Malalai Joya, una combattente per la pace in un paese che odia le donne

Pubblichiamo una versione estesa dell’intervista uscita sull’ultimo numero del settimanale Left (che ringraziamo) a Malalai Joya. La scelta di pubblicarla oggi su ADIF nasce anche da un augurio. Quello  che giunga presto, malgrado anche le responsabilità occidentali e italiane, un 25 aprile di liberazione anche per il popolo afghano e soprattutto per le sue formidabili donne che non cedono

Stefano Galieni


Malalai e tre delle sue guardie del corpo fuori dalla casa dove incontrò i nostri inviati speciali (parismatch). Per ragioni di sicurezza, non dorme mai più di due o tre notti di seguito. Odia il burqa, ma la porta per proteggersi.
Caroline Poiron

«A chi dice che il ritiro delle truppe porterebbe alla guerra civile, rispondo che qui la guerra c’è già. Arrivano le notizie dei bombardamenti in Siria e resto convinta che anche lì non porteranno pace». A parlare con questa nettezza è Malalai Joya, instancabile attivista afghana. La sua vita è un susseguirsi di guerre, fughe. atti di disobbedienza, senza mai arrendersi. Neonata ai tempi dell’invasione sovietica, poi esule, quindi insegnante clandestina, dopo la presa del potere dei talebani. Nel 2003, a 25 anni entra nella Loya Girga, nel 2005 nel parlamento eletto dopo l’occupazione. Viene cacciata presto, perché continuava a denunciare i soprusi commessi dai signori della guerra senza farsi corrompere. Oggi la sua voce, nota in tutto il mondo, è totalmente bandita in Afghanistan. I media di regime dicono che è scappata per denigrarla, anche quando sono costretti a parlarne perché ottiene riconoscimenti. Invece continua a vivere e a lottare nel suo paese. Insieme a donne splendide, come lei. In Italia si è quasi dimenticato di far parte delle forze di occupazione in quel lontano paese, eppure ogni anno, circa 300 milioni di euro vengono destinati a confermare le risorse per la cosiddetta “missione  di pace”. 900 soldati italiani vivono ormai quasi stabimente rinchiusi in una caserma ad Herat per riaffermare il ruolo di potenza dominante, lasciandosi coinvolgere occasionalmente in azioni di conflitto su cui nessun parlamento ha mai voluto vigilare. La voce di Malalai, come altre che abbiamo già avuto l’onore di ospitare in questo sito, prova a rompere questo silenzio.

«17 anni fa, quando la NATO realizzò l’invasione con la scusa della guerra al terrore, promisero pace e libertà. Da allora la situazione è peggiorata sotto ogni aspetto. Hanno tolto potere ai talebani consegnandolo ai Signori della guerra. Per questo dico che fondamentalismo e imperialismo sono alla base del nostro disastro. In Europa ne vedete i risultati con l’arrivo dei tanti rifugiati. Gli stessi talebani hanno anche acquisito maggior potere, stretto alleanze, mutato la propria identità ma imponendo la stessa logica repressiva».

E intanto i rifugiati vengono rimpatriati perché si considera l’Afghanistan un “paese sicuro”

«Chi scappa non ha prospettive o è in pericolo di vita. Poi scopre che l’Europa è diversa da come se l’era immaginata. Si ritrovano in centri di accoglienza in cui (mi è capitato in Germania) è anche impossibile entrare a visitarli. Chi non ottiene l’asilo già in molti paesi europei rischia di essere rimandato indietro e per loro è la fine. Per arrivare si vendono tutto, si indebitano anche. Si ritrovano senza una casa, senza lavoro, con la percezione di sconfitta totale. Col rimpatrio hanno due sole possibilità: diventare tossicodipendenti o arruolarsi nelle milizie dei Signori della guerra o dell’Isis per 600 dollari al mese. Ma molti non vogliono contribuire ai loro crimini. Fra i rifugiati ho conosciuto storie assurde: persone che si sono suicidate per evitare il rimpatrio, altri che invece, partiti avendo i mezzi per costruirsi un futuro, pensano anche al ritorno ma sono invischiati nella burocrazia europea. Ho incontrato chi da voi ha incontrato un po’ di serenità e non vuole perderla e chi si sente tradito dal racconto di un’Europa dei diritti, non crede più a niente e si lascia andare. La maggior parte di coloro che scappano però, non avendo i mezzi per raggiungere l’Europa, finisce in Iran o in Pakistan. In Iran sono abbandonati e vivono in una condizione di terrore puro, dal Pakistan invece avvengono sempre più rimpatri e in questo caso parliamo di tantissime persone che magari lì avevano trovato lavoro in aree di confine in cui si parla la stessa linguaMa».

I frutti dell’invasione?

