Il testo che segue è stato redatto, in maniera interdisciplinare, da esponenti di numerose associazioni fra cui ADIF, operanti nel campo dell’immigrazione, dell’accoglienza, della solidarietà e della comunicazione. Costitiusce una proposta organica che i promotori rivolgono alle forze politiche e alle loro candidate e candidati che si confronteranno in Italia alle prossime elezioni del Parlamento Europeo. Intendiamo con questo testo chiedere impegni chiari, concreti, specifici, rispetto a quello che dovrà essere il loro operato in caso elette/i nei prossimi cinque, temiamo duri, anni che ci aspettano. Chiediamo una presa di posizione forte e netta, priva di ambiguità, con l’intenzione di mettere al centro i contenuti che stanno a cuore non solo a noi ma ad una parte consistente di un paese che non si è rassegnato al razzismo dilagante e alla criminalizzazione della solidarietà. Il testo è già stato pubblicato sul sito di Osservatorio Solidarietà.
Buona lettura
a. La situazione attuale
Confini
Repressione
Rimpatri
Esternalizzazione (e utilizzo di fondi europei)
Clandestinizzazione
Confinamento
Criminalizzazione della solidarietà
b. Campi d’azione per l’accoglienza e la convivenza
Lavoro e conversione ecologica
Scuola
Assistenza sanitaria
Residenza
c. Reti e organizzazione di nativi e migranti
d. Comunicazione e resistenza culturale
e. Orizzonte europeo
a. LA SITUAZIONE ATTUALE
CONFINI
- La politica europea sulla migrazione, nonostante l’assenza di reali emergenze in termini numerici, ha avuto come cardine l’esternalizzazione dei controlli e del respingimento e la chiusura delle frontiere esterne: militarizzate quelle di terra – in particolare la rotta balcanica – e sigillate quelle di mare, con l’abolizione di fatto delle operazioni di ricerca e soccorso.
- Per questo l’Unione europea e i governi dei suoi Stati membri sono responsabili del destino di chi non riesce più a fuggire dai paesi dall’altra parte del Mediterraneo o viene riportato in Marocco, in Turchia e, ancor di più, in Libia, a rischio di morte o di “orrori inimmaginabili” – come un recente rapporto dell’ONU (18 dicembre 2018) chiama le torture, la riduzione in schiavitù e gli stupri documentati nei campi di prigionia libici.
- In Italia e in Europa, governi e istituzioni comunitarie si compiacciono della riduzione degli arrivi, oscurando sia il numero delle vittime che perdono la vita in mare sia il significato degli accordi economici e di partenariato con paesi che tengono i migranti in condizioni di privazione della libertà, quando non soggetti a tortura e trattamento inumano e degradante.
- Gli accordi bilaterali con paesi terzi – in particolare gli accordi di cooperazione operativa con la sedicente Guardia costiera libica, approvati a larga maggioranza dal Parlamento italiano – hanno segnato il progressivo allontanamento dal rispetto dei diritti fondamentali delle persone, sanciti dalle costituzioni nazionali e dalle convenzioni internazionali, a partire dal diritto alla vita e dal correlato obbligo di salvaguardia che incombe agli agenti statali.
- La militarizzazione che si è dispiegata anche ai confini interni d’Europa, erigendo muri, inasprendo in maniera parossistica i controlli alle frontiere, criminalizzando chi aiuta i profughi che tentano di esercitare il proprio inalienabile diritto di movimento, crea una retorica dell’invasione che attiva dispositivi di categorizzazione razzista e rivendicazione nazionalista.
