Il Decreto sicurezza bis diventa legge, cronaca di un attentato alla democrazia

Stefano Galieni

Il Decreto legge sicurezza bis (Dl 53/2019) dopo essere passato dalle commissioni riunite “Affari Costituzionali” e “Giustizia” della Camera, è andato avanti nel suo iter a colpi di fiducia ed e’ stato approvato anche dal Senato. Un percorso gia’ dall’inizio accidentato, che ha poi  risentito dell’effervescenza politica e di dinamiche estranee al provvedimento stesso. Il dibattito c’è stato ma alla fine, a colpi di emendamenti, il testo rimane quello votato alla Camera,ed è assai peggiore di quello approdato alle Commissioni. L’esame alla Camera è iniziato il 25 giugno, si era quindi gia’ in ritardo, tenendo conto che entro il 13 agosto il decreto legge 53/2019 andava convertito in legge con l’approvazione anche al Senato. In caso contrario poteva decadere ma ciò non è avvenuto. Sarebbe stato auspicabile e forse anche possibile, se  i parlamentari che si opponevano avessero sfuttato le contraddizioni della maggioranza, arrivando anche al limite dell’ostruzionismo e soprattutto se i critici del M5S avessero  mostrato maggior coraggio, il blocco del provvedimento. Ma con i loro voti, tutti i parlamentari dei cinquestelle, con poche eccezioni, hanno dimostrato un asservimento totale al ministro dell’interno,  capo della lega, vero padrone del governo. Il trasferimento dei poteri in capo al Viminale, anche di quelli prima spettanti al ministro delle infrastrutture sui porti ed al Presidente del Consiglio dei ministri, costituisce uno strappo costituzionale senza precedenti ed intacca alle fondamenta l’assetto democratico dello stato italiano.

Il decreto, come molti ricorderanno, nasce soprattutto in seguito al fatto che, nonostante il primo decreto sicurezza (legge 132/2018), le navi umanitarie delle Ong hanno continuato, fra mille difficoltà, a salvare persone in acque internazionali e i loro equipaggi a svolgere un prezioso lavoro di testimonianza in quel tratto di mare che si vorrebbe deserto e totalmente alla mercé della cosiddetta Guardia costiera libica. Ma c’è un’altra ragione. Al governo erano sfuggiti, nel primo testo, altri punti su cui poter intervenire soprattutto in merito alla repressione del dissenso sociale e, visto il successo riscontrato col primo tentativo, pur non sussistendo i requisiti di necessità e urgenza previsti per tali misure, ma da anni ampiamente ignorati nella decretazione d’urgenza, si e’fatto ricorso a un decreto sicurezza bis, n.53/2019, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 giugno scorso.

La originaria stesura del decreto, prima delle elezioni europee,  aveva creato un certo imbarazzo, vi si proponeva ad esempio di punire le Ong e gli armatori, con una sanzione pecuniaria  per ogni persona salvata. Una sorta di “tariffario delle vite umane” che lo stesso Presidente della Repubblica, per il resto sin troppo prudente e silenzioso, ha considerato inaccettabile. Si è giunti, nel testo di decreto legge presentato alla Camera per la conversione, a ipotizzare una cifra forfettaria, con un massimo di 50 mila euro ad imbarcazione. Per velocizzare i lavori, si e’ deciso di discuterlo congiuntamente nelle commissioni Affari Costituzionali e Giustizia, quanto segue è l’iter del percorso fin qui seguito. Da lunedi’22 luglio è cominciato l’esame del provvedimento nell’aula della Camera, dove è stato votato in 3 giorni, il 25 luglio con 322 voti favorevoli, 90 contrari e 1 astenuto Alcune prese di posizione dei deputati M5S avevano aperto  un varco. Ma poi si è passati al Senato.

All’apertura dei lavori in commissione della Camera, dopo la relazione introduttiva si era  avuto il primo assaggio del livello della discussione. La deputata della Lega Simona Bordonali, relatrice, si è infatti appellata, per spiegare le ragioni delle misure contro le Ong, all’art 19 comma 2 della Convenzione di Montego Bay ritenendo che le imbarcazioni vadano fermate in quanto il loro passaggio nelle acque territoriali sarebbe «pregiudizievole per la pace, il buon ordine e la sicurezza dello Stato». Una valutazione che da’ per scontato il carattere illegale dei soccorsi operati in acque internazionali da navi private che,  in assenza di navi militari, svolgono attivita’ di ricerca e salvataggio. Poco importa che il resto della Convenzione di Montego  Bay (UNCLOS) sia stato ampiamente disatteso, e che siano state del tutto ignorate le altre due Convenzioni di diritto del mare, la Convenzione di Amburgo (SAR) e la Convenzione Solas. Come risulta violato il principio di non respingimento affermato dall’art.33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati. Solo due, e di carattere preliminare, gli interventi in opposizione al decreto. La maggioranza ha operato come un rullo compressore, malgrado i litigi quotidiani  tra i suoi  maggiori  esponenti, ignorando la immediata precettivita’ degli articoli 10 e 117 della Costituzione, che avrebbero dovuto impedire una valutazione favorevole in merito alla costituzionalità degli articoli 1 e 2 del decreto, che prevedono la cd. chiusura dei porti e le sanzioni contro le ONG che salvano vite in mare.

