di Fulvio Vassallo Paleologo
1. Dopo giorni di relativo rallentamento degli arrivi dalla Libia, dalla Tunisia e dall’Algeria, effetto di condizioni meteo sfavorevoli, non appena il mare si è calmato, nell’ultimo fine settimana oltre 2.700 persone hanno tentato l’attraversamento del Mediterraneo. Oltre alla stagione estiva che favorisce le traversate non si può dimenticare la gravissima crisi economica, politica e sociale nella quale versano molti paesi nord-africani. La pandemia non colpisce soltanto in Europa. E in Libia la situazione per i migranti intrappolati in quel paese non accenna a migliorare, malgrado le visite ormai settimanali di politici europei in cerca di affari e di appoggi per bloccare le partenze. A qualsiasi costo, anche se si tratta di scendere a patti con miliziani collusi con trafficanti.
Una parte consistente di fuggitivi, in base alle stime delle Nazioni Unite si può calcolare circa 1000 persone, sono stati ripresi dalla sedicente Guardia costiera “libica” e riportate nei centri di detenzione in Libia, dove neppure l’UNHCR e l’OIM, pure presenti nei punti di sbarco, garantiscono per la loro sorte. Torture ed estorsioni, in centri di detenzione nei quali vengono riportati i migranti intercettati in mare, soprattutto dalle parti di Zawia, saranno già in atto, con la complicità del governo italiano e delle autorità europee che hanno firmato (e finanziato anche con l’invio di motovedette per le operazioni di pull-back) accordi bilaterali con le autorità libiche. Ed adesso nei porti libici sono arrivati anche assetti navali ed equipaggiamenti inviati dalla Turchia, che rimane il principale garante ed arbitro della situazione in Libia. L’Italia è ormai sottoposta ad una serie di ricatti incrociati per mantenere le sue posizioni in Libia. E garantirsi la collaborazione nella “lotta all’immigrazione illegale”.
Mentre quasi tutti gli algerini, alcune decine di persone soltanto, sono riusciti a raggiungere le coste sarde, alimentando la solita ventata di allarmismo, per molti tunisini, o anche migranti subsahariani che, fuggiti dalla Libia, sono riusciti ad imbarcarsi dalle coste tunisine, il destino è stato diverso. Si può stimare che alcune centinaia di loro siano stati intercettati in alto mare e riportati indietro, prima di raggiungere le acque internazionali, Per i subsahariani, considerati in Tunisia come migranti “illegali” si è aperta la porta dei centri di detenzione e sono state adottate comunque severe sanzioni. I più fortunati sono invece riusciti a raggiungere Lampedusa in modo autonomo, come del resto alcune centinaia di migranti sfuggiti alle attività di intercettazione delegate ai libici. E così a Lampedusa si sono contati oltre 1400 arrivi a ridosso della giornata di domenica 13 giugno. Oltre a Lampedusa numerosi sbarchi si sono verificati a Pantelleria, ma sono stati tenuti nascosti, e per coloro che sbarcano nell’isola, se provengono dalla Tunisia, la prospettiva del rimpatrio con accompagnamento forzato diventa sempre più concreta, per effetto delle ultime intese stipulate con il governo tunisino. Di certo anche a Pantelleria si riscontrano condizioni di detenzione non conformi alla legge ed agli standard europei.
L’unica nave delle ONG ancora operativa nel Mediterraneo centrale, la GEO BARENTS di Medici senza Frontiere, è intanto riuscita a soccorrere circa 400 persone, operando al limite della zona SAR maltese, dopo che i guardiacoste libici avevano minacciato la nave e avevano intimato di allontanarsi dalla zona nella quale stavano operando intercettazioni, all’interno di quella zona SAR libica che ormai si rivela soltanto come un espediente per tenere lontani testimoni scomodi ed impedire operazioni di ricerca e soccorso che invece sarebbero imposte con la massima tempestività dalle Convenzioni internazionali.