REPRESSIONE
- L’inevitabile conseguenza della chiusura dell’Unione europea, della sua trasformazione in fortezza, della sua guerra contro migranti e profughi, è l’aumento dell’autoritarismo, della repressione e dell’esclusione anche al proprio interno, non solo verso i migranti ma anche di una parte crescente della sua popolazione, progressivamente impoverita e marginalizzata. Le politiche d’immigrazione vengono usate per scopi di ordine pubblico e contrazione della libertà individuale, non raggiungibili senza metodi e procedure che violano la legalità e il principio di umanità e solidarietà cui fanno capo le costituzioni e l’impianto stesso dei diritti condivisi dall’UE. A livello nazionale ed europeo, queste politiche vengono usate per affermare un potere statale al quale è sempre più difficile opporsi.
- L’irrigidimento materiale e simbolico delle frontiere dell’UE in nome della “sicurezza” (vedi campagna Frontexit) – finalizzato a tutelare privilegi politici, sociali ed economici fondati su secoli di sfruttamento coloniale e postcoloniale – sta alimentando la moltiplicazione di retoriche sovraniste, di costruzione di frontiere interne, di ripiegamenti identitari che corrodono da dentro la tenuta del sistema democratico e frammentano la cittadinanza con retoriche razziste e politiche xenofobe, volte a trasformare la frustrazione in rivalsa contro un capro espiatorio. Migranti e profughi diventano così l’oggetto di una sperimentazione della limitazione di libertà e diritti che investe progressivamente anche i cittadini europei.
- Il Regolamento Dublino – con il suo meccanismo volto a bloccare i migranti nei paesi di primo approdo così da evitare i cosiddetti movimenti secondari, ovvero gli spostamenti in altri paesi dell’Unione che potrebbero permettere l’uscita da un contesto emergenziale – costituisce un dispositivo di respingimento alle periferie dell’UE che concorre a limitare la mobilità di uomini e donne in movimento e a giustificare nei loro confronti misure repressive e di contenimento.
RIMPATRI
- La Commissione europea e le sue agenzie – prima fra tutte Frontex, recentemente denominata Agenzia europea della Guardia di frontiera e costiera – hanno attuato politiche e operazioni di rimpatrio condotte a livello di Stati membri in violazione dei principi costituzionali di quegli stessi Stati, la cui sovranità è stata violata. In osservanza delle indicazioni dell’Agenda europea sulla migrazione, implementate in Italia dai governi che si sono succeduti dal 2015 a oggi, sono stati stretti memorandum d’intesa tra corpi di Polizia, saltando il dovuto passaggio parlamentare.
- La sovranità degli Stati è stata violata, in particolare per quanto riguarda l’Italia e la Grecia, con le Decisioni adottate nel 2015 dal Consiglio dell’UE relative al cosiddetto “hotspot approach”, che ha portato alla creazione di luoghi extraterritoriali di confinamento, privi di basi legali sia nel diritto interno che in quello internazionale. A distanza di tre anni dalla sua istituzione, il campo di Moria sull’isola greca di Lesbos – dove, a vergogna d’Europa, persino i bambini tentano il suicidio – rappresenta l’esito più chiaro di questa logica concentrazionaria.
- In Italia, il decreto immigrazione e sicurezza voluto dal ministro dell’Interno Salvini[1] revoca la progressiva chiusura dei Centri di Identificazione ed Espulsione (CIE) ottenuta grazie alle battaglie dei movimenti antirazzisti e solidali e alle continue proteste e rivolte dei reclusi. Con il precedente governo, il decreto-legge Minniti Orlando aveva già iniziato ad attuare l’apertura di Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) in ogni regione d’Italia; il governo attuale ha portato il tempo massimo di detenzione amministrativa a 180 giorni, raddoppiandola, e sta concretamente procedendo sia all’apertura di nuovi centri sia alla riapertura dei vecchi CIE.
- La procedura Ritorni volontari assistiti e reintegrazione gestita dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni delle Nazioni Unite (OIM) in collaborazione con i diversi Stati membri aggiunge alle misure coercitive di rimpatri forzati ed espulsioni l’allontanamento di individui marginalizzati, vulnerabili, oggetto di diniego.
