Evocare le vittime, non dimenticare i colpevoli

Porta di Lampedusa

Si definisce rifugiati “chiunque, nel giustificato timore di essere perseguitato…”

La giornata della Memoria e dell’Accoglienza. Suona terribilmente ipocrita sapere che  le stesse mani che oggi saranno a Lampedusa sono quelle che firmano accordi politici e militari che negano la salvezza di chi fugge, le stesse che usano il pugno di ferro nelle nostre  città,  le stesse che alimentano l’odio verso chi ha la sola colpa di  essere nata/o  dalla parte sbagliata del Mediterraneo, che  finanziano e armano dittatori e guerrafondai. E i tanti  media che alimentano la costruzione del nemico, la condanna verso i solidali, il terrore dell'”invasione” sono quelli che oggi verseranno lacrime di  cordoglio, oggi come in quel terribile 3 ottobre di 4 anni fa. Una scelta consolatoria e assolutoria a cui non ci associamo e per cui, invece di continuare a scrivere, come non abbiamo mai smesso di fare, lasciamo che lo faccia una nostra amica, Monica Scafati, incontrata ai tempi della Carta di Lampedusa, (una delle grandi elaborazioni teoriche elaborata nei modi e nei tempi giusti ma mai realizzata ), e rimasta compagna di strada. Spiega lei stessa, con parole sferzanti le ragioni del suo ricordo:«…mi era stato chiesto di scrivere una lettura dedicata per un’occasione ufficiale. Ma anche il dolore di una commemorazione ha un protocollo, e si preparano a tavolino dichiarazioni, scenografie luttuose, e l’irrompere del pianto. Il mio testo non si addice al copione, non è emotivo, è politico si dice, non fa piangere, fa incazzare. Induce ad addizioni che non è bene si facciano, e dunque è al bando. Non si può leggere. Pensare che mi ero anche tenuta buona, evitando di infierire o esagerare, ma perfino quel poco a cui ho fatto riferimento è troppo. 
Basta la luce di un fiammiferino ormai a illuminare il profilo della mostruosità.
Però è qui, tra i miei pensieri sfusi, e chi vuole s’accomodi».

