di Fulvio Vassallo Paleologo
1. . La ripresa del dibattito in Commissione Affari Costuzionali della Camera in sede referente sul Disegno di legge relativo alla istituzione di una Commissione indipendente per i diritti umani in Italia tende a dare attuazione alla Risoluzione ONU 32/123, adottata il 16 dicembre 1977, ed ai Principi di Parigi, che forniscono i criteri che dovrebbero caratterizzare gli organismi nazionali di garanzia, sia per quanto concerne la loro struttura che per le funzioni che gli vengono attribuite. Tali principi sono contenuti nella Risoluzione 48/134 del 20 dicembre 1993 dell’Assemblea Generale, che recepisce anche le conclusioni della Conferenza di Vienna sui diritti umani del luglio 1993. In particolare, secondo il punto 36, Parte I, della Dichiarazione e Programma d’azione della Conferenza di Vienna:
“La Conferenza mondiale sui diritti umani ribadisce il ruolo importante e costruttivo giocato dalle istituzioni nazionali per la promozione e la tutela dei diritti umani, particolarmente attraverso la loro capacità di fornire consulenza alle autorità competenti, il loro ruolo nella riparazione delle violazioni dei diritti umani, nella diffusione dell’informazione sui diritti umani e nell’educazione ai diritti umani. La Conferenza […] incoraggia la costituzione e il rafforzamento di tali istituzioni nazionali, nel rispetto dei Principi concernenti lo status di tali istituzioni nazionali e del diritto di ogni Stato di scegliere la struttura politica che meglio risponde ai suoi particolari bisogni.”
Tali istituzioni sono state successivamente individuate in ambito dell’ONU, del Consiglio d’Europa, dell’OSCE, e dell’Unione Europea nella Commissione nazionale per i diritti umani, e nel Difensore Civico Nazionale, Con particolare riferimento alle Commissioni nazionali, la Risoluzione 48/134 dell’Assemblea Generale fornisce le seguenti indicazioni:
a) Funzioni
- fornire informazioni, pareri, proposte, anche su autonoma iniziativa, alle istituzioni dello stato e a qualsiasi altra autorità in merito a proposte di leggi e altri atti, casi di violazione dei diritti umani, ecc.;
- promuovere l’armonizzazione dell’ordinamento interno con la legislazione internazionale sui diritti umani;
- stilare un rapporto annuale, di carattere generale, sui diritti umani nel proprio paese;
- collaborare alla preparazione dei rapporti da sottoporre alle competenti istanze internazionali;
- collaborare alla elaborazione dei programmi di insegnamento sui diritti umani in sede sia scolastica e universitaria sia extrascolastica;
- partecipare alle attività dei “coordinamenti” internazionali;
- gestire un ‘osservatorio’ sugli eventi relativi ai diritti umani in sede nazionale e internazionale.
b) Composizione
- formazioni di società civile (Ong, ordini professionali);
- correnti di pensiero filosofiche e religiose;
- istituzioni universitarie ed ‘ambienti esperti’;
- rappresentanti del Parlamento;
- amministrazioni nazionali, regionali, locali (a titolo consultivo).
Inoltre, la Commissione Nazionale deve essere informata ai principi di indipendenza, pluralismo, rappresentatività, non-formalismo, equità, spirito di società civile, cooperazione trans-nazionale.
Il ritardo maturato dall?talia, unico Stato dell’Unione Europea, insieme a Malta, a non avere legiferato in materia di una Commissione per la tutela dei diritti fondamentali delle persone, segue alla mancata adesione dell’Italia ad altre Convenzioni delle Nazioni Unite, come ad esempio la Convenzione di New York del 1990 sui diritti dei lavoratori migrati e delle loro famiglie, fino alla mancata adesione, nel dicembre del 2018, al Global compact for safe, orderly and regular migration promosso dalle Nazioni Unite, con la sottoscrizione di 164 Paesi. E’ importante che tra i compiti della istituenda Commissione indipendente per i diritti umani sia la completa attuazione delle Convenzioni internazionali e delle eventuali sentenze di condanna da parte delle giurisdizioni internazionali (come la Corte europea dei diritti dell’Uomo).
