di Fulvio Vassallo Paleologo
(Aggiornato al 21 agosto)
1. Siamo ormai di fronte all’evidenza, malgrado i silenzi istituzionali. Si ripetono in serie naufragi nel Mediterraneo centrale, prodotti dalle politiche di esternalizzazione dei controlli di frontiera, frutto degli accordi di collaborazione con i paesi di transito e di origine, come la Libia e la Tunisia. Ancora il 19 agosto l’ultimo tragico evento veniva confermato con un comunicato congiunto dalle principali agenzie delle Nazioni Unite (OIM e UNHCR). Sembra addirittura che i naufragi negli ultimi giorni siano stati tre e il sovrapporsi dei diversi eventi, in assenza di comunicati ufficiali, rende difficile accertare i fatti e le responsabilità. Sembra che in una occasione, uomini armati, su una imbarcazione non meglio identificata, abbiano bloccato i migranti in mare al largo di Zuwara e li abbiano derubati (vedi nota di aggiornamento) prima di aprire su di loro il fuoco. Si trattava di guardiacoste libici ? Non sarebbe la prima volta che la sedicente Guardia costiera libica apre il fuoco sui migranti in fuga. Come avveniva contro le ONG che andavano a soccorrere naufraghi in acque internazionali. Del resto già dal 2017, a partire dal caso Iuventa, sul quale si attende ancora la richiesta di rinvio a giudizio, o l’archviazione definitiva, risultavano rapporti poco chiari tra la Guardia costiera “libica” ed uomini armati a bordo di imbarcazioni provenienti dalla Libia che si aggiravano attorno ai barconi carichi di migranti.
Purtroppo le stesse Agenzie, e le Nazioni Unite a livello superiore, se sconsigliano con i toni felpati della diplomazia i respingimenti verso la Libia di persone soccorse in acque internazionali da navi private, nulla dicono, e fanno, per impedire che gli Stati continuino a riconoscere la cosiddetta zona SAR di ricerca e salvataggio “libica”, quando la Libia come Stato unitario non esiste più da tempo, e soprattutto quando si finanziano attività di una Guardia costiera “libica” che da tempo non appare in grado di garantire la vita delle persone ed il rispetto dei loro diritti umani. A cosa sono serviti i corsi di formazione dei guardiacoste libici finanziati dall’Unione Europea ?
Non basta ripetere ancora una volta che gli accordi bilaterali con il governo di Tripoli dovrebbero essere revocati e che la finzione della zona SAR “libica” andrebbe immediatamente cancellata, magari con un intervento dell’IMO (Organizzazione internazionale del mare, che pure si collega alle stesse Nazioni Unite), o su iniziativa di qualche Stato, da parte del Tribunale internazionale del mare di Amburgo. Le denunce non sono mancate, ma senza l’iniziativa degli Stati sembra che il Tribunale di Amburgo non riesca a pronunciarsi. Il fatto è che dietro la ripartizione delle zone SAR nel Mediterraneo si celano enormi interessi economici, politici e militari. Altro che salvaguardia della vita umana in mare.
Le stragi in mare si continuano a verificare perchè gli Stati europei più esposti nel Mediterraneo centrale hanno scelto la politica della deterrenza attraverso l’eliminazione fisica dei migranti, che si concretizza nel ritiro all’interno delle acque territoriali (12 miglia dalla costa) di tutte le navi militari ( inclusa la guardia costiera) che potrebbero svolgere attività di ricerca e salvataggio, nell’uso di alcune navi commerciali per eseguire in acque internazionali respingimenti collettivi e nell’allontanamento delle imbarcazioni delle Organizzazioni non governative. Una politica della deterrenza che si traduce nell’abbandono delle persone in mare per giorni, magari in attesa dell’intervento di qualche motovedetta libica, una politica che deve fare vittime senza che neppure si possano individuare i responsabili, e questo spiega l’assenza di comunicati ufficiali anche dopo tre naufragi come quelli che si sono succeduti negli ultimi giorni. Appare evidente come in questa situazione, malgrado l’apparente incremento delle attività di intercettazione in alto mare riconducibili alla sedicente Guardia costiera “libica”, finanziata ed assistita dall’Italia (missione Nauras), con il coordinamento di Frontex, con oltre 7.000 persone bloccate nel 2020 in acque internazionali e riportate in Libia (di molti di questi non si hanno più notizia) le organizzazioni criminali abbiano ripreso il pieno controllo dei punti di partenza sulla costa. Che riescono a modificare a seconda dello schieramento delle milizie e dei mezzi statali, addirittura spostando persone dalla Libia in Tunisia, o viceversa. E’ ormai dimostrato che la sedicente Guardia costiera libica non ha capacità effettive di ricerca e salvataggio e neppure è in grado di contrastare efficacemente le bande di criminali che lucrano sulle persone che cercano di fuggire dalla Libia. Con una corruzione diffusa anche tra gli agenti statali, che rende vani gli sforzi di bloccare le partenze gestite dagli scafisti, che costituiscono l’unica via di fuga, in assenza di canali legali di ingresso in Europa. Si dovrà verificare adesso, dopo la fase più acuta delle ostilità, quali assetti si determineranno, anche sul fronte delle partenze verso l’Europa e nella gestione dei centri di detenzione, se sarà riavviato il processo di pacificazione nazionale.
