Verso l’abbattimento del diritto di asilo e dello stato di diritto.

Quelle che pubblichiamo sono alcune riflessioni e valutazioni relative alla parte del Dl “Minniti” approvato venerdì al Consiglio dei Ministri, in particolar modo rispetto alle modifiche che riguardano le procedure per l’accesso al diritto di asilo e di protezione umanitaria. A breve approfondiremo anche gli altri aspetti dell’intero Dl.

Fulvio Vassallo Paleologo

  1. Quello che ad agosto 2016 era solo un progetto di legge del ministro della giustizia Andrea Orlando per l’implementazione e l’accelerazione delle procedure amministrative e giurisdizionali in materia di protezione internazionale, adesso è, con poche modifiche, un decreto legge, comprendente anche norme per accelerare le operazioni di identificazione e per rafforzare il contrasto dell’immigrazione illegale, che dovrà essere convertito in legge dal Parlamento entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. Come è probabile si ricorrerà anche questa volta ad una votazione di fiducia, riducendo al minimo le possibilità di modifica. Lo schema di decreto legge corrisponde in parte al progetto di legge che lo scorso anno era stato presentato dal ministro della giustizia e resterà probabilmente con lo stesso contenuto dopo l’approvazione da parte delle Camere. Quando l’applicazione della giurisdizione dà fastidio, quando risulta in direzione contraria rispetto agli obiettivi perseguiti dal governo si cambiano le regole del processo, all’evidente scopo di ridurre la possibilità di fare valere i diritti di difesa, con la falsa argomentazione che si vorrebbe abbreviare in questo modo la durata dei ricorsi contro i dinieghi di status ed i relativi costi di accoglienza dei ricorrenti.

Già nelle premesse il provvedimento mostra finalità che non appaiono conformi ai requisiti che dovrebbero avere i decreti legge, trattandosi di questioni strutturali esistenti da anni, per le quali sarebbe stato più opportuno adottare per tempo un provvedimento legislativo ordinario con misure altrettanto strutturali, come ad esempio la possibilità di ingresso con visti umanitari e l’apertura di canali legali di ingresso per ricerca lavoro.

Il Governo ricorre dunque all’ennesimo decreto legge

“ritenuta la necessità e urgenza di prevedere misure per la celere definizione dei procedimenti amministrativi innanzi alle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e per l’accelerazione dei relativi procedimenti giudiziari in ragione dell’aumento esponenziale delle domande di protezione internazionale e dell’incremento del numero delle impugnazioni giurisdizionali;

Ravvisata, altresì, la necessità e urgenza di adottare misure idonee ad accelerare l’identificazione dei cittadini stranieri, per far fronte alle crescenti esigenze connesse alle crisi internazionali in atto e alla necessità di definire celermente la posizione giuridica di coloro che sono condotti nel territorio nazionale in occasione di salvataggi in mare o sono comunque rintracciati nel territorio nazionale;

Ritenuta la necessità e urgenza di potenziare la rete dei centri di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e di assicurare al Ministero dell’interno le risorse necessarie per garantire la effettività dell’esecuzione dei provvedimenti di espulsione e allontanamento dei cittadini stranieri in posizione di soggiorno irregolare;

 Tra le altre misure adottate, con gli articoli da 6 a 14 del decreto legge, viene stravolta la procedura per i ricorsi contro i dinieghi di status di protezione, con un ampliamento dei casi di trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo. Il ministro ha ignorato per mesi la portata della più recente giurisprudenza che riconosce numerosi casi di status concessi, dopo le decisioni sfavorevoli delle Commissioni territoriali. Quando gli è stato richiesto il dato sulle decisioni giurisprudenziali che annullavano i dinieghi pronunciati dalle Commissioni territoriali, non ha risposto. Perché non ha mai fornito statistiche anche su questo punto? Questa la sua risposta alla Commissione di inchiesta della Camera sui centri per stranieri, nel mese di giugno dello scorso anno [1].

