di Fulvio Vassallo Paleologo

1.Era tutto prevedibile con giorni e giorni di anticipo in cui nessuna autorità statale ha predisposto piani di intervento coordinati in acque internazionali approfittando del rimpallo di competenze, conseguenza della ripartizione del Mediterraneo centrale in tante zone di ricerca e salvataggio (SAR), in cui l’unico coordinamento esistente mira alla delega dei respingimenti collettivi ai libici ed ai tunisini, senza alcun rispetto per gli obblighi di salvataggio della vita umana in mare, imposti agli Stati dalle Convenzioni internazionali.
In base all’art.98 punto 2 della Convenzione di Montego Bay (UNCLOS), “Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le cir-
costanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali”. Può ritenersi ancora che la Libia, nelle sue attuali frammentazioni politiche e territoriali, e la Tunisia del presidente Saied, ormai trasformato in un autocrate, siano in possesso di questi requisiti per salvaguardare la vita umana in mare ?
Venerdì 4 agosto scorso, quando era già evidente la serie di burrasche che avrebbe colpito il Mediterraneo centrale, chiedevamo invano alle autorità politiche e marittime italiane ed europee di predisporre piani di emergenza per soccorrere il maggior numero possibile di naufraghi che si sarebbero trovati in pericolo in mare nei giorni successivi. Chiedevamo il coinvolgimento di tutte le unità civili e militari presenti in quel tratto di mare, soprattutto gli assetti aeronavali di Frontex, della missione europea Eunavfor-Med IRINI e della Marina militare impegnata nella missione Mediterraneo sicuro, Chiedevamo anche, come si verificava fino al 2016, il dislocamento in acque internazionali delle unità navali più grandi della Guardia costiera italiana, che invece sono state impegnate prevalentemente nei trasferimenti di migranti dall’hotspot di Lampedusa verso altri centri di prima accoglienza, E infine chiedevamo che le navi umanitarie delle ONG fossero impiegate in base alle loro potenzialità reali di ricerca e salvataggio, mentre invece proprio le navi umanitarie più grandi sono state, ancora una volta, allontanate verso porti sempre più distanti, praticamente vuote, solo per impedire che potessero continuare a svolgere la loro attività di soccorso in acque internazionali. Del resto era proprio questo lo scopo del decreto legge n.1 del 2 gennaio 2023, che ha permesso al Ministero dell’interno di esercitare una ampia discrezionalità per allontanare le navi delle ONG, addirittura fino ai porti di La Spezia e Ravenna, o sottoporle a provvedimenti di fermo amministrativo.
2. Non è servito a nulla che dal mondo scientifico arrivassero ulteriori conferme della totale mancanza di basi delle tesi che si richiamano al “pull factor”, che sarebbe esercitato dalle attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali operate dalle navi umanitarie, persino quando queste attività sono co-operate o assistite da navi della Marina militare o della Guardia costiera, come si verificava nel 2014, con l’operazione Mare Nostrum e poi ancora nel 2016, fino al cd. Codice di condotta Minniti, adottato nel luglio del 2017.
Malgrado la denuncia, a livello delle Nazioni Unite, della frequente collusione delle milizie libiche e delle correlate guardie costiere, con le organizzazioni di trafficanti, e malgrado la conclamata corruzione che caratterizza i sistemi di controllo di frontiera in Libia e in Tunisia, si è andati avanti con la consegna di altre motovedette ai libici e con la proposta di un Memorandum d’intesa tra Unione Europea e Tunisia. Un Memorandum che si è finora risolto in una bozza non vincolante sottoscritta dal sottosegretario agli esteri tunisino e dal rappresentante della Commissione europea per le relazioni esterne, su cui neppure Saied e la Meloni hanno apposto una firma. Un ennesimo Memorandum d’intesa che si vorrebbe prendere a modello delle future relazioni con Egitto e Maroco, ma che, prima ancora di essere approvato dal Consiglio e dal Parlamento europeo, ha già prodotto una scia di morte legittimando le peggiori pratiche di respingimento collettivo e di abbandono in mare decise dal presidente tunisino Saied, con il supporto determinante di Giorgia Meloni e del ministro dell’interno Piantedosi. I migranti forzati che sono da mesi in fuga dalla Tunisia non cercano di attraversare il Mediterraneo perchè i trafficanti gli promettono il paradiso in Europa, ma tentano soltanto di fuggire dalle persecuzioni alle quali vengono sottoposte dal governo del presidente Saied, o dal rischio di essere respinti nella terra di nessuno al confine tra Tunisia e Libia. Gli ultimi accordi stipulati tra il presidente della Tunisia Saied ed il governo provvisorio di Tripoli, espongono ad ulteriori rischi di detenzione arbitraria e di respingimento collettivo i migranti subsahariani sballottati al confine tra i due Stati. Dietro gli impegni umanitari si celano soltanto luoghi di confinamento in condzioni disumane e procedure arbitrarie di respingimento collettivo, magari camuffate come “rimpatri volontari”.