Due ulteriori riunioni si erano poi tenute il 26 giugno e il 9 luglio senza alterare molto il progetto presentato pe la conversione in legge. Il giorno successivo, il 10 luglio, sono stati presentati diversi emendamenti che hanno inasprito ulteriormente il testo originario.

Molti di questi emendamenti portano la firma di esponenti della Lega e del M5S, altri di Forza Italia e di FdI, tutti sono accomunati dall’intento di aumentare l’effetto repressivo del Decreto legge 53/2019. In alcuni casi si supera veramente ogni limite derivante dalla normativa europea e dalla Carta costituzionale,  dall’emendamento  che porta da 6 a 18 mesi i tempi di trattenimento nei CPR, all’abrogazione del reato di tortura, all’utilizzo in maniera sistematica della polizia municipale per mansioni non compatibili con il suo ruolo, all’affondamento delle imbarcazioni delle Ong, all’introduzione del reato di “integralismo islamico”. L’opposizione, in particolare rappresentata da parlamentari di Leu, dei Radicali Italiani e di alcuni esponenti del PD, ha avanzato proposte per tamponare gli effetti del nuovo dispositivo normativo, ma in un’aula che è parsa sorda e cieca persino  di fronte ai richiami alla Costituzione. In tutto sono stati presentati 546 emendamenti, in gran parte dichiarati inammissibili dalla Presidenza.

Il 15 luglio, nella Sala del Mappamondo, si è trovato il tempo per alcune audizioni informali, il 16 si è tornati in Commissione. Una riunione lunga, del resto il dibattito avveniva in sede referente, con lavori interrotti spesso da numerose scontri. Si era nel pieno della vicenda Sea Watch 3, ogni occasione di propaganda era dunque buona, anche in sede parlamentare, mentre stava esplodendo sui giornali il caso dei cosiddetti “fondi russi” e l’atmosfera rimaneva incandescente per tutta la giornata.

Le due sedute del 17 e 18 luglio, sono state caratterizzate da un incontro con esponenti del Governo che sono intervenuti voltando le spalle ai parlamentari dell’opposizione con le reazioni conseguenti. Nonostante un impegno ancora più forte di alcuni parlamentari che hanno tentato di modificare il provvedimento in senso  conforme alle normative internazionali ed alla Costituzione, sono state approvate modifiche sostanziali che inaspriscono le sanzioni  contro le Ong. Multe fino a 1 milione di euro per chi opera soccorso in mare e prova a cercare un Place Of Safety sulle coste italiane, misure per facilitare la requisizione e, entro due anni, la demolizione delle imbarcazioni sequestrate alle Ong.

Col testo arrivato  in aula alla Camera ha prevalso la fretta di portare a casa il risultato. Il decreto legge doveva essere approvato entro il 13 agosto ed i parlamentari stavano già facendo le valige per le ferie, mentre il quadro politico appariva sempre piu’ confuso. Il testo è giunto in Senato “blindato”. Forza Italia e FdI lo avrebbero anche votato a condizione che potessero essere  discussi alcuni ulteriori emendamenti presentati (in totale erano 1240) ma la Lega e il suo “capitano” hanno preferito porre la fiducia.

Abbiamo seguito costantemente l’iter  di questo pessimo, e per molti aspetti propagandistico, tentativo di criminalizzare ancora più drasticamente la solidarietà e il dissenso sociale con il ricorso a sanzioni penali-amministrative sempre piu’ gravi. Dopo la sessione alla Camera di lunedì 22 luglio il giorno successivo il governo ha posto la “questione di fiducia” sul testo, togliendo spazio ad ogni ulteriore emendamento. Malgrado diffusi malumori, l’esito della votazione, e dunque l’approvazione del provvedimento, col supporto di FdI e Forza Italia, sembra scontato. In occasione della discussione si è registrata una scarsa presenza in aula delle forze di governo, mentre gli interventi delle opposizioni, per quanto fondati su richiami alla Costituzione ed alle Convenzioni internazionali, ben poco hanno potuto, di fronte ad un percorso decisionale ormai deciso dalla maggioranza con una ennesima forzatura dei regolamenti parlamentari.

Al di là della sua scontata approvazione, giunta col voto di fiducia al Senato nella serata di lunedì 5 agosto, questo decreto aumenterà,  in Italia ed all’estero, la mobilitazione contro gli effetti nefasti della sua applicazione, e si moltiplicheranno i ricorsi giurisdizionali, come si e’ gia’ sperimentato con il primo decreto legge sicurezza,  adesso legge n.132/2018, fortemente ridimensionato nella sua portata applicativa dalle sentenze pronunciate dai giudici. Questo ennesimo attacco allo stato di diritto non passera’.

