di Fulvio Vassallo Paleologo
AGGIORNAMENTO DI GIOVEDI’ 23 DICEMBRE
Il Tribunale di Agrigento, dopo la pronuncia della Corte di Cassazione del 16/20-2-2020, archivia definitivamente le accuse contro Carola Rackete. Una conferma di quanto già deciso nel 2019 dal Giudice delle indagini preliminari di Agrigento. I divieti di ingresso nei porti italiani dopo azioni di ricerca e soccorso sono privi di fondamento giuridico,. Le navi di soccorso non possono essere considerate come “place of safety” temporaneo, magari per trattative a livello UE o per la mancanza di posti nei sistemi di prima accoglienza. La competenza degli Stati di bandiera non si può anteporre alle competenze degli Stati costieri richiesti di un POS e in grado di indicare un porto di sbarco nel place of safety più vicino. Anche dopo il Decreto interministeriale del 7 aprile 2020, in tempo di stato di emergenza COVID, il ministero dell’interno non può considerare come “non inoffensivo”, e dunque vietare o dilazionare, il passaggio nelle acque territoriali della nave battente bandiera straniera che ha soccorso naufraghi in acque internazionali.
1. Dopo l’udienza del 17 dicembre scorso nel processo contro il senatore Salvini davanti al tribunale di Palermo per il caso Open Arms dell’agosto del 2019, si può dire che il livello del depistaggio mediatico e giudiziario predisposto dalla difesa dell’imputato ha raggiunto un livello mai visto in passato, come emerge chiaramente se si raffrontano i titoli dei giornali vicini all’area politica dell’ex ministro, che ribaltano tutte le accuse su chi aveva operato il soccorso in alto mare, salvando decine di vite, e la registrazione audio dell’udienza, disponibile su Radio Radicale. Le dichiarazioni della difesa e dello stesso senatore Salvini non hanno avuto alcuna attinenza con i reati contestati, ma si sono limitate ad attaccare le ONG, continuando a definire le loro attività come “agevolazione dell’immigrazione clandestina”, o a offendere, per il tono sprezzante adottato, la dignità del Tribunale. La difesa di Salvini ha cercato in tutti i modi di fare emergere violazioni di legge o di normative internazionali a carico del comandante di Open Arms e dei suoi esponenti, scegliendo di difendere l’imputato Salvini al di fuori delle accuse che gli vengono contestate, puntando a screditare i soccorritori, e la Open Arms come organizzazione, come se questa fosse dedita al trasferimento di immigrati irregolari in Italia. Un tentativo che, al di là dell’eco mediatico scontato sui giornali e sui media “amici”, non ha trovato alcun riscontro in sede processuale. La confusione tra attività di soccorso e le attività di facilitazione dell’immigrazione irregolare è stata da tempo respinta dalla magistratura. “La Libia non è un porto sicuro” perché “i migranti recuperati dalla Guardia costiera libica e ricondotti in Libia sono stati sistematicamente sottoposti a detenzioni arbitrarie, torture, ed estorsioni, lavori forzati e violenze sessuali”. A scriverlo, sono i magistrati della Procura di Agrigento nella richiesta di archiviazione per Luca Casarini e Pietro Marrone, rispettivamente capo missione e comandante della nave Mare Jonio, indagati per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per non avere rispettato, nel marzo 2019, un ordine militare. Dopo la richiesta di archiviazione per Mare Jonio, e’ arrivato pure il definitivo proscioglimento anche per Sea Watch. La Corte di cassazione ha anche bocciato, con una sentenza che farà giurisprudenza, per quanto concerne la condizione dei migranti riportati a terra in Libia, la mancata concessione della protezione internazionale a un migrante sopravvissuto ai campi di prigionia in quel paese. La qualificazione della nave come place of safety a tempo indeterminato allo scopo di negare lo sbarco in Italia, proposta dalla difesa di Salvini, non ha retto alla prova dei fatti e non porrà reggere alla stregua della più recente evoluzione giurisprudenziale. in materia di soccorsi in acque internazionali.
2. I primi testimoni chiamati a deporre nel processo di Palermo contro il senatore Salvini appartenevano alla Guardia costiera ed alla Guardia di finanza e dovevano rendere dichiarazioni relative al regime delle attività di ricerca e salvataggio in mare, e alle diverse fasi dei soccorsi operati dalla Open Arms nel mese di agosto del 2019, nei rapporti con le autorità marittime e politiche degli Stati più direttamente coinvolti. Dalla linea difensiva seguita dall’avvocato Bongiorno nel corso dell’udienza, e poi nella comunicazione mediatica, è sembrato però che si trattasse più di un processo contro la Open Arms che a carico del senatore Salvini, come se sul banco degli imputati ci fossero il comandante ed i responsabili della ONG e non piuttosto l’ex ministro dell’interno accusato dei reati di omissione di atti di ufficio e di sequestro di persona. Sotto questo profilo si è rilevata una evidente discrepanza tra quanto dichiarato dall’ammiraglio Liardo della Guardia costiera, secondo cui il comandante di Open Arms aveva agito sempre nel rispetto delle regole internazionali e nazionali, e il capitano Anedda, già comandante dell’Unità navale ed operativa della Guardia di finanza di Palermo che all’epoca dei fatti aveva trasmesso alla Procura di Agrigento una informativa sull’ipotesi di reato di “favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”, contestando su base meramente presuntiva che, dalla direzione presa dalla Open Arms dopo il primo soccorso potesse desumersi la intenzione di introdurre immigrati irregolari in Italia, informativa che la difesa di Salvini ha cercato di introdurre nel processo, anche se la notizia di reato trasmessa dalla Guardia di finanza alla Procura di Agrigento è rimasta senza esito e neppure faceva parte del fascicolo processuale. Non è noto infatti quale ne sia stato il seguito presso la Procura di Agrigento, che al riguardo non ha adottato alcun ulteriore richiesta, tanto da fare presumere, come nel caso di altre ONG oggetto di simili informative da parte della Giardia di finanza, l’archiviazione definitiva. E’ rimasto comunque uno scarto tra alcune dichiarazioni rese dal capitano Anedda a SIT nel 2019 al Tribunale dei ministri sul numero degli accessi a bordo della Open Arms (in numero di tre) e quanto invece dichiarato dal teste in udienza, che ricordava solo due di questi accessi. E’ poi emerso un importante elemento di contraddizione della deposizione di Anedda con quanto dichiarato poco prima dall’ammiraglio Liardo, dalla dichiarazione che non solo il primo ma anche il secondo evento SAR operato in quel periodo dalla Open Arms sarebbe avvenuto in acque libiche, e non sarebbe stato “corretto”, conforme in altri termini alle regole derivanti dal Diritto internazionale del mare. Tanto da arrivare ad ipotizzare, sulla base del fatto che “la nave indirizzava la sua rotta verso l’Italia”, una strumentalizzazione del diritto internazionale “per arrivare a sbarcare i migranti in Italia”. A successiva domanda del Presidente del Tribunale se la Libia allora fosse in grado di garantire un porto sicuro, il teste Anedda risponde “forse non è sicuro”. A questo punto la difesa di Salvini, in modo irrituale, ha lungamente insistito nelle accuse contro Open Arms, sulla base di una informativa di reato trasmessa dal teste alla Procura di Agrigento, la cui trascrizione risultava in possesso dell’avv. Bongiorno, che ipotizzava il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina perché comunque la Open Arms “non aveva interessato lo stato libico per la richiesta di un Pos” e anche in attesa della pronuncia del Tar”.si era messa in una posizione tale, indirizzando la prua su rotta nord, “in maniera ostinata”, tanto da rendere necessitato dopo il terzo soccorso operato in Sar maltese, l’ingresso in acque italiane.
