di Fulvio Vassallo Paleologo
1.Lo scorso mese di giugno il Tribunale amministrativo del Lazio ha deciso su due ricorsi proposti contro l’assegnazione di porti di sbarco “vessatori”, a notevole distanza dall’area nella quale venivano operati i soccorsi da parte di una organizzazione non governativa, legittimando le scelte del ministro dell’interno ed affastellando una serie di motivazioni che vanno oltre la portata del caso esaminato e gettano ombre inquietanti sul futuro dei soccorsi in mare nel Mediterraneo centrale. Il sottosegretario al ministero dell’interno Nicola Molteni ha subito parlato di una “sentenza storica”, dimenticando che la sentenza non è ancora definitiva e che fa riferimento a due casi specifici, ma non è automaticamente applicabile a tutti i soccorsi operati in acque internazionali dalle navi umanitarie delle ONG.
Rimane alto il rischio che il susseguirsi dei provvedimenti di fermo amministrativo possa portare ad un blocco definitivo delle navi del soccorso civile, di cui il governo italiano e le comopetenti autorità marittime (IMRCC di Roma) hanno dimostrato di non potere fare a meno quando arrivano chiamate di soccorso che segnalano imbarcazioni in difficoltà nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale e non ci sono altri mezzi che possono intervenire in tempo per salvare vite umane. In base al Decreto legge n.1 del 2023, convertito con modificazioni dalla L. 24 febbraio 2023, n. 15 (in G.U. 02/03/2023, n. 15).nei casi in cui è stato adottato il provvedimento di limite o divieto di ingresso in porto,“In caso di reiterazione della violazione commessa con l’utilizzo della medesima nave, si applica la sanzione amministrativa accessoria della confisca della nave e l’organo accertatore procede immediatamente a sequestro cautelare” (comma 2 quinquies aggiunto all’art. 1 del decreto-legge (Lamorgese) 21 ottobre 2020, n. 130, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 17).
Quando il comandante della nave o l’armatore non fornisce le informazioni richieste dalla competente autorita’ nazionale per la ricerca e il soccorso in mare o non si uniforma alle indicazioni della medesima autorita’, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 2.000 a euro 10.000. Alla contestazione della violazione consegue l’applicazione della sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo per venti giorni della nave utilizzata per commettere la violazione. In caso di reiterazione della violazione, la sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo e’ di due mesi e trova applicazione il comma 2-quater, secondo, quarto, quinto e sesto periodo. In caso di ulteriore reiterazione della violazione, si applica quanto previsto dal comma 2-quinquies e si può arrivare dunque al sequestro ed alla confisca della nave.
2. Con una inversione del sistema gerarchico delle fonti stabilito dalla Costituzione (art.117) e ribadito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n.6626/2020, il TAR del Lazio attribuisce valore preponderante e ruolo gerarchico sovraodinato a norme interne ed a decisioni amministrative, rispetto agli obblighi derivanti dal diritto internazionale, richiamati anche dal Regolamento UE n.656 del 2014, e dunque vincolanti per il nostro paese. Non è infatti ammissibile il divieto di soccorsi multipli introdotto, dal Decreto legge n. 1 del 2023. il Comandante della nave, per effetto dell’obbligo imposto dalla Convenzione Solas, Cap. V, Reg.33 deve prestare soccorso a chiunque sia trovato in mare in pericolo di vita ed è, altresì, tenuto a procedere- con tutta rapidità- all’assistenza di persone in pericolo in mare, di cui abbia comunque avuto informazione.
In base all’art.9.1 del Regolamento n.656/2014, “Gli Stati membri osservano l’obbligo di prestare assistenza a qualunque natante o persona in pericolo in mare e durante un’operazione marittima assicurano che le rispettive unità partecipanti si attengano a tale obbligo, conformemente al diritto internazionale e nel rispetto dei diritti fondamentali, indipendentemente dalla cittadinanza o dalla situazione giuridica dell’interessato o dalle circostanze in cui si trova”.
In base alla Sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del primo agosto 2022, che le ONG avrebbero dovuto fare valere per tempo, prima che il governo Meloni adottasse il Decreto legge n.1 del 2 gennaio 2023, “la Grande Sezione, ha ribadito l’importanza, anche nell’applicazione della direttiva 2009/16 sui controlli nei porti, gli Stati membri “sono tenuti a rispettare…la convenzione sul diritto del mare e la convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare”. Anche la Commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa aveva chiesto all’Italia di ritirare il decreto sulle ONG (D.l. n. 1/2023) o almeno di rivedere in sede di conversione, le norme che violano i diritti umani dei migranti.