La discussione al Senato, mortificata dall’assenza di molti ministri e dai tempi  fin troppo contingentati, è durata appena una giornata mentre fuori, in piazza Montecitorio prima e poi sotto Palazzo Madama, manifestavano centinaia di persone indignate che leggevano la Costituzione. Il testo bloccato con un unico emendamento che lo assorbiva completamente,  è passato con 160 voti favorevoli, 57 contrari e 21 astenuti. I senatori di FdI e della SVP, astenendosi, hanno di fatto favorito il governo, Forza Italia non ha partecipato al voto ma non ha fatto abbassare il quorum necessario per marcare un proprio peso politico, quelli del M5S che avevano espresso forti critiche non se la sono sentita di votare contro e sono usciti dall’aula. In questo modo hanno fatto il gioco della lega per mantenere  ancora per qualche tempo le loro poltrone. Una scelta cinica che aumenterà la conflittualità sul territorio e le vittime in mare. Una scelta di guerra alla solidarietà che avvantaggia soltanto l’avanzata dei partiti  di destra.

Ora col testo approvato dal Senato, la parola spetta al Quirinale. Vorrà rimandare il testo alle Camere per palesi violazioni della Carta costituzionale o firmerà in silenzio? Comunque decida il Presidente della Repubblica, appena cercheranno di applicare le nuove disposizioni, difenderemo, con iniziative diffuse sui territori e con i ricorsi ai tribunali nazionali, ed alle corti internazionali , il diritto alla vita ed i principi di garanzia dei diritti fondamentali e di separazione dei poteri sanciti nelle Convenzioni internazionali e nella Costituzione italiana.



PARERE DEL GARANTE NAZIONALE DEI DIRITTI DELLE PERSONE DETENUTE O PRIVATE DELLA LIBERTÀ PERSONALE
SUL DECRETO-LEGGE 14 GIUGNO 2019, N. 53 recante titolo:
“DISPOSIZIONI URGENTI IN MATERIA DI ORDINE E SICUREZZA PUBBLICA”

Roma, 4 luglio 2019

L’intervento normativo in corso di conversione si compone di tre parti distinte: la prima concerne il contrasto all’immigrazione illegale, la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica; la seconda, il potenziamento dell’efficacia dell’azione amministrativa a supporto delle politiche per la sicurezza; la terza, il contrasto alla violenza in occasione di manifestazioni sportive.
Il Garante nazionale preliminarmente osserva che le misure oggetto di parere concernono gli aspetti che possano direttamente o indirettamente incidere sulla privazione della libertà delle persone, sulla sua legittimazione formale e sostanziale, sulle forme in cui essa possa attuarsi e
sull’effettività dei diritti fondamentali delle persone ristrette. Pertanto, il parere qui di seguito espresso, mentre è da un lato opportuno, essendo il Garante nazionale l’Autorità di tutela dei diritti delle persone private della libertà personale, qualunque ne sia la ragione, è altresì obbligatorio da
parte del Garante stesso quale Meccanismo nazionale di prevenzione, ai sensi dell’articolo 19 lettera c) del Protocollo opzionale alla Convenzione ONU contro la tortura e altri trattamenti o pene crudeli, inumani o degradanti (ratificato dall’Italia con legge 9 novembre 2012 n. 195)
Le previsioni dirette a contrastare prassi abusive della normativa internazionale e delle disposizioni in materia di ordine e sicurezza pubblica, nonché quelle dirette a potenziare l’efficacia delle disposizioni in tema di rimpatri sono quelle che maggiormente e direttamente coinvolgono l’azione di monitoraggio e tutela da parte del Garante Nazionale. Nondimeno alcuni aspetti relativi alle modifiche introdotte nei codici e nella legislazione a essi complementare, hanno rilevanza per il Garante in virtù dei loro effetti sulla potenziale area della privazione della libertà personale.
È tuttavia doveroso osservare preliminarmente che nello spazio temporale degli ultimi due anni il Garante si è trovato a esprimere pareri su ben tre provvedimenti – tutti adottati con procedura d’urgenza, i precedenti essendo il decreto legge 13/2017 e il decreto legge 113/2018 – riferibili
alla stessa materia. Non solo, ma sono ancora lontane dalla piena attuazione alcune rilevanti previsioni contenute nel primo provvedimento: per esempio relativamente alla predisposizione di Centri per il rimpatrio di dimensioni ridotte, collocati regionalmente e con condizioni materiali e
organizzative accettabili, essendosi limitata l’attuazione della nuova previsione normativa alla riapertura di Centri già funzionanti in passato e alla risistemazione delle più macroscopiche inadeguatezze di quelli esistenti. Analogamente le previsioni contenute nel decreto del 2018, per esempio relativamente al possibile trattenimento fino a trenta giorni dei richiedenti asilo negli hotspot o alla possibile disposizione di ‘luoghi idonei’ giustamente e comprensibilmente non sono state disciplinate. Il Garante nazionale, mentre apprezza sia tale cautela applicativa sia l’interlocuzione avviata con il Ministero dell’interno proprio sulla realizzazione di tali aspetti, non può esimersi dall’esprimere la propria perplessità sulla frequenza di provvedimenti d’urgenza che incidendo sulla stessa materia, peraltro in ridefinizione ed evoluzione proprio sulla base di precedenti interventi, rischiano di avere più la connotazione di messaggio e di costruzione culturale che non di effettività. Il tutto in un contesto di drastica riduzione degli arrivi irregolari nel nostro Paese, soprattutto per la via marittima: una riduzione a volte rappresentata numericamente anche maggiore di quanto non sia nella realtà, dato l’arrivo di piccole imbarcazioni che sfuggono al flusso di controllo, identificazione e accoglienza che connota gli arrivi di grandi vettori. Nonché nel contesto di un immutato numero di effettivi rimpatri, che si mantiene lungo valori standard, come già in altre occasioni documentato.
Come il Garante nazionale ha già avuto modo di rilevare nella propria Relazione al Parlamento 2019, una simile reiterata modalità di adozione di provvedimenti legislativi nella stessa materia, a parità di condizioni al contorno, potrebbe essere letta come un preoccupante indice della difficoltà di affrontare il tema al di fuori di una logica emergenziale, con i tempi e gli spazi propri del confronto sociale, culturale e parlamentare così come invece il Garante nazionale aveva letto nella pregevole iniziativa della stessa Commissione Affari costituzionali della Camera dei Deputati di disporre l’“Indagine conoscitiva in materia di politiche dell’immigrazione, diritto d’asilo e gestione dei flussi migratori”.
Pertanto, anche nell’analisi di quest’ultimo provvedimento, il Garante nazionale pone alla considerazione del Parlamento alcune riflessioni in merito al nuovo ricorso alla decretazione d’urgenza, svolgendo in premessa una considerazione di carattere generale che attiene sia a profili di criticità tecnica sia ad aspetti più generali che riguardano la costruzione di strategie e interventi per la gestione dei flussi migratori.

