Stefano Galieni
Evet o hayir, Si o No, a questo quesito dovranno rispondere fra poche ore il 16 aprile fino alle ore 15, 55 milioni di cittadini turchi. Un referendum di riforma costituzionale inevitabile dopo che in Parlamento il governo non era riuscito ad ottenere la maggioranza dei 2/3 necessaria a evitare il voto popolare. Una giornata che potrebbe segnare una svolta per la Turchia perché nei fatti, quello che si cerca di sancire con questa riforma è il passaggio da repubblica parlamentare in repubblica presidenziale. Quello che è già un fascismo strisciante potrebbe avere una legittimità popolare complice anche il controllo dei mezzi di informazione e un periodo di violenta repressione di ogni opposizione. Un si o un no che definiranno l’approvazione o meno di 18 emendamenti all’attuale costituzione e che incidono soprattutto sul potere esecutivo e legislativo. Il modello di riferimento secondo il suo promotore principale, il presidente Recep Tayyip Erdogan, è quello statunitense, con l’abolizione del Primo Ministro e la concentrazione di buona parte dei poteri nelle mani del presidente della Repubblica.
Cosa si vuole cambiare?
La modifica più evidente riguarda l’articolo 104 che, nella nuova formulazione reciterebbe: «Il presidente diventa sia il capo dello Stato che capo del governo, con il potere di nominare e rimuovere dall’incarico i ministri e il vicepresidente. Il presidente può emettere decreti esecutivi. Se l’organo legislativo (il parlamento, ndr) fa una legge sullo stesso argomento di un decreto esecutivo, quest’ultimo diventerà invalido, mentre la legge parlamentare entrerà in vigore». Ma è l’intero complesso di norme che muta radicalmente la forma dello Stato. Cambiando l’art. 75 si porta il numero dei parlamentari da 550 a 600, per il diritto di voto passivo (art.76) l’età minima scende a 18 anni (attualmente è di 25), non è necessario aver completato il servizio militare obbligatorio La riforma prevede poi che la durata della legislatura venga portata a 5 anni (oggi è di 4, art.78) e che elezioni parlamentari e presidenziali si tengano nella stessa data. Se nessun candidato ottiene la maggioranza assoluta dei voti si ricorre al ballottaggio fra i due che hanno ottenuto il maggior numero dei consensi.
Con l’articolo 79 si istituiscono regole per i cosiddetti “parlamentari di riserva” che sostituiscono quelli rimasti vacanti mentre con l’art 87 si ridefiniscono le funzioni del Parlamento che potrà, in caso di esito favorevole a Erdogan: Approvare, cambiare o abrogare leggi, ratificare convenzioni internazionali, discutere, approvare o respingere il bilancio annuale dello Stato, nominare 7 membri del Supremo Consiglio dei Giudici e dei Pubblici Ministeri (il nostro Csm) Il parlamento potrà monitorare le attività del governo e del vicepresidente con ricerche, indagini parlamentari, discussioni generali e domande scritte. Si abolisce l’istituto dell’interpellanza ed è sostituito con quello delle indagini parlamentari. Il vicepresidente deve rispondere alle domande scritte entro 15 giorni. Da notare come il Presidente, in questa fase, non sia previsto come soggetto con cui doversi relazionare.
Per candidarsi alla presidenza una persona deve ottenere l’approvazione di una o più forze politiche che abbiano ottenuto almeno il 5% dei voti nelle elezioni parlamentari precedenti e di 100 mila elettori. Il presidente eletto non è obbligato ad interrompere la sua appartenenza ad un partito politico (art.101).
Il presidente, così come uscirebbe dalla modifica introdotta nell’art. 104 potrebbe essere sottoposto ad una indagine da parte del parlamento solo con la maggioranza assoluta dei deputati (301). La proposta va però discussa per un mese per poi essere aperta con l’approvazione di almeno 3/5 dei parlamentari (360) con votazione segreta. Per mettere in stato di accusa il presidente, al termine di tale indagine, servono almeno i 2/3 dei parlamentari (400) sempre con votazione segreta. (art.105). L’articolo 106 permette al Presidente eletto di nominare uno o più Vicepresidenti. Se la Presidenza si rende vacante si debbono svolgere elezioni entro 45 giorni ma se manca meno di un anno alle elezioni del parlamento si debbono svolgere contemporaneamente presidenziali e politiche. In questo caso il mandato interrotto non è contato per il limite massimo di due mandati che può svolgere il presidente. Una norma ambigua che potrebbe consentire al neo presidente di governare quasi in eterno.
In caso di indagini su possibili crimini commessi dai Vice Presidenti e ministri queste si possono aprire in parlamento con il voto favorevole di almeno 3/5 dei deputati. Alla fine del completamento delle indagini il Parlamento può votare per incriminare il Vice Presidente o i ministri, con il voto a favore di 2/3 a favore. Se riconosciuto colpevole, il Vice Presidente o un ministro in questione viene rimosso dall’incarico solo qualora il suo crimine fa parte di quelli che li escluderebbe dalla corsa per l’elezione. Se un deputato viene nominato un ministro o vice presidente, il suo mandato parlamentare termina immediatamente.