Nella letera rivolta al governo italiano si censurava soprattutto la previsione del decreto legge n.1/2023 che obbliga le navi dopo l’operazione di salvataggio, a raggiungere senza ritardo il porto assegnato, ritenuta dalla Commissaria una previsione che impedisce i salvataggi multipli, e rischia nella sua applicazione pratica di inibire un’effettiva attività di ricerca e salvataggio, costringendo le navi ad ignorare ulteriori chiamate di soccorso in violazione del diritto internazionale.
Con riferimento alle crescenti restrizioni imposte alle attività di ricerca e salvataggio in mare delle ONG, il Commissario conclude osservando che “Le restrizioni alle ONG hanno gravi implicazioni per la protezione dei diritti e delle vite in mare. Piuttosto che riconoscere le ONG come partner chiave, colmando una lacuna cruciale lasciata dal loro stesso disimpegno, gli Stati membri hanno persistito in un approccio apertamente o tacitamente ostile. Ciò sta portando a ulteriori riduzioni della capacità di salvataggio in mare e a limiti al monitoraggio dei diritti umani. Inoltre, tali azioni continuano a stigmatizzare il lavoro di questi difensori dei diritti umani. Sebbene gli Stati membri abbiano il diritto di imporre requisiti amministrativi e altri requisiti necessari alle ONG per garantire la sicurezza, il Commissario osserva che si perpetua una preoccupante tendenza alla criminalizzazione di coloro che salvano vite in mare.
La Commissaria per i diritti umani reiterava quindi l’invito a sospendere ogni cooperazione con il Governo libico e a favorire in futuro attività di cooperazione con Paesi terzi nel rispetto delle Raccomandazioni del 2019 sul Mediterraneo Centrale. Un documento che avrebbe potuto portare a ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’Uomo, quando gli Stati violavano gli obblighi di soccorso e sbarco imposti dalle Convenzioni internazionali.
Secondo le Convenzioni internazionali gli Stati costieri hanno l’obbligo di organizzare e mantenere un “servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima” (articolo 92.2 UNCLOS) e l’autorità marittima che abbia notizia di una nave in pericolo ovvero di un naufragio “deve immediatamente provvedere al soccorso” o, se non può intervenire direttamente, coordinando le unità più vicine all’evento di soccorso,, deve “darne avviso ad altre autorità che possano utilmente intervenire” (articolo 69 del codice della navigazione).
Le affermazioni incidentali del TAR Lazio sulla competenza (libica) nei soccorsi in acque internazionali rientranti nella cd. “zona SAR libica” e sulla pretesa competenza primaria dello Stato di bandiera ad indicare il porto di sbarco sicuro, appaiono assai inquietanti, anche per l’uso politico che se ne sta facendo. La sentenza della Corte di Cassazione n.6626 del 2020, e tutta la giurisprudenza che nel corso degli anni ha archiviato la maggior parte dei procedimenti penali avviati contro le ONG, hanno escluso la competenza dello Stato di bandiera della nave ad indicare un porto di sbarco sicuro, ed ancora di più che vi sia un obbligo di rivolgersi alle autorità libiche in caso di soccorsi operati nella cosiddetta “zona SAR libica”. Allo stesso modo non vi sono precedenti giurisprudenziali che affermano che i comandanti delle navi che operano soccorsi nelle zone di ricerca e salvataggio riconosciute alla Libia ed a Malta abbiano l’obbligo di chiedere a questi paesi l’indicazione di un porto sicuro di sbarco. Nel caso della Libia questo viene riconosciuto anche dai tribunali, a fronte della situazione sempre più evidente di gravissime violazioni di diritti umani subiti dai migranti in quel paese, controllato da milizie spesso colluse con i trafficanti. Eppure l’Italia basa la sua politica nel Mediteraneo centrale sulla cessione di motovedette alle autorità libiche.
3. Malta non ha ancora ratificato del resto l’emendamento alla Convenzione SAR di Amburgo del 2004 che impone allo Stato titolare della zona SAR di concedere un porto di sbarco alle persone soccorse in quell’area, quale che sia la nave, militare o civile che opera i salvataggi. E’ quindi inutile che il governo italiano continui a tirare in ballo la competenza di Malta per la indicazione di un porto di sbarco sicuro, soprattutto dopo che il Tribunale di Roma ha riconosciuto la responsabilità delle principali autorità marittime italiane, nel caso Libra, per il mancato coordinamento tra queste autorità e quelle maltesi, che produsse poi ritardi fatali nei soccorsi e centinaia di vittime. Tutto scritto nero su bianco in una sentenza che pur dichiarando la perscrizione dei reati, accerta responsabilità non si può continuare a nascondere.