Sotto un profilo tecnico, l’eterogeneità dei fini del provvedimento normativo genericamente e vagamente riferiti alla tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica sembra al Garante non riuscire a soddisfare, nell’articolazione del provvedimento stesso, i requisiti di omogeneità e specificità richiesti per la decretazione d’urgenza.
Inoltre, il Garante nazionale esprime i propri dubbi relativamente alla sussistenza in concreto di effettive straordinarie e impellenti necessità di esercizio da parte dell’organo esecutivo del potere di sostituirsi al Parlamento nella sua funzione legislativa. Ciò anche in considerazione, in particolare relativamente ai primi articoli, alla già citata indubbia riduzione degli sbarchi. Per il resto dell’articolato, ricorda che il codice penale dovrebbe essere oggetto di particolare protezione rispetto a possibili interventi urgenti che rischiano spesso di modificarne la complessiva costruzione logica anche nella gerarchia dei beni giuridici tutelati e nella previsione di conseguenti sanzioni per chi tali beni aggredisce, il Garante nazionale ritiene sorprendente la modifica per decreto di alcune previsioni in virtù di un contingente e limitato evento sportivo. Rammenta in merito, come in passato si sia giunti a censura da parte della Corte costituzionale dell’inserimento in un provvedimento d’urgenza in corso di conversione di aspetti che regolavano un’area tematica del tutto dissimile dall’imminente evento agonistico internazionale, a cui il provvedimento era formalmente dedicato.