L’audio della deposizione del teste Anedda esprime meglio di qualsiasi sintesi la precisa intenzione della Guardia di finanza di qualificare a priori, sulla base di elementi meramente presupposti, i primi due soccorsi come ipotesi di agevolazione di immigrazione clandestina, in linea con il Decreto interministeriale del primo agosto che vietava l’ingresso nelle acque territoriali, prima ancora che la Open Arms si potesse allontanare dalla zona SAR libica. Per non risultare contestabile nella fondatezza dei presupposti del Decreto interministeriale del primo agosto, il ministero dell’interno aveva evidentemente bisogno della qualificazione del primo evento di soccorso effettuato dalla Open Arms in zona SAR “libica” come “evento di immigrazione clandestina”, e non come operazione di ricerca e salvataggio in acque internazionali. Come si sarebbe verificato in molti eventi SAR successivi, operati dalle ONG durante la vigenza del Decreto sicurezza bis n.53 del 2019, che, con lo stesso meccanismo argomentativo sono stati oggetto di informative di reato e quindi di un processo penale, con i provvedimenti di archiviazione che ne sono poi seguiti. Soccorrere persone in difficoltà in alto mare e cercare per loro un porto sicuro di sbarco non è mai un reato. Adesso lo affermano anche i giudici.
In realtà il primo avvistamento del gommone soccorso il primo agosto da Open Arms fu effettuato da un velivolo di Eunavfor Med, che secondo il Regolamento europeo n.656/2014 avrebbe obbligato gli stati europei coinvolti ad approntare un immediato meccanismo di soccorso. Secondo il Regolamento UE n.656 del 2014, ( al Considerando 8) “durante operazioni di sorveglianza di frontiera in mare, gli Stati membri dovrebbero rispettare i rispettivi obblighi loro incombenti ai sensi del diritto internazionale, in particolare della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, della Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, della Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e del suo protocollo per combattere il traffico di migranti via terra, via mare e via aria, della Convenzione delle Nazioni Unite relativa allo status dei rifugiati, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti, della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo”. Tutte Convenzioni che contengono disposizioni relative alla tutela dei diritti fondamentali delle persone soccorse in mare, fino a comprendere il diritto di chiedere asilo in un paese sicuro, ed una tutela rafforzata per i minori, che avrebbero dovuto impedire l’assimilazione dell’attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali ad una attività di immigrazione irregolare, ad un mero “evento migratorio”.
L’ammiraglio Liardo ha escluso qualsiasi obbligo di intervento o di indicazione di POS da parte delle autorità italiane, non trattandosi di evento di soccorso coordinato dalle autorità italiane, trovandosi la nave al di fuori della zona SAR italiana, e ritenendo competente lo stato di bandiera della nave ( la Spagna). Addirittura da quanto dichiarato dall’ammiraglio Liardo nel caso del primo soccorso del primo agosto non ricorreva una situazione di distress, perché, in base alla rilevazione comunicata da Eunavfor Med, il barcone procedeva a motore per una rotta determinata verso nord, e sembrava essere in condizioni di navigabilità. Mentre sembrava evidentemente irrilevante ai fini della configurazione di un caso di distress quanto comunicato al Comando centrale della Guardia costiera (IMRCC) da Open Arms che segnalava alle autorità italiane che il barcone stava imbarcando acqua. E’ emerso anche che una motovedetta libica, la Fezzan, secondo quanto segnalato da Eunavfor MED nella stessa giornata del primo agosto 2019 si stava recando sul target costituito da tre barchini tra cui quello soccorso il primo agosto da Open Arms, salvo poi a scomparire nel nulla. Come si è verificato in numerose occasioni da quando è stato concluso il Memorandum d’intesa tra Italia e Libia il 2 febbraio 2017, che ha poi determinato la dichiarazione da parte libica di una zona SAR comunicata all’IMO, una prima volta nel luglio 2017, poi sospesa, e poi di nuovo comunicata all’IMO alla fine di giugno del 2018.
Si è avuta conferma in questo modo di una prassi seguita ancora di recente dalla Guardia costiera (e dalla Marina militare) italiana presente nel Mediterraneo centrale secondo cui a seguito della individuazione di imbarcazioni cariche di migranti in fuga dalla Libia la segnalazione dell’evento al ministero dell’interno viene classificata come “evento migratorio”, limitandosi magari alla mera verifica della “galleggiabilità” del barcone, e non come “evento SAR”. Solo in quest’ultimo caso scatterebbe l’obbligo di soccorso immediato e di indicare nel più breve tempo possibile un porto sicuro di sbarco. Secondo quanto dichiarato dall’ammiraglio Liardo nel corso della sua deposizione le competenze di soccorso e di indicazione del POS si radicherebbero in capo al comandante della nave, dello stato di bandiera, dell’autorità statale titolare della zona SAR nella quale si verifica l’evento, dunque anche alla Libia, o dell’eventuale assunzione di coordinamento da parte di uno Stato terzo, anche al di fuori della sua zona SAR. Una competenza, quella dello Stato di bandiera, che altri esponenti della Marina italiana hanno invece ritenuto solo concorrente, anche di fronte all’evidente impossibilità di discriminare le navi delle ONG rispetto al resto del naviglio civile in navigazione nei mari del mondo. Se una nave delle ONG battesse bandiera norvegese, dovrebbe forse recarsi fino in Norvegia per sbarcare i naufraghi soccorsi nel Mediterraneo centrale ?
La Libia e la Tunisia non costituiscono porti sicuri di sbarco, lo afferma finalmente anche la giurisprudenza italiana. Soccorrere non è mai reato, semmai è reato non soccorrere quando si è obbligati a farlo. Le navi delle ONG che operano soccorsi in acque internazionali adempiono doveri di ricerca e soccorso immediato in conformità delle Convenzioni internazionali, e per questa ragione gli eventi di soccorso in cui intervengono non sono qualificabili come “eventi migratori”, e il loro ingresso nelle acque territoriali e nei porti italiani costituisce completamento di un salvataggio, e non certo l’arrivo in un porto di destinazione (POD).
3. Secondo quanto dichiarato nel corso della sua testimonianza dall’ammiraglio Liardo, soltanto quando la Centrale operativa della Guardia costiera italiana (IMRCC) ritenesse sussistere pericolo immediato (distress) per la sicurezza delle persone a bordo si potrebbe classificare l’evento (destrefa) come evento “S.A.R.” (ricerca e soccorso) facendo scattare senza ulteriore dilazione di tempo tutte le attività di soccorso previste dal DPR 662/1994 e dal Piano Nazionale S.A.R.. In tutti gli altri casi invece la presenza dell’imbarcazione in acque internazionali si configura soltanto come un “evento migratorio” da affrontare con gli strumenti del cd. law enforcement, come mero contrasto dell’immigrazione irregolare, quindi con un tracciamento della navigazione, e la ricerca di eventuali “navi madre”, sia pure tenendo sotto attenzione la sorte dei migranti dal punto di vista della salvaguardia del diritto alla vita. Con le conseguenze che ne possono derivare sia nei rapporti di collaborazione con le guardie costiere dei paesi di partenza, principalmente l’Egitto, la Libia e la Tunisia, che sotto il profilo della repressione penale di qualunque comportamento possa essere qualificato come “agevolazione dell’immigrazione irregolare” (law enforcement).