La preoccupazione che l’attività di un organismo nazionale indipendente per la tutela dei diritti fondamentali delle persone, di tutte le persone, cittadini e stranieri, come il richiamo a Convenzioni internazionali, potesse incidere sulle politiche migratorie riservate alla potestà statale, è risultata spesso un fattore condizionante e distorsivo che ha ritardato, e continua a ritardare, l’adempimento da parte dell’Italia ad un obbligo derivante da una Convenzione internazionale, sia pure riconducibile al cd. soft law. Eppure, tra i destinatari enunciati dai cd. Principi di Parigi non vi sono soltanto i migranti, ma anche i soggetti comunque vittime di discriminazioni basate sul sesso, sull’età, sulle condizioni fisiche o sulla religione, oltre che sulla provenienza nazionale o l’appartenenza ad una determinata “razza”. Le questioni della discriminazione, con la violazione ingiustificata del principio di parità di trattamento, riguardano tutti, non solo i cittadini stranieri o le minoranze.
L’istituzione di un organismo nazionale indipendente di contrasto delle discriminazioni su base razziale ed etnica è prevista nella legislazione e negli atti non legislativi dell’Unione Europea e costituisce un passaggio decisivo per il riconoscimento effettivo dei diritti fondamentali delle persone, previsti da diversi atti dell’Unione e in particolare dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Anche sulla base di quanto successo in altri paesi europei, dove coesistono diversi organismi di garanzia dei diritti umani non è opportuno confondere ruolo e struttura della nuova Commissione nazionale per la tutela dei diritti fondamentali con gli organismi già esistenti per contrastare le discriminazioni su base etnica e razziale, attualmente l’UNAR, anche se ne va rafforzata l’indipendenza, con lo sganciamento dal Dipartimento delle pari opportunità della Presidenza del Consiglio, e con una articolazione territoriale che garantisca un accesso più facile delle vittime di atti discriminatori ed una loro più efficace tutela sia sulla base di azioni individuali ( anche cause pilota) che con azioni collettive esperite da organizzazioni non governative.
L’istituzione di un organismo nazionale indipendente di garanzia dei diritti fondamentali, ed il rafforzamento delle Autorità di garanzia contro le discriminazioni appare ancora più ineludibile in un momento come quello attuale caratterizzato dalla diffusione su scala globale della pandemia da COVID-19, dall’aumento esponenziale delle disuguaglianze sociali, e dunque di correlati casi di discriminazione, e dalla diffusione di vasti movimenti di protesta che, in un momento così critico, si organizzano, con diverse modalità, in tutti i paesi del mondo, ed anche in Italia. Per la salvaguardia della coesione sociale, varie volte evocata anche dalla Presidenza della Repubblica, occorre che in tempi come questi sia garantito nell’ambito dello stato di diritto (rule of law) il rispetto del principio di non discriminazione. Per queste ragioni appare indifferibile la istituzione di una specifica Commissione indipendente di garanzia dei diritti fondamentali, con un raccordo ordinato con tutti gli altri organismi di garanzia nazionali e locali che in ambiti più specifici (privacy, salute, libertà personale, discriminazione razziale) già operano nel nostro paese. La presenza di diversi organismi di garanzia dei diritti umani, se ne vengono specificate le competenze e le modalità organizzative e di coordinamento, anche con simili organismi presenti in altri paesi europei, costituisce la base per il pluralismo che deve continuare a caratterizzare il nostro paese.
2. Nel 2018 alla Camera dei Deputati venivano depositate due proposte di legge attualmente in discussione presso la Commissione affari costituzionali in sede referente al fine di istituire una Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani fondamentali, una dell’on. Quartapelle Procopio (PD) (C.855) e una dell’on. Scagliusi (M5S). La Commissione ha riunito le due proposte e ha adottatoquella dell’on. Scagliusi (C.1323) come testo di base per la discussione poi iniziata il 28 novembre 2018. Il 18 aprile del 2019 un’altra proposta di legge sulla “Istituzione dell’Autorità garante per il contrasto delle discriminazioni e modifiche al decreto legislativo 9 luglio 2003, n. 215” (C.1794), che dovrebbe sostituire l’attuale UNAR, era presentata con primo firmatario l’On.le Brescia. L’esame di questa proposta in Commissione Affari Costituzionali della Camera iniziava il 31 luglio del 2019. ed è tuttora in corso.