Parere sull’articolo 1 recante rubrica “Misure a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e in materia di immigrazione”
L’articolo 1 del decreto legge prevede che «Il Ministro dell’interno […] nel rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia, può limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, […] per motivi di ordine e sicurezza pubblica ovvero quando si concretizzano le condizioni di cui all’articolo 19, par. 2, lettera g), limitatamente alle violazioni delle leggi di immigrazione vigenti, della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare», vale a dire quando la nave è impegnata nelle attività di carico o scarico di qualsiasi persona in violazione delle leggi di immigrazione vigenti nello Stato costiero.
La norma contiene, conformemente a quanto previsto dall’art. 117 Cost., il richiamo generale al rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia inteso come limite complessivo all’esercizio del potere di limitare o vietare l’ingresso.
La previsione è in linea con quanto stabilito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (“Convenzione di Montego Bay”, d’ora in avanti CNUDM) che prevede, all’articolo 2 paragrafo 3, il principio generale in base al quale «La sovranità sul mare territoriale si esercita secondo le condizioni previste dalla presente Convenzione e dalle altre norme di diritto internazionale», tra le quali rientra non solo il diritto internazionale del mare, ma anche il diritto internazionale dei diritti umani.
Il primo e più importante limite internazionalmente previsto all’esercizio della sovranità sul mare territoriale è il diritto di passaggio inoffensivo che lo stato costiero ha l’obbligo di consentire (art. 17 CNUDM). Questo principio è bilanciato dal riconoscimento del diritto dello Stato costiero di proteggersi dal passaggio non inoffensivo (art. 25 CNUDM) attraverso l’adozione di «misure necessarie per impedire nel suo mare territoriale ogni passaggio che non sia inoffensivo».
A tal proposito, lo Stato costiero può eccezionalmente sospendere temporaneamente, senza discriminazioni di diritto o di fatto tra navi straniere, il diritto di passaggio inoffensivo in zone specifiche di mare, quando ciò sia indispensabile per la propria sicurezza.
Tuttavia, una lettura della norma che consideri la fattispecie del salvataggio in mare (che continua fino allo sbarco in un luogo sicuro – place of safety) come una violazione delle norme in materia di immigrazione dello stato costiero e, di conseguenza, come una ipotesi di passaggio non inoffensivo appare non in linea con gli obblighi internazionali di soccorso previsti in vario modo da norme contenute nelle più importanti convenzioni sul diritto del mare (Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, Convenzione SOLAS del 1974 e Convenzione SAR del 1979) e dagli artt. 485 e 489 del Codice della Navigazione italiano.
Per citare una recente dichiarazione dell’UNHCR, «Il soccorso in mare è una tradizione secolare e un obbligo che non si esaurisce tirando le persone fuori dall’acqua. Un salvataggio può essere considerato completo una volta che i passeggeri hanno raggiunto la terraferma in un porto sicuro».
Anche un gruppo di procedure speciali delle Nazioni Unite ha scritto al nostro governo richiamando l’art. 98 CNUDM, precisando che questo «is considered customary law. It applies to all maritime zones and to all persons in distress, without discrimination, as well as to all ships, including private and NGO vessels under a State flag».
Dello stesso tenore il documento del Commissario per i diritti dell’uomo del Consiglio d’Europa Lives saved. Rights protected. Bridging the protection gap for refugees and migrants in the Mediterranean contenente una serie di raccomandazioni indirizzate agli Stati membri: «Actions to  safeguard human life at sea should be carried out in such a manner that they are consistent with the European Convention on Human Rights and other internazional instruments, such as the 1951 Refugee Convention. This requires ensuring that questions, such as rescue and disembarkation are also resolved in full respect of the principle on non-refoulement, protection against arbitrary detention, and the prohibition of collective expulsion, among others. […]. From the Commissioner’s perspective, the effective protection and promotion of the human rights of refugees, asylum seekers and migrants, at sea and on land, should always prevail over any dilemma
or uncertainity that the interaction of different legal regimes, practices and policies may cause».
In breve, alla luce del diritto internazionale e nazionale vigente, non si vede come il passaggio di una nave che ha soccorso persone in pericolo e intenda entrare al fine di perfezionare quest’obbligo possa essere considerato in violazione di norme interne sull’immigrazione, dal momento che norme internazionali e interne lo rendono obbligatorio e, di conseguenza, possa essere visto come passaggio non inoffensivo.
In tal senso il Tribunale di Agrigento nell’ordinanza del 2 luglio 2019 sulla richiesta di convalida di arresto e di applicazione della misura cautelare: «L’attività del capitano della nave Sea Watch 3, di salvataggio in mare di soggetti naufraghi, deve, infatti, considerarsi adempimento degli obblighi derivanti dal complesso quadro normativo richiamato. Su tale quadro normativo non si ritiene possa incidere l’art. 11 comma ter del Dlgs 286/98 (comma introdotto dal DL n. 53/2019): difatti, ai sensi di detta disposizione, il divieto interministeriale da essa previsto (di ingresso, transito e sosta) può avvenire, sempre nel rispetto degli obblighi internazionali dello Stato, solo in presenza di attività di carico o scarico di persone in violazione delle leggi vigenti dello Stato costiero, fattispecie qui non ricorrente vertendosi in una ipotesi di salvataggio in mare in caso di rischio di naufragio. Peraltro, l’eventuale violazione del citato art. 11 comma 1 ter – si ribadisce sanzionata in sola via amministrativa – non fa venir meno l’inderogabile disposto di cui all’art. 10 ter del Dlgs 286/98 avente ad oggetto l’obbligo di assicurare il soccorso, prima, e la conduzione presso gli appositi centri di assistenza, poi.»
Quindi, fermo restando quanto sopra esposto in relazione alla possibilità degli Stati di inibire l’ingresso nelle proprie acque territoriali alle navi straniere, l’esercizio di una tale facoltà non può determinare la violazione di diritti fondamentali della persona sanciti dalle Convenzioni internazionali in materia di diritti umani e dalla nostra Carta costituzionale.
In tal senso, il generico richiamo al rispetto gli obblighi internazionali contenuto nell’articolo 1 deve intendersi come comprensivo sia di quelli derivanti dal diritto internazionale del mare, che di quelli in materia di diritti umani, inclusi quelli dei rifugiati. Qui entrano in gioco il diritto di cercare asilo o protezione internazionale) e il diritto a non subire torture o trattamenti o punizioni inumani o degradanti e – in funzione del rispetto di questi due diritti – il principio di non refoulement e anche il divieto di espulsioni collettive.
Come noto l’articolo 10, comma tre della Costituzione stabilisce che «lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge», diritto che come pacificamente interpretato dalla giurisprudenza italiana si configura quale diritto di rango costituzionale e riveste carattere di superiorità.
Una formulazione maggiormente aderente al dettato costituzionale, a parere di questa Autorità di garanzia, richiede un espresso richiamo a tale previsione affinché sia esplicitamente sancito il diritto della persona di entrare nelle acque nazionali qualora manifesti l’intenzione di richiedere asilo, anche nel caso in cui venga vietato all’imbarcazione di fare ingresso nel territorio italiano.
Infatti, alla luce di quanto affermato dal diritto del mare e dalle norme a tutela dei diritti umani, il luogo di sbarco deve essere un place of safety (luogo sicuro), inteso come luogo in cui si può ottenere cibo, riparo e cure urgenti, ma anche un luogo nel quale la vita o la libertà delle persone salvate non «sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche» (art. 33 Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951) e/o dove queste non corrano un rischio oggettivo di subire torture o trattamenti o punizioni inumani o degradanti (art. 3 della CEDU, così come interpretato dalla Corte di Strasburgo), nonché un luogo (Paese di transito) da cui le persone non corrano il rischio di essere successivamente allontanate verso un Paese di origine con le
caratteristiche sopra descritte.
A supporto di quanto sopra considerato, si ricorda che l’articolo 2 del Testo Unico Immigrazione (decreto legislativo 286/1998) stabilisce che «Allo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti». Impedire l’ingresso in acque nazionali dove è possibile fare domanda di asilo significa di fatto frustrare tale diritto (come se alla frontiera aeroportuale fosse stabilito il divieto di presentare domanda di asilo per i cittadini stranieri sprovvisti di visto).
A tal riguardo si noti, peraltro, che lo stesso Servizio studi della Camera dei Deputati nel Dossier n° 36 – Elementi di valutazione sulla qualità del testo e su specificità, omogeneità e limiti di contenuto del decreto-legge 25 giugno 2019 solleva il problema del rispetto degli obblighi internazionali con riferimento specifico al principio di non refoulement e precisa, a tal fine, la necessità che il testo di legge chiarisca come la disposizione di cui all’articolo 1 trovi applicazione «in caso di mancata individuazione in termini univoci del ‘porto sicuro’ di sbarco, anche a causa dell’esigenza di rispettare il principio di non respingimento (non refoulement), che appare riconducibile agli obblighi internazionali citati dalla norma. In base alla Convenzione di Amburgo del 1979 gli Stati competenti per le diverse regioni SAR (zona di soccorso e salvataggio), in caso di operazioni di soccorso effettuate in mare, devono fornire la disponibilità di un luogo di sicurezza in cui le operazioni di soccorso si intendono concluse e la sicurezza dei sopravvissuti assicurata. Il principio di non respingimento è ricavabile, tra le altre fonti, dall’articolo 33 della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati: «Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche», fatta eccezione per il caso in cui «per motivi seri» il soggetto «debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese». In collegamento a tale principio la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo discenda per gli Stati membri l’obbligo di adoperarsi per quanto possibile per proteggere le persone sottoposte al rischio di trattamenti disumani e degradanti (cfr. da ultimo la sentenza della Grande Camera nel caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia del 23 febbraio 2012)».
In conclusione, l’articolo 1, come già espresso, seppur compatibile in linea generale con il diritto internazionale, non può avere una formulazione che non esplicitamente escluda la possibilità di legittimare azioni interdittive di ingresso di navi che svolgono attività di salvataggio, Ciò, infatti, esporrebbe le persone a bordo al rischio di violazione dei propri diritti fondamentali in contrasto con l’articolo 2 della nostra Costituzione che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e fra questi non vi è dubbio che rientrino anche i diritti alla vita e alla salute.
Inoltre, l’esigenza di rispettare gli obblighi internazionali dell’Italia (in particolare quelli in materia di diritti umani e, fra questi, il principio di non refoulement) rischia di essere in contrasto con la formulazione letterale dello stesso articolo 1 nel senso della sua interpretazione come legittimante attività che impediscano l’ingresso, il transito o la sosta di navi che abbiano a bordo persone salvate senza aver permesso a queste ultime di fare domanda di asilo/protezione internazionale o di fare valere il rischio di subire torture o trattamenti analoghi se respinte verso il Paese da cui sono partite. Qualora, del resto, si leggesse l’articolo 1 del Decreto nel senso di non impedire (e anzi di autorizzare) questo tipo di respingimento, senza tenere conto del principio di non refoulement, sarebbe la norma stessa a essere incostituzionale per contrasto con l’articolo 117 della Costituzione che individua negli obblighi internazionali un limite al potere legislativo.
Il Garante nazionale inoltre osserva che la formulazione attuale degli articoli 17-19 CNUDM prevede all’art. 17 il diritto di passaggio inoffensivo, all’art. 18 co. 1 definisce la ‘inoffensività’ come non pregiudizievole alla pace, al buon ordine e alla sicurezza, mentre al co. 2 definisce i parametri entro cui si applica il concetto di ‘pregiudizievole’. Tra questi ultimi, quello indicato alla lettera g) dell’art. 19 co. 2 menzionata dall’art. 1 del Decreto oggetto di esame, che definisce ‘pregiudizievole’ le imbarcazioni destinate al carico e scarico di materiali, valuta o persone: qui il Decreto inserisce anche le violazioni delle leggi di immigrazione vigenti. Ma, l’articolo citato del Decreto non si limita all’estensione perché determina un ‘divieto’ di ingresso, transito e sosta. In sintesi, oltre ad ampliare le possibilità di non diritto all’ingresso, transito e sosta, trasforma tale non diritto in divieto, con un salto logico-giuridico, che richiede specifica argomentazione e
giustificazione. Infatti, l’art. 25 co.1 CNUDM prevede la possibilità per lo Stato di adottare misure per impedire ogni passaggio che non sia inoffensivo, ma tale previsione ha la caratteristica dell’eccezionalità e non della regolarità della norma.