In base alle “Linee Guida” adottate nel 2009 dal Corpo delle Capitanerie di porto, atti che non hanno natura legislativa, e che dunque non possono anteporsi alle norme aventi forza di legge come le Convenzioni internazionali ratificate con legge dello Stato, “a seguito di segnalazione all’I.M.R.C.C. ( Centrale di coordinamento della Guardia costiera italiana) dell’avvistamento di un’unità navale non identificata in navigazione oltre i limiti della S.R.R. Italiana, che verosimilmente trasporta migranti in direzione delle coste nazionali, lo stesso I.M.R.C.C. provvede alla diffusione delle informazioni relative all’evento stesso secondo le previsioni dell’accordo tecnico operativo per gli interventi connessi con il fenomeno dell’immigrazione clandestina via mare, di cui al Decreto Interministeriale 14.7.2003; a questo punto la Centrale Operativa, ai sensi del punto 4.2.4 della Convenzione S.A.R. del 1979, nella sua veste di I.M.R.C.C., procede immediatamente all’acquisizione delle informazioni necessarie e valuta l’evento sotto il profilo della salvaguardia della vita umana in mare, onde determinare se vi siano condizioni di pericolo grave e imminente e necessità di immediata assistenza per gli occupanti dell’unità. A tal fine le unità aeronavali eventualmente presenti nella scena d’azione provvederanno ad acquisire e trasmettere, con il mezzo di comunicazione più idoneo, secondo quanto previsto dal punto 4.4 della Convenzione S.A.R.’del 1979, all’I.M.R.C.C. i seguenti elementi per la classificazione dell’evento (S.A.R. – non S.A.R.): posizione geografica, ora dell’avvistamento, condizioni meteo-marine, dimensioni e tipologia dell’unità, suo bordo libero (galleggiamento), numero delle persone a bordo e loro condizioni fisiche, eventuale presenza tra essi di donne in stato di gravidanza, bambini, malati, traumatizzati, presenza di cadaveri nei pressi dell’unità; dotazioni di sicurezza presenti a bordo, elementi del moto, altri elementi utili a discrezione del rapportante. Come mai il comandante Liardo nel corso della sua testimonianza non ha saputo dare certezze sulla situazione di navigabilità del primo barcone soccorso da Open Arms, trasmessa dall’assetto aereo di Eunavfor Med il primo agosto del 2019, e dunque si deve supporre a conoscenza integrale da parte della Centrale operativa della Guardia costiera (IMRCC) ?
Le linee guida del 2009 sono state sostituite dalla Direttiva SOP 009/15 adottata nel 2015 dal Corpo delle capitanerie di porto – Guardia costiera, nelle quali si precisa che le richieste di assegnazione di un POS vengono trasmesse dalla Centrale IMRCC al Dipartimento libertà civili del ministero dell’interno e che tale Dipartimento terrà in considerazione l’esigenza di “limitare per quanto possibile la permanenza a bordo delle persone soccorse e di far subire alle navi soccorritrici la minima deviazione possibile dal viaggio programmato”. Non si può ritenere che a seguito del “Tavolo tecnico” tenutosi presso il Ministero dell’interno del 12/2/2019, a differenza di quanto previsto in passato, il rilascio di un porto sicuro di sbarco, per cui si indicava la competenza del ministero dell’interno, fosse consentito “soltanto dopo che si fossero attivate le interlocuzioni con la Commissione Europea per la redistribuzione dei migranti tra i vari paesi dell’UE”. Non si può dimenticare, a questo proposito, come in numerose dichiarazioni lo stesso Salvini avesse riconosciuto che il trattenimento dei naufraghi a bordo della Open Arms avrebbe dovuto costituire un’arma di pressione per vincere le resistenze di altri paesi europei nella redistribuzione dei migranti. Metodo di “persuasione”, o di “trattativa”, da sempre respinto dall’Unione Europea, anche con la bocciatura del cd. preaccordo di Malta del settembre 2019, evocato dalla difesa ma comunque successivo ai fatti oggetto del processo di Palermo. Di certo, il Ministro dell’interno, nello stesso tavolo tecnico di coordinamento del contrasto all’immigrazione illegale via mare, il 12 febbraio 2019 stabiliva di togliere al capo del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione la competenza per l’assegnazione del cd. POS (place of safety) dopo i soccorsi in acque internazionali, e affidarla al capo di gabinetto del Ministro, a quel tempo alle dirette dipendenze dello stesso Salvini.
4. L’ammiraglio Liardo non ha chiarito quale attività di coordinamento, al di fuori delle evacuazioni mediche (MEDEVAC), sono state poste in essere con le autorità SAR coinvolte (libiche, maltesi, spagnole) ai fini di garantire lo sbarco dei naufraghi in un porto sicuro nel tempo più breve, in particolare quali procedure adottava la Centrale di coordinamento IMRCC quando veniva a conoscenza, come in altri casi precedenti, del rifiuto reiterato da parte delle autorità maltesi di fornire un Porto sicuro di sbarco, e della mancata risposta delle autorità spagnole, che poi giungeva soltanto il 18 agosto 2019, dopo l’ingresso della Open Arms nelle acque territoriali italiane, avvenuto il il 14 agosto. Per quale ragione, almeno fino al 19 agosto 2019, e dunque fino alla data della nota n.14100/141 emessa dal Gabinetto del Ministro dell’interno, a firma del prefetto Piantedosi, la Centrale operativa IMRCC della Guardia costiera non ha mai risposto alle richieste di POS, limitandosi a trasmettere le stesse richieste ad altre autorità ritenute competenti ?
Certamente nel caso di Open Arms, nel mese di agosto del 2019, le autorità italiane non avevano assunto nelle fasi iniziali alcun ruolo di coordinamento dei soccorsi .Ma quanto era legittimo questo mancato intervento di coordinamento in considerazione del fatto che già il primo agosto 2019 avevano emesso immediatamente un Decreto interministeriale di divieto di ingresso nelle acque territoriali ? Eppure Open Arms già il 2 agosto, dopo avere segnalato la situazione di grave pericolo nella quale si trovavano i naufraghi soccorsi in alto mare, chiedeva un POS sia all’Italia che a Malta, richiesta rimasta senza risposta fino al momento dello sbarco dei migranti a Lampedusa, che avveniva solo a seguito del sequestro preventivo della nave disposto il 20 agosto dalla Procura di Agrigento. Secondo l’interpretazione fornita dall’ammiraglio Liardo, il Decreto del TAR Lazio del 14 agosto 2019 avrebbe sospeso soltanto gli effetti del provvedimento di divieto di ingresso nelle acque territoriali, ma non avrebbe obbligato il governo italiano a fornire un porto sicuro di ingresso. Secondo l’ammiraglio con riferimento ai tre eventi di soccorso operati da Open Arms, nessuno di questi poteva radicare una competenza delle autorità italiane, perché si erano svolti in aree SAR di responsabilità di altri Stati, erano stati operati da nave battente bandiera straniera, e le autorità italiane non avevano mai assunto il coordinamento delle operazioni. In definitiva l’Italia non poteva essere considerata come “Stato di primo contatto” definizione adottata nelle Convenzioni internazionali per radicare la competenza primaria di uno Stato nelle operazioni di ricerca e salvataggio in acque internazionali.