3. Ancora nei giorni nei quali centinaia di persone rischiavano di annegare in acque internazionali, i libici con il supporto di Frontex e delle autorità italiane che ospitano la missione europea, hanno portato a compimento intercettazioni che si sono concluse con un nuovo sequestro delle persone nei famigerati centri di detenzione in Libia. Il coordinamento tra i diversi stati costieri, con l’eccezione di Malta che dopo gli accordi con i libici ha rafforzato la sua politica di abbandono in mare, è stato finalizzato esclusivamente, non alla salvaguardia della vita umana, ma alla riduzione degli arrivi sulle coste italiane. E siccome sembra che nessuno riesca a fermare le partenze, anche per le politiche violente e di pulizia etnica promosse, nei confronti delle persone di origine subsahariana, dalle autorità tunisine e libiche, con il sostegno europeo, si è puntato sull’effetto dissuasivo delle stragi in mare e sulla criminalizzazione dei facilitatori, degli scafisti e dei trafficanti, figure troppo spesso confuse in una narrazione distorta e falsificante che ha come unico obiettivo l’occultamento delle responsabilità delle autorità politiche e militari. Autorità invisibili che affrontano la questione delle traversate del Mediterraneo eclusivamente come una difesa della frontiera ed un contrasto delle attività criminali legate al traffico di persone. Attività delittuose che quando non si possono attribuire agli scafisti si imputano persino ai sopravvissuti, tra i quali si deve per forza tirare fuori il responsabile del naufragio. Anche quando la gran parte degli arrivi si verifica con barchini di pochi metri nei quali non è facile ipotizzare la presenza di veri e propri scafisti, perchè sempre più spesso la condotta di queste imbarcazioni viene affidata ai migranti, magari si tratta di pescatori, che hanno già qualche cognizione di mare. Nessun trafficante si imbarcherebbe su imbarcazioni tanto fatiscenti, mettendo a rischio oltre alla propria vita, anche i guadagni della propria attività illecita e la sua stessa libertà. E nei paesi di transito le organizzazioni criminali hanno largamente infiltrato, se non sostituito come in Libia, le istituzioni statali. Lo confermano i rapporti delle Nazioni Unite e delle principali agenzie umanitarie. E al di là della collaborazione tra diverse agenzie di sicurezza che operano anche per finalità commerciali, non si vede una vera cooperazione sul piano giudiziario, che andrebbe realizzata sul piano delle rogatorie internazionali richieste dalla magistratura inquirente. Ma se le indagini internazionali fossero davvero portate sino in fondo, potrebbero emergere collusioni che risulterebbero forse scomode per la gestione dei rapporti bilaterali, basati sugli scambi commerciali, di idrocarburi ed in prospettiva di elettricità, oltre che sul contrasto dell’immigrazione irregolare.