Parere sull’articolo 12 recante rubrica “Fondi di premialità per le politiche di rimpatrio”
La previsione stabilisce l’istituzione di un fondo «destinato a finanziare interventi di cooperazione mediante sostegno al bilancio generale o settoriale ovvero intese bilaterali, comunque denominate, con finalità premiali per la particolare collaborazione nel settore della riammissione di soggetti irregolari presenti sul territorio nazionale e provenienti da Stati non appartenenti all’Unione europea».
La norma è formulata in termini vaghi e aperti e non permette di comprendere se i beneficiari dei fondi siano gli Stati che garantiscono cooperazione nella riammissione o i singoli migranti che accettano il rimpatrio volontario assistito (o entrambi).
Nella prima ipotesi, che in base alla lettura degli atti parlamentari (Dossier 20 giugno 2019) appare la più probabile, va segnalata come critica la mancanza nel testo di legge di ogni riferimento al rispetto dei diritti umani da parte dello stato di riammissione, condizione imprescindibile e legittimante che, nel rispetto degli obblighi internazionali che il Paese si è assunto in materia di non refoulement, deve essere sottesa a ogni intesa siglata nell’ambito degli accordi di rimpatrio.
A tal proposito, questa Autorità di Garanzia coglie l’occasione per richiamare il ruolo che l’articolo 80 della Costituzione assegna alle Camere nel prescrivere la previa autorizzazione parlamentare alla «ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica», rientrando senza dubbio in tale materia anche gli accordi di riammissione come ribadito recentemente dalla giurisprudenza di merito (sentenza del Tribunale di Trapani del 23 maggio 2019).
La seconda ipotesi, comunque possibile, attesa la formulazione generica della previsione, implicherebbe forme di incentivazione del rimpatrio volontario assistito di migranti irregolari mediante corresponsione di un sostegno economico. Una tale misura non solo apparirebbe in linea con la Direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2008 recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – la cosiddetta “Direttiva rimpatri” – secondo la quale la partenza consensuale dovrebbe costituire la modalità ordinaria attraverso la quale portare ad esecuzione i rimpatri, ma sarebbe altresì auspicabile nell’ottica di una maggiore tutela dei diritti fondamentali delle persone in situazione di irregolarità e del potenziamento di un istituto che per vari motivi trova ancora scarsissima applicazione.
Non può altresì non destare preoccupazione la provenienza delle risorse destinate alla dotazione del fondo. Come indicato dagli Atti parlamentari, queste deriverebbero dalle «misure di razionalizzazione della spesa per la gestione dei Centri per l’immigrazione e dagli interventi per la riduzione del costo giornaliero per l’accoglienza dei migranti posti in essere dal Ministero dell’Interno in attuazione della legge di bilancio 2019. Il riferimento non riguarda la totalità di tali risorse, bensì dagli eventuali risparmi ulteriori alla soglia minima fissata dalla medesima legge di bilancio».
La previsione di un’ulteriore contrazione delle risorse destinate alla gestione dei Centri, inclusi i Centri di permanenza per il rimpatrio per soffermarsi esclusivamente sull’area di competenza del Garante nazionale, è un aspetto di forte preoccupazione che rischia di mettere a repentaglio il livello, già di per sé piuttosto critico delle condizioni di vivibilità delle strutture come il Garante nazionale ha più volte evidenziato in esito alla sua attività di monitoraggio.