Come richiamato dai giudici del Tribunale dei ministri di Palermo nel caso Open Arms ,tuttavia, “deve escludersi che lo Stato di “primo contatto” si identifichi con quello di bandiera della nave che ha provveduto al salvataggio; tale individuazione, invero, confligge innanzitutto con la stessa lettera del testo normativo di riferimento (Risoluzione MSC 167-78), che al punto 6.7 fa esplicito riferimento al “primo RCC contattato”, esigendo, dunque che il “contatto” sia realizzato con il centro di coordinamento per le attività di ricerca e soccorso costituito, in ottemperanza alle linee guida IMO, presso ogni Stato aderente alle convenzioni in materia; essa, poi, appare incoerente con lo scopo perseguito dalle richiamate linee guida (criterio ermeneutico, questo, di primaria rilevanza nell’applicazione dei trattati e delle convenzioni internazionali), scopo che, come s’è detto, consiste nel far sì che la collaborazione degli Stati converga verso il risultato di consentire alle persone soccorse di raggiungere quanto prima un posto sicuro, arrecando alla nave soccorritrice il minimo sacrificio possibile”. A pag. 46 della richiesta di autorizzazione a procedere del Tribunale dei ministri si afferma che “…nella vicenda in esame due sono gli Stati che devono individuarsi come autorità di primo contatto: l’Italia e Malta, in quanto entrambi contestualmente contattati e informati delle prime due operazioni di salvataggio, almeno sin dal 2.8.2019…”.
5. L’ammiraglio Liardo ha comunque smascherato, forse senza rendersene pienamente conto, il gioco sporco fatto dalle autorità italiane e maltesi sulla pelle dei naufraghi raccolti dalla Open Arms. Che Open Arms non abbia chiesto il porto di sbarco a Malta, dopo i due soccorsi effettuati nella zona SAR maltese, come ha affermato la difesa, non corrisponde al vero. Il governo di La Valletta aveva dato una disponibilità soltanto per una piccola parte dei naufraghi ma quanto dichiarato a SIT al Tribunale dei ministri da altri esponenti della Guardia costiera e della Guardia di finanza confermavano quanto dichiarato dal comandante di Open Arms circa il rischio che si sarebbe corso, e che avrebbero corso le persone, già esasperate dopo due settimane di attesa in mare senza la indicazione di un porto di sbarco sicuro da parte dei governi italiano e maltese, se fosse stato proposto loro soltanto lo sbarco di una parte a Malta. La prima disponibilità ad indicare un POS dalla Spagna, altro tema su cui ha molto insistito la difesa di Salvini, arrivava solo il 18 agosto 2019 quattro giorni dopo che il Tribunale amministrativo del Lazio sospendeva il divieto di ingresso disposto dal Viminale e due giorni dopo l’apertura delle tutele dei minori stranieri non accompagnati, da parte del Tribunale dei minori di Palermo. Risultano inoltre agli atti del processo le dichiarazioni di altri esponenti della Guardia costiera italiana e della Guardia di finanza che confermano che la Open Arms non era in grado di spostarsi da Lampedusa ad un porto spagnolo, oltre che per le condizioni del mare, anche per la situazione di estremo disagio psico-fisico dei naufraghi.
Quanto dichiarato dall’Ammiraglio Liardo stride tuttavia con alcune sue precedenti dichiarazioni sulle regole delle attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali.
Come ricordava nel 2019 lo stesso Liardo in una audizione parlamentare “Riguardo allo specifico scenario del Mediterraneo Centrale, occorre rilevare che ad oggi (2019) l’unico Stato che pur avendo provveduto a ratificare la convenzione SAR del 1979, non ha tuttavia dichiarato formalmente la sua specifica area di responsabilità SAR rimane solo la Tunisia; l’Egitto che invece non ha ratificato la Convenzione di Amburgo si è però dotata di una organizzazione SAR ed ha dichiarato una propria regione di responsabilità ai fini della ricerca e del soccorso marittimo. La Libia ha ratificato la Convenzione ed ha formalmente dichiarato la propria area di responsabilità SAR il 14 dicembre 2017. Tale area di responsabilità è stata riportata sul Global Integrated Shipping Information System (GISIS) dell’International Maritime Organization11 (IMO), il 27 giugno 2018” .In quell’occasione lo stesso LIARDO affermava che “Ovviamente, non avendo tutti gli Stati costieri ratificato la convenzione, né provveduto ad organizzare una propria specifica organizzazione S.A.R., allo scopo sempre di tutelare il principio di integrità dei servizi S.A.R., le discendenti linee guida emanate dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) un’agenzia delle Nazioni unite, in base a quanto espressamente previsto dalle citate convenzioni, prevedono che il primo MRCC che riceva notizia di una possibile situazione di emergenza S.A.R. ha la responsabilità di adottare le prime immediate azioni per gestire tale situazione, anche qualora l’evento risulti al di fuori della propria specifica area di responsabilità. Ciò almeno fino a quando tale responsabilità non venga formalmente accettata da un altro MRCC, quello competente per l’area o altro in condizioni di prestare una più adeguata assistenza (Manuale IAMSAR – Ed. 2016; Risoluzione MSC 167-78 del 20/5/2004). Ciò determina la certezza, per ciascun navigante, di individuare l’Autorità responsabile per il soccorso della vita umana in mare”.
In quell’occasione l’Ammiraglio LIARDO affermava che “L’obbligo del S.A.R. prescinde dai limiti della piena giurisdizione marittima di uno Stato costiero (non è neppure limitato, alla specifica area di responsabilità S.A.R., che comunque non è un’area di giurisdizione e, pertanto, si estende di norma ben oltre le acque territoriali e l’eventuale zona contigua), mentre l’attività di polizia, “law enforcement”, al di fuori delle acque territoriali è soggetta a ben precisi limiti, stabiliti dalla normativa nazionale e nel rispetto di quella internazionale. La conseguenza pratica di ciò è che se un’imbarcazione carica di migranti localizzata al di fuori delle acque territoriali di uno Stato costiero è ritenuta versare in una situazione di potenziale pericolo (caso S.A.R.), scatta l’obbligo di immediato intervento e, quindi, del successivo trasporto a POS delle persone soccorse.
In realtà, tutte Le imbarcazioni che trasportano i migranti poi soccorsi da navi private delle ONG, sono unsafe, cioè prive dei requisiti di navigabilità richiesti secondo la Convenzione SOLAS che nessuno ha richiamato durante l’udienza svoltasi con la testimonianza dei figure di vertice della Guardia costiera e della guardia di Finanza. Questa condizione delle imbarcazioni sulle quali i migranti tentano la traversata del Mediterraneo non può non incidere sulla verifica di una situazione di distress. La nozione di “distress” è stabilita dalla Convenzione di Amburgo del 1979 (Annex, ch. 1, para. 1.3.11) “a)situation wherein there is a reasonable certainty that a vessel or a per-son is threatened by grave and imminent danger and requires immediate assistance”. Si deve così ritenere che proprio per gli indicatori (tra i quali il carico, il bordo libero, la sicurezza del mezzo, il propulsore) già riportati nel Piano SAR nazionale del 1996, in conformità con il manuale IAMSAR e con la convenzione SOLAS, tutte le imbarcazioni sovraccariche di migranti che si trovano a navigare nelle acque internazionali (alto mare) del Mediterraneo centrale siano da ritenere in una situazione di distress, ovvero di pericolo imminente, senza attendere che la situazione a bordo, come possibili vie d’acqua o il fermo del motore, o le condizioni meteo divengano talmente gravi da comportare la perdita di vite umane.