«Si spendono miliardi di dollari per distruggere tutto e trovare dei pupazzi criminali da manovrare per dominarci. Faccio spesso l’esempio di Gulbuddin Hekmatyar detto “il macellaio di Kabul”. Lui e il suo partito erano nella black list dell’Onu, ora sono al governo, organizzano attentati, uccidono soprattutto donne e difendono l’Isis. Gli 8 maggiori Signori della guerra si contendono il potere. Ognuno ha una sua tv, in cui magari si professa anche progressista e promette di lavorare per la pace ed il bene del paese, ognuno ha i propri burattinai, nella NATO in Russia o in Iran. Hanno armi e miliziani, utilizzano l’islam soprattutto contro le donne, attuano attacchi suicidi senza farsi scrupoli. Da noi continuano a morire migliaia di civili l’anno. In parte con i bombardamenti della NATO, in parte con gli attentati compiuti dalle varie fazioni. Obbiettivo comune sembrano essere i pochi luoghi in cui si tenta di ricostruire, le sedi delle Ong non corrotte, i quartieri di Kabul e delle altre città dove si cerca di costruire un minimo di normalità, quelli in cui si prova a far ripartire l’istruzione. Poco tempo fa una insegnante è stata uccisa e fatta a pezzi per dare esempio. Anche la sua famiglia è stata sterminata.

In Europa giungono notizie di un “processo di pace” che coinvolge i talebani. Cosa ne pensi?

«Si parla di “riconciliazione” ma una pace senza giustizia non ha significato. Oggi i talebani hanno partiti, soldi, uffici, strumenti di comunicazione, sono nella legalità. Nulla di nuovo. I governi occidentali sono conniventi e ognuno supporta una loro fazione. Nella provincia da cui vengo io Farah, è un famoso generale Usa a considerarli affidabili. Ma chiudono le scuole per le bambine, mentre figli e figlie dei capi vanno nelle università. Quando ero in parlamento c’erano loro esponenti che avevano anche stuprato bambinie non se ne vergognavano. La lista di mullah con crimini orrendi, commessi nel passato e nel presente è lunga, quello che hanno compiuto o fatto compiere inenarrabile e continuano a farlo impuniti. Eppure sono stati il pretesto per la “guerra al terrore” che in realtà è stata solo guerra contro gli innocenti. Si continua ad uccidere nelle zone rurali, dissidenti, giornalisti o chi si occupa di diritti umani. Anche Kabul è sempre più instabile. Gli attentati sono quotidiani, ci si deve muovere sempre con la paura addosso. Esci di casa e non sai se ci tornerai».

C’è una ragione che spieghi tanto accanimento?

«Vogliono impedire che Afghanistan stia sulle proprie gambe. Dobbiamo continuare a dipendere dagli Usa, dall’Iran, dal Pakistan. Gli americani impediscono anche la creazione di fabbriche. Secondo me temono che una fabbrica possa creare aggregazione fra lavoratori, che possa far entrare in testa l’idea che si possa lottare per i propri diritti. Gli effetti della politica razzista di Trump si stanno espandendo, da noi ma anche in Europa. Sanno di poter contare sulla corruzione e sulla tossicodipendenza. La Corruzione ha raggiunti livelli colossali. Eravamo al terzo posto in questa triste classifica, ora siamo passati al quarto e non perché la situazione sia migliorata ma perché sono diminuiti gli investimenti».

La produzione di oppio è sempre in crescita.

«Oggi conviene produrre oppio invece che piante per nutrirsi. Dopo l’11 settembre la produzione era crollata. Ora siamo il secondo paese al mondo e abbiamo anche le raffinerie. Si esporta eroina pura. Un business ad alti livelli, l’ex governatore di Kandahar, ucciso dai talebani, era un importante trafficante. E cresce anche l’uso interno, soprattutto fra le  persone  più vulnerabili. Donne e bambini sono le prime vittime. Molti bambini nascono da madri già tossicodipendenti e a loro volta lo diventano rapidamente. Un incubo difficile da immaginare, si calcola che in Afghanistan ormai quasi l’11% delle persone faccia consumo costante di droghe. A Kabul c’è un quartiere quasi esclusivamente popolato da morti che camminano. La mattina passa un camion che raccoglie i cadaveri e li porta al cimitero. Molte famiglie povere lavorano nelle piantagioni, non hanno altre alternative e sono costrette a vendere le figlie come spose bambine ai Signori della guerra. Gli interessi occidentali nel settore sono enormi. Anche per questo ci sono le truppe di occupazione. Quando potremo ricostruire il nostro paese dovremo affrontare anche questo problema. Il nostro popolo è stato illuso per tanti anni con diversi modelli, dal comunismo sovietico, allo Stato islamico, e ci hanno anche illuso dicendo  che avrebbero portato la democrazia. Ci parlano ancora di democrazia, ma quella americana, quella che ci stanno imponendo, non la vogliamo, è una forma di prostituzione».

Ma c’è chi prova anche ad opporsi

«Qualcuno. Tempo fa a Kabul dei giovani della minoranza hazara, hanno organizzato una manifestazione. Il governo ha risposto con le minacce e sono partiti attacchi suicidi contro questi gruppi. Ci vorrebbe una rivoluzione ma se i tuoi figli muoiono letteralmente di fame, chi può farla? E anche chi prova a compiere piccoli gesti positivi ne paga le conseguenze che ricadono sulla sua famiglia. Faccio raffronti con le lotte in Siria, Palestina, Iran e capisco quale è la profonda differenza».