Dopo due giorni di inutili richieste di un porto di sbarco sicuro alle autorità maltesi, alleate della Guardia costiera libica alla quale viene permesso di entrare nella zona SAR maltese per effettuare intercettazioni in acque internazionali illegali (pull back), la nave GEO BARENTS, dopo essere stata minacciata dai libici, e dopo avere soccorso centinaia di persone in acque internazionali, sta facendo rotta verso la costa meridionale della Sicilia, e si trova al largo di Licata (Agrigento) in attesa che il governo italiano assegni un Porto sicuro di sbarco (POS), come è imposto a questo punto dalle Convenzioni internazionali, ritenute anche dalla Corte di Cassazione fonte primaria del diritto marittimo e dunque prevalenti rispetto ai decreti del governo o ai divieti di ingresso imposti da singoli ministri.

Quanto successo in questi ultimi giorni costituisce l’anteprima di un vero e proprio disastro umanitario che si verificherà nel corso della prossima estate, ogni volta che le partenze dalle coste nordafricane si intensificheranno. Malta continua a rifiutare soccorsi e non assume alcun coordinamento dei salvataggi nella zona SAR vastissima che si è attribuita per ragioni commerciali. Non sono state accolte le richieste di evacuazione dei campi di internamento in Libia, non sono stati aperti canali legali di ingresso e significativi corridoi umanitari, non si è fatto nulla per un maggior rispetto dei diritti umani, se non del diritto di asilo, nei principali paesi nordafricani, ed in Libia, in particolare, puntando tutto sulla efficacia delle espulsioni con accompagnamento forzato e sui respingimenti illegali in mare, delegati ad autorità che non rispettano i diritti umani dei migranti. Anche a livello europeo sono prevalse le politiche di chiusura e non si è riusciti ad imporre a Frontex un effettivo rispetto dei diritti umani, che presuppone la immediata sospensione di qualsiasi rapporto di informazione con le autorità libiche che grazie alle segnalazioni degli assetti aerei di Frontex e dell’operazione EUNAVFOR MED IRINI, adesso collegata con l’Agenzia europea delle frontiere, riescono ad intercettare in acque internazionali un numero crescente di migranti in fuga. Una situazione che oggettivamente accresce le responsabilità del governo italiano, che continua a ritardare l’indicazione dei porti sicuri di sbarco, a inasprire la prassi dei fermi amministrativi, ed a tenere all’interno delle acque territoriali italiane ( 12 miglia dalla costa) quelle navi militari della Marina e della Guardia costiera che in passato ( fino al 2017) venivano inviate a soccorrere in acque internazionali, e spesso trasbordavano naufraghi soccorsi dalle ONG. In un caso recente verificatosi in questi ultimi giorni si è atteso tanto l’avvicinamento dei migranti a Lampedusa, senza soccorrerli in acque internazionali, che alla fine, se non ci sono state altre vittime, lo si deve soltanto all’intervento coraggioso di alcuni pescatori che si sono gettati in mare per recuperare alcuni migranti che rischiavano di annegare.
Eppure si continua a parlare delle navi delle Ong che sarebbero un “fattore di attrazione (pull factor) come andava di moda nelle estati passate. Rimangono aperti procedimenti penali costruiti sul nulla e prosegue la prassi arbitraria dei fermi amministrativi che presto avrà conseguenze negative sul piano dei rapporti internazionali che gli italiani neppure immaginano. Ma che, chi li governa, deve presto mettere in conto, se gli altri stati faranno valere il principio di reciprocità e cominceranno a fare controlli “mirati” sulle navi che battono bandiera italiana.
In questa situazione si creano le premesse per ulteriori naufragi, e per il mancato intervento di Malta anche molto vicino al limite delle acque territoriali italiane. Si aumenta il tempo di attesa degli sbarchi, perché la Centrale operativa della Guardia costiera (IMRCC) che opera da anni in sinergia sempre più stretta con il ministero dell’interno, non considera come “eventi di soccorso (SAR)” i salvataggi operati dalle ONG, invita a rivolgersi alle autorità libiche, con le quali collabora dal 2017 (missione NAURAS a Tripoli) e si rifiuta di assumere il coordinamento delle attività SAR, come sarebbe imposto dalle Convenzioni internazionali quando gli stati competenti, comunque preventivamente richiesti per interventi immediati e poi per la indicazione di un place of safety (POS), si rifiutano di indicarlo, e di assumere il ruolo di coordinamento al quale sarebbero obbligati.