ESTERNALIZZAZIONE (E UTILIZZO DI FONDI EUROPEI)
- Alle politiche di rimpatrio fanno da contrappunto le politiche di esternalizzazione dei controlli e della “gestione dei flussi” in entrata, delegate o imposte a paesi terzi. Dal processo di Rabat agli accordi di Cotonou e al processo di Khartoum (a livello europeo), passando per gli accordi militari bilaterali (come ad esempio quello siglato tra Italia e Niger), fino ad arrivare alla formulazione del Global Migration Compact della IOM, si assiste a un progressivo trasferimento fuori dai confini dell’UE delle operazioni di controllo e “selezione”, di contenimento e gestione della mobilità umana. In una prima fase, le prassi di esternalizzazione erano affidate ad accordi bilaterali e a clausole di “controllo” inserite in dispositivi più ampi di erogazione di fondi per lo sviluppo, ma poco per volta la cooperazione in materia di “gestione della migrazione” è diventata prioritaria.
- L’accordo con la Turchia (2016), che l’UE vorrebbe replicare con altri paesi prossimi, rappresenta in questo senso un’innovazione delle politiche di esternalizzazione, con un finanziamento diretto e con la formalizzazione dei respingimenti anche verso un paese che – come la Libia – non ha ratificato la convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951.
- La creazione da parte dell’UE, nel 2015, di un “fondo fiduciario d’urgenza in favore della stabilità e della lotta contro le cause profonde della migrazione irregolare e del fenomeno delle persone sfollate in Africa” tradisce la volontà di ingerenza dell’UE e dei suoi Stati membri nelle politiche sociali ed economiche dei paesi africani, viste come strumento di gestione della mobilità umana. A questo si aggiungono le pressioni dirette o indirette esercitate da paesi europei, primi fra tutti la Germania e l’Italia, per spingere paesi che si affacciano sul mar Mediterraneo, come la Tunisia, ad accogliere sul proprio territorio luoghi di detenzione extraeuropei assimilabili ad hotspot, in modo da esternalizzare anche l’accesso alla procedura di richiesta di protezione internazionale e l’esame delle richieste d’asilo. Allo stesso modo, l’OFPRA, l’agenzia francese corrispondente alle commissioni territoriali italiane, ha già organizzato missioni di analisi e selezione dei candidati all’asilo in Niger.
CLANDESTINIZZAZIONE
- I dinieghi dei visti d’ingresso, delle domande di protezione internazionale, del rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno equivalgono – in assenza di accordi di rimpatrio praticabili con i governi dei paesi di origine – a una condanna alla clandestinità, soprattutto in quei paesi dove questa “condizione giuridica” è stata istituzionalizzata. La riduzione degli istituti di protezione e la restrizione dei requisiti per accordarla non fanno che incrementare l’irregolarità.
- La complessità amministrativa incrementa il numero di persone che si trovano a non poter regolarizzare la propria presenza sul territorio nazionale, contribuendo ad aumentare marginalità, vulnerabilità e precarietà. Su questo si fonda la percezione di insicurezza che dà adito all’implementazione di misure repressive e alla possibilità di una perenne mobilitazione delle forze razziste e xenofobe per mantenere o allargare il consenso alle proprie politiche, utilizzando i migranti come rendita elettorale.
- In Italia, il decreto immigrazione e sicurezza, impedendo ai richiedenti asilo di ottenere la residenza, ostacola di fatto l’iscrizione al centro per l’impiego e questo, insieme all’abrogazione della protezione umanitaria, che creerà nuove fasce di irregolarità, favorirà ulteriormente il lavoro nero e lo sfruttamento.