4. I veri responsabili di questi naufragi stanno ai tavoli di governo o al comando di unità militari che, pur vedendo nei loro sofisticati sistemi di tracciamento le imbarcazioni dei migranti a rischio di naufragio, non predispongono alcuna attività di ricerca o salvataggio, almeno fino a quando questi si trovano in acque internazionali, allertando semmai qualche unità navale commerciale in transito, alla quale si riesce persino ad ordinare lo sbarco dei naufraghi in porti non sicuri, per intenderci con la realizzazione di push back su delega verso la Libia o la Tunisia. Tanto da violare le Convenzioni internazionali, e in particolare la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, che impongono lo sbarco in un “place of safety” dopo i salvataggi in mare, pur di non fare aumentare il numero degli arrivi in Italia ed in Europa. Numeri che comunque continuano a crescere, e questo dimostra in modo inconfutabile che le politiche di esternalizzazione delle frontiere, e i respingimenti delegati a paesi terzi che non rispettano i diritti umani, non diminuiscono affatto il numero delle partenze, ma aumentano soltanto il numero delle vittime in mare, o nei deserti nei quali vengono abbandonate le persone migranti, sempre più spesso intere famiglie, con donne e banbini.
Ormai non sorprende più che le autorità statali facciano tutto il possibile per nascondere la verità dei fatti, tanto che delle stragi in acque internazionali si apprende regolarmente dai racconti dei sopravvissuti, mentre non ci sono tempestive comunicazioni ufficiali, che pure sarebbero obbligatorie in base alle Convenzioni internazionali richiamate anche dal Piano SAR nazionale italiano 2020. E su Frontex, malgrado la chiarezza degli obblighi di soccorso imposti dal Regolamento europeo n.656 del 2014, continua a incombere anche nel Mediterraneo centrale, la stessa opacità, e la stessa collusione con attività di respingimento illegali, che ha portato alle dimissioni il precedente direttore Fabrice Legeri, dopo i repingimenti collettivi che l’agenzia ha operato, in supporto alle autorità greche, dalla Grecia verso la Turchia.
5. Le capacità operative della Guardia costiera italiana e degli altri assetti militari che operano all’interno della nostra zona di ricerca e salvataggio (SAR) sono fuori discussione, ma i fatti confermano gli effetti letali delle prassi di abbandono in mare in acque internazionali, frutto degli accordi con paesi terzi e dell’allontanamento preordinato delle navi delle ONG, che in passato hanno contribuito, in coordinamento con gli assetti aeronavali militari italiani, al salvataggio di decine di migliaia di persone. Prima che nel 2018 fosse istituita la cd. zona SAR “libica” e prima che si scatenasse l’attacco mediatico-giudiziario contro le ONG, un attacco che anche se è stato respinto nelle sedi giudiziarie ha scavato un fossato di disumanità nell’opinione pubblica italiana, al punto che ancora oggi si continua ad attaccare ogni intervento di soccorso delle navi umanitarie, persino quando sono bersaglio delle intimidazioni provenienti dalle motovedette libiche donate dall’Italia. Le responsabilità di trafficanti e scafisti, quando sono individuate nelle rare operazioni di polizia nei paesi di transito, o sono ogegtto di riconoscimento e denuncia da parte dei sopravvissuti, una volta giunti in Italia, non possono certo esaurire la ricerca delle responsabilità delle stragi che sempre più spesso caratterizzano le rotte migratorie del Mediterraneo centrale, le rotte più letali del mondo.
6. Si può ritenere che tra i “principi generali” dell’ordinamento italiano, che non sono derogabili in base alla periodica dichiarazione dello stato di emergenza da parte del governo, ricorra, oltre al principio di non refoulement, affermato dalla Convenzione di Ginevra del 1951, il dovere primario di salvaguardare la vita umana in mare e di realizzare operazioni di ricerca e soccorso in conformità alle Convenzioni internazionali di diritto del mare, anche per l’espresso richiamo che si fa a tali Convenzioni negli articoli 10 e 117 della Costituzione italiana. Il diritto alla vita, il divieto di trattamenti inumani o degradanti, il diritto alla salute ed il divieto di respingimenti collettivi costituiscono limiti alla sovranità dello Stato ed ai poteri discrezionali dei singoli ministri o dell’intero governo. Lo affermano in più occasioni i Tribunali internazionali, come nei casi Hirsi, Sharifi e Khlaifia decisi dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo con tre sentenze di condanna nei confronti dell’Italia. I naufraghi devono essere quindi sbarcati in porti ed in paesi che si possano definire “sicuri”.
In base al punto 3.1.9 della Convenzione di Amburgo del 1979, oggetto di un emendamento introdotto nel 2004, «la Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione marittima internazionale (Imo). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile».