“Per quanto riguarda la questione del ribaltamento delle pronunce delle commissioni, non so dare una risposta. Per farlo dovrei entrare nel merito delle valutazioni espresse dai tribunali. Credo che la giurisdizione esprima un punto di vista necessariamente diverso da quello degli organi di carattere amministrativo e mi auguro – per non girare intorno alla questione – che gli organi amministrativi si adeguino all’indirizzo prevalente della giurisdizione. Per altro, per renderla più omogenea abbiamo previsto dei focus periodici nei quali le diverse sezioni si confrontino prima dell’intervento della Cassazione, che ha la funzione di dare omogeneità alle pronunce”.

I dati delle sentenze dei giudici che ribaltavano le precedenti decisioni di diniego adottate dalle Commissioni territoriali, fornite dal Prefetto Trovato, Presidente della Commissione nazionale per il diritto di asilo, in sede di audizione di fronte alla Commissione di inchiesta della Camera sui centri per stranieri [2], davano evidentemente fastidio a  chi voleva operare una ulteriore stretta restrittiva nei confronti dei richiedenti asilo. Perché di questo si tratta e non certo di un abbreviamento dei tempi, che sarebbero davvero abbreviati non da uno stravolgimento delle regole processuali previste in caso di ricorso, ma da un accesso immediato alle procedure, con la soppressione del potere discrezionale accordato alle questure nell’adozione dei provvedimenti di respingimento “differito” e nel dilazionare gli appuntamenti per la prima formalizzazione della domanda di protezione internazionale. L’abolizione dei termini di sospensione feriale (dal primo agosto al 15 settembre) dei termini di ricorso potrà privare molti ricorrenti della fruizione effettiva dei diritti di difesa, per la maggiore difficoltà a reperire un difensore di fiducia. Altro che maggiore rapidità nel definire le procedure ed i ricorsi in materia di protezione internazionale.

  1. Nel nuovo decreto legge varato dal governo venerdì 10 febbraio, che adesso dovrà essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale, prima di entrare in vigore, risultano evidenti le violazioni dell’art.10 (diritto di asilo), dell’art. 24 (diritto di difesa) dell’art. 111 (principio del giusto processo) della Costituzione. Violazioni tanto più gravi ed evidenti se non considerano isolatamente le singole disposizioni, ma nel loro complesso, anche alla luce delle prassi applicative già sperimentate in passato, ed ancora in atto. Non era infatti contestabile che la maggior parte delle convalide effettuate all’interno dei centri di identificazione ed espulsione fossero meramente cartacee, e che gli interessati, ed i loro stessi avvocati, avevano ben poco da dichiarare per modificare un intento del giudice che all’interno di un CIE appariva generalmente propenso a convalidare le misure amministrative adottate dal questore [3].

Come dichiarava lo scorso anno il ministro Orlando, «le garanzie restano comunque salvaguardate, dal momento che la partecipazione dell’interessato all’udienza di convalida del trattenimento è assicurata attraverso un collegamento audiovisivo tra i centri di trattenimento e gli uffici giudiziari competenti. L’attenzione verso la tutela dei diritti costituzionali non può rimanere indietro rispetto alla legittima urgenza delle risposte di controllo. Diritti e sicurezza non sono i capoversi di due soluzioni politiche alternative. Sono vocaboli nati e cresciuti insieme nel patrimonio della civiltà democratica europea e soprattutto nelle fasi più convulse vanno stretti insieme. Ci tengo a precisare che il rito processuale descritto, a contraddittorio scritto e a udienza eventuale, si presenta conforme al “modello internazionale” di giusto processo e pienamente in linea con i princìpi espressi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Essi misurano le garanzie sulla natura degli interessi tutelati: l’udienza orale è ineludibile per i processi penali, mentre sono permesse restrizioni nei processi civili o amministrativi». Ma quale tutela potrà essere offerta senza la possibilità di un contatto diretto tra ricorrente ed avvocato, e senza la partecipazione dello stesso ricorrente all’udienza in ossequio al principio del contraddittorio? Si ritiene davvero che in un processo avente ad oggetto lo status di rifugiato o altra forma di protezione siano in gioco valori, anche umani, meno rilevanti di quelli che sono in gioco nel processo penale? Che valore ha, per lo stato, la vita di un richiedente asilo denegato e dei suoi familiari? I diritti fondamentali, e lo ricorda l’art.2 del T.U. n.286 del 1998, inclusi anche i diritti di difesa, non spettano a tutti, compresi gli immigrati in posizione di irregolarità?