I poteri del Presidente si evidenziano nei successivi articoli: con il 116 egli (o i 3/5) del parlamento, possono decidere di anticipare le elezioni politiche che portano a ricandidare anche il Presidente, nelle elezioni per tale carica che si debbono svolgere contemporaneamente. Una lieve limitazione riguarda l’istituto dello “stato di emergenza” che diventa oggetto di approvazione parlamentare per avere effetto. Il Parlamento può estendere la durata, accorciarla o rimuoverla. Gli stati di emergenza possono essere estesi fino a quattro mesi tranne che durante la guerra, dove non ci saranno limitazioni di prolungamento. Ogni decreto presidenziale emesso durante uno stato di emergenza necessita dell’approvazione del Parlamento.
Il Presidente, mediante l’art 123 ha il diritto di stabilire regole e procedure in materia di nomina di funzionari e dipendenti pubblici, con l’art.126 di nominare alcuni alti funzionari amministrativi. Con i cambiamenti introdotti dall’art.142 cambierebbe il numero dei giudici della Corte Costituzionale che scende da 17 a 15, di cui 12 nominati dal Presidente e 3 dal parlamento e si aboliscono i tribunali militari (effetto del fallito golpe), a meno che non vengano istituiti per indagare sulle azioni dei soldati compiute in guerra.
Cambia con l’art. 159 il Supremo Consiglio dei Giudici e dei Pubblici Ministeri che viene rinominato in “Consiglio dei Giudici e dei Pubblici Ministeri”. I membri sono ridotti da 22 a 13, e i dipartimenti giudiziari scendono da 3 a 2: quattro membri sono nominati dal Presidente, sette dal parlamento, gli altri 2 membri sono il ministro della giustizia e il sottosegretario del Ministero della giustizia. Ogni membro nominato dal parlamento viene eletto in due turni: nel primo necessita dell’approvazione dei 2/3 dei parlamentari, al secondo dei 3/5.
Il Presidente (art.161) propone il bilancio dello Stato 75 giorni prima di ogni nuova sessione annuale di bilancio. I membri della Commissione parlamentare del Bilancio possono apportare modifiche al bilancio, ma i parlamentari non possono fare proposte per cambiare la spesa pubblica. Se il bilancio non viene approvato, verrà proposto un bilancio provvisorio. Se nemmeno il bilancio provvisorio non viene approvato, il bilancio dell’anno precedente sarà stato utilizzato con il rapporto incrementale dell’anno precedente.
Altri articoli della Costituzione saranno modificati per adattare il passaggio dei poteri esecutivi dal governo al presidente e, come elemento temporaneo, si stabilisce già la data per le prossime elezioni, il 3 novembre 2019 che saranno ovviamente presidenziali e parlamentari. L’elezione del Supremo Consiglio dei Giudici e dei Pubblici Ministeri avverrà entro 30 giorni dall’approvazione della presente legge. I tribunali militari sono aboliti con l’entrata in vigore della legge.
Un cambiamento ancora più radicale in una situazione di guerra
Al di là delle norme cambiate il loro impatto sulla vita politica è ancora più profondo per il contesto in cui si va a realizzare. Della repubblica parlamentare fondate nel 1923 resta ormai poco e Erdogan, incurante di una doverosa imparzialità, si è speso in questi mesi per far approvare la riforma al punto da scontrarsi con i paesi europei in cui c’è un forte comunità turca e dove si è visto annullare per “ragioni di sicurezza” comizi elettorali di parlamentari e ministri suoi sostenitori. Le tensioni maggiori si sono registrate con Germania e Olanda e si è giunti al punto di far pervenire minaccia di annullamento dell’accordo UE Turchia dello scorso anno con cui l’Unione ha fermato i richiedenti asilo provenienti soprattutto dalla Siria. Senza giri di parole Erdogan ha definito “nazisti” i governi di Germania e Paesi Bassi”. Erdogan si gioca in questo referendum la possibilità di avere il paese in mano almeno fino al 2029. La nuova Costituzione, forgiata a sua immagine, consentirebbe al presidente di nominare e licenziare ministri ed emettere decreti presidenziali sulla maggior parte delle questioni che dovrebbero fare capo al governo, senza bisogno di passaggio parlamentare. Fra i funzionari e i dirigenti che sarebbero direttamente nominati dal presidente ci sono i vertici dell’esercito e dei servizi, i rettori delle università, i dirigenti nella pubblica amministrazione e alcuni vertici di istituzioni del potere giudiziario. Sarebbe inoltre difficile, se non impossibile, mettere sotto accusa il presidente della Repubblica da parte del parlamento, dal momento che sarebbero necessarie 301 firme per avviare il processo di impeachment, successivamente 360 voti per creare la commissione di inchiesta che potrà decidere se rinviare il giudizio alla Corte suprema e poi il voto di altri 400 deputati che dovranno decidere se proseguire con il processo. Bisogna ricordare a proposito che attraverso una precedente disposizione, i parlamentari hanno perso l’immunità nell’esercizio del loro ruolo, per le opinioni espresse. Sono decine i parlamentari dell’Hdp, il Partito Democratico dei Popoli, filo curdo, incarcerati, condannati e quindi rimossi dal loro ruolo e questo prima ancora del referendum e sono migliaia i detenuti in nome delle