La Tunisia e la Libia non possono garantire porti di sbarco sicuri, malgrado gli sforzi diplomatici italiani, e dunque non possono essere designate come autorità competenti a gestire e coordinare attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali. In proposito basti il rinvio alle posizioni ed alle Linee guida formulate dalle Nazioni Unite nel 2017 e ribadite con un documento nel dicembre del 2022, per non parlare dei rapporti internazionali (Amnesty, Human Rights Watch) che segnalano in questi paesi pesanti violazioni dei diritti dei migranti ed il mancato riconoscimento effettivo del diritto di asilo, con una diffusa violazione del divieto di trattenimento arbitrario e con casi sempre più numerosi di respingimento collettivo illegale.
4. La sentenza del TAR Lazio richiama a fondamento della sua motivazione il punto 3.1.9 dell’Annesso alla Convenzione di Amburgo SAR del 1979, oggetto di un emendamento introdotto nel 2004, «la Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione marittima internazionale (Imo). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile”.
Si omette però di ricordare altre disposizioni dello stesso Annesso alla Convenzione SAR di Amburgo del 1979, che pure viene ritenuto fonte normativa vincolante dal TAR Lazio, che specificano gli obblighi a carico dello Stato tenuto ad indicare un porto di sbarco sicuro alla nave soccorritrice che ne faccia richiesta. Un obbbligo imposto dalle Convenzioni internazionali, e non una mera facoltà discrezionale, anche quando il soccorso è avvenuto in una zona di ricerca e salvataggio che sarebbe di competenza di un altro Stato costiero. La Risoluzione IMO (Organizzazione internazionale del mare) MSC.167(78) (adottata il 20 maggio 2004) impone che gli Stati responsabili debbano “… fornire un luogo sicuro o di assicurare che tale luogo venga fornito…” (paragrafo 2.5) ai naufraghi e ai sopravvissuti soccorsi.
In realtà il governo italiano con me modifiche normative introdotte dal Decreto legge n.1 del 2023 ha creato una vera e propria trappola, che non è stata avvertita per tempo dalle ONG. Infatti con l’assegnazione di porti di sbarco sempre più lontani, (e con i ritardi nell’assunzione del coordinamento dei soccorsi in acque internazionali da parte di IMRCC, quando non è stato detto di rivolgersi ad autorità libiche o maltesi) sono aumentati i casi nei quali, durante l’avvicinamento della nave umanitaria ai porti imposti dal Viminale, si verificassero altri eventi di soccorso che obbligavano i comandanti delle navi ad intervenire. A totale discrezione delle autorità marittime italiane, l’assunzione del coordinamento dei soccorsi da parte di IMRCC, in alcuni casi costretto a coordinare anche al du fuori della zona SAR di competenza italiana, o il mero rimbalzo alle autorità libiche o maltesi, ha creato, sulla base, di scelte politiche ed elettorali, i presupposti per fare applicare dai prefetti, con una ulteriore sfera di discrezionalità, le sanzioni previste dal Decreto legge anti ONG n.1 del 2 gennaio 2023, che adesso possono arrivare anche al sequestro ed alla confisca, indipendentemente dalla tutela del valore primario della vita umana in mare, a cui si attengono le Convenzioni internazionali e le scelte obbligate dei comandanti delle navi umanitarie.
Il raggiungimento del porto di sbarco “nel più breve tempo ragionevolmente possibile”, come stabilisce il paragrafo 3.1.9 dell’allegato alla Convenzione SAR del 1979 non è soltanto nell’interesse del comandante e dell’armatore della nave che deve raggiungere un porto come destinazione commerciale e non si può permettere deviazioni che lo facciano ritardare rispetto al raggiungimento del porto di destinazione. La stessa previsione, che si applica anche a tutte le imbarcazioni che non hanno una rotta prefissata, come i pescherecci, corrisponde all’interesse dei naufraghi, già provati dalla navigazione su una imbarcazione priva di mezzi di sostentamento e di soccorso, costretti a bordo di un mezzo fatiscente e sovraffollato, in alto mare, spesso per giorni, che dopo essere stati soccorsi da una nave non possono essere costretti a restare in balia delle decisioni del ministro dell’interno che assegna a discrezione un porto di destinazione. La motivazione che l’assegnazione dei porti di sbarco tanto lontani viene fatta per non ingolfare il sistema di acolglienza delle regioni più esposte agli arrivi di migranti non regge alla prova dell’esperirenza storica, perchè per anni i naufraghi sbarcati in Sicilia o in Calbria sono stati trasferiti in poche ore verso le regioni centro settentrionali italiane. Dunque le attuali motivazioni del Viminale sulla assegnazione di porti tanto lontani, soltanto alle ONG, e non alle navi militari che prestano soccorsi nelle stesse zone, sono evidentemente pretestuose.
