Dal regime turco un attacco a chi, anche in Europa si oppone al dispotismo di Erdogan

Kurdish protesters demonstrate on their way to the Kurdish spring festival Newroz with posters reading “No to dictatorship” in the city center of Frankfurt am Main, western Germany, on March 18, 2017. / AFP PHOTO / dpa / Boris Roessler / Germany OUT

Stefano Galieni

L’ultimo caso in ordine di tempo è di oggi, domenica 19 marzo. Il giornalista turco-tedesco della Die Welt, Deniz Yucel, è in carcere in Turchia. «Grazie a Dio è stato arrestato e tu ci stai chiedendo indietro un agente terrorista», ha dichiarato Il presidente Recep Tayyip Erdogan rivolgendosi alla cancelliera tedesca Angela Merkel, accusata di sostenere i terroristi e sottolineando che il giornalista sarà processato da un sistema giudiziario “indipendente”. Sale la tensione con la Germania, dopo la imponente manifestazione dei contrari al referendum costituzionale che ha visto sfilare, a Francoforte più di 30 mila persone. L’ambasciatore tedesco è stato convocato ad Ankara Sale con il resto dell’Europa, in particolare con l’Olanda, accusata come la Germania di “razzismo e nazismo” e di voler favorire uno scontro fra religioni. Le reazioni europee sembrano portate ad abbassare i toni, a partire da quella del Presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani ma intanto il governo  turco minaccia, di “stupirci” inviando 15 mila profughi al mese in Europa se i paesi non rinunciano ad interferire  nella sua politica interna.

Dall’Italia un silenzio assordante, nonostante la vicenda che ha visto protagonista un sindaco solidale, che racconta la sua assurda vicenda.  Il racconto di  Massimiliano Voza, sindaco di Santomenna, piccolo comune del salernitano, iscritto a Rifondazione Comunista, ma soprattutto cardiologo, pacifista e impegnato nella difesa dei diritti umani ha qualcosa di surreale se non fossimo consapevoli di quanto sta accadendo oggi nel mondo. Massimiliano era giunto a Istanbul per recarsi a Dyarbakir e trascorrere il Newroz con gli amici curdi ma ha incontrato un muro: «Sono stato consegnato alla polizia – racconta ancora incredulo, due giorni dopo – solo perché avevo un biglietto aereo con destinazione Kurdistan. Mi hanno sequestrato il passaporto e sequestrato i telefoni cellulari, quello personale, quello dell’ospedale in cui lavoro, con cui assicuro la reperibilità e quello del Comune e poi la mia fascia di sindaco dicendo “qui siamo in Turchia non in Europa”.  Di lì in poi c’è stata nei miei confronti una escalation di misure di restrizione dei diritti civili, prima ancora che si conoscesse il mio nome. Quando, poi, ho dichiarato che essendo un rappresentante del Popolo della Repubblica Italiana volevo avvisare l’ambasciata per riferire dell’impedimento a svolgere il mio mandato elettivo, mi è stato negato il diritto di farlo. Tant’è che ho potuto parlare con il console solo mezz’ora prima del mio rimpatrio.  A niente è servita neanche la richiesta di restituzione del cellulare del comune, che ho sottolineato essere di proprietà dello Stato italiano e della fascia tricolore che avevo chiesto di poter tenere salva con me. Si debbo ringraziare la solerzia della Farnesina e soprattutto del console italiano ma mi sembra tutto ancora assurdo. Mi hanno tenuto per 3 ore chiuso da solo in una stanza senza nemmeno poter andare in bagno e poi per una notte con 12 altre persone come me arrivate da tutto il mondo, in una stanza con la luce accesa incessantemente fino a quando non mi hanno fatto ripartire per l’Italia con un provvedimento in cui mi si mandava via per “motivi di sicurezza e di terrorismo”. Sono riuscito a mettermi in contatto con il consolato italiano solo quando mi è stato prestato un cellulare con un sotterfugio, da un cittadino kossovaro».

Era partito con queste “pericolose intenzioni”: «Sarò come osservatore internazionale nel Kurdistan turco per garantire, con la presenza degli altri componenti della delegazione europea dell’HDP, che lo svolgimento delle celebrazioni del Newroz del 21 marzo, si svolga senza attacchi indiscriminati o attentati. Si tratta del capodanno della minoranza curda (che in Siria ha sconfitto l’ISIS con le unità di difesa miste maschili e femminili) e che coincide con l’inizio della primavera, che per i curdi è anche metafora di rinascita, rinnovamento. Il sindaco della città di Eboli, città di pace e mia città di nascita, mi ha affidato il seguente messaggio per il sindaco di Diyarbakir/Amed, metropoli capoluogo del Kurdistan-Bakûr in Turchia:

Caro Sindaco,

Esprimo a Te alla Tua comunità l’auspicio che il processo di pace iniziato tra i rappresentanti del governo turco e della comunità curda vada a buon fine, e nel contempo che la comunità curda possa vedere tutelati i propri diritti.