L’intervento di supplenza operato dalle imbarcazioni della società civile impegnate nel Mediterraneo centrale non riesce più a garantire il rispetto dei diritti, a partire dal diritto alla vita, delle persone migranti che tentano comunque la traversata, e continua ad essere contrastato duramente, con campagne mediatiche, dopo attività di polizia ed iniziative giudiziarie che nulla hanno dimostrato, fino ai più recenti fermi amministrativi. Il blocco dei ritrasferimenti verso altri paesi europei, frutto anche dell’emergenza sanitaria derivante dal COVID 19, ha fatto fallire definitivamente il cd. Accordo di Malta concluso lo scorso anno, ed ha reso gli Stati meridionali, come l’Italia e Malta, ancora più in preda ad un populismo dilagante che chiede il respingimento di tutti i naufraghi e di tutte le persone che comunque riescono a raggiungere le nostre coste con i cd. sbarchi autonomi.
Occore ricostruire una analisi piu’ ampia quella elaborata dinora, tenendo contro che la maggior parte delle partenze dal nordafrica si verifica dalla Tunisia e non dalla Libia, e che la diffusione su scala globale del COVID 19 impone a tutti, comprese le Organizzazioni non governative, un cambiamento profondo della comunicazione e delle pratiche di intervento. Le attività di monitoraggio dovrebbero essere molto più estese, soprattutto a sud di Malta e Lampedusa, anche quando non si risolvono con l’imbarco dei naufraghi, e la comunicazione degli eventi di soccorso, che oggi qualcuno cinicamente continua a definire come “eventi di migrazione illegale”, dovrebbe essere quanto più immediata e dettagliata possibile. Ad ogni omissione di soccorso riconducibile ad autorità statali dovrebbe seguire una denuncia immediata ed una campagna di informazione basata sulle testimonianze e sui dati oggettivi raccolti non solo a mare, ma anche sui territori, dopo gli sbarchi, su entrambe le sponde del Mediterraneo.
2. La mancanza di canali legali di ingresso in Europa ed il sostanziale abbattimento del diritto di asilo e dei sistemi di accoglienza producono il duplice effetto di alimentare nei diversi settori produttivi lo sfruttamento lavorativo e rafforzare al contempo la deriva populista e xenofoba già presente in tutti i paesi europei. I partiti di governo e di opposizione si alternano nel tempo mantenendo, seppure con diverse modalità comunicative, una linea di chiusura nei confronti delle migrazioni, come è dimostrato dal sostegno parlamentare rinnovato di recente agli accordi tra Italia e Libia ed alle posizioni della Commissione europea sui rapporti dei singoli stati con i paesi terzi, in particolare con la Turchia.
