Pubblichiamo quest’articolo della nostra Alessandra Ballerini, uscito ieri su Repubblica, quando la situazione di Gabriele Del Grande era ancora avvolta nell’incertezza. Oggi, a pochissime ore dal suo ritorno riteniamo ancora più utile rilanciarlo. Alessandra non solo da legale della famiglia di Gabriele, è riuscita, in un momento di angoscia profonda a risvegliare un senso di appartenenza e di comunanza di cui abbiamo tutte e tutti sempre bisogno. Soltanto se non saremo mai lasciati da sole e da soli, soltanto fino a quando ci saranno uomini e donne in grado di rispondere prontamente ad una chiamata, avremo la speranza e la forza per salvarci, indipendentemente da come la pensiamo. Una comunanza che deve valere per coloro che conosciamo personalmente come per coloro di cui ignoriamo anche il nome ma che, in nome di un potere, di qualsiasi potere, patiscono abusi e sofferenze. Vale ancora di più una differenza da rimarcare “Restiamo umani”
Alessandra Ballerini*
Appartengo a una strana famiglia, a parte quella di sangue che è evidentemente straordinaria in sè, c’è quella letteralmente sconfinata degli affini, non solo amici, come sempre preziosi e mai in sovrannumero, ma persone di varia nazionalità, provenienza, professione ed età, con le quali si condividono, spesso a distanza, ideali, emozioni, battaglie e talvolta affetti.
Alcuni di noi si conoscono e frequentano, e, in varie forme, da cosi tanti anni da aver conquistato nuove rughe e incondizionata, reciproca fiducia. Altre sono relazioni recenti, frutto a volte della sola proprietà transitiva dell’amicizia e dei valori, che si sviluppano con lavori di gruppo, intorno a tavoli imbanditi di carte, bicchieri e computer oppure su chat, social network o mailing list
Siamo, a pensarci bene, una moltitudine.
Possiamo perderci per mesi o anni, possiamo condividere brevissimi percorsi e poi staccarci, anche solo per fisiologiche stanchezze o antipatie, divergenze momentanee o accumulo di altri impegni.
Ma nessuno mai scompare del tutto. Solo ci si allontana, apparentemente, per un certo periodo.
Fino alla prossima emergenza, al successivo grido di aiuto, al nuovo, improrogabile sostegno al fianco di persone spesso sconosciute e di ideali ben riconoscibili (quasi sempre indissolubilmente legate le prime ai secondi).
Faccio parte, come decine di molte altre e altri, di questa meticcia e sgangherata famiglia che si ricompatta e si moltiplica nelle piazze o sui social network per manifestare la propria indignazione contro la violazione dei diritti universali e di patti sociali o per tentare, faticosamente, di riaffermare con concrete quanto rivoluzionarie azioni di solidarietà (valore, o meglio dovere, cosi straordinario da essere considerato sovversivo e dunque criminale) un’uguaglianza che vorremmo regola e non eccezione.
Spesso le nostre azioni, non sempre coordinatissime ma certamente frutto di una condivisa visione dell’intangibilità e dell’indivisibilità dei diritti di tutti, si rivolgono al fianco di persone sconosciute, vittime di quelle violenze, anche istituzionali, che vorremmo sconfiggere.
A volte, come accade in questi giorni, ci tocca stare al fianco e dare voce ad uno noi.
E cosi, in queste lunghissime due settimane, ci siamo nuovamente ritrovati, ricompattati, sconvolti ma risoluti, accanto allo scrittore, documentarista e amico Gabriele Del Grande, privato della libertà personale dal 9 aprile scorso in Turchia ove si trovava per scrivere il suo nuovo libro, sostenuto da 1342 editori dal basso, grazie alla campagna crowdfunding “Un partigiano mi disse” ed ancora trattenuto, mentre scrivo, senza nessuna accusa formale, nel centro di detenzione amministrativa di Mugla, dove da martedì, ha iniziato lo sciopero della fame per protestare contro la sua ingiusta reclusione.
Siamo una famiglia allargata, sgangherata, ma risoluta. Vogliamo riportare a casa Gabriele. Lo faremmo comunque, come ha sempre fatto lui, anche se non fosse “uno di noi”. Ma lo è. E questo moltiplica la nostra angoscia ma anche la nostra determinazione.
Liberare Gabriele, ognuno con le sue forze e i suoi strumenti. Questa oggi è la nostra imperdibile battaglia, non solo perchè Gabriele è un amico, un fratello, un compagno, un padre, un documentarista, uno scrittore e un giornalista, ma perchè nessuna di queste attività può comportare la privazione della libertà personale, in nessun Paese.
Da Repubblica ed. Genova, domenica 23 aprile 2017