Massimo Cariello, sindaco di Eboli»

Massimiliano Voza, sindaco e cittadino di cui dovremmo andare orgogliosi, di quella schiera di persone impegnate nella difesa dei diritti umani, da Dino Frisullo, agli avvocati Arturo Salerni e Barbara Spinelli, per citare chi si è speso in difesa della pace e della democrazia in Turchia. Aveva già portato in Rojava quasi 30mila euro di farmaci raccolti con una colletta di Legambiente come attivista della campagna Rojava Calling. Farmaci sequestrati dalle autorità turche. Si recava in Turchia proprio come osservatore internazionale, invitato dai parlamentari curdi, come uomo di pace e come medico, non pensava neanche possibile che per questo si potesse essere cacciati e trattati come criminali. Ora è a casa, più determinato che mai a portare avanti le proprie battaglie ma con il timore di non poter rientrare per molto terra in Kurdistan: «Non avevo voglia di scrivere nulla, ma dopo tutti i messaggi di stima, incoraggiamento o preoccupazione che ho ricevuto sento il dovere morale  di comunicare a chi si è preoccupato per me, e al Popolo di Santomenna che mi onoro di rappresentare, che sto bene. Ringrazio tutti coloro che si sono spesi per la mia liberazione a partire dal avv. Giarletta che, seguendo le istruzioni che avevo dato prima della partenza, ha avvisato in primis il mio comune della impossibilità temporanea a svolgere il mio mandato, e che attraverso passaggi politici ha portato all’attivazione della Farnesina che con il console italiano di Istambul hanno fatto tutto il possibile.  Mi hanno espresso la loro solidarietà e il loro appoggio il segretario del Prc – S.E. Paolo Ferrero, l’europarlamentare Eleonora Forenza, il senatore di Sinistra Italiana Giuseppe De Cristofaro, ma dal governo non ho ricevuto nulla eppure ad essere stato offeso non sono io ma lo Stato italiano, le sue istituzioni. In settimana faremo una conferenza stampa in parlamento e speriamo in qualche reazione. E oltre ai già citati debbo ringraziare tutti gli attivisti del PRC, della Rete Kurdistan, di Rojava Calling e di Napoli per Kobane che hanno tenuto alta l’attenzione sul mio caso e hanno fatto pressione per la mia liberazione. Sperò, però, che la mia vicenda faccia riflettere i nostri governanti europei e italiani sul fatto che in Turchia è in atto una grave sospensione dei diritti civili e delle libertà personali, e che l’attuale governo non merita i nostri finanziamenti essendo concausa dei problemi in Medio Oriente e non strumento della loro risoluzione.  Prima arrestavano solo i sindaci curdi, ora, dopo le ultime scaramucce con alcuni governi europei, sono arrivati a quelli italiani!».

E per quelle curiose coincidenze del destino, (ma possiamo chiamarle coincidenze?), la cacciata di Massimiliano Voza avveniva ad un anno esatto dalla firma dello squallido accordo fra UE e Turchia con cui l’Europa, in cambio di 6 mld di euro, di cui il 10% già versati, si assumeva l’onere di impedire ai profughi di entrare, trasformando il regno del sultano Erdogan in una galera a cielo aperto. Un accordo fallimentare, come raccontato da pochi organi di stampa in Italia ma denunciato da tutte le maggiori organizzazioni umanitarie indipendenti internazionali a partire da Amnesty.

Ma la responsabilità non è solo di un ente spesso astratto come l’Unione. A chi ha fatto ricorso alla Corte di Giustizia Europea sostenendo l’illegittimità dell’accordo è stato risposto che questo era irricevibile in quanto responsabili della firma sono i singoli governi dei paesi che lo hanno sottoscritto, tutti i governanti d’Europa insomma, ma non l’UE.

E la vicenda di Massimiliano e degli altri solidali si inserisce in un contesto ancora più turbolento.

Il 16 aprile prossimo in Turchia si terrà un referendum costituzionale di importanza vitale per il futuro dell’intera area. Se il presidenzialismo voluto da Erdogan dovesse prevalere il suo potere potrebbe protrarsi in maniera assoluta fino al 2029, 12 anni in cui tutto gli sarebbe consentito. Ripristinare la pena di morte per liberarsi definitivamente degli oppositori politici, avverare il suo sogno imperialista in Siria e Irak, porre fine alle speranze di pace di tutte le minoranze, in primis quella curda e alle proposte di confederalismo democratico avanzate, rendere il parlamento un guscio vuoto di obbedienti, il cui ruolo si esaurirebbe e in cui ogni voce dissonante potrebbe essere messa a tacere per legge.

Per vincere il referendum l’AKP del presidente le sta tentando tutte. Il rifiuto di alcuni paesi come la Germania e l’Olanda di far tenere comizi diretti alle comunità turche presenti nei loro stati e tenuti da ministri del governo turco, è utilizzato per fomentare un nazionalismo a forte impronta di integralismo religioso con cui compattare il paese. L’idea del “nemico esterno” che appoggia i “terroristi” è lo strumento utilizzato per raccogliere consenso a costo di portare la Turchia verso un periodo di isolamento politico ed economico.

Ma il sultano sa bene che l’arma del ricatto costituito dai 3 milioni e mezzo di profughi, utilizzati come minaccia all’occidente, il ruolo della Turchia nella NATO e nel Consiglio d’Europa, sono strumenti potenti per far dimenticare presto ogni frizione e per voltarsi dall’altra parte quando si chiederà il rispetto dei diritti umani, saranno in pochi, quelli che continueranno ad opporsi ai crimini commessi o che commetteranno Erdogan e i suoi epigoni, in Turchia come nell’area mediorientale, contro le minoranze come contro gli oppositori politici interni, gli intellettuali, i sindacalisti, i movimenti delle donne.

Nel frattempo arriva il Newroz, giorno da sempre scandito nel mondo curdo da feste che finiscono con l’essere soffocate nel sangue. Mai come quest’anno augurare un buon Newroz significa agurare la pace per tutto il popolo curdo e turco, per chi non ne può più di sangue e morte, di martiri e di distruzione.

Lo si celebra ovviamente anche nella diaspora. A Roma si accenderà come ogni anno il fuoco attorno a cui ballare, in quel centro culturale Ararat che l’amministrazione intende sgomberare per fare cassa e distruggere un modello di inclusione sociale unico nella città.