“La partecipazione del richiedente all’udienza per la convalida avviene, ove possibile, a distanza mediante un collegamento audiovisivo, tra l’aula d’udienza e il centro di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 nel quale egli è trattenuto. Il collegamento audiovisivo si svolge in conformità alle specifiche tecniche stabilite con decreto direttoriale d’intesa tra i Ministeri della giustizia e dell’interno entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, e, in ogni caso, con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto. E’ sempre consentito al difensore, o a un suo sostituto, di essere presente nel luogo ove si trova il richiedente. Un operatore della polizia di Stato appartenente ai ruoli di cui all’articolo 39, comma 2, della legge 1°aprile 1981, n.121, è presente nel luogo ove si trova il richiedente e ne attesta l’identità dando atto che non sono posti impedimenti o limitazioni all’esercizio dei diritti e delle facoltà a lui spettanti. Egli dà atto dell’osservanza delle disposizioni di cui al quarto periodo del presente comma nonché, se ha luogo l’audizione del richiedente, delle cautele adottate per assicurarne la regolarità con riferimento al luogo ove si trova. A tal fine interpella, ove occorra, il richiedente e il suo difensore. Delle operazioni svolte è redatto verbale a cura del medesimo operatore della polizia di Stato.

Il contraddittorio sarà davvero garantito dalla presenza di un agente di polizia nella sede nella quale si effettua, in caso di trattenimento amministrativo, la videoregistrazione della convalida del trattenimento? [4]

  1. Il provvedimento appena varato dal governo Gentiloni, che adesso dovrà ricevere l’approvazione delle due camere, contiene una vera rivoluzione nel riparto delle competenze previste per l’esame dei ricorsi contro i dinieghi di status pronunciati dalle Commissioni territoriali, e per le convalide delle misure di trattenimento nei nuovi/vecchi Centri di permanenza per il rimpatrio (CPR).

Sono istituite presso i tribunali ordinari di Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Catania, Catanzaro, Firenze, Lecce, Milano, Palermo, Roma, Napoli, Torino e Venezia sezioni specializzate in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea, senza oneri aggiuntivi per il bilancio dello Stato né incrementi di dotazioni organiche.

L’istituzione di Sezioni specializzate di Tribunale in sole12 sedi in tutta Italia, che dovrebbero essere competenti a giudicare sui ricorsi contro i dinieghi e le misure di trattenimento a carico dei richiedenti asilo, potrebbe intaccare il principio costituzionale della indipendenza della magistratura, trattandosi di un giudice che dovrebbe lavorare, peraltro in composizione monocratica, con un contraddittorio soltanto eventuale, sotto il “controllo” di fatto delle autorità amministrative e all’interno di un sistema rigidamente gerarchizzato. Si rischia di creare veri e propri “recinti giudiziari” nei quali l’indipendenza del magistrato potrà essere sottoposta ad un continuo controllo.

Ai fini dell’assegnazione alle sezioni specializzate, è data preferenza ai magistrati che, per essere stati già addetti alla trattazione dei procedimenti di cui all’articolo 3 per almeno due anni ovvero per avere partecipato ai corsi di cui al periodo precedente o per altra causa, abbiano una particolare competenza in materia. È considerata positivamente, per le finalità di cui al periodo precedente, la conoscenza della lingua inglese. Nei tre anni successivi all’assegnazione alla sezione specializzata, i giudici devono partecipare almeno una volta l’anno a sessioni di formazione professionale organizzate a norma del primo periodo del presente comma. Per gli anni successivi, i medesimi giudici hanno l’obbligo di partecipare, almeno una volta ogni biennio, ad un corso di aggiornamento professionale organizzato ai sensi del presente comma. I corsi prevedono specifiche sessioni dedicate alla valutazione delle prove, ivi incluse le tecniche di svolgimento del colloquio.