- La clandestinità costringe a una vita irregolare sovente ai margini della legalità – accattonaggio, ricoveri di fortuna, occupazioni abusive, lavoro nero, prostituzione – e può spingere nell’ambito della criminalità: spaccio, furti e rapine, manovalanza nei racket, creazione di nuove mafie, ecc. Questo processo alimenta l’insicurezza tra la popolazione nativa, rinfocolando il razzismo e la richiesta d’ordine di cui si nutrono le forze antidemocratiche. Un sistema già sperimentato, che amplifica le forme di sfruttamento nei mille rivoli del lavoro nero che spesso sconfinano nello schiavismo, in continua espansione in numerosi comparti dell’economia.
CONFINAMENTO
- Gli hotspot hanno mancato le finalità previste dal meccanismo di ricollocazione. A Moria i rifugiati stazionano per un lasso di tempo anche superiore ai due anni, in precarie condizioni igienico-sanitarie, alcuni costretti a dormire in spiaggia o per la strada, nel terrore di essere rimandati nel paese di provenienza. Il 23% delle persone presenti a Lesbos o in altri centri di altre isole greche ha subito una privazione della libertà personale motivata sulla base dell’ingresso illegale nel paese (in teoria non applicabile ai rifugiati), talvolta superiore al mese. Organizzazioni come Rights Europe hanno denunciato casi di detenzione arbitraria e gravi violazioni negli hotspot sia greci sia italiani.
- Mentre le strutture di confinamento (come gli ex CIE) rimangono operative, le strutture di accoglienza assumono progressivamente le caratteristiche di spazi detentivi, contrassegnati dalla dispersione sul territorio in luoghi isolati o e dalla limitazione diretta o indiretta della libertà di movimento.
- La gestione prefettizia dominante in Italia dal 2015 (inaugurata nel 2011 con la conduzione emergenziale affidata alla Protezione civile) ha contribuito a dissociare l’accoglienza dall’orizzonte territoriale e dalla giurisdizione delle amministrazioni municipali, ha disincentivato percorsi virtuosi di incontro e di solidarietà, ha trasformato i centri di accoglienza in corpi estranei al tessuto sociale e ha alimentato dinamiche di rigetto e diffidenza.
- Le forme di accoglienza non finalizzate all’inclusione – sul modello, in Italia, dei CARA (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) e degli hotspot – condannano gli ospiti all’inattività o al lavoro illegale, li “educano” alla passività, sono umilianti per chi le subisce, e fomentano il rancore di chi li osserva considerandoli privilegiati perché mantenuti inattivi a spese dello Stato.
- La prospettiva emergenziale e la volontà di normalizzare al ribasso le forme di accoglienza riducendole a procedure di controllo, dispersione e gestione di corpi passivi si traducono nello smantellamento dei centri SPRAR (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati) e dei tentativi elaborati da associazioni, società civile, amministrazioni locali di ripensare percorsi di inclusione in termini di solidarietà reciproche, adattate ai contesti e non generalizzate.
CRIMINALIZZAZIONE DELLA SOLIDARIETA’
- Le Ong che effettuano ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale sono state oggetto, in Italia e in Europa, di una persecuzione giuridica e mediatica e di un progressivo restringimento della propria possibilità di azione. Accuse pretestuose ne hanno infangato l’operato, determinando una drastica riduzione del sostegno economico che permette loro di mantenersi in attività. Persone che fino a due anni fa venivano descritte come “eroi”, “benefattori”, ora sono equiparate e trafficanti di esseri umani, definite con diverse gradazioni e accezioni, tutte comunque negative, facilitatori, push factor, buonisti.
- A livello europeo, la direttiva sul favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali (2002/90/CE) prevede sanzioni penali per chiunque “faciliti” l’ingresso irregolare, il transito o la residenza dei migranti. In Italia – già sotto il governo Gentiloni – sono stati utilizzati provvedimenti di allontanamento come il Daspo urbano e il foglio di via per tenere gli attivisti solidali lontani dai luoghi dell’esercizio della propria azione.
