se ci rimandate indietro ci riproveremo, meglio morire che restare qui”. Alla politica di governo e di finta opposizione oggi importa unicamente aumentare il consenso in vista delle elezioni politiche, i morti, specie se sgraditi e lontani, poco interessano, anzi nel cinismo peggiore fanno anche guadagnare voti. L’Europa e in particolar modo l’Italia sono ora sull’orlo dell’abisso: o si precipita verso un fascismo strisciante che prima colpisce i migranti e poi coloro che non risultano compatibili e utili alle politiche neoliberiste, a cicli produttivi che prevedono solo masse di consumatori a basso potere contrattuale o fa marcia indietro e si riappropria delle sue ragioni e del suo ruolo. Ma c’è rimasto poco tempo, pochissimo tempo per decidere.