La Convenzione SAR, i suoi emendamenti e il Piano SAR nazionale, sulla scorta del Manuale internazionale IAMSAR non esentavano lo stato comunque avvertito di un evento qualificato dal comandante della nave (che poteva osservarlo più da vicino) come distress, vuoi per il sovraccarico del mezzo, che per le condizioni del mare o la mancanza delle più elementari dotazioni di sicurezza, da precisi obblighi di coordinamento e di intervento. Le Convenzioni internazionali di diritto del mare, ed i loro emendamenti più recenti, impongono a qualunque autorità SAR informata, anche al di fuori di quella che risulta essere la sua zona di competenza SAR, di intervenire tempestivamente fino a quando non risulta che il coordinamento delle operazioni SAR sia stato assunto dal paese che ne sarebbe responsabile in base alla ripartizione delle zone SAR comunicata all’IMO. Le prassi adottate dai governi italiani dalla fine dell’operazione Mare Nostrum fino al 2018 avevano rispettato gli obblighi di soccorso stabiliti dalle Convenzioni internazionali anche al di fuori della zona SAR italiana, soprattutto in zona SAR maltese, e e persino più a sud, quando ancora non era stata dichiarata una zona SAR “libica”, con rari casi di omissione di soccorso che sono ancora oggi al vaglio della magistratura (come nel caso del naufragio dell’11 ottobre 2013).. Dal 2014 ad oggi le norme interne sui soccorsi in acque internazionali non sono mutate, come non sono mutate le corrispondenti Convenzioni internazionali (UNCLOS, SOLAS, SAR) che non possono essere derogate da provvedimenti delle autorità politiche o di polizia.
La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS) richiede agli Stati parte «…di garantire che vengano presi gli accordi necessari per le comunicazioni di pericolo e per il coordinamento nella propria area di responsabilità e per il soccorso di persone in pericolo in mare lungo le loro coste. Tali accordi dovranno comprendere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di tali strutture di ricerca e soccorso, quando esse vengano ritenute praticabili e necessarie. (Capitolo V, Regola 7)». La stessa Convenzione SOLAS obbliga il «comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione … [Capitolo V, Regola 33)».
Se ricorre una situazione di distress in alto mare il comandante di qualsiasi nave soccorritrice, è l’unico in grado di apprezzare la gravità dell’evento, ed è dunque obbligato ad intervenire con la massima rapidità, anche senza attendere indicazione da parte delle competenti autorità marittime o politiche. In questo caso l’evento va immediatamente qualificato dalle autorità statali, che vanno avvertite nell’immediatezza dei fatti, come evento SAR e non come un mero “evento migratorio”, o addirittura “evento di immigrazione clandestina”, come è spesso avvenuto nelle comunicazioni di notizia di reato inviate dalla Guardia di finanza alle procure competenti per territorio.
Occorre ricordare al riguardo che in base alla normativa appena esaminata è solo il comandante della nave che può decidere fino a che numero di persone soccorrere, fermo restando che, in assenza di interventi di autorità statali, e spesso persino di un qualsiasi coordinamento da parte di un MRCC, deve prevalere il valore assoluto della salvaguardia della vita umana in mare. Secondo l’art. 4 della Convenzione SOLAS, richiamato in precedenza, le persone che si trovano a bordo dopo i soccorsi non vanno conteggiate come i passeggeri di una nave. Si deve poi aggiungere come non vi sia alcuna norma di diritto internazionale, e non ricorreva neppure nel Piano nazionale SAR del 1996 una qualsiasi previsione che distinguesse tra attività di soccorso «occasionali» o «sistematiche».
La Risoluzione MSC.167(78) del 2004 ha quindi individuato delle linee guida che costituiscono la cornice entro cui i singoli Stati possono disciplinare la materia: esse, in particolare, prevedono che ciascuno Stato dovrebbe disporre di piani operativi che disciplinino in dettaglio le modalità con cui deve effettuarsi l’azione di coordinamento, per affrontare tutti i tipi di situazioni SAR. In base al punto 3.1.9 della Risoluzione che emenda la Convenzione di Amburgo del 1979, emendamento che Malta non ha mai ratificato, «la Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione marittima internazionale (IMO). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile»
La stessa Risoluzione individua altresì la nozione di Centro di coordinamento di «primo contatto», stabilendo che (punto 6.7) «Se del caso, il primo RCC contattato dovrebbe iniziare immediatamente gli sforzi per il trasferimento del caso al RCC responsabile della regione in cui l’assistenza viene prestata. Quando il RCC responsabile della regione SAR in cui è necessaria assistenza è informato della situazione dovrebbe immediatamente assumersi la responsabilità di coordinare gli sforzi di salvataggio, poiché le responsabilità correlate, comprese le disposizioni relative a un luogo sicuro per i sopravvissuti, cadono principalmente sul governo responsabile di quella regione. Il primo RCC, tuttavia, è responsabile per aver coordinato il caso fino a quando l’RCC o altra autorità competente non ne assumerà la responsabilità». Lo stesso principio è ribadito dal paragrafo 3.6.1 del Manuale IAMSAR, Vol. 1, dove si prevede che un RCC (Rescue Coordination Center) dopo la ricezione di una chiamata di soccorso, diventa responsabile nella gestione delle relative operazioni SAR, fino a quando altra autorità competente non assuma il coordinamento.
Secondo quanto si legge persino nel sito della Guardia costiera italiana, “Nel caso in cui un’Autorità marittima riceva informazioni di un’emergenza in corso in un’area SAR di competenza di un altro Stato, informa immediatamente il Rescue Coordination Center (RCC) territorialmente competente ed estende la notizia dell’emergenza a tutte le unità in transito in quell’area SAR”. Una volta che lo Stato competente assume il coordinamento, le altre Autorità Nazionali marittime possono intervenire in supporto all’attività di soccorso, con l’impiego di mezzi o la diffusione o il rilancio di comunicazioni, se espressamente richiesto dall’Autorità coordinatrice. Tuttavia, qualora lo Stato competente per quella area SAR non assuma il coordinamento delle operazioni di soccorso, tali operazioni vengono coordinate dall’Autorità nazionale SAR che, per prima, ne ha avuto notizia ed è in grado di fornire la migliore assistenza possibile.
6 Una importante divergenza tra quanto dichiarato dall’Ammiraglio Liardo della Guardia Costiera e quanto sostenuto nella stessa udienza di venerdì 17 dicembre scorso, talora con formula dubitativa, dal Capitano Anedda, della Guardia di finanza, riguarda la qualificazione della Libia come stato in grado di garantire un porto sicuro di sbarco (POS). Secondo il testimone Liardo, che ha pure ricordato come Open Arms, in conformità con le prescrizioni del diritto internazionale, avesse informato le autorità libiche subito dopo il primo soccorso il primo agosto 2019, “in Libia non ci sono le condizioni” per la garanzia di un POS, mentre il teste Anedda alla domanda se la Libia garantisse un “place of safety”, si limita a rispondere “forse no”. Proprio il giorno prima dell’udienza di Palermo la Corte di cassazione, con una sentenza della quale si attendono ancora le motivazioni ha dichiarato che “rientra nella legittima difesa, nei termini definiti dal codice penale, la condotta del migrante che, soccorso in alto mare, fa valere il diritto al non respingimento verso un luogo non sicuro e si oppone alla riconsegna alla Libia”. Una decisione che avrò un notevole peso, in questo, ed in altri processi, nella valutazione del comportamento delle autorità italiane quando ricevono notizia di eventi SAR o comunque di “eventi migratori”, nella zona SAR “libica”. Altra contraddizione evidente tra la testimonianza dell’ammiraglio Liardo e quanto dichiarato dal capitano Anedda ricorre sulla qualificazione del comportamento complessivo di Open Arms, secondo il primo perfettamente in regole con le disposizioni del diritto internazionale del mare, per il secondo, invece, “in deroga alla normativa internazionale”, tanto da predisporre una “informativa di reato” prima ancora che la nave, dopo il decreto del TAR Lazio del 14 agosto 2019, facesse ingresso nelle acque territoriali italiane. Come se avere diretto la prua verso nord, senza dirigere invece verso le motovedette libiche per la riconsegna dei naufraghi fosse una attività qualificabile come reato. Non considerare in stato di distress immediato l’imbarcazione in difficoltà in acque internazionali, in quella che si qualifica come zona SAR “libica”, e qualificare l’avvistamento o la segnalazione, e quindi l’eventuale soccorso da parte di una nave della flotta civile delle ONG, come “evento migratorio” permetteva ( e permette ancora oggi) di legittimare l’intervento della sedicente Guardia costiera libica, anche al di fuori delle acque di competenza, e di creare i presupposti per la criminalizzazione delle attività SAR delle ONG. Una materia che non ha nulla a che fare con l’accertamento delle responsabilità dell’ex ministro dell’interno Salvini, che nell’agosto del 2018 negava alla Open Arms l’indicazione di un porto sicuro di sbarco, e dunque tratteneva per almeno cinque giorni, dopo l’ingresso nelle acque territoriali italiane, i naufraghi ancora presenti a bordo della nave dopo l’esecuzioni di alcune evacuazioni per ragioni mediche (MEDEVAC).