7. I fatti di queste ultime giornate, quattro naufragi, in quattro giorni, tra decine di barchini avvistati in acque internazionali e segnalati per tempo alle autorità marittime degli Stati costieri, ma sui quali chi si sarebbe dovuto dichiarare competente come autorità SAR ha deciso di non intervenire, magari perchè si trovavano al di fuori delle acque territoriali, richiama responsabilità al livello più elevato, dei decisori politici e dei vertici militari che assunono il coordinamento delle attività di sorveglianza delle frontiere, opponendo il segreto militare ad ogni richiesta di informazioni. Solo la magistratura, se sarà capace di andare oltre la ricerca dello scafista di turno, potrà accertare l’intera catena di responsabilità per casi sempre più frequente nei quali appare plausibile parlare di omissione di soccorso in acque internazionali. Sempre che non intervenga ancora una volta il Parlamento a bloccare l’acertamento dei fatti e delle responsabilità. Ormai il sistema delle autorizzazioni a procedere è bloccato dalla maggioranza assoluta di cui dispongono i partiti di destra. Ogni tipo di impunità istituzionale è garantito, mentre si allontana l’accertamento delle responsabilità. Forse si dovrà attendere l’intervento dei tribunali internazionali ma anche in quelle sedi gli Stati nazionali fanno muro e il lavoro dei giudici, nominati dai governi, diventa sempre più difficile. Eppure esistono previsioni normative a livello internazionale che permetterebbero di accertare la nullità di accordi o Memorandum d’intesa che violino i diritti fondamentali della persona sanciti dalle Convenzioni internazionali. E quindi si potrebbero accertare le responsabilità di chi li ha conclusi o vi ha dato esecuzione.
Secondo l’art. 53 della Convenzione di Vienna sul diritto dei Trattati, titolato «Trattati in contrasto con una norma imperativa del diritto internazionale generale (jus cogens)», è nullo qualsiasi Trattato che, al momento della sua conclusione, sia in contrasto con una norma imperativa di diritto internazionale generale. Ai fini della stessa Convenzione, per norma imperativa di diritto internazionale generale si intende una norma che sia stata accettata e riconosciuta dalla Comunità internazionale degli Stati nel suo insieme in quanto norma alla quale non è permessa alcuna deroga e che non può essere modificata che da una nuova norma di diritto internazionale generale avente lo stesso carattere. È bene ricordare che per Trattato internazionale si intende qualunque «accordo internazionale concluso per iscritto tra Stati e regolato dal diritto internazionale, che sia costituito da un solo strumento o da due o più strumenti connessi, qualunque ne sia la particolare denominazione».
Di certo le ipotesi di reato contestabili ai vertici politici e militari, corrispondenti a gravi violazioni delle norme di diritto internazionale sui soccorsi in mare, non mancherebbero, a partire dall’esecuzione dolosa di accordi con paesi che non rispettano i diritti umani e che non garantiscono neppure una effettiva attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali, quando queste attività non siano dirette o comunque supportate da Frontex e dalle autorità politiche e marittime italiane e maltesi, ai più alti livelli. Si tratta di accordi che i giudici italiani, in qualche rara occasione, hanno anche dichiarato illeciti, come nel caso Asso 28 a proposito del Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti con la Libia del 2017, ma si tratta di accordi che la politica, ad ogni cambio di governo, ha sempre confermato.
“Nel documento si sottolineava che “il primo RCC (Centrale di coordinamento) contattato, anche se l’emergenza è avvenuta al di fuori della sua SRR (Zona SAR), mantiene la responsabilità dell’evento finché sia accertato che l’RCC competente per quella regione, o altro RCC, abbia dichiarato di assumere il coordinamento e si sia effettivamente attivato in tal senso (p. 20)”. La Centrale operativa della guardia costiera italiana rimane dunque responsabile dell’operazione SAR, e per essa il ministero dell’interno che con il Nucleo centrale di coordinamento (NCC) ne stabilisce le linee di azione, fino a quando non sia accertato che i naufraghi siano stati presi in carico da un paese che garantisca un porto sicuro di sbarco. E dunque “non è giustificabile la prassi degli Stati membri del Consiglio d’Europa consistente nel tentare di dirottare le richieste d’aiuto proveniente dalla SRR libica sul JRCC di quel paese; al contrario, deve ritenersi che il diritto internazionale determini il radicamento ed il mantenimento della responsabilità in capo agli stessi RCC continentali”.
