di Emilio Drudi
Sono circa 275 mila i profughi arrivati in Europa dall’inizio dell’anno: oltre 268 mila attraversando il Mediterraneo e più di 6.500 via terra, soprattutto in Bulgaria. In Italia ne sono sbarcati quasi 100 mila, grossomodo come nei primi otto mesi del 2015; poco più di 4.500 in Spagna e gli altri 160 mila in Grecia, dove il flusso è crollato in seguito alla “barriera” creata in Turchia dopo gli accordi di marzo con Bruxelles: sicuramente non si arriverà agli 850 mila arrivi registrati nelle isole dell’Egeo lo scorso anno. La Commissione Europea ha esaltato queste cifre come un successo. “Il mancato incremento degli sbarchi – ha dichiarato Mina Andreeva, portavoce dell’esecutivo comunitario – prova che le azioni intraprese in modo continuativo a livello europeo e con i partner internazionali stanno dando i loro frutti”.
Non c’è alcun dubbio, in effetti, che le barriere innalzate dalla Fortezza Europa funzionano. Lo dimostra in particolare la rotta del Mediterraneo Occidentale, quella che dal Marocco porta verso la Spagna. Quest’anno gli arrivi nel territorio spagnolo, incluse le enclave di Ceuta e Melilla in Marocco, non arrivano all’1,5 per cento del totale e nel 2015 sono stati ancora di meno: poco più di seimila in tutto, pari allo 0,6 per cento scarso del milione e 50 mila complessivi. Tutto “merito” del Processo di Rabat, il patto che, firmato nel 2006 dalla Ue con 27 Stati della fascia occidentale dell’Africa ed entrato ormai pienamente in funzione, blocca i migranti, con le polizie africane, alle soglie del Sahara, prima ancora che arrivino alle sponde del Mediterraneo. Il Processo di Khartoum (novembre 2014) e gli accordi di Malta (dicembre 2015), una volta a regime, mirano ad ottenere lo stesso risultato. Idem l’intesa con Ankara, la cui Guardia Costiera ha vantato proprio in questi giorni la cattura, nel solo mese di agosto, di oltre 900 profughi sorpresi a imbarcarsi o appena salpati dalle coste dell’Anatolia.
Ha ragione, dunque, Mina Andreeva: la politica dei muri rende sempre più difficile ai migranti poter bussare alle porte dell’Europa, limitando enormemente il numero degli sbarchi. Peccato che l’analisi di Bruxelles si fermi qui, senza esaminare gli altri effetti di questi respingimenti. A cominciare dal numero dei morti. Secondo il censimento del Comitato Nuovi Desaparecidos, dal gennaio 2016 a metà agosto se ne contano già 4.089, dei quali 411 “a terra” (la maggior parte in Africa ma diverse decine anche alle frontiere della Turchia) e gli altri in mare. In meno di 8 mesi, a fronte di un netto calo degli sbarchi, si è già superata la cifra totale (circa 4.050) dell’intero 2015. E negli ultimi tre anni scarsi, dall’inizio del 2014 a oggi, si sono avute ormai più di 11 mila vittime.
E’ un bilancio da bollettino di guerra, ma alla Commissione Europea, a quanto pare, ci si limita a registrare il calo degli sbarchi. E non sembrano colpire più di tanto nemmeno le sofferenze, i soprusi, le torture, le violenze, i lavori forzati, gli stupri, le uccisioni che migliaia di migranti devono subire, nei centri di detenzione ma spesso anche fuori, in paesi come il Sudan oppure la Libia, entrambi firmatari del Processo di Khartoum, nei quali li intrappola, appunto, la politica di respingimento adottata dall’Europa. Sono stati pubblicati rapporti di fuoco, in proposito, da organizzazioni come Amnesty International, Human Rights Watch e Medici senza Frontiere, basati sulla testimonianza diretta di centinaia di giovani, donne e uomini, che hanno vissuto questo inferno. Senza alcuna reazione concreta da parte di Bruxelles o di una qualsiasi delle cancellerie europee.
Non basta. All’aumento di morti e sofferenze, si aggiunge l’azione sempre più capillare dei trafficanti di uomini, ai quali i migranti vengono praticamente “consegnati” dalla “politica dei muri” e che hanno ormai messo radici profonde anche in Italia e in Europa. A parte le testimonianze dirette di alcuni profughi, lo dimostrano, per l’Italia, le “centrali” di traffico che vengono scoperte sempre più di frequente grazie alle inchieste della magistratura. Negli ultimi mesi ci sono stati numerosi arresti in tutta la penisola: a Palermo, a Catania, a Roma, a Milano. “Scafisti di terra” che, talvolta in collegamento diretto con clan criminali che operano in Africa, sono accusati di organizzare viaggi attraverso l’Italia dalla Sicilia e dalla Sardegna o verso il Nord Europa ma anche dai Balcani e dall’Ungheria, fino a vere e proprie hub di smistamento, soprattutto per la Germania. E il sospetto è che questa sia soltanto la punta dell’iceberg ma, in particolare, che in questa rete siano finiti e continuino spesso a cadere anche le migliaia di minorenni dei quali si sono perse e si continuano a perdere le tracce dopo la registrazione di arrivo in Italia.