5. In base alla Risoluzione MSC.167(78) del 2004, che fissa le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare:
6.3 Una nave non dovrebbe essere soggetta a indebiti ritardi, oneri finanziari o altre difficoltà correlate dopo aver prestato assistenza a persone in mare; pertanto gli Stati costieri dovrebbero dare il cambio alla nave non appena possibile.
6.8 I governi e l’RCC responsabile dovrebbero compiere ogni sforzo per ridurre al minimo il tempo in cui i sopravvissuti rimangono a bordo della nave che presta assistenza
6.13 Una nave che presta assistenza non dovrebbe essere considerata un luogo sicuro basandosi unicamente sul fatto che i sopravvissuti non sono più in pericolo immediato a bordo della nave. Una nave che presta assistenza potrebbe non disporre di strutture e attrezzature adeguate per sostenere altre persone a bordo senza mettere in pericolo la propria incolumità o prendersi cura adeguatamente dei sopravvissuti. Anche se la nave è capace di ospitare in modo sicuro i sopravvissuti e può fungere da luogo temporaneo di sicurezza, dovrebbe essere sollevato da questa responsabilità al più presto in quanto è possibile prendere accordi alternativi.
6.14 Un luogo sicuro può essere a terra, oppure può essere a bordo di un’unità di soccorso o altra imbarcazione o struttura idonea in mare che possa fungere da luogo sicuro fino allo sbarco dei sopravvissuti verso la destinazione successiva.
6.15 Le Convenzioni, come modificate, indicano che la consegna in un luogo sicuro dovrebbe tener conto delle circostanze particolari del caso. Tali circostanze possono includere fattori quali la situazione a bordo della nave che presta assistenza, le condizioni sulla scena, le esigenze mediche e la disponibilità di mezzi di trasporto o di altre unità di soccorso. Ogni caso è unico e la selezione di un luogo sicuro potrebbe dover tenere conto di una serie di fattori importanti.
6.20 Qualsiasi operazione e procedura come lo screening e la valutazione dello stato delle persone soccorse che vanno oltre il fornire assistenza alle persone in difficoltà non dovrebbe essere autorizzata a ostacolare la fornitura di tale assistenza o ritardare indebitamente lo sbarco di superstiti della nave o delle navi che prestano assistenza.
L’articolo 98 della Convenzione UNCLOS fa riferimento ad «ogni persona» e le previsioni più importanti delle Convenzioni SAR e SOLAS vietano qualsiasi discriminazione sulla base dello status delle persone da soccorrere in mare. Non si possono adottare dunque per le navi delle ONG regole diverse da quelle stabilite per tutti i comandanti delle navi che operano soccorsi in acque internazionali. Le convenzioni internazionali non permettono ancora di discriminare i naufraghi, ed i socorritori, a seconda che le attività di ricerca e salvataggio siano svolte dalla nave soccorritrice in modo occasionale, o avvengano con modalità continuative. In ogni caso deve prevalere la salvaguardia della vita umana in mare ed il rispetto dei diritti fondamentali delle persone.
6. Rimane quindi una scelta e una sola. opporsi all’applicazione di norme palesemente incostituzionali ed in contrasto con le Convenzioni internazionali e con i Reolamenti europei. (Reg. UE n.656/2014). Qualunque ulteriore acquiescenza ad ordini palesemente illegittimi rischia di consolidare prassi amministrative in contrasto con le Convenzioni internazionali e con le normative cogenti europee. Significa accettare lo svuotamento del Mediterraneo centrale da navi di soccorso che potrebbero salvaguardare la vita di centinaia di persone altrimenti abbandonate a navigazioni “in autonomia” che potrebbero concludersi con un naufragio o a intercettazioni da parte delle motovedette libiche, e dunque ad ulteriori segregazioni nei centri di detenzione o alle dipendenze di padroni senza scrupoli in Libia.
