Abbiamo aderito all’appello che segue perché non potevamo restare in silenzio rispetto a quanto sta per avvenire ancora una volta nelle sciagurate politiche di cosiddetto “contrasto all’immigrazione illegale”. Il 2 febbraio del 2017, l’allora primo ministro Gentiloni ratificò un accordo triennale con il governo libico riconosciuto dall’UE e dall’ONU, il governo Serraj, un accordo mediante il quale, in cambio della certezza di poter fermare la fuga di richiedenti asilo e rifugiati, Italia e, mettendo a disposizione ulteriori ingenti risorse economiche,l’Unione Europea, prendevano specifici impegni con il paese nordafricano. Come più volte abbiamo denunciato su questo sito, almeno dal 1992 i governi italiani che si sono succeduti attuano politiche aventi questo obiettivo. E non a caso il Memorandum (Mou) firmato da Gentiloni fa esplicito riferimento nelle sue premesse, al patto di “Amicizia” italo – libico firmato da Berlusconi nel 2008 e a tutti gli impegni presi sia quando ancora governava Gheddafi che dopo la deposizione del dittatore. Ma con questo testo si compie un ulteriore passo avanti. Ulteriori mezzi militari per costituire e provvedere alla manutenzione di una cosiddetta Guardia costiera libica per fermare i fuggitivi, centinaia di milioni di euro per realizzare e gestire centri di detenzione in Libia, fondi per implementare i controlli ai confini meridionali del paese africano, per favorire i rimpatri “volontari” dalla Libia ai paesi di provenienza, per rafforzare gli strumenti di repressione. Investimenti che hanno permesso di trasformare i trafficanti di esseri umani e di petrolio in funzionari dello Stato che continuano a gestire i loro traffici ma vestendo una divisa e disponendo di una autorità che li pone al di sopra delle parti. In questi 3 anni le condizioni in Libia sono solo peggiorate. Mentre infuria una guerra civile continua di cui poco si parla, mentre le milizie l’un contro l’altra armate si dividono il controllo del territorio in un sistema che non è esagerato definire mafioso, mentre si continua a torturare e a violentare nei centri di detenzione alla faccia del controllo degli organismi internazionali, il governo libico arriva addirittura a imporre con un proprio documento inviato in Italia i propri ordini. “Le Ong che intervengono nei pressi della zona SAR (Search And Rescue) libica, prima di operare soccorsi debbono chiedere il permesso alle autorità libiche. E per far capire che da Tripoli non si scherza, alcuni giorni fa mentre la nave dell’Ong spagnola Proactiva Open Arms si accingeva a portare soccorso a naufraghi, da una motovedetta italiana, battente bandiera libica, sono partiti in aria colpi di fucile di avvertimento. Vietato soccorrere insomma. Dei risultati del Memorandum fortemente voluto dal Ministro Minniti ne ha beneficiato il suo collega Salvini che oggi rivendica di aver ridotto gli sbarchi e di aver fatto diminuire il numero dei morti in mare. Una vergonosa e squallida menzogna. Già nel 2017 per ogni 38 persone che tentavano la traversata in mare 1 non arrivava vivo. L’anno successivo il rapporto è divenuto di 1 a 14. Questo perché grazie agli accordi italo libici, “grazie” al Codice di condotta per le Ong, il tratto di mare che va dai porti libici fino a Lampedusa e poi alla Sicilia è divenuto un deserto. Non ci sono più, neanche a vigilare gli assetti di Frontex e di Euronav For-Med, o delle altre missioni europee che avevano il compito di controllare i confini ma l’obbligo almeno di salvare le persone, non passano più le navi mercantili nel timore di doversi fermare per soccorrere, restano poche le navi delle Ong spesso a rischio o di colpi di arma da fuoco libiche o di sequestro in nome delle “Leggi sicurezza” di Salvini e Di Maio. C’è stato chi si aspettava, col cambio di governo, quantomeno una revisione dei patti. Era urgente farlo in tempo perché il Memorandum italo libico prevede, all’articolo 8 che se prima dei tre mesi dalla scadenza del suddetto non intervengono decisioni delle parti per modificare gli accordi il patto si intende rinnovato tacitamente. E il giorno è arrivato. Dal 2 novembre non si potrà intervenire e per altri 3 anni l’Italia sarà ancora colpevole di infinite sofferenze e anche di tante vite perse. Le nostre firme, l’impegno nostro come di altri che da contesti diversi hanno chiesto di bloccare in tempo il rinnovo, non hanno portato a risultati reali. Ma era importante pronunciarsi, anche se posizioni come le nostre sono oggi minoritarie in un Paese imbevuto d’odio, di caccia al capro espiatorio, del timore di perdere consenso. I segnali giunti dal governo sono dilatori e pilateschi. Si parla di “centri di detenzione in Libia gestiti dall’UE” con un investimento di 5 mld di euro. Al di là delle ragioni etiche, come si può pensare di realizzarli realmente in un paese in perenne conflitto? Saranno campi di deportazione forzata? E quando ci saranno le “condizioni politiche” per realizzare anche ogni minima revisione se nel frattempo si continua a finanziare i criminali in divisa? Msf parla giustamente di “maquillage umanitario” difficilmente realizzabile, ricordando che oggi una persona su quattro fra coloro che tentano di fuggire, viene riportata nei centri di detenzione e, aggiungiamo noi, sottoposta a nuovi ricatti e violenze. E non basta certo che la nuova ministra dell’interno riceva in delegazioni i rappresentanti delle Ong delle navi umanitarie quando nulla è cambiato nel Codice di condotta imposto da Minniti e poi nelle norme imposte dalle Leggi Salvini – Di Maio. Non si dispone neanche il sequestro delle imbarcazioni di soccorso attuato nei mesi scorsi. Per questo e per tante altre ragioni sosteniamo il testo che segue; dovevamo dire concretamente da che parte stiamo e, con i nostri pochi mezzi, lo riaffermiamo. E lo ribadiremo in piazza a Roma, il 9 novembre prossimo, in una manifestazione nazionale indetta da numerose forze e associazioni di cui ci sentiamo parte attiva e a cui invitiamo ad aderire inviando una mail a questo indirizzo.