
La frontiera serbo-ungherese
di Flore Murard-Yovanovitch e Sara Sartori
A marzo 2016 l’accordo tra Unione Europea e Turchia chiude ufficialmente le frontiere orientali dell’Europa: la così detta “rotta balcanica”. Come conseguenza migliaia di profughi rimangono intrappolati in Serbia, meta di centinaia di uomini donne e bambini che ancora tentano disperatamente di entrare nei paesi dell’Unione attraverso l’Ungheria. Lì, un muro di filo spinato e elettrificato lungo 175 km li separa dal loro futuro e li lascia in un limbo pieno di violenze. Ultimo atto di una vasta repressione contro i migranti, la nuova legge ungherese in materia di immigrazione, votata il 7 marzo 2017, permette di detenere donne uomini e bambini in container lungo il confine e di deportarli indietro, in Serbia, negando loro l’asilo politico. Intanto, sul confine armato, polizie, corpi speciali chiamati “border hunters”, guardie di frontiera e gruppi paramilitari cacciano i migranti torturandoli e violentandoli psicologicamente, nella totale impunità.
Come sopravvivono e come vengono maltrattati i migranti in questo confine balcanico? Lo scopriamo a Subotica, nel nord della Serbia, dove ogni notte, nascosti nei boschi, uomini e minori non accompagnati, provenienti per la maggior parte dal Pakistan e dall’Afghanistan, cercano di attraversare la frontiera innumerevoli volte, rischiando la vita. In pieno territorio ungherese, ma anche croato, vengono brutalmente pestati, svestiti, sono stati fatti camminare senza scarpe nel gelo anche durante lo scorso inverno e poi deportati indietro in modo coatto. A molti vengono aizzati contro i cani e rotti i telefoni cellulari, unici ponti di comunicazione con le famiglie nei paesi di origine. Vere e proprie torture fisiche e psicologiche.
Attraverso il racconto in prima persone di Flore Murard-Yovanovich, giornalista e scrittrice, ascolteremo le testimonianze di migranti e volontari; racconteremo le conseguenze che generano morte delle scelte politiche di Bruxelles, sulla vita di profughi che scappano da zone di guerra, i diritti negati e gli abusi, il fascismo xenofobo in Ungheria e la crescente violenza della Frontiera.
Ringraziamo tutti i profughi che ci hanno concesso di raccontare la loro storia, in particolare Manzoor, Shihad, Rehab e Zain, i volontari di Fresh Response, Anita Iqbal che ci ha tradotto l’urdu e permesso di comunicare con loro, e le voci di chi ha voluto doppiarli, in particolare Giorgio, romano di 11 anni, che doppia Ashan, profugo pakistano di 12 anni.
foto di Mario Badagliacca