I diritti umani nel Mediterraneo, e più in generale in Europa, stanno crollando giorno dopo giorno, le frontiere esterne sono disseminate di tante aree informali, spesso veri e propri campi, di concentramento degli “indesiderati”. Si nega costantemente l’accesso al territorio per proporre una richiesta di asilo, e si sta limitando ormai ovunque, anche all’interno delle frontiere Schengen la libertà di circolazione. Le stesse garanzie costituzionali della libertà personale sembrano un lontano ricordo, se solo si considerano le pratiche violente di detenzione amministrativa adottate con forme diverse a tutte le frontiere terrestri, e muri sempre più alti vengono elevati, da ultimo anche dal governo spagnolo, non certo per bloccare la mobilità dei migranti, ma per fare pagare loro il prezzo più alto per il superamento del confine. Un costo che si riversa immediatamente sui corpi dei migranti ma che incide anche sulla riduzione degli spazi democratici e della libertà di comunicazione per i cittadini europei. Per chi riesce a superare i controlli di frontiera, in assenza di canali legali di ingresso, l’unica prospettiva rimane l’emarginazione a vita e lo sfruttamento lavorativo. Un destino che sempre più spesso potrebbe esssere condiviso dalle fasce più deboli della popolazione europea. Il prossimo autunno si profila drammatico in tutti i paesi che si affacciano sul Mediterraneo anche da questo punto di vista, e non soltanto per ragioni sanitarie.
Gli attuali partiti, sia di governo che di opposizione, in Italia, come in altri paesi europei, condividono, seppure con diverse forme di comunicazione, la linea dei respingimenti collettivi, della detenzione informale e dell’abbandono in mare. Basta mettere in linea di continuità le dichiarazioni dell’attuale ministro dell’interno Lamorgese, quelle del ministro degli esteri Di Maio e quelle di altri esponenti del governo dopo le missioni a Tripoli ed a Tunisi, con i periodici sciacallaggi degli esponenti delle destre che speculano su ogni vita soccorsa in mare, su ogni persona che viene accolta nel circuito di accoglienza, e si verifica una sostanziale continuità. Cambiano soltanto le finalità propagandistiche. Da parte di Salvini e della Meloni si cerca in tutti i modi di rilanciare la guerra tra i poveri, adesso non solo sulla base del lavoro che manca, ma adottando la tecnica del “capro espiatorio”, individuando nelle poche migliaia di persone che riescono ancora ad attraversare il Mediterraneo la causa di tutti i problemi che affliggono la popolazione autoctona, a partire dalla esposizione al rischio da contagio per la pandemia del Covid 19, che ormai non risparmia neppure i paesi di origine dei migranti. L’ex ministro dell’interno, che il prossimo 3 ottobre andrà a processo a Catania per il caso Gregoretti, ha addirittura lanciato un appello eversivo alla sua piazza, per una presenza di massa in quella città con seminari e una iniziativa davanti al tribunale nel giorno in cui il processo a suo carico dovrebbe iniziare. Si vorrebbe incidere con la pressione populista sulle determinazioni dei giudici per difendere una “libertà” che corrisponde all’arbitrio delle autorità politiche ed amministrative nellla violazione della legge quando si tratta di respingere naufraghi. Un anticipo di quello che potrebbe attenderci se la Lega ritornasse al governo e mettesse le mani sul ministero della Giustizia. Oltre alla vita delle persone in mare, ed alla loro dignità a terra, è in discussione la separazione dei poteri, principio base di un paese democratico.
Da parte delle forze di governo, ad ogni critica proveniente da destra, si risponde tentando di dinostrare una maggiore capacità di rendere effettive le espulsioni e di coinvolgere i paesi di transito nel tentativo di bloccare le partenze. Tra poco tutti riprenderanno a criticare le poche imbarcazioni delle ONG ancora operative, mentre il governo invia un preciso input politico per utilizzare ancora il fermo ammnistrativo e per tenere bloccate le navi delle ONG. Continua lo scandalo delle navi Hotspot per quarantena, ed il loro sistematico fallimento, rispetto allo scopo annunciato di decongestionare Lampedusa, alimenta la propaganda delle destre. Il sistema della quarantena obbligatoria che per i migranti appena sbarcati si confonde con la detenzione amministrativa, frutto di una dichiarazione di stato di emergenza sanitaria, rischia di portare a quegli stessi abusi per i quali la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’italia nel caso Khlaifia. Non si può continuare a praticare la politica del “meno peggio” o ritenere ancora che una trattativa con il governo possa interrompere questa linea di continuità che allinea governo ed opposizioni ( non solo in Italia) quando si tratta di affrontare le questioni dell’immigrazione.
