Crimini di stato. Crimini di indifferenza

Daniela Padoan

Aveva preso un treno a Milano, si è seduto sui gradini della stazione di Venezia, poi si è alzato e si è lanciato nel Canal Grande, senza nuotare, senza afferrare i quattro salvagente che gli venivano lanciati da un vaporetto. Veniva dal Gambia, Pateh Sabally, un paese martoriato, che solo pochi giorni prima aveva visto il suo ventennale dittatore scappare svaligiando le casse dello Stato.

Lui, che era giunto per mare attraverso il Canale di Sicilia – la rotta più pericolosa del modo, dove solo nei primi quindici giorni del 2017 sono morte annegate 240 persone – ha terminato la sua breve vita annegando nello scenario della nostra più sublime bellezza, nella stratificazione perfetta della nostra storia e cultura, domenica, in mezzo ai turisti che lo filmavano dal Ponte degli Scalzi.

La scena, ripresa da più cellulari, è stata condivisa sui social e pubblicata su diversi giornali. Nel video si vede il ragazzo annegare mentre il vaporetto gli passa a pochi metri. Si sentono voci agitate, ma non disperate. Gente che grida, gente che ride, una voce dice: “Questo è scemo!”. Un’altra: “Africa!”. Nessuno si lancia a salvarlo. I soccorsi arrivano quando ormai la corrente ha trascinato il corpo dall’altra parte del canale.

Certo, nessuno è accusabile di non essere un eroe, ma la reazione di chi dice che non si poteva far altro non è così scontata: i salvataggi in Laguna e nel Canale sono sempre accaduti, anche d’inverno, e senza fare grande notizia. A gennaio 2015 un ragazzo riportò a riva un senzatetto, all’Arsenale. Nel 2014 venne ripescata una turista americana, e si potrebbe andare avanti a lungo.

Quando due anni fa era sbarcato in Sicilia, a Pozzallo – non sappiamo dopo quale viaggio e con quale storia alle spalle – Pateh non sapeva nemmeno il giorno della sua nascita. In questi casi, nei cosiddetti hotspot imposti dall’Agenda sulla migrazione dell’Unione europea, la polizia attribuisce un’età convenzionale: il primo gennaio. Così Pateh, sul permesso umanitario ritrovato nel suo zaino, risultava essere nato il primo gennaio 1995.

Non sappiamo cosa facesse a Milano, solo che era stato trasferito lì in via temporanea, perso in un limbo che non accoglie ma imprigiona nelle reti del regolamento di Dublino e dell’attesa dei permessi di soggiorno. Era arrivato a Venezia il pomeriggio del giorno prima, chissà come aveva passato quelle 24 ore, probabilmente girovagando fino al pomeriggio di domenica. Pare gli fosse stato revocato il permesso di soggiorno per motivi umanitari.

La sua morte pubblica e muta torna in mente come una scena fantasmatica, oggi che la Commissione europea ha finalmente scoperto le carte, mostrando quel che intendeva ottenere già da tempo con l’adddestramento della cosiddetta Guardia di frontiera libica: accordarsi con la Libia (ma quale Libia: quella di Tripoli, dove l’apertura dell’ambasciata italiana ha quasi causato un colpo di Stato? Quella dell’ultimo rapporto dell’Onu che parla di schiavitù, torture, abusi sessuali nei campi? Quella delle denunce di traffico degli organi?) per “salvare le vite dei migranti”. Con eufemismo grottesco, non fosse che tutti sembrano prenderlo sul serio, si pretende di voler salvare i migranti dai “trafficanti di uomini”, ributtandoli nella situazione dalla quale erano scampati, talvolta dopo una prigionia durata anche uno o due anni e fatta di violenza, come dimostrato dalla recente inchiesta milanese sul torturatore somalo Osman Matammud.

Pateh è un’immagine, uno specchio che ci viene messo davanti nel giorno in cui Trump ordina l’innalzamento del muro con il Messico e l’Europa si prepara, nel prossimo vertice dei capi di governo che si terrà a Malta il 3 febbraio, a distruggere la Convenzione di Ginevra e il diritto d’asilo, affidando a terzi il respingimento collettivo, senza che nessuno protesti, seguendo la direzione già tracciata dal governo Renzi durante il semestre di presidenza europea, e ora dal governo Gentiloni e dal suo ministro Minniti.

L’Europa ha dichiarato guerra ai migranti. Noi guardiamo dicendo “Africa!”. La Procura di Venezia ha aperto un’inchiesta. Ma contro chi, davvero, dovrebbe essere aperta?

 

Il commento, tanto carico di passione civile e politica quanto documentato, scritto dalla nostra Daniela Padoan e pubblicato sul suo blog del del Fatto Quotidiano, ha scatenato una ridda di commenti. Per la maggior parte ad esporsi è un mondo di persone incattivito, individualista, crudele fino al punto di auspicare la morte di un altro essere umano. Due elementi però vanno presi in considerazione. Il primo riguarda la politica e l’informazione. Due anni fa, quando Germania e Austria aprivano le loro porte ai profughi siriani, anche da noi si esaltava la retorica dell’accoglienza e della solidarietà. Quella degli “italiani brava gente” che accolgono, soccorrono, aiutano. C’è del vero in questo racconto, si pensi ai tanti salvataggi operati dalle navi umanitarie come dalla guardia costiera o dai pescherecci nel Mediterraneo e c’è della finzione, quella legata al bisogno di rappresentarci migliori di quello che siamo. Oggi si dà dà libero sfogo alla violenza non solo verbale verso altre persone, colpevoli di essere straniere ma soprattutto povere. Oggi si deve dare l’immagine del paese logorato dalla eccessiva disponibilità quindi il via libera ad una violenza senza nome (comodo nascondersi dietro i nickname) partorita da un cinismo che invece ha nomi e cognomi, elabora leggi, destina risorse per inutili misure repressive ma dimentica anche il semplice valore della vita. E in nome di questo si celano i mille episodi di piccolo eroismo che praticano quotidianamente coloro che invece vedono nell’altro la persona da incontrare. Si celano  a volte, altre si puniscono e si reprimono perché come abbiamo spesso scritto ormai esiste il reato di solidarietà. Ed è assurdo come le stesse persone che vomitano livore contro una persona fragile che sta affogando siano poi quelle che si commuovono di fronte ad un video come questo. Un cane che salva un altro cane dalle rapide di un fiume. Un video breve che colpisce chiunque sia dotato di un minimo di sensibilità. Ed è bellissimo vedere un cane che ne salva un altro ed è piena la cronaca di uomini che salvano altri uomini, non c’è contrapposizione fra due azioni di soccorso. Dovremmo pensare il contrario? Noi insieme a Daniela e a tante altre/i invisibili, non ci rassegniamo a questo.