Parere sull’articolo 7 recante rubrica “Modifiche al codice penale”
Ferma restando la perplessità già espressa, sugli interventi relativi al codice penale e ricordando il principio della cosiddetta ‘Riserva di codice’ che il Parlamento ha recentemente approvato –soltanto nella XVII Legislatura – proprio al fine di tutelare la ‘carta’ dei valori giuridici tutelati e le modalità della loro tutela da interventi adottati sulla scia di emergenza ed emozione, il Garante nazionale ritiene doveroso sottolineare:
– il raddoppio della previsione di pena per l’interruzione d’ufficio o del servizio pubblico ex art. 340 cp., nel caso di manifestazioni, nonché l’inclusione implicita in tale previsione dei promotori e gli organizzatori della manifestazione;
– l’equiparazione all’art. 419 co. 2 come aggravante dell’agire in manifestazioni in luogo pubblico
– pur nel contesto di un reato indubbiamente gravissimo – all’agire nell’accaparramento di munizioni o viveri;
– l’aumento e art. 635 delle pene per danneggiamento.
Sono provvedimenti che estendono l’area della penalizzazione in presenza di comportamenti che in taluni casi – come per esempio per quanto riguarda l’art. 340 cp. – hanno una possibile frequenza certamente più sanzionabile con forme di recupero e reinserimento che non l’estensione assoluta della detenzione.