7. Se le navi delle Organizzazioni non governative fossero state ancora presenti in acque internazionali, in numero pari agli sforzi fatti da tanti cittadini solidali che si sono attivati per finanziarle, senza trasferimenti dilatori per centinaia di miglia, verso destinazioni di sbarco sempre più lontane, e se i mezzi della Guardia costiera, piuttosto che tentare inutilmente di effettuare trasferimenti da Lampedusa verso altri porti siciliani, come Porto Empedocle, fossero state stabilmente impegnate in acque internazionali, per soccorsi immediati, la situazione nel centro dell’isola non sarebbe degenerata al punto di infliggere trattamenti inumani e degradanti alle persone, molti i minori, trattenuti illegalmente all’interno della struttura. Infatti, come avveniva dal 2014 (Operazione Mare Nostrum), fino al Memorandum d’intesa Gentiloni (2 febbraio 2017) ed al codice di condotta Minnti (agosto 2017), la presenza di 10 – 15 assetti navali di soccorso, militari e civili, nelle acque del Canale di Sicilia, permetteva alla Centrale operativa della Guardia costiera di Roma di effettuare soccorsi immediati e coordinati, e poi distribuire gli sbarchi in tutta sicurezza e con la massima tempestività, nei porti di Trapani, di Porto Empedocle, di Pozzallo, di Augusta (Siracusa), di Catania, di Messina, di Palermo, se non nei porti calabresi. E da questi porti oartivano gli autobus per ritrasferire i naufraghi verso centri di accoglienza in tutta l’Italia. Ci sono i rapporti della Guardia costiera italiana degli anni dal 2014 fino al 2017, che lo confermano e dimostrano ancora oggi che le crisi esplosive di Lampedusa, oggi, come nel 2011, ai tempi di Alfano, sono frutto di scelte politiche errate e non di emergenze prodotte da “flussi migratori” imprevedibili.
8. Si dovrà verificare l’intero sistema sanzionatorio introdotto dal decreto legge n.1/2023 e la sua compatibilità con le norme della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, tenendo conto che la Corte di Strasburgo ha da tempo sviluppato una giurisprudenza per cui la natura formalmente amministrativa di un illecito non esclude che esso possa essere riconosciuto come intrinsecamente “penale”, solatnto per impedire che la qualificazione del legislatore nazionale sottragga la disciplina della sanzione all’applicabilità delle garanzie della Convenzione EDU che si riferiscono alla materia penale. Di fronte alle procedure prefigurate dal decreto con riferimento alle sanzioni “amministrative” inflitte dal Prefetto sembra venire meno il diritto ad un giusto processo e dunque potrebbe profilarsi una condanna all’Italia per violazione dell’art. 6 CEDU.
Si dovrà quindi verificare se siano applicabili anche in questo caso i criteri dettati dalla nota sentenza Engel della Corte di Strasburgo, ed anche se la Corte Costituzionale manterrà l’attuale impostazione restrittiva, non vi possono essere preclusioni per ricorsi alla Corte europea dei diritti dell’Uomo ed alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, per contestare la natura sostanzialmente penale delle sanzioni che i prefetti applicano nei casi previsti dal decreto legge, in assenza delle garanzie di indipendenza degli organi giudicanti previste dall’ordinamento processual-penalistico. Appare indubbio che le sanzioni del fermo amministrativo, del sequestro e della confisca amministrativa inflitte a quanti sono accusati di avere violato le disposizioni del decreto legge anti-ong, perchè di questo si tratta, al di là del richiamo del tutto inopportuno ai “flussi migratori”, contenuto nel titolo, per natura, durata e modalità di esecuzione, risultano di “innegabile severità” e di rilevante peso economico. Poichè producono in capo agli interessati conseguenze patrimoniali importanti, e sanzioni accessorie molto serie, potrebbero essere qualificate come penali le sanzioni inflitte nei procedimenti amministrativi delineati nel decreto legge n.1 del 2023. Basti pensare cosa significa per una ONG il fermo amministrativo di una nave, o il suo sequestro, prima della confisca, considerando che quella nave costituisce l’unico mezzo, peraltro di rilevante valore, anche in caso di noleggio, con il quale si può portare avanti l’attività di ricerca e soccorso in mare. Salvare vite in acque internazionali è certo attività più rilevante, da un punto di vsta economico, se non si vogliono calcolare le vite che possono essere salvate, che andare in giro con una auto priva di assicurazione, o condurre un veicolo in stato di ebbrezza, casi classici nei quali il prefetto esercita i suoi poteri sanzionatori, dal fermo amministrativo, al sequestro ed alla confisca del mezzo. Per queste ragioni va denunciata la discrezionalità del prefetto, organo periferico del ministero dell’interno, nella applicazione delle sanzioni previste dal Decreto legge n.1 del 2023 anche per le modalità procedurali di ricorso, che riducono al minimo i diritti di difesa delle ONG alle quali si contestano violazioni di norme interne e di decisioni amministrative quando operano in adempimento di obblighi di soccorso imposti dalle Convenzioni internazionali.
Riportiamo il comunicato ricevuto dopo l’ultima operazione di soccorso operata nel Mediteraneo centrale da Sea Eye 4 alla quale è stato assegnato il porto di sbarco di Salerno, mentre stanno riprendendo le prassi di fermo amministrativo, sulla base di quanto previsto dal Decreto legge n.1 del 2023, in contrasto con quanto previsto dalle Convenzioni internazionali.