8. Ancora in questi ultimi giorni abbiamo potuto constatare gli effetti perversi degli accordi con le autorità libiche che neppure fanno riferimento ad un governo nazionale unitario che controlli l’intero territorio e l’intera estensione delle acque territoriali. Come si è visto in modo eclatante attorno alla base navale turca di Khoms, oggetto di una controversia che sta alimentando di nuovo lo scontro tra fazioni e tribù. Ancora una volta gli accordi bilaterali sono fonte di caos e di divisioni, quando non è previsto alcun rispetto dei diritti umani delle persone e dei processi di pacificazione in corso.
Come si è osservato in un documentato contributo scientifico, “con riferimento ai rapporti tra Italia e governo di Tripoli, non vi può essere dubbio sul fatto che il supporto finanziario, tecnico e tecnologico italiano costituisca di per sé una condotta materialmente agevolatrice. In secondo luogo, tale contributo, poiché fornito direttamente alla Guardia costiera libica e agli altri soggetti statali che si occupano dei migranti, autori principali dei presunti illeciti, si pone in una relazione causale rispetto alla commissione dei crimini. Infatti, l’effetto immediato della condotta ministeriale è proprio quello di trattenere i migranti in territorio libico, aumentando in tal modo il numero di vittime e determinandone l’assoluta impossibilità di sottrarsi agli abusi. Si rammenti, inoltre, che gli accordi italo-libici hanno presumibilmente contribuito anche alla conclusione di presunti accordi tra il Governo libico e la milizia Anas Dabbashi. Ne consegue che la condotta dei nostri ministri potrebbe astrattamente essere considerata come contributo sostanziale rispetto alle azioni degli autori principali.
L’attuale evoluzione della situazione in Tunisia, proprio per effetto degli intensi rapporti diplomatici avviati dal nuovo governo Meloni fin dai primi giorni del suo insediamento e soprattutto dopo la bozza di Memorandum d’intesa uscita fuori dal vertice di Roma del 16 giugno scorso, una bozza che ancora non è stata approvata dal Consiglio UE e dal Parlamento, riportano sullo stesso piano di illiceità degli accordi con i libici la gestione politica e le prassi applicative degli accordi bilaterali con la Tunisia. Accordi bilaterali in atto da tempo, ma che oggi, con la mutata situazione nel “paese dei gelsomini”, in cui il presidente Saied ha avviato una campagna di eliminazione ed allontanamento dei migranti subsahariani, una vera e propria pulizia etnica per contrastare il rischio dichiarato dallo stesso Saied di una “sostituzione etnica”, diventano fattore determinante di eventi mortali, e comunque lesivi della dignità umana, in violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, sia in alto mare che nel deserto al confine tra Libia e Tunisia.
Come si è osservato da tempo, sembra proprio che “ la politica del Governo italiano e dell’Unione Europea in merito alla gestione dei flussi migratori provenienti dalla Libia stia continuando nella direzione di una sempre maggiore esternalizzazione del controllo frontaliero, nonostante le molteplici accuse di gravissimi abusi cui i migranti sono sistematicamente sottoposti“. Ed al riguardo non si può omettere di ricordare quanto rilevato il 13 ottobre 2021 dal Tribunale di Napoli, nella sentenza di condanna dei respingimenti collettivi operati dal rimorchiatore italiano ASSO 28, sugli accordi tra Italia e governo di Tripoli. Una sentenza che oggi è stata anche confermata dalla Corte di Appello.
9. Non si può dunque ammettere che siano leciti, e giustificazione di importanti trasferimenti di atterzzature e di risorse finanziarie, accordi con paesi che, proprio per effetto di quegli accordi, commettono, o permettono che vengano commessi impunemente, gravissimi crimini ai danni delle persone migranti. Crimini che, per la generalità della loro diffusione e per la qualità dei soggetti responsabili, possono definirsi come crimini di sistema o crimini contro l’umanità.