- La progressiva criminalizzazione della solidarietà nei confronti dei migranti diventa strumento di repressione e deterrenza anche nei confronti di quei cittadini che, in forma individuale o collettiva – in nome dei principi di uguaglianza e del rispetto sia del dettato costituzionale sia del diritto internazionale – si oppongono a misure repressive, discriminatorie e di limitazione o violazione dei diritti fondamentali.
b. CAMPI D’AZIONE PER L’ACCOGLIENZA E LA CONVIVENZA
LAVORO E CONVERSIONE ECOLOGICA
- Non c’è prospettiva di inclusione dei migranti se non nel lavoro regolare per almeno uno/a dei membri di ogni nucleo familiare. L’inserimento lavorativo – accompagnato da percorsi di formazione capaci di creare consapevolezza dei propri diritti (salario e orario congrui, rispetto del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro, ecc…) – può divenire un fattore in grado di garantire un rapporto continuo con i nativi, fondamentale per imparare la lingua, capirne la mentalità, conoscerne le abitudini, esserne accettati e legittimati. Il lavoro deve procurare un reddito degno
edeve dunque offrire la possibilità (oggi spesso negata tanto ai migranti quanto ai nativi) di avere una casa, rapporti con i vicini e legami sociali, così da poter progettare un futuro.
Tuttavia l’occupazione regolare, per quanto necessaria, non risulta più sufficiente. I numerosi episodi di discriminazione nei luoghi di lavoro e fra colleghi indicano la necessità che i corpi intermedi, in particolar modo le rappresentanze sindacali, implementino e favoriscano lo sviluppo di percorsi di relazioni positive, tali da non permettere la nascita di gerarchie fondate sulla provenienza nazionale.
- Il reperimento di un lavoro per i nuovi arrivati non può essere affidato unicamente al mercato: richiede un’azione positiva da parte delle istituzioni, che devono intervenire in maniera indifferenziata sia verso i migranti sia verso i nativi, per un fondamentale principio di giustizia sociale e per evitare di alimentare un sentimento di esclusione e rivalità tra disoccupati. Un’efficace politica di contrasto della povertà e della disoccupazione deve provvedere un terreno comune di integrazione, se non vuole alimentare la cosiddetta guerra tra poveri. A tal fine, sono necessari piani generali di investimento finalizzati a promuovere l’occupazione, che accantonino definitivamente le fallimentari politiche di austerità.
- Tali piani sono d’altronde pienamente giustificati dall’esigenza di accelerare in tutti i campi la lotta contro i cambiamenti climatici tramite una generale conversione ecologica del sistema produttivo. Esperienze come quella di Riace, già riprodotte in diversi comuni, dimostrano che l’inclusione dei nuovi arrivati può favorire il riscatto di un intero territorio.
- Per questo occorre approfondire la connessione tra migrazione, disastri climatici e depredazione ambientale, così da scardinare la separazione tra “migrante economico” e avente diritto all’asilo, e le concrete responsabilità geopolitiche e predatorie delle multinazionali e dei governi – europei e non solo – contro le quali promuovere adeguate mobilitazioni insieme ai movimenti ambientalisti.
- Al tempo stesso è necessario sviluppare e approfondire l’analisi di come un processo di conversione ecologica dell’apparato produttivo – irrinunciabile e urgente se si vuole salvare l’intero pianeta da un’imminente catastrofe ecologica – offra non solo concrete possibilità di impiego per un grande numero di disoccupati e di migranti, oggi considerati esclusivamente come un peso per l’economia, ma consenta anche di prospettare la strada di una rigenerazione dell’ambiente, delle economie e delle comunità dei paesi da cui proviene la maggioranza dei migranti, aprendo per chi lo desideri anche concrete prospettive di rientro. A condizione, ovviamente, di un comune impegno per riportare la pace e la convivenza in quei territori.