In Grecia, l’altro principale paese di sbarco, accade lo stesso, come ha rivelato una recente inchiesta giornalistica di Costas Kantouris pubblicata dal quotidiano Ekathimerini. La polizia parla di bande di “contrabbandieri di uomini” che riescono ad attraversare il paese e a superare i confini verso i Balcani e il Nord Europa con una organizzazione sempre più capillare e sofisticata: mappe dei posti di controllo più efficaci alla frontiera e di quelli più facili da superare; motociclisti di staffetta e di scorta ai furgoni chiusi con cui vengono effettuati i “trasporti”; complicità di agenti e funzionari statali corrotti. Una conferma eloquente è venuta da una recente operazione che ha portato all’arresto di 29 trafficanti, membri di due diversi clan criminali, nel nord della Grecia. Una delle gang, in particolare, pare ricevesse informazioni da parte di un ufficiale in servizio alla frontiera con la Turchia e sarebbe riuscita a far entrare in Grecia, negli ultimi mesi, almeno 600 migranti, in massima parte siriani, aiutandoli poi a raggiungere altri Stati europei con una vera e propria flotta di taxi e furgoni e con staffette in auto o in moto dotate di cellulari di ultima generazione e istruite a parlare in codice per segnalare le situazioni trovate lungo la strada: “cani” per le pattuglie di agenti, “camion di rifiuti” per le auto della polizia, “carichi di cemento”, “pesce” o “kebabs” per i migranti trasportati. Tra gli arrestati ci sono almeno sei tassisti di nazionalità greca e, soprattutto, cinque agenti di polizia che avrebbero aiutato i trafficanti lungo il confine greco settentrionale, mentre si sospetta che ci siano complici provenienti o che operavano in Siria, Iraq, Armenia, Albania e Kazakistan.
“Non c’è da stupirsi – denuncia Enrico Calamai, portavoce del Comitato Nuovi Desaparecidos – Non ci sono muri che possano fermare l’esodo che si è messo in moto e che continua a crescere, partendo da decine di situazioni di crisi estrema a causa di guerre, terrorismo, persecuzioni, fame, carestia, disastri ambientali. L’unico effetto dei muri (politici, normativi o fisici che siano, come le muraglie di filo spinato alle frontiere) é quello di moltiplicare morte e sofferenza. E di incrementare il ‘mercato’ dei trafficanti ai quali, in mancanza di vie di immigrazione legali, i migranti sono in pratica costretti a rivolgersi. Già, la miopia della politica europea ha creato una specie di ‘monopolio’ in favore degli scafisti di mare e di terra”.
Eppure questa politica continua. Appare per certi versi un nuovo “muro” anche la recente proposta del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, di abolire la possibilità di presentare appello contro la sentenza giuridica di primo grado in caso di respingimento della richiesta di asilo. In sostanza, il rifugiato che si è visto “bocciare” la richiesta di tutela da parte della apposita commissione, attualmente può fare ricorso alla magistratura civile ordinaria in prima ed eventualmente anche in seconda istanza. Secondo il progetto di Orlando, invece, la prima sentenza giuridica diventerebbe definitiva: il Tribunale si dovrà esprimere una sola volta e in caso di verdetto negativo il migrante verrà espulso. La giustificazione è che, in questo modo, si potrà risparmiare tempo, visto che l’intera procedura (commissione e due gradi di giudizio) richiede mediamente due anni. Solo che almeno la metà del tempo, oltre un anno, lo impiega in realtà la Commissione: ciascuno dei due gradi di giudizio in Tribunale si protrae, normalmente, per un periodo che non supera i sei mesi, talvolta anche di meno. Logica vorrebbe, allora, che si accorciassero i tempi dell’esame iniziale, fino a ridurlo a poche settimane, moltiplicando il numero delle commissioni e migliorandone magari la professionalità. Si è pensato, al contrario, di abolire tout-court uno dei gradi di giudizio giuridici, negando la facoltà di fare appello. Non solo. Nel procedimento in Tribunale l’interrogatorio del richiedente asilo potrebbe essere sostituito dall’acquisizione, da parte dell’autorità giudiziaria, dei documenti e del video del colloquio sostenuto di fronte alla Commissione. Non ci sarebbe, cioè, una vera e propria udienza ma una sorta di riesame di quanto già dichiarato. Ecco perché la proposta si presenta come una ulteriore barriera: rischia di abolire garanzie consolidate e i diritti stessi dei richiedenti asilo, dando ulteriore incremento alla politica di respingimento. Non a caso il professor Fulvio Vassallo Paleologo, giurista palermitano tra i principali animatori dell’Asgi, in prima linea da sempre per la tutela dei diritti dei migranti, ha subito sollevato forti perplessità sul progetto del ministro Orlando: “C’è il pericolo – ha denunciato su Repubblica – di istituire un giudizio speciale, con un fortissimo rischio di sommarietà”.