Solidarietà alle sindache che accolgono i migranti

di Daniela Padoan

Dopo la marcia #20maggioSenzaMuri che ha riempito le strade di Milano di allegria e colori come non si vedeva da tempo – e come anzi non si era mai visto, perché c’erano tutte le comunità straniere, con striscioni e cartelli, musiche, abiti tradizionali, bambini e passeggini – tre prime cittadine del milanese, ben conosciute per il loro impegno sull’accoglienza di migranti e rifugiati, hanno ricevuto minacce di morte e di stupro.

Si tratta della sindaca di Sesto, Monica Chittò, della sindaca di Cinisello Balsamo, Siria Trezzi, e della vicesindaca di Cesano Boscone, Mara Rubichi. Tutte avevano sottoscritto, pochi giorni prima, il Protocollo per l’accoglienza diffusa che le impegna a ricevere nel proprio comune una quota di richiedenti asilo, coinvolgendo cittadinanza e società civile in percorsi di integrazione.

“Mi auguro che venga violentata dai negri, così vediamo se li vuole ancora”: questo il tenore di lettere anonime e messaggi sui social. Sconcertante il commento del segretario nazionale della Lega Lombarda Paolo Grimoldi: “Esprimo la mia solidarietà ai sindaci milanesi del Pd e del centrosinistra oggetto di pesanti insulti e minacce sui social per avere aderito al programma di accoglienza degli immigrati richiedenti asilo spacciati per finti profughi. […]  Cosa si aspettavano dai cittadini? Ringraziamenti? Complimenti? Poveri illusi”.

La parola “solidarietà” usata per scherno, come un dono malignamente ritratto, mostra quanto sia ormai sdrucito il tessuto di rispetto formale che costituisce la sintassi della cittadinanza. Un vento di odio e ignoranza soffia sulle competizioni elettorali, dove i migranti costituiscono un utile politico per campagne sempre più violente, xenofobe, razziste e naturalmente sessiste.

In questi ultimi mesi è stata varcata una soglia. Abbiamo visto riversare odio su chi salva le vite nel Mediterraneo con l’accusa di essere in combutta con i trafficanti di uomini. Cittadini democratici e padri di famiglia hanno potuto tranquillamente dire – nel formarsi di un’opinione comune ripetuta dai media – ciò che era stato finora innominabile: «Bisognerebbe lasciarli morire in mare».

Sono stati istruiti processi contro chi ha praticato la solidarietà ai confini di terra, chiesti quattro anni di carcere per chi ha offerto un passaggio in macchina a una famiglia di profughi. Sono state emesse ordinanze contro chi dava da mangiare ai migranti, sono stati comminati fogli di via a chi dava informazioni ai profughi.

“C’è stato un momento”, ha scritto Mara Rubichi su Facebook, “in cui ho pensato che dovremmo temere più i nostri concittadini che non le persone che arrivano da lontano. […] La speranza che conservo è che quando accadono fatti di questo tipo, gli organi di informazione si rendano consapevoli della responsabilità che hanno in maniera tempestiva e con un po’ di sincera convinzione”.

“Si corre il rischio”, ha commentato Monica Chittò, “che episodi come questi finiscano per essere trascurati o peggio sottovalutati. Ciò non deve accadere. Questa vergogna va raccontata, va tolta dalla sfera privata dell’intimidazione. Perché è una vergogna che riguarda tutti”.

É per questo che abbiamo dato vita alla Carta di Milano – La solidarietà non è reato, lanciata durante la manifestazione del 20 maggio: per istituire un osservatorio, un luogo che denunci, cogliendone la portata potenzialmente eversiva, tutti quei comportamenti che alimentano uno scenario d’odio nei confronti della solidarietà, di chi la pratica, edelle stesse leggi e dei principi che la istituiscono.