Invece di modificare la composizione delle Commissioni territoriali, in modo da renderle indipendenti rispetto al ministero dell’interno, si considera il controllo giurisdizionale come una appendice del procedimento amministrativo. Si rendono più difficili i contatti tra difensore e ricorrente, si viola il principio del contraddittorio, con l’eliminazione nella maggior parte dei casi dell’audizione personale del ricorrente. Il giudice sarà meno libero di basarsi sul personale convincimento, o su altre attività istruttorie, ma avrà fornito, già confezionato da altri, il repertorio delle decisioni possibili, tenendo conto del paese di origine del ricorrente. Ancora più ridotto in questa fase il ruolo del difensore, e nulla la partecipazione fisica del ricorrente.

Scartoffie

La Commissione che ha adottato l’atto impugnato è tenuta a rendere disponibili con le modalità previste dalle specifiche tecniche di cui al comma 16, entro venti giorni dalla notificazione del ricorso, copia della domanda di protezione internazionale presentata, della videoregistrazione di cui all’articolo 14, comma 1, del verbale di trascrizione della videoregistrazione redatto a norma del medesimo articolo 14, comma 1, nonché dell’intera documentazione comunque acquisita nel corso della procedura di esame di cui al Capo III, ivi compresa l’indicazione della documentazione sulla situazione socio-politico-economica dei Paesi di provenienza dei richiedenti di cui all’articolo 8, comma 3, utilizzata.

Il procedimento è trattato in camera di consiglio. Per la decisione il giudice si avvale anche delle informazioni sulla situazione socio-politico-economica del Paese di provenienza previste dall’articolo 8, comma 3 che la Commissione nazionale aggiorna costantemente e rende disponibili all’autorità giudiziaria con modalità previste dalle specifiche tecniche di cui al comma 16. In ogni caso, e’ fissata udienza per la comparizione delle parti esclusivamente quando il giudice:

  1. a) visionata la videoregistrazione di cui al comma 8, ritiene necessario disporre l’audizione dell’interessato;
  2. b) ritiene indispensabile richiedere chiarimenti alle parti;
  3. c) dispone consulenza tecnica ovvero, anche d’ufficio, l’assunzione di mezzi di prova;

L’udienza è altresì disposta quando la videoregistrazione non è resa disponibile ovvero l’impugnazione si fonda su elementi non dedotti nel corso della procedura amministrativa di primo grado. Come se, per gli estensori di quest’ultimo decreto legge, anche il ricorso al tribunale contro la decisione di diniego adottato dalla Commissione territoriale fosse da assimilare ad una procedura amministrativa.

  1. Con il decreto legge adottato lo scorso 10 febbraio si rende sempre più difficile ottenere un effetto sospensivo delle misure di trattenimento e di allontanamento forzato disposte dal questore dopo il diniego di status pronunciato dalla Commissione territoriale. Infatti la proposizione del ricorso sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, tranne che nelle ipotesi in cui il ricorso viene proposto:
  2. a) da parte di un soggetto nei cui confronti è stato adottato un provvedimento di trattenimento in un centro di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;
  3. b) avverso il provvedimento che dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento della protezione internazionale;
  4. c) avverso il provvedimento di rigetto per manifesta infondatezza ai sensi dell’articolo 32, comma 1, lettera b-bis);
  5. d) avverso il provvedimento adottato nei confronti dei soggetti di cui all’articolo 28-bis, comma 2, lettera c);
  6. Nei casi previsti dal comma 3, lettere a), b), c) e d), l’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato può essere sospesa, quando ricorrono gravi e circostanziate ragioni e assunte, ove occorra, sommarie informazioni, con decreto motivato, pronunciato entro cinque giorni dalla presentazione dell’istanza di sospensione e senza la preventiva convocazione della controparte.

 

Si passa dal rito sommario introdotto ancora di recente dal Decreto Legislativo 150/2010, ad un procedimento in camera di consiglio a contraddittorio eventuale, senza udienza orale, con ampio uso di viedoregistrazione e prolungamento dei tempi di trattenimento amministrativo a discrezione della polizia che può emettere ad libitum provvedimenti di respingimento differito.