Nel trattamento dei migranti abbandonati nel deserto, o nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale, sono chiaramente configurabili crimini contro l’umanità, come sosteniamo dal 2017, crimini che possono essere perseguiti davanti alle corti internazionali, ma che non possono restare irrilevanti per le giurisdizioni nazionali. Sarà comunque necessario intensificare il lavoro di denuncia e controinformazione, al di la dei tempi lunghi degli accertamenti operati dalle diverse magistrature, per impedire che intorno a queste autentiche tragedie umane cali una cappa di assuefazione e da qui alla impunità definitiva dei responsabili il passo è molto breve, e in questi giorni sembra proprio che sia stato compiuto. Come se si fosse superato un punto di non ritorno. Nel degrado progressivo della tutela dei diritti umani, del diritto alla vita, del diritto di asilo.
19 LUGLIO 2023
HUMAN RIGHTS WATCH
Tunisia: No Safe Haven for Black African Migrants, Refugees
Security Forces Abuse Migrants; EU Should Suspend Migration Control Support
9 AGOSTO 2023
EURONEWS
Four shipwrecks in five days: Why migrants tragedy keep happening in the Med
Quarantuno migranti sono morti al largo dell’isola italiana di Lampedusa, secondo gli unici quattro sopravvissuti, negli ultimi naufragi segnalati nel Mar Mediterraneo.
Quarantuno migranti sono morti al largo dell’isola italiana di Lampedusa quando la barca su cui viaggiavano si è capovolta ed è affondata, hanno riferito i sopravvissuti ai media locali mercoledì mattina. Solo quattro dei 45 passeggeri totali a bordo sono sopravvissuti dopo essere stati soccorsi dalle autorità italiane.
I quattro, tre uomini e una donna della Costa d’Avorio e della Guinea, hanno detto alle autorità italiane di essere partiti da Sfax in Tunisia giovedì della scorsa settimana con 45 persone a bordo, tra cui 3 bambini.
Hanno detto che la barca di 7 metri ha viaggiato per circa 6 ore prima di essere ribaltata da una grande onda che ha gettato tutti fuori bordo e in acqua. Solo 15 persone avevano salvagenti anulari, secondo i sopravvissuti, ma sono comunque annegate.
I quattro hanno detto di essere sopravvissuti dopo essere riusciti a salire a bordo di una nave abbandonata in mezzo al mare, probabilmente abbandonata dopo il trasporto di migranti. Quattro giorni dopo, sono stati individuati da Frontex, che ha allertato le autorità italiane.
Sono stati soccorsi martedì, secondo l’agenzia di stampa italiana ANSA, giorni dopo il naufragio e a una distanza significativa dal punto in cui la barca si è capovolta, in mare aperto, tra Sfax e Lampedusa. I funzionari italiani hanno affermato di non essere riusciti a trovare i corpi di coloro che sono annegati.
9 AGOSTO 2023
POLITICO.EU
41 migrants die in shipwreck off Italy’s Lampedusa island
Maltese boat rescues 4 survivors.
“Four people survived the shipwreck, three men and one woman originally from Ivory Coast and Guinea. They were rescued by a Maltese cargo ship and taken to Lampedusa by the Italian Coast Guard, according to Italian newswire ANSA”.
.Vogliamo date, orari, nomi, tracciati. Vogliamo giustizia. Qualcuno dovrà renderne conto.
Era tutto prevedibile con giorni e giorni di anticipo in cui nessuna autorità statale ha predisposto piani di intervento coordinati in acque internazionali approfittando del rimpallo di competenze, conseguenza della ripartizione del Mediterraneo centrale in tante zone di ricerca e salvataggio (SAR), in cui l’unico coordinamento esistente mira alla delega dei respingimenti collettivi ai libici ed ai tunisini, senza alcun rispetto per gli obblighi di salvataggio della vita umana in mare, imposti agli Stati dalle Convenzioni internazionali.
Per i governi europei 130 persone annegate in quattro giorni sono solo “effetti collaterali” della guerra “globale” ai trafficanti, se non agli scafisti, e conseguenza della difesa delle frontiere europee. Scelte politiche infami che condannano a morte chi e’ costretto a fuggire in mare.
