L’invenzione degli zingari: come i rom sono divenuti prima una “razza”, poi una “etnia”
Che i rom siano definibili come un “popolo”, o come un “insieme di popoli”, è oggi un luogo comune universalmente accettato. Si tratta anzi di un’immagine condivisa – con forme e accenti ovviamente di segno opposto – sia dalle forze xenofobe (che parlano di culture “arcaiche”, estranee alla modernità, e per questo difficilmente “integrabili”) sia da molte organizzazioni di tutela dei diritti umani (che al contrario insistono sulla valorizzazione delle specificità culturali).
Ma la percezione etnica dei rom e dei sinti non è sempre esistita: è al contrario il prodotto di una lunga storia, in cui la definizione “etnoculturale” delle minoranze si intreccia con pratiche di segregazione e di razzializzazione. Così, i “vagabondi” dell’età moderna diventano gli “zingari inassimilabili” del positivismo ottocentesco, e poi i “nomadi” dell’Italia di oggi.
Partendo dal presupposto per cui «etnia, cultura, identità non sono dati di fatto ma costruzioni, segnate da rapporti di dominio e da asimmetrie di potere», Sergio Bontempelli ripercorre la storia dell’immagine pubblica di rom e sinti, dai “bandi” dei sovrani di età moderna fino alle ordinanze dei Sindaci di oggi.
L’articolo L’invenzione degli zingari. La questione rom tra antiziganismo, razzismo ed etnicizzazione è pubblicato nel numero monografico della rivista Iperstoria, dedicato a La “realtà” trasnazionale della razza. Dinamiche di razzializzazione in prospettiva comparata, e curato da Tatiana Petrovich Njegosh. Nello stesso numero si trovano contributi importanti sui temi della costruzione sociale del nemico e sui processi di razzializzazione.
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