Per ottenere la videoregistrazione si modificano le regole delle audizioni nel corso delle procedure per il riconoscimento dello status di protezione.

Il colloquio è videoregistrato con mezzi audiovisivi e trascritto in lingua italiana con l’ausilio di sistemi automatici di riconoscimento vocale. Della trascrizione del colloquio è data lettura al richiedente in una lingua a lui comprensibile e in ogni caso tramite interprete. L’interprete, subito dopo la conclusione del colloquio, verifica la correttezza della trascrizione ed apporta le correzioni necessarie, tenuto conto delle osservazioni dell’interessato, anche relative alla sussistenza di eventuali errori di trascrizione o di traduzione, delle quali è, in ogni caso, dato atto in calce al verbale di trascrizione………………………… Il richiedente riceve copia della trascrizione in lingua italiana…..In sede di ricorso giurisdizionale avverso la decisione della Commissione territoriale, la videoregistrazione e il verbale di trascrizione sono resi disponibili all’autorità giudiziaria in conformità alle specifiche tecniche di cui al comma 8 ed è consentito al richiedente l’accesso alla videoregistrazione.

Il ricorso alla videoregistrazione, per evitare la presenza del ricorrente in udienza, priva del giudice di poteri di cognizione e di valutazione autonoma che oggi in molti casi portano al riconoscimento di uno status di protezione. Sarà possibile, nel maggior numero dei casi, che il giudice monocratico delle nuove Sezioni specializzate, sulle quali si concentrerà una mole enorme di contenzioso, decida ratificando quanto già deciso dalle Commissioni territoriali. Ma non basta.

Si abolisce il grado di appello e si riducono i casi di sospensione delle misure di allontanamento forzato in pendenza di ricorso.

Il termine per proporre ricorso per cassazione è di giorni trenta e decorre dalla comunicazione del decreto a cura della cancelleria. In caso di rigetto, la Corte di Cassazione decide sull’impugnazione entro sei mesi dal deposito del ricorso. Quando sussistono fondati motivi, il giudice che ha pronunciato il decreto impugnato può disporre la sospensione degli effetti del predetto decreto, con conseguente ripristino, in caso di sospensione di decreto di rigetto, della sospensione dell’efficacia esecutiva della decisione della Commissione.

  1. L’eliminazione dell’appello va considerata nel quadro delle altre misure previste per accelerare l’esame delle domande di protezione internazionale ed i ricorsi relativi. Di certo, per la maggiore difficoltà di proporre un ricorso in Cassazione, ottenendo un effetto sospensivo, rende più difficile, fino a svuotarlo del tutto in molti casi, l’esercizio effettivo del diritto di difesa, anche in considerazione della mancata comparizione dell’interessato nell’udienza camerale in primo grado, e nello scarso tempo messo a disposizione del difensore per la raccolta delle prove e per la proposizione dei mezzi di ricorso. Anche sotto questo aspetto sembra possibile configurare una violazione dell’art. 24 della Costituzione, in quanto i diritti di difesa sembrano più riconosciuti sul piano cartolare, che non nella concreta possibilità di un loro effettivo esercizio fino ai gradi più alti della giurisdizione.

Si abbreviano i termini per la proposizione dei ricorsi, rendendo difficile un esercizio effettivo dei diritti di difesa, se si pensa alle condizioni dei richiedenti asilo ospitati in strutture di accoglienza spesso assai lontane dai centri abitati nei quali si possono trovare i loro difensori e la scarsa collaborazione dei gestori di queste strutture. Che verrebbero investiti di poteri enormi nelle notifiche degli atti, senza alcuna garanzia che poi trasmettano effettivamente agli interessati il contenuto delle comunicazioni ricevute.  Si rende anche più difficile ed a rischio (per i difensori) l’accesso al patrocinio a spese dello stato.