La ringraziamo delle sue parole  che pubblichiamo volentieri

Monica Scafati

Il 3 Ottobre che ricordiamo e celebriamo, evocando continuamente le vittime di uno dei numerosissimi naufragi del mediterraneo, è stato un giorno che ha prodotto il cambiamento di molte cose.
La strage dei 368 uomini, donne e bambini che hanno perso la vita ha dato origine all’operazione Mare Nostrum. Ha fatto sì che si procedesse a distanza di pochissimi giorni all’approvazione di Eurosur, in ballo già dal biennio precedente ma osteggiato per resistenze sulla stima dei costi: 338 milioni di euro dal 2011 al 2020. Frontex avrà il compito di coordinare Eurosur.
L’operazione Mare Nostrum verrà attivata il 14 Ottobre, con un costo di 400.000 euro al giorno. Il finanziamento totale dell’Unione Europea per le misure di sicurezza delle frontiere è di 4,5 milioni di euro tra il 2004 e il 2020.
Il 3 Ottobre che noi ricordiamo evocando le vittime ha dato uno slancio inaspettato non tanto ad una nuova e più umana riflessione sul tema delle migrazioni, quanto piuttosto, un considerevole slancio all’economia della militarizzazione.
Il 3 Ottobre che commemoriamo evocando le vittime di una tragedia almeno prevedibile se non annunciata, sembra aver definitivamente consacrato i migranti come carburante dell’industria della sicurezza, come stipendio garantito per molti che non hanno un mestiere, come occasione di milionarie speculazioni. È ormai evidente, seppur ancora taciuta, l’esistenza di gruppi di interesse che a vario livello stanno beneficiando della crisi dei rifugiati e degli investimenti dell’Unione Europea.
E così dal 3 Ottobre 2013, si sono succeduti 4 anni durante i quali fin troppo magra è stata la riflessione sulla politica dei passaporti e della libera circolazione, che di fatto ci divide in cittadini liberi e non, la riflessione sull’insensatezza dei Trattati di Dublino, sul coinvolgimento dell’Italia e dell’Europa nelle situazioni di invivibilità e mal governo nei paesi di partenza, e troppo magra la riflessione su cosa sia l’accoglienza e come accada, in quali principi fondamentali trovi la sua ragion d’essere e la sua legittimazione giuridica.
In questi 4 anni i governi hanno ragionato in un’altra direzione: accordi con i paesi terzi per il controllo delle frontiere, raggiunti tramite lauti finanziamenti e forniture tecniche e logistiche di uomini, materiali e strategie; respingimenti collettivi in base al principio della nazionalità che, in palese violazione delle normative vigenti, parrebbe diventato bastevole a distinguere tra migranti economici e richiedenti protezione; hanno ragionato di militarizzazione dei confini di terra e delle acque mediterranee; di vincoli alle possibilità e modalità del soccorso; di esternalizzazione di svariate responsabilità.
Il tutto mentre l’industria bellica è cresciuta a ritmi vertiginosi grazie all’esportazione di armamenti che ormai supera i 15 milioni di euro di profitto annuo, guadagnando tra il 2015 e il 2016 un +85%.
Evochiamo le vittime etiopi ed eritree del naufragio del 3 Ottobre senza fare minimo accenno al fatto che le guerre e le dittature da cui si fugge si mantengono in essere anche grazie al fatto che mentre si dichiarano intenti di pace e orizzonti di fratellanza, dietro l’angolo si fa mercato della sicurezza delle persone, vendendo morte e distruzione a casa loro.
L’Italia è l’8° paese al mondo per volume di esportazioni di forniture belliche. Le nostre armi raggiungono 82 paesi nel mondo. Vendiamo armi perfino a paesi fuori dagli accordi Nato, a paesi i cui reggenti le utilizzano per imporre politiche che nelle dichiarazioni siamo soliti definire illegittime o illegali, politiche lesive di numerosi diritti umani e civili. Vendiamo armi a paesi che hanno conflitti in corso anche se viola la legge, e permettiamo, completamente dimentichi di come si configuri un conflitto di interessi, che l’organizzazione europea per la sicurezza EOS possa essere presieduta da chi con gli armamenti fa impresa.
Evochiamo le vittime di tragedie che confezioniamo quasi a tavolino, e le utilizziamo nel tentativo di dare sostanza di verità a bugie vergognose.
Si è quasi convinto un intero continente che la solidarietà è la causa della nostra crisi, che il denaro speso per i rifugiati è esattamente quello che è venuto a mancare nelle tasche dei cittadini italiani e europei, un denaro sottratto al nostro potere d’acquisto e al nostro benessere.
Non si dice che di tutti i miliardi di euro nominati, poco o nulla attiene al budget per vitto, alloggio e corsi d’italiano a chi arriva.
Non si dice che con i 400.000 euro al giorno di Mare Nostrum si sarebbero fatte viaggiare in aereo molte più persone di quelle che sono state salvate in mare.
Sui percorsi di arrivo garantito si tace, e si racconta della insostenibile incombenza economica che è il soccorso in mare, quasi come se l’esistenza di queste persone cominciasse in mare, e non vi sia una vita e un’alternativa “prima del mare”.
Si parla di bloccare le partenze e di accordi bilaterali, di standard dei paesi extra europei, di quale sia la misura della loro stabilità e della loro affidabilità, ma non si parla ad esempio di cosa è oggi la Libia e perché.
Si parla di subsahariani che partono dalla Libia ma non si parla di chi questi siano, da quanto tempo fossero in Libia, in quali condizioni, e perché.
Si parla di esternalizzazione dei confini ma non si parla del fatto che in realtà si è già tentato, e non si parla di quale sia stato l’esito del tentativo in Tunisia.
Anche in Libia sono disponibili armamenti made in Italy, così come in Zambia, Kenya, Angola, Barhein, Iraq, India, Algeria, Marocco, Egitto, Kuwait, Arabia Saudita, Qatar, Turchia, Pakistan, Malesia, Emirati, Israele.
Armi italiane contro yemeniti, palestinesi, siriani; armi italiane a casa loro.
Armi italiane anche all’Isis, non direttamente certo, ma all’Isis di cui poi vorremmo intercettare il braccio armato sui barconi.
Dunque, quando il giorno dopo l’evocazione e la commemorazione delle vittime parliamo di invasioni, di scarsità di risorse, di emergenza umanitaria, di cosa parliamo esattamente?
E se miliardi di euro sono stati comunque spesi, quanti di questi hanno prodotto solidarietà e accoglienza? E tutti i miliardi spesi per la sicurezza hanno fatto la sicurezza di chi? Non dei migranti se ancora non più di 10 giorni fa 100 persone morivano a largo delle coste libiche dopo 7 giorni di naufragio e agonia.
Si argomenta di efficacia delle politiche in atto in termini di andamento crescente o decrescente delle vittime, ma in mare ci sono vittime ogni giorno.
Noi non le evochiamo tutte.
Evochiamo le 368 del 3 Ottobre 2013, le 268 dell’11 Ottobre 2013 e per la verità già un po’ meno, forse commemoreremo le 100 vittime del 22 Settembre scorso, ma sicuramente non la moltitudine di persone morte ad una ad una, come quel ventenne tunisino morto a ferragosto per raggiungere a nuoto la riva di Lampedusa che dalla barca ormai inservibile non sembrava poi così lontana. Un ventenne morto da eroe per salvare la vita alle 30 persone che erano con lui, e che in un mare pur così militarizzato, pare nessuno avesse
visto.
Evochiamo le vittime di morti multiple, come se queste persone dovessero davvero essere 368 per avere nel nostro cuore il peso di una.