Chiara Parolin è una nostra amica che ci segue da tempo. Esercita la sua professione di avvocata nel profondo Nord Est, in quel Veneto ancora ricco dove per molti anni l’integrazione economica, l’occupazione in vari comparti dell’industria e del manifatturiero, ha garantito un buon livello di inclusione sociale ma dove la crisi ha colpito duro provocando reazioni forti. Chi arriva ora, soprattutto richiedenti asilo, ripartiti nelle varie regioni in base alla disponibilità dei Comuni, passa mesi, a volte anni in attesa di un foglio che permetta di riprogrammarsi un futuro. Chiara ci racconta una delle tante storie che le passano ogni giorno davanti, unica quanto apparentemente impersonale e scontata, eppure è da queste storie che bisogna partire per comprendere come asilo, protezione, accoglienza, facciano parte di un sistema che va radicalmente rivisto. Ringraziamo l’autrice
Chiara Parolin
Sono un avvocato e difendo i diritti, di tutti, anche quelli di L.K. che ha preso una corriera alle 6 del mattino per venire da me a firmare il mandato necessario per depositare il ricorso avverso la decisione della commissione territoriale che gli ha negato la protezione internazionale.
Vado a prenderlo in stazione, ha una camicia leggera di cotone e a tracolla porta una borsetta rosa. Penso a due cose: che ha freddo e che quella borsetta è da donna.
Durante il colloquio capisco che in quella borsa custodisce con cura tutti i suoi documenti che per il momento gli consentono di stare qui in Italia, un paese che non lo vuole e che non crede alla sua storia perché di fronte alla Commissione non è stato preciso nel ricostruire la partenza dal suo paese d’origine.
Sembra siano più importanti delle date rispetto alla pistola che un soldato gli ha puntato alla testa di notte e agli otto mesi che ha trascorso in una prigione libica dove probabilmente si è preso la tbc che lo accompagnerà tutta la vita e dove è stato ripetutamente seviziato.
Lo riaccompagno in stazione e redigo per lui il ricorso, il Tribunale fissa la prima udienza ad aprile 2018. Dentro di me spero di aver fatto un buon lavoro, di aver fatto le ricerche giuste sul paese d’origine e di aver citato la giurisprudenza più recente perché il mio lavoro consiste nel difendere i diritti di L.K.
La settimana scorsa, sul giornale locale, leggo che tanti miei colleghi avvocati sono indignati per la “saga di ricorsi dei profughi che intasano gli uffici del Tribunale e del Consiglio dell’Ordine”. Dicono che sono un costo per lo Stato e che si sta creando una “sacca di sfruttamento di questa situazione” perché noi avvocati che facciamo questi ricorsi siamo sempre gli stessi.
Quando finisco di leggere questo articolo penso a Calamandrei e alla sua concezione di avvocato: “un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini e farli vivere in sé, assumere su di sé i loro dolori e sentire come sue le loro ambasce”.
Noi avvocati che ci occupiamo di diritto dell’immigrazione siamo questo, non facciamo dei richiedenti asilo un business ma lavoriamo con dedizione e impegno per difendere i diritti di tutti coloro che scappano dall’inferno in cerca solo di un po’ di pace.
Sul profilo FB di L. K. c’è una foto di lui insieme alle operatrici della struttura che lo ospita. Ha la sua borsetta rosa a tracolla e sorride ma io so che dietro a quel sorriso c’è la paura di tornare a casa.
Il suo ricorso in tribunale non è una saga, rappresenta l’opportunità per questo ragazzo di avere una vita migliore.
P.S. Questa storia, come tante altre, non si è ancora conclusa
L.K. deve aspettare 1 anno per sapere se gli verrà concessa la protezione internazionale o un permesso per motivi umanitari, l’udienza è fissata nel 2018. Fino ad una settimana fa si trovava in una struttura in montagna, gli piaceva, aveva trovato degli amici. Adesso la Prefettura, senza addurre alcuna motivazione, lo ha trasferito in una struttura in città. Era molto dispiaciuto per il cambiamento di “casa” allora gli ho mandato un messaggio con scritto se era tutto ok, se potevo fare qualcosa e lui mi ha risposto: “don’t worry Chiara”. Non vuole che mi preoccupi! Questa cosa mi ha fatto sorridere! Vorrebbe tanto lavorare, lui è un meccanico, nessuno però lo assume.