Alla vigilia dunque di una serie di naufragi per abbandono in mare, con possibili profili penalmente rilevanti di omissione di soccorso, non ci rimane che richiamare quanto prevedono le Convenzioni internazionali di diritto del mare che, secondo alcuni politici e qualche giudice, dovrebbero essere accantonate in nome della “difesa della patria” o della “sicurezza dei confini”. Confini che sarebbero molto più sicuri se si offrisse maggiore sicurezza alle persone in fuga dal nord-africa, garantendo loro i diritti costituzionali e quanto previsto dalle Convenzioni internazionali sul diritto marittimo ed in materia di asilo. Infatti se le persone fossero soccorse in acque internazionali, non solo da navi delle ONG, che andrebbero immediatamente liberate dai fermi amministrativi, ma anche da navi delle missioni europee e delle Marina e della Guardia costiera italiane, diminuirebbero gli “sbarchi autonomi”. In questo modo sarebbe più facile gestire la questione sbarchi nel rispetto di quanto previsto dall’art. 10 ter del Testo Unico sull’immigrazione n.286/98 che distingue l’ingresso per “ragioni di soccorso” dall’ “ingresso irregolare” e prevede lo sbarco a terra in centri di prima accoglienza e non la permanenza di 14 giorni in regime di quarantena a bordo di navi traghetto che, oltre a costituire una spesa sempre più rilevante, non consentono l’accesso alle cure mediche, all’informazione legale ed alle procedure di protezione come si potrebbe invece verificare a seguito dello sbarco immediato e dell’accoglienza sulla terraferma. Malgrado la presenza delle navi per la quarantena, il centro di prima accoglienza “Hotspot” di Contrada Imbriacola a Lampedusa, rischia comunque di collassare ogni volta che gli “sbarchi autonomi”, conseguenza del blocco dei soccorsi in mare e del fermo amministrativo delle ONG, si intensificano.
Ad oltre un anno dalla sua adozione sembra ormai privo di senso e di basi legali, il Decreto interministeriale del 7 aprile 2020, recante anche la firma del ministro Speranza, che in linea con i decreti sicurezza Salvini, conferiva al ministro dell’interno il potere di vietare alle ONG che avevano salvato vite in acque internazionali, l’ingresso nei porti italiani, per il rischio che l’arrivo dei migranti potesse mettere in crisi il “sistema sanitario nazionale”. L’esperienza di questi mesi conferma quanto quel decreto, mai pubblicato in Gazzetta Ufficiale, fosse privo di una motivazione reale e risultasse contrario alla Costituzione. Il sistema sanitario nazionale è andato in crisi, e continua a soffrire di gravi inefficienze, non certo per l’arrivo di qualche migliaio di migranti o per i soccorsi di naufraghi abbandonati in acque internazionali, quanto per i processi di privatizzazione portati avanti da anni e per l’assenza di una pianificazione aggiornata e tempestiva. Lo possono verificare tutti, anche quei “leoni da tastiera” che ad ogni soccorso in mare sfogano la loro rabbia sulle ONG e sugli operatori umanitari.
Sarebbe dunque tempo che, senza attendere oltre le decisioni di una magistratura amministrativa che sta avallando la prassi dei fermi delle navi umanitarie, si ritorni al rispetto dello Stato di diritto, del sistema gerarchico delle fonti internazionali del diritto marittimo delineato dalla Costituzione (artt. 10 e 117) e riconosciuto dalla corte di Cassazione (sentenza 16 febbraio 2020), liberando le navi delle ONG, avviando missioni di soccorso con l’impiego di unità navali militari italiane in acque internazionali, e garantendo una sollecita indicazione di un porto sicuro di sbarco per le navi private, anche commerciali, che hanno soccorso naufraghi nel Mediterraneo centrale. La catastrofe umanitaria che si approssima si potrebbe forse evitare, con una svolta netta rispetto alle prassi attualmente imposte dal Viminale. Se non si interverrà in questa direzione, le responsabilità saranno sempre più chiare, e prima o poi, saranno sanzionate, se non in Italia, almeno a livello internazionale.