Nell’ordinanza del GIP di Agrigento del 2 luglio 2019, relativa al caso Sea Watch, poi confermata anche dalla Corte di Cassazione, riguardo l’art. 11 comma 1 ter del T.U. 286/98, si afferma invece che: ” il divieto interministeriale da essa previsto (di ingresso, transito e sosta) può avvenire, sempre nel rispetto degli obblighi internazionali dello Stato, solo in presenza di attività di carico o scarico di persone in violazione delle leggi vigenti nello Stato Costiero, fattispecie qui non ricorrente vertendosi in una ipotesi di salvataggio in mare in caso di rischio di naufragio. Peraltro, l’eventuale violazione del citato art. 11 comma 1 ter – si ribadisce sanzionata in sola via ammnistrativa – non fa venir meno l’inderogabile disposto di cui all’art. 10 ter del Dlgs 286/98, avente ad oggetto l’obbligo di assicurare il soccorso, prima, e la conduzione presso gli appositi centri di assistenza, poi».
Attraverso le testimonianze rese dai diversi esponenti della Guardia costiera e della guardia di finanza chiamati a deporre è emersa chiaramente una prolungata omissione degli obblighi di ricerca e salvataggio imposti dalle Convenzioni internazionali agli Stati firmatari, obblighi che si esauriscono soltanto con lo sbarco dei naufraghi in un porto sicuro,” nel più breve tempo possibile”, come è stato ricordato dall’ammiraglio Liardo. Come si deve riconoscere anche quando i soccorsi sono operati dalle navi private inviate dalla società civile quando invece si vorrebbe riconoscere rilevanza soltanto alle determinazioni delle autorità politiche e di polizia, magari attraverso le riunioni di “Tavoli tecnici di coordinamento”, tra diverse autorità dello Stato,. Forme di coordinamento che che sono si previste dal Testo Unico sull’immigrazione, ma che non possono suggerire, o peggio imporre, prassi che vanno contro gli obblighi di ricerca e soccorso sanciti dalle Convenzioni internazionali. Come afferma con grande chiarezza la Corte di cassazione, che nella sentenza del 16-20 febbraio 2020, sul caso Rackete, ritiene per effetto del richiamo dell’art. 117 della Costituzione la netta prevalenza delle disposizioni normative provenienti dal diritto internazionale, rispetto alle norme interne, e soprattutto rispetto alle determinazioni discrezionali delle autorità politiche e di polizia, con particolare riferimento ai divieti di sbarco ed alla indicazione di un place of safety (POS) alle navi soccorritrici.
L’ammiraglio Martello, che il 14 e 15 agosto sostituiva ai vertici della Centrale di coordinamento IMRCC l’ammiraglio Liardo, andato in ferie, ha confermato quanto già dichiarato al Tribunale dei ministri di Palermo, e in particolare che, dopo avere autorizzato l’ingresso della Open Arms nelle acque territoriali ed il ridosso nella rada di Lampedusa, la sera del 14 agosto, aveva chiesto al gabinetto del ministro dell’interno se la indicazione di Lampedusa poteva valere come indicazione di un POS, ricavandone un diniego, con la proposta alternativa di assegnare non un POS ma un comune porto di destinazione (POD) alla nave, a Trapani o a Taranto, soluzione ritenuta inattuabile dallo stesso Martello, per effetto delle cattive condizioni meteo e della situazione critica a bordo della nave. Per il Viminale, anche dopo il Decreto del TAR Lazio del 14 agosto 2019 ed il ridosso della nave di fronte al porto di Lampedusa, autorizzato dalla Guardia costiera, l’attività di ricerca e salvataggio svolta dalla Open Arms costituiva soltanto un evento di immigrazione “clandestina”.
il 15 agosto 2019, secondo quanto dichiarato dal tenente Tringali comandante dell’ufficio circondariale di Lampedusa la Open Arms otteneva dall’USMAF, dopo che questa aveva interloquito anche con la Procura di Agrigento, la “libera pratica sanitaria”, veniva dunque meno qualsiasi altro ostacolo allo sbarco dei naufraghi a terra. Il 16 agosto 2019 il Presidente del Consiglio sollecitava lo sbarco immediato dei minori presenti a bordo della Open Arms, che ormai si trovava in acque territoriali italiane e prospettando la possibilità di configurare l’eventuale rifiuto come un’ipotesi di illegittimo respingimento, comunicando anche la disponibilità già offerta da altri paesi europei di accogliere parte dei migranti della Open Arms, “indipendentemente dalla loro età”.
Nessuno ha saputo spiegare come mai i minori stranieri non accompagnati, per i quali doveva prevalere il “principio di non respingimento” (art.19 T.U. 286/98) e del “superiore interesse del minore ( legge Zampa n.47 del 2017), la cui presenza era stata segnalata da tempo alle autorità italiane, da ultimo dopo il sopralluogo a bordo della guardia di finanza del 15 agosto, in particolare al ministro dell’interno, che continuava a negare la indicazione di un porto sicuro di sbarco, siano stati trasferiti a terra soltanto il 17 agosto 2019, e solo dopo che il Tribunale dei minori aveva aperto una tutela in loro favore. Malgrado la presunzione di minore età stabilita dalla legge n.47 del 2017, il ministro dell’interno continuava in quegli stessi giorni a sostenere che non si trattava di soggetti minori, non risulta sulla base di quale comunicazione a lui pervenuta perché risulta agli atti del processo che tutti gli accertamenti sull’età dei minori furono compiuti dopo lo sbarco a terra.
7. In base all’art.11 comma i ter del D. Lgs. 286/1998 non si può vietare l’ingresso in porto di una nave che chieda di potere sbarcare naufraghi soccorsi in mare in quanto tale ipotesi configura un “passaggio inoffensivo” ai sensi dell’art.18 della Convenzione UNCLOS, e non già quella contemplata dall’art. 19 lettera g della stessa Convenzione, che deve riferirsi ai soli casi di immigrazione irregolare non connessi ad una operazione di soccorso in mare. La classificazione di un evento di ricerca e salvataggio (SAR) come evento di immigrazione clandestina, che poi è la sostanza della qualificazione come “evento migratorio” non può permettere agli Stati costieri, ed in particolare all’Italia, di eludere gli obblighi di ricerca e soccorso imposti dalle Convenzioni internazionali. Obblighi che includono la indicazione di un porto di sbarco sicuro e il trasferimento finale dei naufraghi a terra nel più breve tempo ragionevolmente possibile..