COMUNICATO PERVENUTO DALLA NAVE UMANITARIA SEA EYE 4
MAR 22 AGO – La nave di soccorso marittimo civile Sea-Eye 4 ha attraccato questa mattina a Salerno, in Italia, dopo aver salvato 114 persone nel fine settimana.
Dal 17 al 19 agosto, Sea-Eye 4 ha effettuato tre missioni di salvataggio di imbarcazioni in difficoltà nel Mediterraneo centrale, trovate alla deriva senza cibo, carburante e acqua.
Si ritiene che le persone a bordo abbiano lasciato Bengasi diversi giorni fa; unendosi a migliaia di altre persone fuggite dalle violazioni dei diritti umani nel contesto della crisi in corso in Libia.
Quattro persone sono state portate a bordo della Sea-Eye 4 prive di sensi e stabilizzate dal team medico della missione.
La prima richiesta della missione per un porto sicuro a Malta è stata respinta, mentre le autorità italiane hanno successivamente concesso un porto sicuro a Salerno.
Tutte le persone soccorse sono state ora sbarcate.
Arnaud Banos, capo missione su Sea-Eye 4, ha dichiarato:
“Negli ultimi giorni Sea-Eye 4 è intervenuta in tre imbarcazioni in pericolo e ha salvato 114 persone, tra cui un bambino; quattro delle quali sono state portate a bordo prive di sensi e bisognose di cure mediche immediate.”
“Dopo che ci è stato rifiutato un porto sicuro a Malta, in chiara abdicazione alla nostra responsabilità di proteggere le persone, stiamo procedendo verso un porto sicuro a Salerno, in Italia.”
“Il nostro lavoro di ricerca e salvataggio è urgente e, allo stesso tempo, non può sostituire uno sforzo europeo serio e coordinato per rispondere all’emergenza umanitaria sulle nostre coste. Nessuno dovrebbe essere lasciato morire in mare.”
NAPOLI, 23 agosto 2023, 11:36
Redazione ANSA
Migranti: Sea-Eye 4,’multa e fermo amministrativo’ a Salerno
La ong: ‘Senza di noi quelle persone sarebbero morte’
LUNEDI 21 AGOSTO 2023
TG LA 7
Migranti, fermo amministrativo di 20 giorni per la nave di Sea Watch
La nave di Sea Watch è stata sottoposta a fermo amministrativo per 20 giorni. Aurora, l’imbarcazione della ong tedesca, nei giorni scorsi, anziché dirigersi a Trapani, che era stato indicato come porto sicuro, ha attraccato a Lampedusa dove ha fatto sbarcare 72 migranti.
Fino a tarda sera, ieri 20 agosto, dopo l’ispezione, la guardia costiera ha esaminato tutti i documenti di bordo e ha verificato gli strumenti tecnici. I poliziotti della squadra mobile e quelli della Digos della questura di Agrigento hanno ascoltato i migranti che sono stati soccorsi e sbarcati sabato. La Sea Watch aveva detto che “non aveva altra scelta”.
La guardia costiera e la questura di Agrigento hanno sanzionato il comandante dell’Aurora, uno svizzero 37enne, e in solido la società armatrice dell’imbarcazione. Potranno pagare, entro 60 giorni dalla contestazione, in maniera ridotta 3.333 euro (pari ad un terzo del massimo edittale della sanzione).
“La nave Aurora ha effettuato il recupero di 72 migranti da imbarcazione in legno intercettata in area sar libica, a 39 miglia nautiche dal porto di Zarzis in Tunisia, a 74 miglia nautica dal porto di Sfax e a 106 miglia nautiche dal porto di Lampedusa. Il recupero è avvenuto contrariamente alle istruzioni dell’autorità libica competente che in zona aveva già inviato il pattugliatore della guardia costiera libica”, affermano dalla capitaneria di porto di Lampedusa e dalla questura di Agrigento dopo l’ispezione fatta sulla nave di Sea Watch. “Il ministero dell’Interno, a richiesta della nave Aurora, aveva assegnato il porto di Trapani, ma dalla nave è stata paventata la mancanza di carburante, acqua e cibo necessari per arrivare a Trapani – prosegue la ricostruzione dei fatti – Imrcc Roma comunicava quindi di contattare lo Stato di bandiera dell’imbarcazione, la Germania, e le autorità di Tunisi in quanto porto più vicino”.