2. Il piano Sar Marittimo 2020 approvato con il Decreto ministeriale del 4 febbraio scorso, dà attuazione a quanto prescritto dalla regola 4.5 dell’Annesso alla Convenzione sulla ricerca di salvataggio in mare (SAR) adottata ad Amburgo nel 1979 con successivi emendamenti annessi, ratificata dall’Italia con legge 3 aprile 1989 numero 147.Nelle sue linee applicative il Piano SAR italiano del 2020 fa riferimento alle metodologie tecnico-operative di ricerca e soccorso contenute nel manuale IAMSAR adottato dall’ Imo nel 1999 ed alla Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974( Convenzione SOLAS) che obbliga il “comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione…” [Capitolo V, Regola 33(1). Spetta poi ai governi ed alle relative autorità marittime e militari, in particolare ai Centri di Coordinamento del soccorso il completamento degli obblighi posti a carico dei comandanti delle navi in mare, assicurando nelle rispettive aree di responsabilità S.A.R.un’efficiente organizzazione dei servizi di ricerca e salvataggio (Marittime Rescue Coordination Centre o M.R.C.C.), in grado di gestire le comunicazioni di emergenza e di coordinare le operazioni in modo tale da garantire il salvataggio delle persone ed il loro sbarco in un luogo sicuro.
Appare evidente come, nel rispetto della più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione sul caso Rackete, si faccia espresso riferimento, nelle operazioni di soccorso di massa “correlate al fenomeno migratorio via mare”, alle previsioni specifiche di cui all’articolo 10 ter del decreto legislativo 286/98 (Testo unico sull’immigrazione) che stabilisce le modalità di conclusione di tutte le operazioni di salvataggio con lo sbarco dei naufraghi a terra, da avviare poi verso il sistema dei cosiddetti centri hotspot. Sembra dunque da escludere, già in virtù di questo richiamo, che i naufraghi possano essere trattenuti a bordo delle navi soccorritrici per un tempo ulteriore rispetto all’ingresso nelle acque territoriali, e poi in porto, prima del loro sbarco a terra.
3. Sembra assai importante, tra le definizioni adottate del Piano nazionale SAR, 2020 che per soccorso si intenda non solo l’operazione destinata al recupero delle persone in pericolo, con le prime cure mediche, ma anche quanto necessario al loro trasporto in un “luogo sicuro”. Il Piano contiene una precisa definizione di “luogo sicuro di sbarco” (POS o Place of safety), che è da intendere come quel luogo in cui le operazioni di soccorso si considerano terminate. E’ altresì un luogo ove la sicurezza relativa alla vita dei sopravvissuti non è più minacciata e dove i loro bisogni umani di base come cibo, riparo e necessità sanitarie, possano essere soddisfatte. E’ inoltre un luogo da cui possono essere organizzati i trasporti verso la prossima destinazione o la destinazione finale dei sopravvissuti. Di certo una nave, sia essa una nave militare o una nave mercantile, o ancora una imbarcazione appartenente ad una ONG, non può essere qualificata per un tempo prolungato come luogo sicuro (POS-Place of safety). Il mero recupero a bordo della nave soccorritrice delle persone in pericolo o dei naufraghi non determina dunque la conclusione delle operazioni S.A.R., perché tali operazioni possono considerarsi terminate solo con lo sbarco di dette persone in un luogo sicuro(place of safety o P.O.S.). L’obbligo di individuare detto luogo sicuro, ricade sulla Centrale di coordinamento nazionale (MRCC) che ha la responsabilità del coordinamento delle operazioni stesse, eventualmente in accordo con tutte le altre Autorità governative interessate. Tale obbligo va inquadrato nelle attività dovute, circa la indicazione del porto di sbarco sicuro, che la legislazione nazionale italiana assegna al ministro dell’interno, in base al decreto sicurezza bis n.53 del 2019, non modificato in questa parte dal recente “decreto immigrazione” n.130 del 2020, convertito in legge a dicembre dello scorso anno.