Si deve ricordare quanto richiama Irini Papanicolopulu, docente di diritto internazionale presso l’Università di Milano Bicocca, secondo cui “l’ingresso di una nave che trasporta persone soccorse in mare in adempimento dell’obbligo internazionale di assistere le persone in pericolo e di condurle in un luogo sicuro. In altri termini, la fattispecie del salvataggio in mare continua fino a quando il comandante non abbia fatto sbarcare le persone in luogo sicuro, e il suo ingresso nel mare territoriale e nei porti di uno Stato non può essere visto sotto luce diversa. Non si può quindi precludere il passaggio inoffensivo ad una nave che ha soccorso persone in pericolo, anche al di fuori del mare territoriale, qualora questa intenda entrare al fine di perfezionare il proprio obbligo di salvare la vita umana in mare .”di salvare la vita umana in mare non può considerarsi come attività compiuta in violazione delle leggi nazionali sull’immigrazione, a condizione che l’obiettivo della nave sia semplicemente quello di far sbarcare le persone soccorse. Infatti, l’obbligo di salvare la vita umana in mare vincola sia gli stati (ai sensi dell’art.98, par. 1 CNUDM) sia i comandanti di navi (ai sensi del Capitolo V, reg. 33 SOLAS, nonché di numerose norme nazionali, quali ad esempio l’art. 489 cod. nav.).
Secondo la Corte di Cassazione (16-20 febbraio 2020),“L’obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale SAR di Amburgo, non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (c.d. “place of safety”). iI punto 3.1.9 della citata Convenzione SAR dispone: «Le Parti devono assicurare il coordinamento e Ia cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo Ia responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e Ia cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui e stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione Marittima Internazionale. In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve”.
Come ricorda la Corte di cassazione con la stessa sentenza n. 6626, 16/20 gennaio 2020, al fine della individuazione del cd. place of safety (POS) «è utile richiamare la risoluzione n. 1821 del 21 giugno 2011 del Consiglio d’Europa (L’intercettazione e il salvataggio in mare dei domandanti asilo, dei rifugiati e dei migranti in situazione irregolare), secondo cui la nozione di “luogo sicuro” non può essere limitata alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali (punto 5.2.) che, pur non essendo fonte diretta del diritto, costituisce un criterio interpretativo imprescindibile del concetto di “luogo sicuro” nel diritto internazionale».
Alla luce della giurisprudenza della Corte di cassazione che si è richiamata in precedenza, e di sentenze dei giudici di merito che hanno trovato conferma in recentissime decisioni della stessa Corte di Cassazione, dunque, dovrebbero emergere chiaramente le responsabilità delle autorità italiane una volta consentito l’ingresso nelle acque territoriali il 14 agosto 2019,, di fronte alle richieste inevase di POS da parte di Open Arms, del 2 agosto e poi del 14 agosto, ed a fronte di quanto emerso dalle testimonianze su: 1) condizioni mare e situazione a bordo che impedivano partenza per la Spagna, come riconosciuto dall’ammiraglio Liardo; 2) assenza di pericoli per ordine pubblico derivante da presenza sospetti terroristi, come era stato paventato da Salvini ;3) rifiuto da parte autorità maltesi malgrado diverse richieste di POS ; 4) situazione a bordo che sarebbe degenerata in caso di sbarco solo del gruppo dei naufraghi soccorsi in SAR maltese.
Come dichiarato dall’ammiraglio Liardo nella sua deposizione, secondo l’Ufficio” IMRCC, che comunicava costantemente con il ministero dell’interno, la prima richiesta di POS di Open Arms sarebbe stata però definita “irrituale” perché l’evento si era svolto “fuori dal coordinamento italiano e fuori dall’area di responsabilità italiana”. Quanto dichiarato dal testimone Liardo si basa su una lettura parziale delle Convenzioni internazionali e delle norme interne di attuazione vigenti all’epoca dei fatti.
Se in base agli articoli 19 e 25 della Convenzione di Montego Bay (UNCLOS) lo Stato costiero può adottare misure che vietano l’accesso nel suo mare territoriale, non si può considerare come «non inoffensivo» l’ingresso di una imbarcazione straniera che chieda di sbarcare persone soccorse in acque internazionali, né si può qualificare come migrazione irregolare l’ingresso dei naufraghi nel territorio dello Stato perché, come si è già rilevato, la normativa interna distingue chiaramente l’ingresso «per ragioni di soccorso» dall’ingresso «irregolare». L’art. 10-ter del Testo unico sull’immigrazione del 1998 prevede infatti lo sbarco immediato delle persone soccorse in mare nei centri hotspot, senza richiami agli Stati di bandiera delle navi che sono intervenute nelle attività di salvataggio in mare. Qualsiasi nave di soccorso non può essere considerata a tempo indeterminato come un place of safety ed evidenti considerazioni umanitarie, oltre che i principi del diritto internazionale del mare impongono lo sbarco dei naufraghi nel porto sicuro più vicino in tempi ragionevolmente brevi, tenuto conto della natura della nave soccorritrice e delle condizioni dei naufraghi a
bordo. Come ha riconosciuto la Corte di cassazione con la sentenza sul caso Rackete del 16-20 febbraio 2020 persino nel caso, ben diverso dal caso Open Arms, nel quale la nave sia entrata nelle acque territoriali, senza alcuna autorizzazione dello Stato costiero.
8. Secondo quanto dichiarato dal testimone Liardo che in un primo momento non ricordava questa circostanza, e che ha confermato il fatto solo dopo una specifica sollecitazione della Procura, in base a quanto previsto dalle convenzioni internazionali che impongono il coordinamento tra gli stati, Malta aveva chiesto all’Italia la indicazione di un Place of safety (POS) già dal 10 agosto 2019, anche se solo con riferimento ai 39 naufraghi soccorsi il giorno precedente sotto coordinamento maltese. E risulta confermato che il ministero dell’interno fino al 19 agosto si era rifiutato di fornire questa indicazione. Anche se, dopo il Decreto del Tar Lazio del 14 agosto 2019, che sospendeva il divieto di ingresso impartito con decreto interministeriale del primo agosto del 2019, veniva autorizzato l’ancoraggio a ridosso del porto di Lampedusa. Al riguardo secondo quanto ha affermato l’ammiraglio Liardo, ” la rada di Lampedusa è a tutti gli effetti porto”.