9 AGOSTO 2023
Collective #pushback by proxy! Yesterday we learned that a boat with 24 people who had alerted us when in the #Malta SAR zone was pushed back to #Libya. The boat had lost its way in a storm and was later discovered by a merchant vessel. 1/3
The merchant vessel PGE TORNADO rescued the people but #Malta, #Italy & #Greece all refused to assign a port of safety and the merchant vessel was told to return the people to Libya. They are now imprisoned. 2/3
The group is now in #Misrata, separately imprisoned in two centres. Some of them are sick and they fear deportation to #Syria and #Egypt. There are 9 children among them. We call on the authorities to immediately release them! 3/3
10 AGOSTO 2023
Contro le morti in mare:Le Veglie
Appello di ALARMPHONE
PUSHBACK COLLETTIVO Ieri abbiamo appreso che una barca con 24 persone che ci aveva allertato quando si trovava in zona #Malta SAR è stata respinta in #Libya . La barca si era persa durante una tempesta ed è stata successivamente scoperta da una nave mercantile. La nave mercantile PGE TORNADO ha salvato le persone ma #Malta , #Italy e #Greece si sono tutte rifiutate di assegnare un porto sicuro e alla nave mercantile è stato detto di riportare le persone in Libia. Ora sono imprigionati! Il gruppo è ora in #Misrata , recluso separatamente in due centri. Alcuni di loro sono malati e temono la deportazione in Siria ed in Egitto . Tra loro ci sono 9 bambini. Chiediamo alle autorità di rilasciarli immediatamente!@alarm _phone

11 AGOSTO 2023
MIDDLE EAST MONITOR
Libya evacuates migrants stranded on border with Tunisia
Libya evacuated irregular migrants stranded in the border area with Tunisia, the Libyan Ministry of Interior said yesterday. Meanwhile, its Tunisian counterpart said that the two countries agreed that each would receive a group of migrants.
11 AGOSTO 2023
AL JAZEERA
The Libyan militia illegally towing back vulnerable refugees
The Tareq Bin Zeyad has been pulling back migrants and refugees to Benghazi
On the morning of July 7, a Friday, a blue-and-white fishing vessel that had departed from Libya carrying about 250 asylum seekers ran out of fuel amid the vastness of the Mediterranean, putting the lives of its passengers in peril.
At 10:47 CEST (08:47 GMT), an observation aircraft flown by the German NGO Sea Watch located the vessel in distress within Malta’s search and rescue area (SAR).
In this stretch of sea, Malta’s Rescue Coordination Center (RCC) is responsible for rescue operations.
segue con documentazione video
12 AGOSTO 2023
ANSA
BLOGSICILIA
Marinaio nave Dattilo suicida, sospesi soccorsi migranti Ong autorizzata a più interventi in mare
AGRIGENTO, 12 AGO – Due giorni fa, mentre i militari della nave Dattilo erano impegnati, nel canale di Sicilia, nel soccorso di un barchino carico di migranti, uno dei componenti dell’equipaggio si è suicidato. I militari della “Dattilo” hanno dovuto fermare le attività di salvataggio. Per questo il team della ong Ocean Viking è stato autorizzato a effettuare più interventi: in 48 ore sono state 15 le imbarcazioni che stavano tentando la traversata da Sfax, in Tunisia, verso Lampedusa, soccorse. La nave della ong è attesa, a breve, a Porto Empedocle (Ag) dove sbarcherà 371 persone e poi prenderà il largo verso Civitavecchia per concludere lo sbarco dei complessivi 623 migranti che ha a bordo. L’Ocean Vicking è stata dirottata su Porto Empedocle per sbarcare parte dei profughi salvati perché, con 623 persone a bordo, non è nelle condizioni di arrivare in sicurezza fino a Civitavecchia. (ANSA).
13 AGOSTO 2023
BBC NEWS
Migrant boats in the Mediterranean: Why are so many people dying?
By Alice Cuddy
14 AGOSTO 2023
IL MANIFESTO
Contro le politiche europee e tunisine anti-migranti e anti-nere/i
Immigrazione. Sul manifesto la lettera aperta di 379 ricercatrici e ricercatori e membri della società civile