I primi due provvedimenti all’esame del Parlamento hanno ad oggetto il ruolo, i poteri e la composizione dell’organismo nazionale di garanzia per la tutela dei diritti fondamentali. Nel corso dell’esame del testo unificato venivano presentati centinaia di emendamenti, soprattutto da parte della Lega, che in occasione della seduta dell’11 dicembre 2019, con il suo rappresentante parlamentare Iezzi, ribadiva ” peraltro la contrarietà del gruppo della Lega alle proposte di legge in questione, evidenziando come ogni ritardo nel loro esame sia da considerarsi comunque positivo”.
Nella seduta del 4 dicembre 2019 la relatrice Macina aveva preannunciato la presentazione di un nuovo testo base dopo la unificazione dei disegni di legge Quartapelle e Scagliusi. Nella seduta dell’11 dicembre 2019 la Commissione Affari Costituzionali decideva di procedere ad un ciclo di audizioni sulle proposte di legge in titolo, in vista della predisposizione di un nuovo testo base relativo alla istituenda Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani fondamentali . Secondo la presidenza della Commissione, “tali audizioni…potranno aver luogo congiuntamente a quelle inerenti alla proposta di legge C. 1794” relativa alla “Istituzione dell’Autorità garante per il contrasto delle discriminazioni e modifiche al decreto legislativo 9 luglio 2003” . Dopo il rallentamento dei lavori parlamentari per l’emergenza da COVID 19 le attività della Commissione Affari costituzionali della Camera in questa materia sono riprese in questa settimana con una serie di audizioni in vista della formulazione del un nuovo testo di proposta relativa alla “Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani fondamentali“.
In realtà i lavori, durati oltre un anno e mezzo, avevano già permesso di individuare snodi importanti del provvedimento su questa Commissione nazionale, ed era chiara anche la posizione di chi vi si opponeva, temendo forse che questo nuovo organismo potesse incidere sulle politiche migratorie più restrittive o rendere perseguibili manifestazioni del discorso discriminatorio che si volevano invece ricondurre al principio della libertà di espressione. Altro snodo fortemente conflittuale era, e rimane, quello della indipendenza dell’organismo di garanzia, che risulterebbe gravemente inficiata se dovessero farne parte componenti dell’esecutivo, come pure rappresentato in alcuni emendamenti.
La riscrittura di un testo base, senza sprecare il lavoro già fatto in più di un anno, dovrebbe restare vicina alle indicazioni provenienti dalle Risoluzioni delle Nazioni Unite. Per quanto riguarda la diversa proposta di legge che dovrebbe istituire una Autorità garante contro le discriminazione in sostituzione dell’UNAR non ci si dovrebbe discostare dalle Direttive ( a partire dalla 2000/43/CE) dell’Unione Europea, in materia di contrasto della discriminazione su diversi piani, dal genere alla razza, dall’età alle condizioni economiche e lavorative, dalla salute all’orientamento religioso, con una particolare attenzione alle cd. discriminazioni multiple. Se per malcelate esigenze di elusione di questi indirizzi, sia pure provenienti dal diritto internazionale inteso come soft law, si dovesse rinviare ad oltranza la costituzione del nuovo organismo di garanzia o se ne dovesse adottare una versione sostanzialmente priva di autonomia e di poteri, si potrebbe incorrerebbe in conseguenze negative a livello internazionale, considerando anche la posizione che l’Italia attualmente riveste in seno al Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite. Le raccomandazioni della Universal Periodic Review, ancora nel 2017 e nel 2019, sollecitano l’Italia ad istituire l’Autorità nazionale indipendente di garanzia per i diritti fondamentali.