E quale è?

«Non abbiamo un sistema educativo. I ricchi vanno nelle scuole iraniane, turche e saudite dove escono ancora più fondamentalisti. Le statistiche del governo (edulcorate) dicono che 3,5 milioni di bambini non vanno a scuola. Gli insegnanti non sono preparati, di fronte a domande non contemplate nelle poche nozioni impartite non sanno cosa dire. Molti di loro rispondono ai partiti e sanno che debbono tenere nell’ignoranza le nuove generazioni. Da parlamentare denunciai il ministro all’istruzione. Aveva sottratto 25 milioni di dollari al budget per l’educazione per scuole mai realizzate. Esistevano sulla carta, esistevano i progetti e le planimetrie ma non nella realtà. I soldi se li era messi in tasca. Era un ministro che si presentava come progressista e venni anche minacciata di essere privata del mio stipendio di parlamentare per averlo accusato. Ho risposto che io sputavo sul loro stipendio. Oggi si è dimostrato che purtroppo avevo ragione. Che quel ministro aveva rubato ma non ne ha pagato le conseguenze. Per l’istruzione bisogna pensare ad un programma a lungo termine che non può essere però realizzato con queste persone al potere».

A ottobre ci saranno le elezioni del nuovo parlamento. Pensi di candidarti?

«Noi siamo già in una situazione anomala. Ci sono due Presidenti della Repubblica perché quando ci sono state le presidenziali entrambi hanno dichiarato di aver vinto e gli Usa, volendo evitare problemi, li riconoscono tutti e due. Non intendo candidarmi perché non è possibile un cambiamento in quelle istituzioni. Non sarò la sola a boicottarle. Il sistema elettorale da noi è complesso, si presentano le persone e non i partiti. E chi viene eletto o corrompe o è corrotto. Con me non ci sono riusciti per questo mi hanno tolto la parola. Mi hanno attaccato anche sedicenti uomini di sinistra capaci solo di parlare. Quindi preferisco lavorare nella base per far crescere consapevolezza. Anche il partito Hambastagi (della Solidarietà), che conta almeno 30 mila iscritti e che cerca di svolgere lavoro sociale, non intende partecipare alle  elezioni. A me hanno anche proposto di fondare un mio partito o di candidarmi per uno di quelli già pronti a competere ma non sono riusciti a comperarmi a lora e non mi compreranno adesso. È questo che vorrebbero, pensano che tutto si possa comprare».

Quale è il ruolo dell’Italia?

«Che aspettarci da chi ha eletto Berlusconi? Ho visto che per la sinistra le elezioni sono andate male ma qualsiasi governo occidentale vada al potere è in mano agli Usa. Di quello che fanno le vostre truppe, non sappiamo nulla. Se ne parla solo dopo un bombardamento. Nella mia regione ci sono americani e italiani e i talebani fanno ciò che vogliono. Le truppe afghane sono utilizzate come carne da macello e gli stranieri restano nelle retrovie. C’è chi paga persone per realizzare massacri fra le truppe. Vengono reclutati anche mediante i social network. I soldati hanno poco da perdere, ricevono un salario da fame e sono nutriti a pane e té. Non riescono neanche a nutrire le famiglie e diventano  disposti a tutto, sono senza speranza. Questo lo chiamano “paese sicuro”».

Il futuro?

«Vogliono balcanizzarci ipotizzando uno Stato federato. L’Aghanistan è da secoli abitato da popolazioni diverse abituate a convivere ma si cerca di incrementare le differenze, di separare  le minoranze utilizzando ogni pretesto possibile. Già si fanno carte di identità in cui si specifica l’etnia di appartenenza e non l’essere comunque tutti afghani. Questo favorirà i Signori della guerra. In tanti hanno interessi a dividerci. Al nord i talebani si sono trasformati in Isis. Prima erano con gli Usa, che li ha creati e foraggiati, ora sono passati con Russia, Germania e Iran. E le alleanze cambiano in continuazione in funzione degli equilibri interni e soprattutto degli interessi stranieri.  Ad opporsi restano intellettuali indipendenti e poche associazioni, illegali come RAWA  (Revolutionary Afghanistan Women Association)  o sempre a rischio come HAWCA (Humanitarian Assistence for Women and Children of Afghanistan),  OPAWC (Organization Promoting Afghan Women Capabilities) e pochi altri. Ma molte Ong sono corrotte e molte associazioni sono servite solo ad arricchire qualcuno. Negli anni passati in tanti hanno fatto progetti con fondi destinati al nostro paese ma si è visto ben poco, ora ci sono meno soldi ma chi comanda cerca sempre di controllarne l’utilizzo. Il futuro dobbiamo costruirlo partendo da questa tremenda consapevolezza. Senza arrenderci».

P.S.

Questa intervista non si sarebbe potuta realizzare senza le compagne del CISDA (Comitato Italiano di Sostegno alle Donne Afgane) che dal 1999 e come volontarie, sono uno dei pochi volti sani dell’occidente in Afghanistan e il prezioso lavoro di interprete di Jessica Todaro che ringrazio.