L’Aurora ha però deciso di dirigersi verso Lampedusa, anziché richiedere il porto sicuro di Zarzis “concorrendo – scrivono Guardia costiera e Questura di Agrigento – a creare una situazione di pericolo a bordo, derivante dal ritardato sbarco dei migranti presso il più vicino approdo”.
MARTEDÌ 22 AGOSTO 2023 15.13.56
Migranti: fermo amministrativo per la Open Arms
Migranti: fermo amministrativo per la Open Arms Nave oggi a Marina di Carrara per sbarcare 196 persone (ANSA) –
MARINA DI CARRARA (MASSSA CARRARA), 22 AGO – Sanzione amministrativa pecuniaria e fermo amministrativo in arrivo per la Open Arms. E’ quanto si apprende a Marina di Carrara (Massa Carrara) dove la nave è approdata stamani con 196 Migranti soccorsi nei giorni scorsi nel Mediterraneo. In particolare il prefetto di Massa Carrara Guido Aprea ha spiegato che sarà contestato di non aver ottemperato all’indicazione di andare direttamente al porto sicuro, che comporta la contestazione di una sanzione pecuniaria e del fermo amministrativo quale sanzione accessoria. Dalla ong si spiega che non è stato al momento notificato il provvedimento. Da quanto appreso dalla stessa Open Arms tutto potrebbe forse essere motivato dal fatto di aver eseguito tre soccorsi. (ANSA)
Nota del Garante nazionale per le persone private della libertà sul Decreto-legge dal titolo “Disposizioni urgenti per la gestione dei flussi migratori e la semplificazione procedimentale in materia di immigrazione”
In attesa di avere contezza del provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri del 28 dicembre 2022 e nella certezza che, al di là di espressioni riportate dalla stampa, il Ministero dell’Interno avrà già doverosamente considerato molti degli aspetti che qui si intende evidenziare, il Garante nazionale ritiene utile ricordare alcuni principi nazionali e sovranazionali che vincolano il nostro Paese.
Per altri aspetti, sarà, ovviamente, il Parlamento a valutare la necessità di una decretazione d’urgenza in materia.
Una premessa
Le Convenzioni internazionali sono un limite alla potestà legislativa dello Stato e gli articoli 10, 11 e 117 della Costituzione codificano il principio per cui il diritto internazionale e le Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia non sono derogabili dalla legislazione interna. In prospettiva di un’analisi dettagliata del decreto-legge approvato il 28 dicembre scorso dal Consiglio dei ministri e del processo di sua successiva conversione, gli elementi di riferimento sono le norme di diritto internazionale nonché quelle del diritto, anche interno, della navigazione e del soccorso in mare[1].
Circa gli specifici punti:
Il soccorso
La Corte Europea dei diritti dell’uomo (più avanti CtEdu) nelle sentenze emesse nel caso Sharifi c. Italia e Grecia del 21 ottobre 2014[2] (ricorso n. 16643/09) e nel caso (Grande Camera) Hirsi Jamaa c. Italia del 23 febbraio 2012[3] (ricorso n. 27765/09) ha affermato che il mancato accesso alla procedura d’asilo o a qualsiasi altro rimedio legale all’interno del porto di attracco configura una violazione dell’articolo 4 del Protocollo n.4 alla Convenzione, che, come è noto, è parte integrante della Convenzione stessa. La CtEdu ha sottolineato che il sistema di Dublino deve essere applicato in modo compatibile con la Convenzione e che nessuna forma di respingimento o di rimpatrio collettivo e indiscriminato può avere luogo. Ovviamente tali principi sono noti al Legislatore italiano e da esso condivisi.
Risulta evidente che debbano, quindi, essere garantiti nel territorio nazionale il transito e la sosta al fine di assicurare il soccorso e l’assistenza a terra delle persone prese a bordo a tutela della loro incolumità. Sorge il problema se questa possa avvenire «ai soli fini» di esercitare tali funzioni e non anche ai fini di tutelare le garanzie complessive che ogni persona debba avere anche sul piano giuridico. Appare opportuno comunicare le operazioni al Centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo nella cui area di responsabilità si svolge l’evento e allo Stato di bandiera della nave. Ovviamente, ciò non fa venir meno alcuna responsabilità dello Stato che ha effettuato il soccorso.