3. Per quanto riguarda la composizione della Commissione e le modalità di indicazione dei suoi componenti appare fondamentale, per garantire la indipendenza del nuovo organismo, una consistente partecipazione della società civile, con salvaguardia della parità di genere, con componenti da selezionare su indicazione delle Commissioni diritti umani di Camera e Senato nell’ambito di una rosa più ampia di candidati selezionati per un impegno effettivo nelle attività di contrasto delle discriminazione di varia natura. Sempre al fine di preservare l’autonomia della Commissione non vi dovrebbero partecipare dipendenti di pubbliche amministrazioni o rappresentanti elettivi, ancor meno componenti dell’esecutivo, come ministri o sottosegretari. Salvo i casi più gravi di violazione di legge o regolamenti, da accertare con rigorose procedure che garantiscano i diritti di difesa, dovrebbe essere garantito il principio di inamovibilità dei Commissari, senza verifiche intermedie in corso di mandato, in modo da evitare pressioni indebite durante il loro incarico, magari a seguito a decisioni non gradite da questa o quella parte politica.
Secondo i Principi di Parigi, “In order to ensure a stable mandate for the members of the national institution, without which there can be no real independence, their appointment shall be effected by an official act which shall establish the specific duration of the mandate. This mandate may be renewable, provided that the pluralism of the institution’s membership is ensured”. Come ricorda opportunamente Ferdinando Lajolo di Cossano, “I Principi di Parigi infatti prevedono chiaramente l’indipendenza dell’Autorità dal Governo; quelli di Belgrado stabiliscono che il Parlamento dovrebbe avere la competenza esclusiva di legiferare per la creazione dell’Autorità nazionale e per le modifiche alla legge istitutiva. Con ciò entrambe i documenti escludono interventi del potere esecutivo”.
4. Sotto un profilo diverso, la Commissione per la tutela dei diritti fondamentali dovrebbe essere dotata di poteri di monitoraggio dei casi di violazione del principio di parità di trattamento nei quali si verifichi quella che si definisce come “discriminazione istituzionale”, nei casi in cui l’agente che pone in essere l’atto discriminatorio sia un pubblico ufficiale o rivesta la qualifica di dipendente pubblico o di incaricato di pubblico servizio. Modalità precise dovranno essere fissate per legge, e non per delega al governo, per quanto concerne i poteri sanzionatori e le modalità delle denunce. Così come dovrebbe essere la legge a prevedere per la Commissione la possibilità di trovare in caso di ricorso soluzioni non conflittuali su base conciliativa.
In conformità ai Principi di Parigi la Commissione dovrebbe avere inoltre il potere di esaminare le disposizioni legislative e amministrative in vigore, come pure leggi e proposte di legge, e fare le raccomandazioni che riterrà appropriate per garantire che tali disposizioni si conformino ai principi fondamentali sui diritti umani; essa dovrà, se necessario, raccomandare l’adozione di una nuova legislazione, di emendamenti a quella in vigore e di emendamenti alle misure amministrative.
In tempi come quelli attuali, nei quali domina la diffusione di notizie false anche sul piano delle fonti normative e delle prassi applicate dalle autorità amministrative, saranno sempre più importante, anche secondo quanto enunciato dai Principi di Parigi, l’informazione sui diritti umani e sugli sforzi per combattere tutte le forme di discriminazione, incrementando la consapevolezza collettiva, specialmente attraverso l’educazione e con il ricorso agli organi di stampa. Sarò anche importante un collegamento costante con gli istituti universitari impegnati in attività di ricerca e formazione sui diritti umani.
Come ricordano gli stessi principi di Parigi, la Commissione, in considerazione del ruolo fondamentale svolto dalle organizzazioni non-governative nell’espandere l’operato delle istituzioni nazionali, dovrà sviluppare relazioni con le organizzazioni non governative, impegnate nella promozione e nella protezione dei diritti umani, nello sviluppo sociale ed economico, nella lotta contro il razzismo, nella protezione di gruppi particolarmente vulnerabili (specialmente bambini, lavoratori migranti, rifugiati, persone con disabilità fisica o mentale).