SCUOLA
- Altro strumento fondamentale di inclusione è la scuola, poiché i bambini e i giovani sono più refrattari alle pratiche di esclusione. Inoltre, attraverso la scuola, le iniziative di inclusione raggiungono più facilmente le famiglie, specie in quelle comunità dove le donne sono sottoposte a forti meccanismi di reclusione.
- Classi affollate, con una presenza eccessiva di bambini e ragazzi migranti, specie se appena arrivati e non in possesso della lingua del paese d’arrivo o di cognizioni di base, possono costituire un fattore di degrado dell’insegnamento e del ruolo includente della scuola. Dopo la clandestinità e l’esibizione dell’inattività forzata imposta dal confinamento, questa situazione costituisce un ulteriore fattore capace di alimentare sentimenti di rifiuto e di rancore nella popolazione. Occorrono quindi supporti adeguati da parte di un numero sufficiente di insegnanti di sostegno, di mediatori culturali e di interpreti.
Vanno inoltre segnalati e sanzionati gli episodi di costruzione di apartheid, come quelli verificatisi in Italia – da Adro a Monfalcone, da Lodi a Pisa – in cui sono state utilizzate circolari ministeriali, ordinanze ed errate interpretazioni delle leggi in vigore per escludere bambini e bambine dai servizi scolastici essenziali.
ASSISTENZA SANITARIA
- Un altro elemento problematico è rappresentato dal degrado delle condizioni psicofisiche delle persone in migrazione, in particolare quando isolate, escluse o uscite dal sistema di accoglienza. L’accesso alle cure e a forme di accompagnamento adeguate, insieme all’istruzione e al lavoro, rappresentano vettori di accoglienza e agevolano percorsi di inclusione, combattendo marginalizzazione, invisibilizzazione e forme di “devianza” legate a condizioni di vita fragili. Le nuove normative introdotte in Italia dal “decreto Salvini” su immigrazione e sicurezza e i tagli effettuati all’assistenza sanitaria per chi, essendo privo di regolare permesso di soggiorno, non può iscriversi al Servizio Sanitario Nazionale, rendono ancora più problematico l’accesso alla sanità, con danno tanto per i singoli quanto per la salute pubblica. Se è comprovato, infatti, che i profughi generalmente arrivano in Europa privi di malattie – nonostante le lesioni e i traumi che spesso hanno subito nella detenzione e nel viaggio – la marginalità favorisce l’insorgere di patologie trasmissibili legate alla povertà, di cui può risentire l’intera collettività.
RESIDENZA
- Per facilitare l’accesso al mondo del lavoro e ai servizi, alle cure e all’istruzione, sono fondamentali percorsi e rivendicazioni a sostegno dell’attribuzione dei diritti di residenza. La negazione di tale requisito, che in Italia colpirà coloro che non avranno accesso alle poche forme di protezione previste dal decreto immigrazione e sicurezza, produrrà ulteriori condizioni di esclusione, soprattutto per i soggetti più vulnerabili.
c. RETI E ORGANIZZAZIONE DI NATIVI E MIGRANTI
- Finora le organizzazioni impegnate sul terreno della solidarietà hanno per lo più operato in quattro campi tra loro separati: il salvataggio delle vite e il sostegno dei tentativi di passare le frontiere di mare e di terra; l’accoglienza, sia negli SPRAR sia nei CAS non gestiti a fini di lucro; l’inserimento lavorativo; le campagne e le mobilitazioni contro il razzismo e l’esclusione. I collegamenti, sia diretti che “strategici”, cioè politici, tra queste quattro realtà sono stati insufficienti, mentre è urgente promuoverli quanto più possibile. Spesso, inoltre, si tratta di attività “per” i migranti e non insieme ai migranti.
- Al tempo stesso, la dimensione e il valore degli sforzi dispiegati dai cittadini in tutta l’UE – con il loro farsi portatori di uno spirito di solidarietà e di una volontà di agire per il bene comune anche in circostanze estreme – meritano di essere riconosciuti come resilienza sociale contro gli abusi commessi dagli Stati. Occorre agire per creare reti e dare protezione a livello istituzionale a chi – nativo o migrante – resiste a politiche che degradano la tenuta democratica e l’ambiente umano e sociale dei rispettivi paesi e dell’Unione nel suo insieme.