A fronte del quadro ricostruito dall’ammiraglio Liardo il trattenimento a bordo, quantomeno dal periodo dal 15 al 19 agosto, era del tutto illegale, per effetto di una scelta direttamente ed esclusivamente riferibile al ministro dell’interno, perché corrispondeva ad una limitazione della libertà personale su persone, che si trovavano sotto la giurisdizione esclusiva dello Stato italiano, senza il rispetto delle garanzie previste dall’art.13 della Costituzione e in violazione delle norme internazionali che stabilivano l’obbligo di indicare il POS e dunque di procedere allo sbarco, “nel più breve tempo possibile”. Nessuna norma internazionale o interna autorizza il trattenimento dei naufraghi a bordo di una nave soccorritrice, considerata come POS temporaneo, nelle more di una trattativa per la redistribuzione dei migranti a livello europeo. del resto come emerge da una dichiarazione del Presidente del Consiglio Conte alcuni stati europei avevano già dato la loro disponibilità. Né si potrà invocare in proposito il cd. pre-accordo di Malta, che pure è rimasto privo di effetti vincolanti, perché successivo ai fatti oggetto del processo di Palermo. Già nel 2018, nei giorni del caso Diciotti, l’allora Commissario dell’Unione europea alle migrazioni, Dimitri Avramopoulos, affermava che «i politici italiani devono mettere fine al gioco delle accuse, attaccare l’UE significa spararsi nei piedi. Alcuni responsabili di governo per ragioni di politica e consenso interno si comportano in modo poco responsabile mentre sui migranti è necessario andare avanti tutti insieme, oppure il progetto europeo è a rischio». Secondo Avramopoulos, «la priorità per tutti, Italia inclusa, dovrebbe essere quella di assicurare che le persone sulle navi siano sbarcate». Lo stesso aggiungeva: «Non spetta alla Commissione dire dove vadano sbarcati, lo stabiliscono il diritto internazionale e la legge del mare, ma certamente bisogna trovare il modo di farli scendere subito a terra. Non sono nemici, non sono una minaccia per la sicurezza nazionale, sono solo persone vulnerabili e i governi hanno un imperativo umanitario ed etico da rispettare: bisogna sbarcarli e offrire loro assistenza e supporto»
9. Le trattative con altri paesi al fine della redistribuzione dei naufraghi erano su base meramente convenzionale, nessun Tavolo tecnico poteva legittimare prassi in contrasto con quanto previsto dal Diritto internazionale del mare, e non erano previste da nessun atto che avesse forza di legge o di Regolamento europeo. Quindi sia la riserva di legge che la riserva di giurisdizione previste dall’art.13 della Costituzione, come l’art. 5 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, che vi corrisponde parzialmente, risultano violati dalla mancata autorizzazione allo sbarco esclusivamente riferibile al Viminale, protratta per oltre 5 giorni. Tale privazione della libertà personale risultava priva di basi legali, per una scelta politica, la difesa dei confini, rivendicata ancora oggi da Salvini ed esclusivamente riferibile al ministro dell’interno pro-tempore, perché non risulta che altri ministri abbiano cofirmato il secondo divieto di ingresso predisposto dal Viminale. Il 14 agosto, il presidente Conte, avendo ricevuto informazioni che confermavano la presenza a bordo di alcune decine di minori in condizioni di emergenza e in pericolo di vita, invitava il Ministro dell’interno ad adottare con urgenza i provvedimenti necessari per assicurare la loro assistenza e tutela, così come previsto dalle norme internazionali ma i minori venivano fatti sbarcare soltanto dopo tre giorni, il 17 agosto. Di certo le trattative con altri Stati europei, che non potevano riguardare i minori stranieri non accompagnati, erano avviate e giunte a buon punto prima che i naufraghi scendessero a terra per effetto del sequestro preventivo della nave disposto dalla Procura di Agrigento e non per una sia pur tardiva indicazione del porto di sbarco da parte del ministro dell’interno.
Le testimonianze rese su questo punto dagli ufficiali chiamati a deporre sono apparse lacunose rispetto a quanto dichiarato in precedenza nel dicembre 2019 al Tribunale dei ministri di Palermo, ed a quanto verbalizzato da loro stessi nei giorni del blocco della Open Arms davanti al porto di Lampedusa, al punto che in prima battuta il capitano Anedda ha affermato di essere salito a bordo della Open Arms solo il 20 agosto del 2019, mentre risultava, secondo quanto dichiarato al Tribunale dei ministri nel 2019, un suo precedente “sopralluogo” a bordo in data 15 agosto. venuto alla memoria del teste soltanto a seguito di una precisa contestazione della procura. Come risulta da quanto dichiarato a SIT al Tribunale dei ministri di Palermo, già il 15 agosto la Guardia di finanza aveva acquisito una lista dei minori stranieri a bordo della nave, ma per effetto del divieto stabilito dal Viminale non si poteva applicare direttamente la legge Zampa nn.47 del 2017. In una coeva nota del 15 agosto, peraltro, il presidente Conte evidenziava al ministro Salvini come, comunque, Francia, Germania, Lussemburgo, Portogallo, Romania e Spagna si erano già dimostrati disponibili a condividere l’ospitalità di tutte le persone a bordo. In quell’occasione il presidente Conte rappresentava come si fossero ormai verificate quelle nuove condizioni per il rilascio del POS concordate in occasione del tavolo tecnico sul contrasto all’immigrazione illegale del febbraio 2019 e che hanno comportato modifiche alla direttiva SOP 009/15, nel senso che il POS potesse essere rilasciato solo dopo l’attivazione delle trattative per la distribuzione dei migranti tra i Paesi europei. Che cosa attendeva ancora il ministro dell’interno per autorizzare lo sbarco, che non veniva mai consentito dal ministero dell’interno, che lo negava ancora il 19 agosto, il giorno prima del sopralluogo del procuratore di Agrigento e del sequestro della nave, con l’ordine di sbarco di tutti i naufraghi a Lampedusa ?
10. Tutte le dichiarazioni dei testimoni della Guardia costiera circa la sufficienza delle misure di assistenza prestate dalle autorità italiane ad Open Arms dal momento del suo ingresso nelle acque territoriali, il 14 agosto fino al momento dello sbarco avvenuto il 20 agosto, come le dichiarazioni fornite dai testi sulle condizioni dei naufraghi a bordo, contrastano con quanto rilevato durante il sopralluogo del Procuratore di Agrigento Patronaggio e con quanto disposto dallo stesso Procuratore in quella giornata. Le testimonianze che saranno raccolte durante le prossime udienze sulle condizioni dei naufraghi a bordo, concentrati per settimane sul ponte di poppa della nave Open Arms, andranno valutate tenendo in ogni caso presente quanto accertato durante l’ispezione a bordo da parte del Procuratore della Repubblica di Agrigento del 20 agosto 2019, a fronte della quale veniva disposto il sequestro preventivo della nave e lo sbarco immediato di tutti i naufraghi a Lampedusa. Nella sua ispezione, il Procuratore accertava “condizioni emozionali estreme in un clima di altissima espressione” ove “il vissuto di morte collegato a un eventuale rimpatrio e la percezione di vita affrontando a nuoto lo specchio di mare” che li separava dall’Isola di Lampedusa “comportavano una marginalizzazione del rischio individuale e collettivo che si inseriva in un contesto di scarso controllo critico – cognitivo, con conseguente pericolo di agiti comportamentali inappropriati (mettere a repentaglio l’incolumità fisica e la vita medesima) senza possibilità, da parte di terzi, di contenere dette condotte né di arginare un ulteriore sviluppo di gravi situazioni psicopatologiche ”.
Quanto già emerso nel processo di Palermo nei confronti del senatore Salvini rende evidente come nessun paragone sia possibile con il caso Gregoretti, archiviato a Catania, che riguardava una nave militare battente bandiera italiana alla quale non si applicava il Decreto sicurezza n.53 del 2019 che Salvini brandiva invece come una clava contro Open Arms, riuscendo peraltro a disattenderne le disposizioni. Purtroppo l’orda mediatica ed il gioco delle convenienze rischiano di cancellare la giustizia anche nei tribunali. Ma i cittadini solidali, le associazioni e le parti civili si batteranno fino alla fine per affermare i principi cardine della verità e della giustizia anche in tema di soccorsi in acque internazionali. Acque che non possono sottrarsi all’esercizio effettivo di una qualsiasi giurisdizione. Un impegno dovuto alle migliaia di persone che sono state ingiustamente respinte in Libia o abbandonate a morire nel Mediterraneo centrale per il mancato intervento degli Stati costieri, degli assetti Frontex ed Eunavfor Med, e per la ricorrente criminalizzazione dei soccorsi operati dalle ONG.