La Commissione indipendente per i diritti fondamentali dovrebbe essere autorizzata a ricevere ed esaminare reclami e petizioni riguardanti situazioni individuali senza però invadere sfere di competenza già riconosciute ad altri organi di garanzia già esistenti e normati . I casi potranno essere presentati davanti ad essa da individui, loro rappresentanti, terzi, organizzazioni non-governative, associazioni sindacali e ogni altra organizzazione rappresentativa al fine di promuovere iniziative nei confronti delle autorità che si rendano responsabili delle violazioni.
Appare particolarmente necessario, sotto questo profilo, evitare duplicazioni e sovrapposizioni procedurali tra la nuova Commissione indipendente per i diritti umani e l’UNAR o, in caso di sua sostituzione, con l’Autorità garante per il contrasto delle discriminazioni e modifiche al decreto legislativo 9 luglio 2003 che si vorrebbe istituire con la proposta di legge C. 1794. Mentre la Commissione indipendente nazionale per i diritti umani va raccordata al sistema di monitoraggio individuato dalle Nazioni Unite per la tutela dei diritti fondamentali in genere, l’Autorità garante per il contrasto della discriminazione già esistente nelle forme e secondo i compiti attribuiti all’UNAR, rimane agganciata alla normativa antidisciminazione proveniente dall’Unione Europea. Normativa che può avere una valenza cogente superiore, e comunque più ampia, rispetto alle indicazioni di soft law provenienti dalle Convenzioni delle Nazioni Unite.
L’art. 14 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea prevede espressamente il divieto di discriminazione con una portata ampia che il legislatore nazionale deve rispettare. secondo l’art. 14 “e’ vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale. Nell’ambito d’applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità”. In base alle direttive 43 e 78 del 2000, a livello europeo, risultava vietata non solo la discriminazione diretta ma anche la cd. discriminazione indiretta che si verifica quando una disposizione, un criterio o una prassi apparentemente neutri possono mettere in una situazione di particolare svantaggio le persone di un determinato sesso, di una determinata nazionalità, di una particolare origine etnica, razza, o condizione lavorativa, a meno che tale disposizione, criterio o prassi siano oggettivamente giustificati da una finalità legittima e i mezzi impiegati per il conseguimento della finalità stessa siano appropriati e necessari. La trasposizione di queste direttive nel nostro ordinamento, a partire dall’adozione dei decreti legislativi 215 e 216 del 2003, non sembra possa essere essere assorbita dal provvedimento legislativo che adesso dovrebbe istituire in Italia una nuova Commissione nazionale indipendente di garanzia dei diritti fondamentali.
Il complesso delle norme sulle istituzioni anti-discriminazione contenute nelle direttive comunitarie in materia di eguaglianza etnica e razziale e di genere, come è ben documentato da Costanza Hermanin, è stato “quello di imporre a ogni stato membro dell’Unione l ’obbligo di designare istituzioni specifiche secondo alcuni criteri di base comuni a tutti gli stati membri dell’Unione. contro le discriminazioni”. Vero è che in alcuni paesi europei si è proceduto ad un accorpamento di diversi organi di garanzia già esistenti in ambiti settoriali più ristretti. ma nell’attuale esperienza italiana tale prospettiva appare densa di incognite, sul piano della tutela effettiva che si potrà garantire effettivamente alle vittime degli atti discriminatori. L’accentramento in un unico organismo di garanzia, magari articolato in più uffici, a seconda degli specifici settori di intervento, potrebbe mettere a rischio la funzionalità delle funzioni di controllo, accentrando le competenze decisionali e può produrre una burocratizzazione che ne comprometterebbe l’indipendenza.
