Profughi, fuggire dall’Italia anche a rischio della vita: 9 vittime nel 2016

di Emilio Drudi

bolzanoLe ultime vittime sono due giovani eritrei, un ragazzo e una ragazza, partiti da Verona e rimasti schiacciati in Austria, il 3 dicembre, dal Tir sotto al quale si erano nascosti per passare il confine. Le ultime vittime del “sistema Italia” per l’assistenza a profughi e migranti. Dall’inizio dell’anno si sono contati oltre 172 mila arrivi. E’ il flusso più alto mai registrato. Di contro, ci sono soltanto 23 mila posti nella rete di accoglienza Sprar, l’unico canale che apre un percorso di inserimento sociale. Meno di 2 mila, rispetto alle 60 mila previste entro il settembre 2017, risultano le partenze verso altri paesi europei, in base al programma di relocation. Bassa anche la percentuale dei migranti per i quali si è concluso l’iter della richiesta di asilo o comunque di una forma di protezione internazionale.

Emerge già da questi dati il fallimento dell’accoglienza in Italia. A fronte della forte corrente in entrata, è bassissima quella in uscita: tenendo conto di tutte le “voci”, si arriva a poco più di 40 mila “posti”, forse 45 mila, appena un quarto del totale degli sbarchi del 2016, senza tener conto delle situazioni ancora irrisolte accumulatesi negli anni scorsi. Finora il problema è passato sottotraccia, ma le condizioni internazionali che si sono create in Europa negli ultimi dodici mesi lo hanno fatto esplodere. Moltiplicando le sofferenze e i contrasti. E presentando, purtroppo, anche un pesante conto di vite umane perdute.

Il punto è che l’Italia è stata, fino a tutto il 2015, essenzialmente un paese di sbarco e di transito. Oltre due terzi dei migranti arrivati hanno risalito la penisola e varcato il confine delle Alpi, sfidando il regolamento di Dublino che li vincola al nostro paese. Decine di migliaia di “transitanti” che si sono sparsi in tutta l’Unione Europea. Governo, Viminale, polizia, istituzioni erano perfettamente al corrente di questa situazione, ma hanno fatto finta di non vedere, tollerando e per certi versi favorendo questo esodo anomalo, che si avvaleva di mille risorse e canali: dalla solidarietà di amici e parenti o di volontari, all’assistenza improvvisata di diversi Comuni, alla rete criminale dei trafficanti. Dopo una serie di avvertimenti inascoltati da Roma – come il blocco parziale dei posti di confine o l’operazione di polizia mos majorum, volta a identificare in Europa i migranti senza documenti in regola – da quest’anno tutti i paesi dell’arco alpino hanno chiuso le loro frontiere e gli altri Stati dell’Unione hanno intensificato i controlli e i rimpatri dei migranti arrivati al di fuori dei canali ufficiali, i “dublinati” e i transitanti, rimandandoli in Italia.

Per la prima volta, così, l’Italia si è trovata suo malgrado a dover diventare un paese di accoglienza stabile ma si è dimostrata impreparata a fronteggiare il problema. O forse non lo ha voluto. Sta di fatto che manca un serio programma di accoglienza, in grado di affrontare la situazione in maniera strutturale, abbandonando finalmente la “visione emergenziale” che ha caratterizzato finora e continua a caratterizzare tutti gli interventi. Non a caso, dei circa 178 mila migranti ospitati attualmente, solo 23 mila sono nel circuito Sprar. Tutti gli altri sono accolti nelle strutture governative come Cara e Hotspot (circa 15 mila) oppure, ben 140 mila e passa, nei Cas, i centri di accoglienza straordinaria. Queste strutture, per loro stessa definizione, dovrebbero essere, appunto, “straordinarie”: essere utilizzate, cioè, solo per un rapido passaggio, in attesa di completare le “pratiche” per l’ospitalità. Sono diventate, invece, l’ossatura portante del sistema, dove i migranti trascorrono non poche settimane come sarebbe lecito attendersi, ma lunghi mesi, spesso più di un anno, abbandonati a se stessi in un limbo senza fine: nessuna informazione sulla loro sorte, servizi inadeguati, mancanza quasi totale di mediatori culturali e linguistici o di una vera assistenza legale, quasi nessuna possibilità di imparare l’italiano o anche solo di pensare a un lavoro. Una condizione, insomma, percepita come una totale mancanza di prospettive per il futuro.

Il risultato è che molti, sempre di più, scappano, affidandosi spesso ai trafficanti o tentando di varcare il confine delle Alpi come possono: a piedi, nascosti su un treno, aggrappati sotto un tir. Con tutti i rischi che ne conseguono. Incluso quello di pagare con la vita questa ennesima sfida. E infatti da quest’anno, per la prima volta, si registra anche in Italia una tragica catena di morti. Sono le vittime del “dopo sbarco”: sommersi proprio quando la terribile odissea della fuga sembrava finita e il futuro ormai a portata di mano.