Parere sull’articolo 15 recante rubrica “Disposizioni in materia di arresto in flagranza differita” La norma proposta, abolendo il limite temporale (30 giugno 2000) previsto per la cosiddetta ‘flagranza differita’ rende questo istituto stabile nel nostro ordinamento. Il Garante nazionale invita il Parlamento all’approfondimento di discussione sull’introduzione attraverso un provvedimento d’urgenza di un istituto che ha incidenza rilevante sugli aspetti procedurali e sostanziali che coinvolgono la privazione della libertà delle persone.

Parere sull’articolo 16 recante rubrica “Modifiche agli articoli 61 e 131-bis del codice penale”
Il comma 1 lettera b) che modifica l’articolo 131-bis del codice penale di fatto riduce fin quasi alla sua abolizione il criterio di “particolare tenuità dell’offesa” per i delitti commessi in occasione di manifestazioni sportive. Rende, infatti, tale criterio applicabile solo nel caso di delitti punibili nel massimo fino a due anni e sei mesi di reclusione.
Il Garante nazionale legge tale previsione nel contesto di una riduzione del limite di apprezzamento lasciato all’autorità giudiziaria e nella tendenza a determinare automatismi che vadano proprio in tale direzione. Una direzione che il Garante invita a riconsiderare, lasciando alla valutazione del singolo caso la determinazione della gravità del fatto, secondo i fondamenti dell’istituto introdotto con l’articolo 131-bis cp.
Nel presentare questo parere il Garante Nazionale ribadisce la piena disponibilità a cooperare per ogni possibile miglioramento normativo e per la piena attuazione dei processi di assicurazione della sicurezza collettiva e, al contempo, della tutela dei diritti fondamentali di ogni persona, nel solco della nostra Costituzione.
Roma, 4 luglio 2019
per il Collegio del Garante nazionale,

Il Presidente

Mauro Palma


IOM – UNHCR

Joint Statement: IOM Director General António Vitorino and UN High Commissioner for Refugees Filippo Grandi welcome consensus on need for action on Libya, Mediterranean

22 luglio 2019

“Il ruolo cruciale svolto dalle ONG deve essere riconosciuto: non devono essere criminalizzate né stigmatizzate per salvare vite umane in mare. Le navi mercantili, a cui viene sempre più affidato il compito di condurre operazioni di salvataggio, non devono essere richieste per trasferire persone salvate sulla costa libica Guardia, né diretto a sbarcare in Libia, che non è un porto sicuro. “

The crucial role played by NGOs must be acknowledged. They should not be criminalised nor stigmatised for saving lives at sea. Commercial vessels, who are increasingly being relied upon to conduct rescue operations, must not be requested to transfer rescued people to the Libyan Coast Guard, nor directed to disembark them in Libya, which is not a port of safety.”


La Commissione europea smentisce Salvini, “la Libia non è un porto sicuro”

14  giugno 2019

Bruxelles – La Commissione europea nega che la Libia sia un “porto sicuro” nel quale sbarcare i migranti salvati in mare.

Interpellata sulla vicenda della nave Sea-Watch, alla quale la Libia ha offerto approdo con soddisfazione del ministro degli Interni Matteo Salvini la portavoce del settore ha detto che “la Libia con soddisfa le condizioni di un porto sicuro”, difendendo di fatto la scelta del comandante della nave che ha rifiutato l’offerta libica.