Occorre lavorare per rimettere in movimento un processo di unificazione e di emersione di tutte le istanze che si legano alla tutela della vita umana e delle libertà democratiche, in mare, ma anche a terra. Bisogna recuperare la centralità dello sfruttamento lavorativo da una parte e dall’altra del Mediterraneo e denunciare come la risposta alla crisi del Covid sia stata scaricata ovunque, in Tunsia non meno che nelle regioni più deboli del meridione d’Europa, esclusivamente sulle spalle dei lavoratori e dei gruppi sociali più deboli. Occorre recuperare la capacità di produrre informazione dal basso per colmare il vuoto enorme lasciato da una stampa asservita ai governi, ed in genere alle forze politiche più grandi, e da una scuola che è stata chiusa con un preoccupante aumento dell’isolamento sociale e della ignoranza diffusa. Come è confermato dalla diffusione di “Fake News” che avvelenano il dibattito politico, distruggendo la coesione sociale e contribuendo alla costruzione del “nemico interno”.
Alla logica del mero soccorso di chi versa in condizioni di bisogno e di chi rischia additittura di perdere la vita in alto mare occorre aggiungere una visione più ampia sul Mediterraneo, per rimettere in discussione rapporti economici e politici che riproducono sistemicamente situazioni ormai endemiche di inferiorizzazione, dall’abbandono in mare allo sfruttamento lavorativo o sessuale. Come se ad alcune persone fosse possibile negare il riconoscimento dei diritti fondamentali in ragione del loro status o della loro provenienza nazionale.
Non dobbiamo rassegnarci alla prospettiva che da questa crisi, che non e’ transitora e non è solo sanitaria, ma anche umana e politica, ne potremo uscire soltanto garantendo zone “immuni”, aumentando i livelli di esclusione sociale e di odio interetnico, elevando muri sempre più alti alle frontiere. Controllare i confini ed adottare protocolli sanitari di sicurezza, magari con una sanità che sia sottratta alla speculazione privata ed al mercimonio politico-privato, è possibile anche garantendo canali legali di ingresso e pieno riconoscimento dei diritti fondamentali delle persone, quale che sia il loro status giuridico e la loro nazionalità.
E’ in gioco una partita enorme, il cui sbocco potrebbe essere una maggiore democrazia o una nuova forma di fascismo. Una partita che non si può giocare restando soltanto all’interno dei confini nazionali o delle azioni di singoli ed associazioni, che per quanto meritevoli, possono essere agevolmente bloccate dalle scelte disumane degli apparati amministrativi e dalla pervasività degli strumenti di repressione affidati alle polizie. Una partita che si dovrà combattere restituendo senso a quel principio di solidarietà che costituisce ancora il fulcro di tutte le Costituzioni democratiche. Sarà necessario praticare concretamente quel principio, tutti i giorni, ed uscire fuori dai confini nazionali non solo per andare a salvare persone in acque internazionali ma anche per costruire nuovi soggetti rappresentativi sovranazionali e legami con tutti coloro che nei diversi paesi del mondo, e soprattutto negli Stati africani a noi più vicini, che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo, stanno giocando una partita difficilissima, mentre le autorità militari dettano legge e non sono riconosciuti i principi basilari dello stato di diritto.
Scrive così la giornalista Nancy Porsia a proposito dell’ultima strage davanti il porto di Zuwara.
+++Naufragio del 17 agosto+++Un amico da Zwara mi racconta: i migranti erano all’altezza del molo della fabbrica di pvc di Zwara, quando un’imbarcazione con libici e egiziani a bordo hanno approcciato il gommone. Uno di loro è sceso e ha subito preso il telefono satellitare. Poi è risalito sulla sua imbarcazione, e da lì ha intimato ai migranti sul gommone di consegnargli i soldi. Le persone si sono rifiutate, hanno detto di non avere soldi etc. Uno dei libici ha aperto il fuoco puntando al motore. Mentre l’imbarcazione prendeva fuoco, i criminali si allontanavo… Nel frattempo la Guardia Costiera di Zwara sarebbe stata allertata da un uomo, sul molo, che aveva sentito urla dal mare intorno alle 3.30 del mattino. I guardacoste sono usciti e hanno soccorso i naufraghi. 37 sopravvissuti e 45 morti, tra cui due donne incinta e molti bambini… Il direttore del centro DCIM di Zwara si sarebbe rifiutato di arrestare i naufraghi… Ma questa è un’altra storia. I naufraghi sono stati tenuti un paio di giorni per accertamenti nel centro della Direzione di Sicurezza, e oggi rilasciati.Perché la realtà è sempre più complicata della sua rappresentazione. #Libia#Europa#anarchiadiStato#stragidistato