Dall’inizio del 2016 si sono contati quasi una decina di questi sommersi. Certo, infinitamente di meno rispetto alla strage del Mediterraneo, del Sahara, dei paesi di transito e di prima sosta in Africa e nel Medio Oriente. Ma anche una sola vita perduta è una sconfitta. Tanto più se, come in questo caso, si tratta di disperati di cui lo Stato aveva promesso di farsi carico nel momento stesso in cui li ha accolti come richiedenti asilo.

Le vittime

petitionWorgl, Austria, confine con la Germania, 5 dicembre. Due giovani profughi, un ragazzo e una ragazza, uccisi e un terzo ferito gravemente alla stazione di Worgl, schiacciati dal tir sotto il quale si erano nascosti per passare clandestinamente il confine italo-austriaco. L’incidente si verifica durante la manovra di scarico del camion dal convoglio speciale sul quale era arrivato da Verona. E’ probabile che le vittime fossero svenute per il freddo, avendo viaggiato quasi tutta la notte aggrappati sotto al tir e non si siano accorte del pericolo.

Ventimiglia, 21/22 novembre. Un rifugiato eritreo annega nel fiume Roja in piena alla periferia di Ventimiglia. Arrivato alle soglie del confine con la Francia, in attesa di trovare l’occasione per varcare la linea di frontiera, la sera del 21 novembre si rifugia, insieme a 4 compagni, sotto il ponte sul Roja della strada statale per Tenda. Durante la notte il piccolo gruppo viene sorpreso dalla piena del fiume. Il ragazzo muore mentre cerca di andare a cercare aiuto.

Bolzano, 21 novembre. Un diciassettenne eritreo ucciso da un treno, alla stazione di Bolzano, mentre cerca di saltare su un “merci” diretto al Brennero, per passare di nascosto il confine con l’Austria. Arrivato in Italia in maggio, dopo mesi di attesa, senza trovare ascolto, aveva deciso di cercare di raggiungere clandestinamente la Germania, dove aveva un fratello maggiore disposto ad accoglierlo.

Borghetto (Trento), 18 novembre. Una giovane profuga etiope travolta da un treno a Borghetto, al confine fra Trentino e Veneto. Non si è riusciti a stabilire come mai stesse camminando lungo la ferrovia. Dai documenti risulta che, dopo lo sbarco in Sicilia mesi prima, è passata da un centro di assistenza a Milano. E’ probabile che si stesse dirigendo con mezzi di fortuna verso il confine delle Alpi.

Ventimiglia, 7 ottobre. Diciassettenne eritrea investita e uccisa da un camion nel tunnel autostradale di Cima Girata, mentre, insieme alla famiglia (un gruppo di 7 persone), cerca di raggiungere a piedi e varcare clandestinamente il confine francese. L’incidente avviene a poche centinaia di metri dalla frontiera, ancora in territorio italiano, a circa 7 chilometri dalla barriera italiana dell’Autostrada dei Fiori.

Giugliano (Napoli), 21 settembre. Una ragazzina eritrea muore sotto un’auto a Giugliano, nella cintura metropolitana di Napoli, poco dopo essere fuggita da un centro di accoglienza. Appena sedicenne, voleva lasciare l’Italia per raggiungere alcuni parenti nel Nord Europa. Pare sia fuggita dal Cas che la ospitava, insieme ad alcune compagne, temendo di dover affrontare tempi di attesa troppo lunghi per il ricongiungimento familiare.

Ventimiglia-Mentone, 6 settembre. Il corpo senza vita di un giovane profugo viene trovato ai piedi del viadotto autostradale di Saint Agnes, poco oltre la frontiera, in territorio francese, tra Ventimiglia e Mentone. L’ipotesi più accreditata dalla polizia è che sia stato travolto da un auto o da un camion mentre, proveniente dall’Italia, camminava lungo l’autostrada diretto a Mentone.

Cagliari, 19 dicembre 2015. Un eritreo di 23 anni, Tedros, muore precipitando mentre si cala dalla finestra dell’ospedale dove era ricoverato, per allontanarsi dal Cas a cui era stato assegnato. I funerali si svolgono quasi un mese dopo, l’11 gennaio 2016, a causa delle procedure d’inchiesta. La storia di Tedros è emblematica della sorte di migliaia di profughi. Fuggito dall’Eritrea, è stato sequestrato due volte: prima da una banda di trafficanti nel Sahara e poi da un gruppo di miliziani in Libia. In entrambi i casi la sua famiglia ha dovuto pagare un riscatto per farlo rilasciare. Poi finalmente è riuscito a imbarcarsi su un gommone e a raggiungere l’Italia. Assegnato a un Cas in Sardegna, il 4 dicembre 215 è stato ricoverato per una grave forma di scabbia. Pare volesse raggiungere alcuni parenti nel Nord Europa. Era praticamente guarito quando ha tentato la fuga temendo di dover restare intrappolato nelle lungaggini del sistema di accoglienza italiano.