La sorveglianza che lascia morire

di Fulvio Vassallo Paleologo

Anche oggi altre vittime delle politiche di abbandono in mare, mentre sono bloccate nei porti con i fermi amministrativi tutte le navi umanitarie della società civile. Ma le partenze dalla Libia non si fermano. Come non si fermano le partenze dalla Tunisia e dall’Algeria. E ai tempi del Covid 19 sono tutte partenze forzate da una situazione di generale privazione delle speranze di vita.

Come riferisce l’AGI si è verificato oggi al largo di Lampedusa l’ennesimo naufragio di una imbarcazione proveniente dalla Libia. Ci sarebbero alcuni dispersi, mentre 13 persone sono state soccorse a portate a terra da un peschereccio italiano. L’intervento era stato chiesto, secondo quanto dichiarato dal sindaco di Lampedusa, dalle autorità maltesi. Come al solito, mancano comunicati ufficiali della Guardia costiera italiana o del ministero dell’interno. Secondo quanto riferisce su Twitter il giornalista di Radio radicale Sergio Scandura, che per primo ne aveva dato notizia accompagnandola con tracciati marittimi e aerei, i dispersi potrebbero essere 5. Ma le ricerche sono ancora in corso.

Altre vittime resteranno ignote, corpi dispersi in mare, come ieri davanti alle coste libiche,in un altro naufragio segnalato dall’OIM, il mare in autunno non perdona. E sempre più spesso sono navi private, rimorchiatori come Asso 29 o pescherecci a salvare vite, quando arrivano in tempo. Per le autorità marittime italiane e maltesi non ci sono più operazioni di ricerca e salvataggio da completare al più presto, come sarebbe imposto dalle Convenzioni internazionali. Le chiamate di soccorso che giungono dalle acque internazionali, raccolte soltanto dalla società civile, sono declassate a meri “eventi migratori”, da affrontare soltanto quando i barconi, stracarichi ed ai limiti del galleggiamento, fanno ingresso nelle acque territoriali. Se non affondano prima in alto mare. Sembra che la Guardia costiera italiana, e la stessa Marina militare, presente nel Mediterraneo centrale con l’operazione Mare sicuro, non siano più abilitate ad effettuare attività di ricerca e salvataggio al di fuori delle acque territoriali. Attività che fino al mese di luglio del 2017 avevano permesso di salvare la vita a migliaia di persone e di collaborare con le navi di soccorso delle Organizzazioni non governative.

Quasi ogni giorno una tenaglia mortale spezza le vite dei migranti che tentano la traversata del Mediterraneo centrale. Da una parte l’Unione Europea con la proposta della Commissione che ha esitato l’ennesimo “Patto sull’immigrazione” , e soprattutto con il finanziamento più subdolo a nuovi sistemi di tracciamento in mare, concentra tutti gli sforzi e trova unanimità soltanto sui progetti di controllo delle frontiere esterne e di respingimento o espulsione dei migranti che, malgrado tutto continuano ad attraversarle. Da ultimo si sta realizzando un progetto che assegna a Frontex ,tramite Eurosur, un drone che dovrebbe sorvegliare le rotte marine tra la Libia e la Sicilia e permettere così di intercettare le imbarcazioni di migranti in fuga sulla rotta del Mediterraneo centrale.

Come riferisce Altreconomia, Il Viminale investe 8,8 milioni di euro per noleggiare un drone e pattugliare le frontiere marittime “esterne” e “contrastare l’immigrazione clandestina”. Nessun accenno alla ricerca e soccorso dei naufraghi. Una sola offerta pervenuta, quella di Leonardo (ex Finmeccanica). Intanto il governo nega l’accesso ai verbali della cooperazione Italia-Libia

La presenza di questo sofisticato drone, dopo il ritiro di tutte le unità navali di Frontex che negli anni scorsi avevano partecipato alle missioni di sorveglianza che avevano salvato la vita di migliaia di persone, come gli aerei impiegati in precedenza dalla stessa agenzia, non garantisce alcuna azione di soccorso che si concluda in un porto sicuro di sbarco. Ma servirà probabilmente a intensificare la collaborazione con le nuove autorità libiche e con la sedicente guardia costiera libica, ripulita dai suoi esponenti meno presentabili, ma sempre collegata a milizie che considerano le persone migranti come merce. Come confermano i rapporti dell’UNHCR e dell’OIM che non consentono di ritenere che le torture subite dai migranti in Libia siano da attribuire ad un unico gruppo criminale.