4.Il Piano SAR nazionale del 2020, in linea con le Convenzioni internazionali che richiama espressamente, distingue poi diversi livelli di pericolo per ciascuna operazione di ricerca e salvataggio, affermando il principio che in caso di pericolo per la vita umana in mare, comunque siano pervenute le informazioni, in base ad una presunzione di generale credibilità, si devono disporre i primi interventi operativi ed informativi, avviando le operazioni di soccorso con tutti i mezzi nella propria disponibilità. In casi particolari si afferma l’immediata responsabilità di coordinamento del Comando centrale della Guardia costiera (IMRCC) tenuto a coordinare direttamente il soccorso se si verifica un disastro in mare di notevoli proporzioni, oppure quando l’area di responsabilità sia particolarmente ampia, oppure ancora come previsto al punto C Del paragrafo 234, quando l’intervento avvenga ai limiti esterni della zona di competenza italiana e, in particolare, si prevede lo sconfinamento in acque di competenza di altri paesi. Al punto F dello stesso paragrafo 234 si prevedono dunque azioni di soccorso a favore di unità in pericolo in area esterna alla zona di responsabilità SAR Nazionale, qualora il Comando centrale italiano (IMRCC) agisca in qualità di primo centro di coordinamento informato dell’evento, fino a quando il Centro di coordinamento (MRCC) competente o altro MRCC, in grado di poter meglio assistere le imbarcazioni in difficoltà, assuma il coordinamento delle operazioni SAR. Al paragrafo 230. 6 si stabilisce che e ricerche devono essere condotte fino a che vi siano ragionevoli speranze di trovare superstiti, e che tale decisione compete all’autorità coordinatrice. La cessazione di una fase di emergenza o situazione operativa deve essere formalizzata con apposito messaggio. Di particolare importanza, e vera novità, del nuovo Piano SAR italiano, il paragrafo 240 relativo ad azioni all’esterno dell’area di interesse del IMRCC, secondo cui il Comando centrale del corpo della Guardia costiera italiana mantiene i contatti con i MRCC stranieri chiamati ad operare per la ricerca e soccorso nelle aree di rispettiva competenza. La previsione sembrerebbe tuttavia limitata ad operare soltanto in caso di soccorso da portare ad unità italiane. Più avanti si prevede però che il comando della Guardia Costiera italiana (IMRCC) coordina le azioni a favore di mezzi e persone in pericolo in tutti i casi cui agisca in qualità di primo Centro di coordinamento dei soccorsi (MRCC) informato dell’evento, fino a quando il centro di coordinamento competente o altro MRCC possa meglio assistere e assumere il coordinamento delle operazioni Sar. La Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS) richiede agli Stati parte“…di garantire che vengano presi gli accordi necessari per le comunicazioni di pericolo e per il coordinamento nella propria area di responsabilità e per il soccorso di persone in pericolo in mare lungo le loro coste. Tali accordi dovranno comprendere l’istituzione, l’attivazione ed il mantenimento di tali strutture di ricerca e soccorso, quando esse vengano ritenute praticabili e necessarie…” (Capitolo V, Regola 7).
5. Secondo le linee guida emanate dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO),agenzia delle Nazioni unite si prevede che il primo Comando centrale di Guardia costiera (MRCC) che riceva notizia di una possibile situazione di emergenza S.A.R.ha la responsabilità di adottare le prime immediate azioni per gestire tale situazione, anche qualora l’evento risulti al di fuori della propria specifica area di responsabilità. Almeno fino a quando tale responsabilità non venga formalmente accettata da un altro MRCC, quello competente per l’area o altro in condizioni di prestare una più adeguata assistenza (Manuale IAMSAR –Ed. 2016; Risoluzione MSC 167-78 del 20/5/2004). Il Piano SAR nazionale 2020 specifica i doveri di cooperazione tra stati titolari di zone SAR confinanti, ai sensi dei paragrafi. 3.1.8 e 4.1.3 dell’Annesso alla Convenzione di Amburgo (SAR) del 1979 che richiamano i doveri di cooperazione tra stati titolari di zone SAR confinanti. Il Centro di coordinamento che ha avuto notizia dell’evento SAR valuterà richiesta di Cooperazione di altri MRCC circa disponibilità di proprie risorse SAR nell’ambito dell’intera regione di responsabilità nazionale anche a prescindere dall’esistenza di accordi bilaterali o regionali in materia. Questa previsione appare della massima importanza anche alla luce dei casi di conflitto con le autorità di Malta, che si sono verificati in questi anni, fino a questi giorni, e in particolare, dopo il caso dell’ 11 ottobre 2013 nel quale persero la vita centinaia di migranti e su cui attualmente è aperto un procedimento penale davanti al Tribunale di Roma. Non si può accettare che il Mediterraneo continui ad essere “il cimitero più grande d’Europa” come ha affermato domenica 13 giugno il Papa all’Angelus.