Una lesione delle garanzie proprie dello stato di diritto, con riferimento ad una particolare categoria di persone che si rivolgono alla giustizia, una evidente discriminazione che le Commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato dovrebbero stoppare ma che certamente faranno passare. Come non ci si può illudere sulle capacità delle aule parlamentari di emendare un testo che nella sua formulazione appare già “bloccato” e che certamente verrà difeso anche a colpi di “fiducia”.

Rimane altresì da verificare se le proposte che adesso sono diventate oggetto del decreto legge sullo stravolgimento delle procedure previste per i ricorsi dei richiedenti asilo che abbiano ricevuto un primo diniego dalle Commissioni territoriali rispettino il principio che riconosce il diritto ad un ricorso effettivo al richiedente asilo denegato, rilevante oltre che sul piano interno per la paventata lesione dell’art. 24 della Costituzione, anche per la possibile violazione dell’art.46 della Direttiva 2013/32/33. Toccherà alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea accertare se le modifiche processuali introdotte dal governo italiano in materia di ricorsi contro i dinieghi della protezione internazionale rispettino gli standard minimi previsti dalle Direttive europee in questa materia.

  1. Il decreto legge contiene poi norme che sono finalizzate ad accelerare le procedure di identificazione degli stranieri irregolari o soccorsi in operazioni di salvataggio in mare [5]. Nelle nuove disposizioni non si rinvengono norme che autorizzano un trattenimento prolungato nelle strutture di prima accoglienza o nei cd, centri Hotspot, definiti come “punti di crisi”, al solo fine di prelevare le impronte digitali, come richiesto da tempo da alcuni sindacati delle forze di polizia [6]. Per chi si rifiuta di rilasciare le impronte digitali è previsto soltanto il trasferimento in un centro di permanenza per i rimpatri, che così diventano strutture di trattenimento per i potenziali richiedenti asilo che ben difficilmente potranno essere rimpatriati, solo perché si rifiutano di rilasciare le impronte digitali. Come peraltro avviene proprio nel caso di migranti da paesi come la Somalia, l’Eritrea, la Siria o l’Iraq nei quali e piuttosto difficile, otre che arbitrario e disumano, ipotizzare un qualsiasi rimpatrio. Una scelta legislativa che dovrà dunque essere verificata nei suoi presupposti costituzionali, alla luce degli articoli 10 e 13 della Costituzione italiana.

Il rifiuto di rilasciare le proprie impronte digitali viene a configurare il rischio di fuga che legittima il trattenimento, una misura di carattere generalizzato che non sembra coerente con il quadro normativo previsto in caso di identificazione personale [7]. Non si è colta neppure l’occasione per depenalizzare l’ormai anacronistico reato di “immigrazione clandestina” introdotto con l’art. 10 bis del T,U, n.286 del 1998.

Art.17

(Disposizioni per l’identificazione dei cittadini stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale o soccorsi nel corso di operazioni di salvataggio in mare) al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, dopo l’articolo 10-bis aggiungere il seguente:

“Art. 10-ter

(Disposizioni per l’identificazione dei cittadini stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale o soccorsi nel corso di operazioni di salvataggio in mare)

“1. Lo straniero rintracciato in occasione dell’attraversamento irregolare della frontiera interna o esterna ovvero giunto nel territorio nazionale a seguito di operazioni di salvataggio in mare è condotto per le esigenze di soccorso e di prima assistenza presso appositi punti di crisi allestiti nell’ambito delle strutture di cui al decreto-legge 30 ottobre 1995, n. 451, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 dicembre 1995, n. 563 e delle strutture di cui all’articolo 9 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142. Presso i medesimi punti di crisi sono altresì effettuate le

operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico, anche ai fini di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 ed è assicurata l’informazione sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell’Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito.