Dall’altro lato, da parte delle autorità italiane si rafforza la politica degli accordi bilaterali e della delega ai paesi terzi dei compiti di arrestare e detenere i migranti in transito verso l’Europa. Nelle stesse ore in cui decine di persone muoiono in mare, vicino alle coste libiche e in alto mare, a sud di Lampedusa, in quella zona che dovrebbe essere pattugliata dai maltesi, ma che le politiche di deterrenza e di abbandono in mare hanno completamente sguarnito di mezzi di soccorso statali, i principali esponenti del governo di Tripoli si incontrano a Roma con il Presidente del Consiglio e con vari ministri del governo italiano. Oltre al rituale richiamo alla revisione del Memorandum d’intesa tra Italia e Libia del 2017, rinnovato proprio alla fine dello scorso anno, ed alle riunioni del fantomatico Comitato misto, che non ha alcun potere di modificare la portata degli accordi, emerge soltanto la rinnovata volontà di contrastare quella che si continua a definire “immigrazione illegale”. Sulle pagine dei giornali e nei progetti operativi concernenti la lotta contro i trafficanti. Neppure una parola sul salvataggio delle vite che si perdono in mare, soltanto un richiamo simbolico a “canali di evacuazione umanitaria” che fin qui sono serviti soltanto per poche centinaia di persone. Rimane anche nel provvedimento recentemente approvato dal governo, il nuovo decreto legge immigrazione, la vergognosa criminalizzazione delle attività di soccorso umanitario già introdotta dal decreto sicurezza bis imposto nel 2019 dall’ex ministro dell’interno Salvini. Nella conversione del decreto si dovrà abolire il richiamo all’art. 19 della Convenzione UNCLOS di Montego Bay del 1982 e il riconoscimento di un potere di intervento alla “competente autorità”, che in acque internazionali significano il riconoscimento della fantomatica zona di ricerca e salvataggio (SAR) “libica” e dei poteri di intervento delle motovedette libiche. Motovedette donate dall’Italia, sostenute ed assistite ancora oggi dalla missione Nauras della Marina militare italiana, che si vuole anzi potenziare. malgrado i recenti episodi di cronaca che hanno dimostrato il “grado di coesione” con attività illecite svolte in territorio libico. E intanto l’ingresso della Turchia nel Mediterraneo centrale rischia di fare saltare i piani italiani basati sul sostegno al premier Serraj, ormai dimissionario, ed alla sedicente Guardia costiera “libica”.

Rimane sempre più sullo sfondo la realtà di una Libia divisa in fazioni ancora in lotta tra loro, come è confermato dagli scontri a Tripoli e dalla vicenda dei pescatori siciliani e tunisini arrestati a bordo di due pescherecci di Mazara del Vallo, sottoposti a sequestro e portati a Bengasi. Le rassicurazioni dell’ambasciatore italiano in Libia non forniscono alcun elemento utile per prevedere quando saranno liberati e restituiti alle loro famiglie. Il peso del ricatto che sta giocando il generale Haftar sarà ancora più elevato dopo il rinnovato sostegno offerto dall’Italia al governo di Tripoli, una politica targata ENI per garantirsi i rifornimenti energetici da cui dipende il nostro paese, e sostenuta dal ministero dell’interno per una maggiore efficacia delle attività di blocco delle partenze delegate ai libici. Con una micidiale sinergia le politiche italiane ed europee mirano soltanto ad impedire che le persone in fuga dalla Libia possano raggiungere le coste italiane e non conta quante vite si perdono in mare. Si sono fatti accordi anche con i trafficanti pur di fermare le partenze, e qualcuno dovrebbe risponderne. Quello che conta per i politici al governo, in Italia come a Bruxelles, è non prestare il fianco agli attacchi dei partiti sovranisti e sbandierare statistiche con numeri che dimostrino che il contrasto dell’immigrazione “illegale” ha prodotto risultati. Davanti ad un elettorato sempre più spaventato ed avvitato in una crisi che la pandemia da Covid 19 sta rendendo irreversibile. Alla crisi sanitaria ed alla crisi economica, ormai strutturale, si aggiunge e si completa il tracollo dei diritti umani.

Si dimentica che la Convenzione di Palermo del 2000 contro il crimine transnazionale, ed i due Protocolli allegati contro il traffico di migranti e la Tratta di esseri umani, che si richiamano per giustificare la “collaborazione di polizia” con i paesi terzi, antepongono chiaramente la salvaguardia della vita umana in mare alla “lotta contro l’immigrazione illegale”. Secondo l’art. 19 del Protocollo addizionale contro il traffico di persone, “Nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e individui ai sensi del diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale dei diritti dell’uomo e, in particolare, laddove applicabile, la Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967 relativi allo Status di Rifugiati e il principio di non allontanamento”.

Ma sembra che questa Convenzione, i Protocolli allegati e tutte le altre Convenzioni internazionali, come le stesse norme della Costituzione che sanciscono i diritti umani, appartengano ad un epoca ormai passata. Viviamo un tempo in cui i governi, anche attraverso provvedimenti amministrativi, stanno svilendo il valore della vita umana e della salute delle persone in nome del mercato, questo vale ormai per tutti noi, e decine di persone che muoiono in mare per abbandono non suscitano né pietà né interesse. L’emergenza derivante dalla pandemia da COVID 9 sta portando ad un abbassamento dei diritti umani ed alla cancellazione dello Stato di diritto. In mare, come sui territori nei quali si nega la garanzia del diritto alla salute. Ma una cosa è certa: le politiche basate sulla deterrenza e sulla criminalizzazione dell’attraversamento delle frontiere saranno sconfitte. Per quanti ne potranno fare morire nelle acque del Mediterraneo, o nei lager libici, tanti altri riusciranno ad arrivare e costringeranno comunque i politici che antepongono la “difesa dei confini” alla vita umana ed al rispetto delle leggi, e gli imprenditori della paura, a confrontarsi con il loro fallimento.