Giungono notizie di sangue in questa domenica delle Palme dall’Egitto. Attentati nelle chiese copte a poche settimane dalla annunciata visita papale, che hanno portato a dichiarare lo stato di emergenza per 3 mesi, ma non si tratta a nostro avviso unicamente di avvenimenti legati alla concomitanza con festività religiose. Quanto accade in Libia e in Siria – contesti certamente diversi – rende l’Egitto un nodo centrale per quanto riguarda alcune questioni fondamentali di carattere non solo geopolitico. Dall’emigrazione alle risorse energetiche ( il prezzo del greggio sembra destinato a risalire) al ruolo stesso del regime di Al Sisi, che può giocare oggi su due tavoli (Russia e NATO) alla ricerca del miglior offerente, quanto accade al Cairo e dintorni torna al centro dell’attenzione internazionale. Il risultato di quanto sta accadendo, senza alcuna dietrologia, è che il regime egiziano, dopo la visita di Al Sisi da Donald Trump e dopo le promesse di aiuti economici da Bruxelles, sembra uscire ad oggi rafforzato. Paese ritenuto stabile – senza doversi troppo interrogare rispetto al reale rispetto dei diritti umani o delle effettive libertà democratiche ritenute “lusso occidentale” – fondamentale nei confronti della Libia (Al Sisi resta l’alleato fondamentale nell’area del governo antagonista di Tobruk del generale Haftar), vicinissimo al confine siriano da cui potrebbero tentare la fuga i prossimi profughi e confinante direttamente con Israele e Sudan per diverse ragioni con una posizione strategica determinante sia per la NATO che per l’U.E.
Ed è in questo contesto che rischia di essere schiacciata la tragedia che vede al centro Giulio Regeni, la ricerca della verità rispetto alla sua uccisione che potrebbe rimanere senza risposta in nome della Ragione di Stato, anzi di Stati. Chi dal giorno della sparizione del giovane ricercatore italiano si è esposto per vedere puniti tutti i responsabili della barbara uccisione di Giulio, chi da anni denuncia poi come il governo Al Sisi, continui a far sparire gli oppositori e i presunti nemici, a tenerli in condizioni di detenzione senza processo, a torturarli fino ad ucciderli, a rinchiudere ed espellere rifugiati è oggi egualmente sotto attacco. Non necessariamente e non sempre un attacco diretto alla persona, ancora, ma quando – e il rischio che questo accada è presente – le relazioni fra i paesi europei e l’Egitto si normalizzeranno del tutto, magari quando riprenderanno tranquillamente ed ancor più alla luce del sole tutti gli scambi commerciali e le forniture militari in cui l’Italia gioca un ruolo primario, allora è forte il rischio che chi si è esposto per racccogliere prove, ma anche per chiedere verita’ e giustizia subisca ritorsioni. C’è una parte forte e non embedded della società civile italiana, delle forze sociali, anche della politica, che non resterà in silenzio e che continuera’ a premere perche’ le autorita’ tutte assolvano il fondamentale obbligo di accertare fatti e punire i responsabili, che incombe loro. Che continuerà a chiedere verità e giustizia per Giulio e per tutti i Giuli d’Egitto e pace per tutte le donne e gli uomini. Non saremo soli, non lasceremo soli quanti denunciano e reclamano la punizione dei colpevoli.