La legge, e non successivi provvedimenti delegati al governo, dovrebbero comunque fissare il riparto di competenze del nuovo organismo nazionale indipendente di garanzia dei diritti fondamentali, evitando sovrapposizioni con Autorità di garanzia che hanno competenze specifiche che vanno salvaguardate, per l’autonomia ed i risultati che hanno già conseguito, e la materia specifica di cui si occupano, di forte rilievo costituzionale (come nel caso dell’Autorità garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale). Va soprattutto impedito il tentativo di abbattere il sistema dei controlli sull’effettivo riconoscimento dei diritti umani, previsti anche dalla nostra Carta Costituzionale. Abbattimento che si potrebbe verificare sia con una sovrapposizione di competenze tra diversi organismi, che con l’assorbimento di diversi organi di garanzia all’interno di una unica Commissione nazionale. Nella stesura dei nuovi disegni di legge, e poi nella costituzione e nel funzionamento dei nuovi organismi di garanzia, andrebbero in definitiva salvaguardati il principio di gerarchia delle fonti normative, la riserva di legge ove prevista, e la valenza delle Convenzioni internazionali e degli atti dell’Unione Europea all’interno del nostro ordinamento, anche per effetto del dettato costituzionale ( art. 10, 11 e 117).
5. Se comunque si pensa di potere ridurre l’efficacia del diritto anti-discriminatorio rallentando o bloccando del tutto l’iter di approvazione dei progetti di legge riguardanti a livello nazionale l’istituzione di una nuova Commissione indipendente per i diritti umani si commette un grave errore di valutazione perché si sottovaluta le conseguenze che tale ritardo potrebbe avere nelle relazioni dell’Italia con le agenzie indipendenti che, a livello internazionale e dell’Unione Europea, sono preposte alla tutela dei diritti fondamentali delle persone. Ma anche per una serie di ragioni di immediata ricaduta pratica sotto il profilo della tutela giurisdizionale degli stessi diritti fondamentali.
Il divieto di discriminazione è sancito dall’articolo 14 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo (CEDU), che garantisce la parità di trattamento nel godimento dei diritti riconosciuti nella Convenzione. Il protocollo n. 12 (2000) alla CEDU, amplia la portata del divieto di discriminazione garantendo la parità di trattamento nel godimento di ogni diritto (compresi i diritti previsti dalla legislazione nazionale). Con l’adesione dell’Unione Europea ai principi sanciti dalla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo si è saldato un sistema “a cerchio” di tutela dei diritti fondamentali della persona che il legislatore nazionale non può ignorare. Anche per la cospicua ricaduta giurisprudenziale che questo sistema ha prodotto, sia a livello internazionale che a livello interno.
Come ricorda Costanza Hermanin, il recepimento delle direttive antidiscriminatorie dell’Unione europea (la 2000/43, la “Direttiva quadro sull’impiego” 2000/78, e le nuove sulle parità uomo-donna, 2004/113 e 2006/54), ha uniformato la tutela nell’ambito dell’impiego anche per altri motivi di discriminazione quali religione, convinzioni personali, età, sesso, handicap, tendenza sessuale.
Con il progressivo incremento dei ricorsi per violazioni dei diritti umani dovute all’applicazione di norme euro-unitarie, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha elaborato nel tempo una cospicua giurisprudenza, arrivando ad enucleare veri e propri principi generali del diritto dell’Unione Europea. Secondo la Corte di Giustizia di Lussemburgo, tali principi generali riflettono la protezione dei diritti umani garantita dalle costituzioni nazionali e dai trattati sui diritti umani, in particolare la CEDU. La Corte di Giustizia si è quindi impegnata a garantire la conformità del diritto euro-unitario a questi principi, tra i quali si colloca al centro il principio di non discriminazione.
Se continueranno a mancare i controlli preventivi, intesi come sistemi di monitoraggio e risoluzione stragiudiziale dei casi di violazione dei diritti fondamentali delle persone, anche attraverso diverse autorità di garanzia operanti in settori specifici, si potrà verificare un diffuso contenzioso che accrescerà il carico degli organi giurisdizionali. Con una serie di interventi successivi rispetto alle violazioni che si lamentano, che potrebbero risultare, alla fine, meno efficaci e più costosi, per il singolo e per l’intera collettività.
La istituzione di una Commissione nazionale indipendente per la tutela dei diritti fondamentali dotata di ampi poteri di intervento sul terreno del monitoraggio e della consulenza, oltre che dell’informazione, potrebbe invece ridurre il carico dei procedimenti civili e penali in materia di diritto anti-discriminazione, operando a monte, anche in funzione inibitoria o conciliativa. prima che si verifichino o si aggravino atti, prassi o comportamenti discriminatori ,