- Ogni problema di ordine politico, sociale o culturale non può più essere trattato a prescindere dal tema della migrazione e dalla presenza dei migranti, che si tratti di lavoro, scuola, salute, abitazione, diritti civili e sociali, vedendo i migranti non come una categoria separata ma come una parte del tutto. É importante avere presente l’orizzonte complessivo in cui si colloca il rapporto tra migranti e profughi e cittadini nativi, e la necessaria solidarietà politica, umana e culturale che può determinare non assistenzialismo ma un orizzonte politico e progettuale comune.
- I riferimenti organizzati di una messa in rete della solidarietà sono, nell’ordine: le associazioni, i media (i singoli giornalisti più che i diversi organi), la scuola, la politica (i singoli politici, o candidati, più che le organizzazioni di appartenenza), alcune chiese e comunità di carattere religioso, una parte dell’Accademia.
d. COMUNICAZIONE E RESISTENZA CULTURALE
- Lo scenario politico e mediatico di costruzione dell’odio e dell’indifferenza – non solo nei confronti dei profughi e di chi li sostiene, ma delle stesse leggi e convenzioni che sanciscono il dovere di solidarietà e di soccorso e il diritto di asilo – indicano come necessità essenziale una sorta di resistenza culturale, che passa per le scuole, i contatti con la cittadinanza e la produzione di una continua controinformazione.
- É anche necessario analizzare e contrastare l’utilizzo di un’ideologia razzista consapevolmente tratta dalle politiche coloniali e fasciste da parte di gruppi di estrema destra che sempre più si radicano nei territori e portano i loro discorsi nelle scuole, nelle fabbriche, nei quartieri più degradati.
- Al contempo, occorre contrastare tutte quelle forme di razzismo istituzionale che consentono a forze sociali e politiche, organizzazioni e amministrazioni locali di mettere in pratica politiche di criminalizzazione e apartheid nei confronti dei migranti e di intimidazione e repressione nei confronti dei cittadini solidali, pur utilizzando un linguaggio all’apparenza meno violento.
- In alcuni stati europei, questi gruppi di estrema destra hanno trovato appigli governativi e possibilità di disseminazione. La generale avanzata di formazioni neofasciste e razziste che minacciano di formare blocchi di influenza nell’Unione costituisce un terreno di lavoro su cui cercare collaborazione e scambio con studiosi, associazioni e gruppi antifascisti europei, spesso poco interessati o poco competenti su tematiche di migrazione e accoglienza.
e. ORIZZONTE EUROPEO
- L’impegno, le lotte e le mobilitazioni per imporre un radicale cambio di rotta alle politiche migratorie non possono che avere una dimensione per lo meno europea e puntare alla costruzione di una rete di solidarietà che si estenda progressivamente a tutti i paesi di origine delle migrazioni.
- E’ d’altronde chiaro fin d’ora che nessuno dei governi attuali e verosimilmente futuri dei paesi membri dell’UE – e meno che mai la Commissione, sia nella sua composizione attuale che in quella futura – saranno disposti a invertire rotta nel campo delle politiche migratorie, a meno di essere sottoposti a una crescente pressione da parte di un movimento popolare favorevole all’accoglienza in tutte le sue forme e ancora in gran parte da costruire.