proprie convinzioni politiche. Erdogan sembra aspirare all’eternità; alla guida della Turchia dal 2002 dopo essere stato sindaco di Istanbul e primo ministro per 3 mandati consecutivi, il 10 agosto 2014 è divenuto il rimo presidente della Repubblica eletto direttamente dai cittadini, prima di lui la carica aveva un ruolo prettamente rappresentativo ed era eletto dal parlamento. Chi sostiene le ragioni del si, che ha avuto gran parte degli spazi nella comunicazione tanto in Turchia quanto fra i votanti all’estero, dichiara che tali riforme porteranno maggiore stabilità economica, crescita e una lotta più efficace contro il terrorismo. Parlano addirittura di miglioramento del bilanciamento dei poteri, come in USA o in Francia, rispetto ad un sistema arcaico stabilito sotto un regime militare. Gli oppositori sono invece convinti della pericolosità di questo accentramento di poteri nelle mani di un solo uomo che porterebbe ad un aumento dell’autoritarismo. Con questi poteri si potrebbero continuare le epurazioni in ambienti militari, accademici e giudiziari e si porterebbero avanti gli arresti indiscriminati. Di fatto potere esecutivo, legislativo e giudiziario si concentrerebbero su una sola persona e questo in un clima ostile, con le opposizioni ridotte al silenzio grazie alla detenzione di politici, accademici e giornalisti.
L’esito del referendum rischia di essere nelle mani degli indecisi (il 10%) che consegnerebbero comunque vada un paese spaccato a metà e in uno stato di emergenza che ha avuto il suo giorno ufficiale di inizio con il tentato golpe del 15 luglio scorso. Le cifre ufficiali parlano di 248 persone finora uccise, 152 giornalisti in carcere e molti esponenti delle opposizioni. La Turchia è coinvolta in operazioni di guerra in Siria e Iraq con il risultato che anche nel suo territorio sono divenuti frequenti gli attentati, soprattutto di matrice dichiaratamente islamista e nonostante il presidente stia dimostrando di voler rimuovere il laicismo che per tanti anni ha caratterizzato la Turchia in nome di un nazionalismo a forte impronta religiosa e tradizionalista.
Operazioni militari e scioperi della fame dei detenuti
L’aviazione turca ha compiuto giovedì 13 aprile, ancora raid nuovi raid contro obiettivi del PKK (il Partito dei Lavoratori Kurdi), nel nord dell’Iraq. Lo hanno comunicato le stesse forze armate di Ankara che sostengono di aver colpito numerosi obiettivi, soprattutto rifugi e depositi di armi nella regione di Zap.
Una repressione che non riguarda solo la minoranza curda ma ogni forma di critica al regime nonché il mondo della cultura e dell’informazione. La procura di Istanbul ha infatti chiesto l’ergastolo per 16 persone, tra giornalisti e docenti universitari, accusate di aver sostenuto il fallito colpo di stato di luglio. Tra gli imputati ci sono diversi reporter veterani ed editorialisti ma anche un docente universitario. La richiesta di condanna riguarda anche 10 latitanti, tra cui l’ex direttore di Zaman, il giornale più diffuso nel Paese, chiuso dopo il putsch. Per alzare l’attenzione rispetto al referendum ma anche per chiedere almeno diverse condizioni di detenzione, 219 detenuti sono entrati da tempo in sciopero della fame in 27 diverse carceri. Fra questi 37 sono donne, allo sciopero, che in Turchia si vuole portare fino alle estreme conseguenze, stanno aderendo le comunità presenti nelle diverse città italiane (ad oggi Roma, Torino e Milano con uno sciopero a staffetta) e una simile forma di protesta si vuole attuare anche a Strasburgo, davanti alla sede del Parlamento Europeo, per chiedere che l’UE impedisca il proseguo di questo scempio. Erdogan reagisce minacciando l’Europa di rompere l’accordo che ferma i profughi, offrendosi come alleato prezioso nello scacchiere mediorientale in chiave anti Russia e Siria e poi annunciando che in caso di vittoria ben presto chiederà il ripristino della pena di morte. C’è da temere per la vita di Abdullah Ocalan, detenuto da 18 anni e la cui condanna alla pena capitale era stata commutata in ergastolo e per i tanti e le tante colpevoli di non volere un oppressore sanguinario e fascista come presidente. Difficilmente le democrazie europee apriranno bocca, tante le armi di ricatto che ha oggi Erdogan che crescerebbero esponenzialmente in caso di vittoria referendaria. Spetta a chi non si rassegna alla real politik decidere da che parte stare e comportarsi di conseguenza.