Arriva sempre un momento in cui non resta altro da fare che saltare

Stefano Galieni

Che in Europa, ma soprattutto in Italia, si avverta il bisogno di una informazione diversa, o forse semplicemente di vera informazione, è qualcosa di banale, forse scontato. Per noi che come ADIF proviamo ad occuparci di un immaginario deteriorato continuamente da una maniera superficiale e strumentale di affrontare i temi che costituiscono la nostra “ragione  sociale”, è raro incontrare approcci che sfuggano alle  stereotipizzazioni. Approcci capaci di sottrarsi ad un racconto di stampo  prettamente emergenziale e privo di profondità, necessari quanto urgenti per poter definire una società che sta cambiando di giorno in  giorno. A volte, nel nostro piccolo, abbiamo provato a colmare alcuni vuoti. Si pensi, restando nell’attualità, a come abbiamo cercato di contrastare (continueremo a farlo), la marea di fango che è stata gettata addosso alle Ong che operano salvataggi in mare e a chiunque si renda colpevole del “reato di solidarietà” aiutando, con ogni  mezzo, chi si ritrova profugo in Italia. Altre volte, spesso, abbiamo ospitato i contributi di collaboratrici e collaboratori che provano, nei loro ambiti, a marcare una differenza, a voler proporre un punto di vista meno schematico e meno utile  ai discorsi delle classi dominanti. Ed è partendo da questo che ci sentiamo coinvolti nel progetto de Il Salto, presentato in questi giorni a Roma. L’idea come viene esposta nella presentazione e sulla pagina FB, è quella di creare un media completo, reale, capace di parlare a quella parte di paese che non ha luoghi in cui riconoscersi. Capace di farlo con rigore giornalistico, tramite un lavoro che punti sul valore del collettivo, su una orizzontalità praticata delle modalità organizzative, che entri a testa bassa in un mondo solo apparentemente saturo di informazione ma in realtà arido e omologato, mettendosi in gioco e richiedendo il contributo di tutte e tutti, riconoscendo le competenze altrui, volendole  rispettare anche nella dimensione  retributiva, riconnettendo un sapere diffuso che raramente riesce ad emergere o  a trovare spazio. Di esperienze simili ce ne sono molte nel mondo, lo stesso quasi omonimo, El Salto, in Spagna, da cui questa proposta trae anche ispirazione, è riuscito ad imporsi divenendo uno strumento che vive in quanto finanziato dai lettori e dai sostenitori e in cui per i giornalisti è possibile rivoluzionare anche modalità di lavoro sovente causa di frustrazione. Il progetto è stato presentato graficamente il 20 giugno scorso ma diventerà operativo ad inizio di ottobre. Necessiterà di un consolidamento che potrà nascere solo dal lavoro, l’ipotesi che portano avanti i giornalisti che hanno avuto l’idea è quella di una direzione collettiva e di una redazione ampia, mobile, capace di definire nodi tematici e locali di intervento. Vogliono darsi almeno un anno di rodaggio ed hanno progetti ambiziosi. Ci hanno chiesto, come ADIF, riconoscendo  il lavoro da noi svolto finora, di trovare  insieme  forme di collaborazione che senza snaturare l’autonomia di ognuno, crei sinergia e scambio. Troveremo le forme, sia perché molti di noi conoscono e stimano quanti hanno dato vita al progetto,  sia per altre ragioni più concrete.

  1. C’è la necessità di  un giornalismo indipendente, non di nicchia, ambizioso al punto da voler considerare l’Europa come proprio orizzonte ineludibile ma capace di calarsi nelle dimensioni territoriali, svolgendo inchieste, dando voce a chi è invisibile, ricostruendo un nesso fra le tante facce della realtà e la sua rappresentazione.
  2. I temi che  trattiamo, come tante altre questioni  sociali, hanno bisogno non  solo di una nuova declinazione nel mondo dell’agire  politico ma anche di una elaborazione culturale, di ridescrivere il mondo per quello  che è e per quanto di questo produce solo disagio e infelicità
  3. Perché i tanti  e le tante che si sono affacciate/i a questo progetto, sono portatori  sani di un pluralismo critico e inevitabilmente ribelle  al presente e ne “Il Salto” potrebbero produrre sia sintesi  che elaborazione teorica complessa quanto utile a tradurre il mondo
  4. Perché occorre ricominciare a “parlare fuori”, utilizzando diversi e molteplici  linguaggi, perseguendo  l’obbiettivo di non adattarsi al presente e alle sue pulsioni dominanti. Anche fornendo risposte diverse  e non scontate alle domande e alle paure che si agitano in questo paese che sta male, in questo continente che non gode di buona salute, è possibile produrre antidoti e anticorpi capaci  di debellare la logica dell’imbarbarimento
  5. Sono personalmente convinto che se il vostro tentativo di “spiccare il volo”, (altro che salto), andrà a buon fine, grazie anche anche ad un impegno collettivo e permanentemente aperto ad ulteriori contributi, si potrebbero andare a coprire bisogni significativi e tutt’altro che minoritari e che la sfida, il vero “salto” da proporre sia nell’offrire una prospettiva meno chiusa e provinciale del mondo, a partire da quanto accade in un quartiere vicino fino  agli angoli più lontani del pianeta ma poco interessata alle stantie  dinamiche  di “palazzo”.

Il progetto è ambizioso, certamente lontano dal quieto sopravvivere in cui ci si è da troppo tempo abituati a respirare. Per questo augurare buon lavoro e un affettuoso in bocca al lupo a voi significa farlo anche a noi stessi, ai nostri  messaggi nella bottiglia che anche ne Il Salto troveranno un approdo.