- Occorre che i movimenti, i cittadini e i loro rappresentanti eletti al Parlamento europeo siano consapevoli della centralità delle politiche di migrazione e del loro essere necessariamente incardinate alle politiche per l’ambiente, il lavoro, la giustizia sociale, la tutela dei diritti umani. Per questo, i rappresentanti eletti in Parlamento dovranno impegnarsi a condurre battaglie perché vengano istituiti canali d’accesso sicuri e legali, venga pianificata una missione europea di search and rescue in dialogo con le Ong, credibili piani di redistribuzione dei profughi, una riforma del sistema di asilo, una revisione della politica dei rimpatri, una riforma radicale del regolamento di Dublino che ripristini la libertà di movimento e lo spazio Schengen, politiche di reale cooperazione con i paesi terzi, controllo democratico delle agenzie dell’Unione, meccanismi di trasparenza, potenziamento del ruolo del mediatore europeo. La creazione di una tale via di accesso sicura e legale non dovrà essere esclusiva, non dovrà essere usata come pretesto per precludere altre forme di ingresso nel territorio europeo e di accesso alle procedure di asilo, né dovrà contribuire a promuovere politiche di esternalizzazione delle politiche dell’UE oltre i propri confini. Dovrà, invece, agire per normalizzare la mobilità delle persone nel tentativo di migliorare le loro prospettive.
- Occorre che i movimenti, i cittadini e i loro rappresentanti eletti al Parlamento europeo chiedano alle istituzioni dell’UE e al Mediatore europeo di adoperarsi per ripristinare margini di agibilità per le organizzazioni umanitarie e la società civile, così da tutelare la possibilità degli attori non istituzionali di essere presenti attivamente nel Mediterraneo, alle frontiere di terra e in tutti i luoghi di confinamento e privazione dei diritti fondamentali dove esercitano la funzione di proteggere l’osservanza dello stato di diritto e il rispetto dei diritti umani, della solidarietà e dell’eguaglianza, mantenendo come riferimento la Dichiarazione ONU sui difensori dei diritti umani del 1999.
- Chiederemo inoltre ai candidati al Parlamento europeo di impegnarsi per porre fine all’ambiguità contenuta nella Direttiva del Consiglio europeo sul favoreggiamento dell’ingresso, del transito e del soggiorno illegali (2002/90/CE), che configura come reato il favoreggiamento dell’ingresso illegale di migranti anche in assenza di profitto economico. Chi fornisce assistenza umanitaria a profughi e migranti non può essere criminalizzato e deve, anzi, essere agevolato e tutelato.
- Riteniamo necessario assumere un orizzonte non solo europeo ma globale, guardando con attenzione all’elaborazione e al processo in corso del “Global compact for migration”, vigilando perché gli Stati attuino gli impegni condivisi da parte della comunità internazionale, che considera la mobilità umana un motore dei processi di sviluppo sostenibile», come recita la Dichiarazione di New York per i Migranti e i Rifugiati, adottata il 19 settembre 2016 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
- Le divisioni sulla ratifica del Global compact for migration, emerse anche all’interno dell’Unione europea, smascherano un progetto involutivo perseguito in diversi paesi, a partire dagli Stati Uniti, per sottrarsi al riconoscimento dei diritti fondamentali della persona migrante e, più in generale, all’applicazione del diritto internazionale. Per questo riteniamo che sul documento – che pure presenta punti preoccupanti per la possibile prevalenza delle azioni di contrasto delle migrazioni rispetto al riconoscimento generale del carattere strutturale della mobilità dei migranti – sia importante perseguire una mobilitazione della società civile europea, intensificare l’informazione e chiedere ai candidati al Parlamento europeo una chiara assunzione di responsabilità.
Osservatorio Solidarietà – Carta di Milano
Associazione Diritti e Frontiere (ADIF)
Laudato Si’ – Un’alleanza per il clima, la Terra e la giustizia sociale
Casa della Carità “A. Abriani” di Milano
Rete dei Numeri Pari
Un ponte per
Il razzismo è una brutta storia
Costituzione Beni Comuni
European Network Against Racism
Fondazione Arché
Associazione Mamme a Scuola
- Decreto-legge 4 ottobre 2018, n. 113 – “Disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata”.