  1. Le operazioni di rilevamento fotodattiloscopico e segnaletico sono eseguite, in adempimento degli obblighi di cui agli articoli 9 e 14 del regolamento UE n. 603/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, anche nei confronti degli stranieri rintracciati in posizione di irregolarità sul territorio nazionale.
  2. Il rifiuto reiterato dello straniero di sottoporsi ai rilievi di cui ai commi 1 e 2 configura rischio di fuga ai fini del trattenimento nei centri di cui all’articolo 14. Il trattenimento è disposto caso per caso, con provvedimento del questore, e conserva la sua efficacia per una durata massima di trenta giorni dalla sua adozione, salvo che non cessino prima le esigenze per le quali è stato disposto. Si applicano le disposizioni di cui al medesimo articolo 14, commi 2, 3 e 4. Se il trattenimento è

disposto nei confronti di un richiedente protezione internazionale, come definita dall’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, è competente alla convalida il Tribunale sede della sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea.

  1. L’interessato è informato delle conseguenze del rifiuto di sottoporsi ai rilievi di cui ai commi 1 e 2.
  1. Il decreto legge adottato dal governo il 10 febbraio scorso si completa con misure volte al contrasto dell’immigrazione illegale”. Non merita neppure u commento la reiterata intenzione che si consacra addirittura in un atto legislativo, tendente alla distruzione dei barconi utilizzati dai trafficanti, come se non fosse noto a tutti che quei barconi, solitamente gommoni, affondano da soli, spesso anche prima delle azioni di soccorso, che vengono oggi più ritardate rispetto al passato, mentre semmai occorrerebbe preoccuparsi delle vite che in questo modo si perdono.

Le norme volte al contrasto dell’immigrazione illegale possono riguardare, e sicuramente riguarderanno anche potenziali richiedenti asilo costretti all’ingresso irregolare dalla mancanza di canali umanitari o di accesso protetto, e  richiedenti asilo denegati, che abbiano ricevuto un ulteriore diniego da parte del giudice o che non abbiano proposto ricorso, o ancora minori stranieri non accompagnati che abbiano compiuto la maggiore età senza riuscire a conseguire o a conservare uno status legale di soggiorno, e dunque si trovino in una posizione irregolare. Sono loro i primi e più vulnerabili destinatari delle misure di contrasto dell’immigrazione illegale che il provvedimento governativo contiene nella parte finale come un suggello ed una conferma della sua impronta sicuritaria. Sono le norme che introducono i nuovi centri di permanenza per i rimpatri, una nuova versione dei centri di detenzione che nel corso degli anni, dalla loro introduzione con la legge 40 del 1998 (la legge Turco-Napolitano), non hanno certo giovato ad una riduzione della presenza di immigrati irregolari nel nostro paese, pur comportando costi elevatissimi in termini economici e soprattutto umani.

 

Art. 19

(Disposizioni urgenti per assicurare l’effettività delle espulsioni e il potenziamento dei centri di permanenza per i rimpatri)

  1. La denominazione “centro di identificazione ed espulsione” di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, è sostituita, ovunque presente in disposizioni di legge o regolamento, dalla seguente: “centro di permanenza per i rimpatri”

2.Al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, sono apportate le seguenti modificazioni:

  1. a) all’articolo 14, comma 5, dopo il sesto periodo inserire il seguente: “Tale termine è prorogabile di ulteriori 15 giorni, previa convalida da parte del giudice di pace, nei casi di particolare complessità delle procedure di identificazione e di organizzazione del rimpatrio.”;
  2. b) all’articolo 16, dopo il comma 9, aggiungere il seguente:

“9-bis “Nei casi di cui ai commi 1 e 5, quando non è possibile effettuare il rimpatrio dello straniero per cause di forza maggiore, l’autorità giudiziaria dispone il ripristino lo stato di detenzione per il tempo strettamente necessario all’esecuzione del provvedimento di espulsione.”

3.Al fine di assicurare la più efficace esecuzione dei provvedimenti di espulsione dello straniero, il Ministro dell’interno, d’intesa con il Ministro dell’economia e delle finanze, adotta le iniziative per garantire l’ampliamento della rete dei centri di cui all’articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, in modo da assicurare la distribuzione delle strutture sull’intero territorio nazionale. La dislocazione dei centri di nuova istituzione avviene, sentito il Presidente della

Regione interessata, privilegiando i siti e le aree esterne ai centri urbani che risultino più facilmente raggiungibili e nei quali siano presenti strutture di proprietà pubblica che possano essere, anche mediante interventi di adeguamento o ristrutturazione, resi idonei allo scopo, tenendo conto della necessità di realizzare strutture di capienza limitata idonee a garantire condizioni di trattenimento che assicurino l’assoluto rispetto della dignità della persona. Nei centri di cui al presente comma il Garante dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale esercita tutti i poteri di verifica e di accesso di cui all’articolo 7, comma 5, lettera e) del decreto-legge 23 dicembre 2013, n.

146, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10.

  1. Al fine di garantire l’esecuzione delle procedure di espulsione, respingimento o allontanamento degli stranieri irregolari dal territorio dello Stato, anche in considerazione dell’eccezionale afflusso di cittadini stranieri provenienti dal Nord Africa, è autorizzata in favore del Ministero dell’interno per l’anno 2017, la spesa di euro 19.125.000,00.

Non si comprende in che modo il richiamo al Garante dei diritti delle persone detenute, che già aveva il pieno potere di controllo sui centri di detenzione per stranieri, possa migliorare il rispetto dei diritti fondamentali all’interno di queste strutture, rispetto e conformità al disposto di legge che viene messo in dubbio dalle più recenti relazioni della Commissione per i diritti umani del Senato [8]. L’ambigua formulazione del decreto adottato dal governo in materia di identificazione forzata e di prelievo delle impronte digitali non legittima in nessun caso il ricorso all’uso della forza o il trattenimento prolungato oltre le 72 ore nei cd. hotspot o nelle aree attrezzate di sbarco che sono a questi assimilati, nell’ambito del cd. Approccio Hotspot, indicato all’Italia dall’Agenda Europea sulla migrazione del 13 maggio 2015 e poi dalle decisioni del Consiglio dell’Unione Europea del settembre dello stesso anno.

Il governo Gentiloni sta giocando anche in questo modo la sua partita elettorale, approfittando della domanda di ordine e sicurezza proveniente dalla gente, senza preoccuparsi del rispetto dei principi costituzionali e delle Direttive europee. Non rimane che sperare in un intervento della Corte Costituzionale, o delle Corti internazionali, ed in una azione di resistenza diffusa a livello locale, nazionale ed internazionale, da parte delle associazioni e degli avvocati antirazzisti, se saranno capaci di qualche protagonismo in meno e di tanta solidarietà, anche con i loro assistiti, in più.

[1]http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/stenografici/html/69/audiz2/audizione/2016/06/21/indice_stenografico.0051.html

[2] Secondo il Prefetto Trovato, nel 2014, “ il 65 per cento dei denegati ha, dunque, presentato ricorso. Un altro dato che mi lascia un po’ perplesso è quello relativo ai riconoscimenti giudiziari dei ricorsi. Il riconoscimento giudiziario dei ricorsi è pari spesso a cifre intorno al 73 per cento

dei casi. Ciò significa che il magistrato nel 73 per cento dei casi dà ragione al richiedente asilo”

Fai clic per accedere a leg.17.stencomm.data20150514.U1.com69.audiz2.audizione.0004.pdf

[3] http://www.asgi.it/wp-content/uploads/2016/09/2016_DEF_Scheda-esecuzione-espulsioni.pdf

[4] https://www.giustizia.it/resources/cms/documents/Audizione_Accordo_Schengen.pdf

[5] http://dirittiefrontiere.blogspot.it/2016/01/la-verita-sul-sistema-hot-spot.html

[6] http://uglpoliziadistato.it/index.php?option=com_content&view=article&id=6329:uso-della-forza-nelle-operazioni-di-foto-segnalamento-e-nella-rileva-zione-delle-impronte-digitali-di-stranieri-e-cittadini-italiani&catid=68:comunicati-e-documenti&Itemid=133

[7] http://scuolasuperioreavvocatura.it/wp-content/uploads/2014/11/19.-Identificazione-e-fotosegnalamento.pdf

[8] http://www.asylumineurope.org/sites/default/files/resources/cie_rapporto_aggiornato_2_gennaio_2017.pdf