La domanda per le persone migranti a bordo delle navi che hanno effettuato il soccorso pone preliminarmente la dicotomia tra «possibilità» e «obbligo». La prima ipotesi rappresenta un incremento delle potenzialità che compongono l’idea stessa di salvataggi, sempre che vi siano anche elementi informativi adeguati e indipendenti disponibili a bordo dell’imbarcazione. La seconda impone una irragionevole accentuazione di vulnerabilità che farebbe antecedere la politica interna di uno Stato rispetto al principio sovranazionale di massima tutela di chi può trovarsi in condizioni di fragilità sul piano personale e anche giuridico. Certamente il testo varato dissiperà la perplessità perché la seconda ipotesi esporterebbe il Paese al rischio di censure internazionali. È, infatti, principio ineludibile, che non possa essere la finalità di radicare la responsabilità per l’accoglimento o il respingimento della domanda d’asilo in capo agli Stati di bandiera delle navi in oggetto[4] il criterio che compone il diritto umanitario degli Stati democratici[5].
«Imporre» e non «dare la possibilità» di domanda di protezione internazionale agli Stati di bandiera delle navi delle Organizzazioni non governative potrebbe degenerare verso una situazione di immediatezza del respingimento degli altri non richiedenti e, quindi, entrare in contrasto con il citato articolo 4 del Protocollo n. 4 della Convenzione.
I requisiti
Le navi che effettuano «in via non occasionale» attività di ricerca e soccorso in mare devono corrispondere, nel loro operare, ad alcuni requisiti. Le informazioni avute dal Garante nazionale sono riassumibili nei seguenti aspetti:
- idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione nelle acque territoriali (obiettivo condivisibile);
- tempestivo avvio di iniziative volte ad acquisire le intenzioni di richiedere la protezione internazionale. Il problema sorge laddove il diritto internazionale marittimo non individua il comandante di una nave quale competente a determinare lo status di coloro che ricadono temporaneamente sotto la propria tutela a seguito di un’operazione di salvataggio e non è dunque in alcun modo tenuto a richiedere alle persone soccorse se vogliano presentare domanda di protezione internazionale. Peraltro il paragrafo 6 delle “Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare”[6] adottato nel 2004 dal Comitato marittimo per la Sicurezza[7] (Agenzia Onu specializzata nel settore) nel contesto dell’adozione di una serie di emendamenti alle Convenzioni Sar[8] e Solas[9], prevede che ogni operazione e procedura, come l’identificazione e la definizione dello status delle persone soccorse, che vada oltre la fornitura di assistenza alle persone in pericolo, non debba essere consentita qualora possa ostacolare la fornitura di tale assistenza o possa ritardare lo sbarco;
- la richiesta all’Autorità Sar competente, nell’immediatezza dell’evento, dell’assegnazione del Pos (place of safety). Da una parte ciò riprende quanto già previsto; da un’altra, occorre ben valutare se ciò possa essere compatibile nella singola situazione in essere con le norme sul soccorso in mare, che hanno il precetto consuetudinario e generalmente accolto di non mettere in essere qualsiasi azione che aggravi la situazione di pericolo, individuale e collettivo, tenendo anche conto della vulnerabilità delle singole persone, che potrebbe accentuarsi in caso di mancata risposta alle richieste di coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso condotte nelle zone Sar di competenza di altri Paesi.
- il raggiungimento del porto di sbarco individuato dalle competenti Autorità senza ritardo per il completamento dell’intervento di soccorso. Anche in questo caso occorre non piegare la giustezza del precetto a finalità diverse. In assoluto, il precetto è elemento di garanzia per le persone; va tuttavia letto in congiunzione con la specificità del Pos assegnato. Inoltre, questo punto va letto in connessione con quello di cui alle cosiddette «operazioni plurime», sempre tenendo conto dell’articolo 1158 del Codice della navigazione[10] che riguarda l’ipotesi di omissione di soccorso.
- comunicazione alle Autorità per la ricerca e il soccorso in mare italiane o, nel caso di assegnazione del porto di sbarco, alle Autorità di Pubblica sicurezza, delle informazioni richieste ai fini dell’acquisizione di elementi relativi alla ricostruzione dettagliata delle fasi dell’operazione di soccorso effettuata. L’interpretazione dell’indicazione è quella dei fini investigativi che, comunque, non devono poter ostacolare lo sbarco. Su questa linea, in termini più generali, vale il Protocollo addizionale alla Convenzione delle Nazioni unite contro la Criminalità organizzata transnazionale del 2000[11], che in tema di contrasto al traffico illecito di migranti per via terrestre, aerea e marittima, all’articolo 19 recita «Nessuna disposizione del presente Protocollo pregiudica gli altri diritti, obblighi e responsabilità degli Stati e degli individui derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e il diritto internazionale relativo ai diritti dell’uomo e, in particolare, laddove applicabili, la Convenzione del 1951 e il Protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati e il principio di non respingimento ivi enunciato».
- le modalità di ricerca e soccorso in mare da parte della nave non devono aggravare situazioni di pericolo a bordo né impedire di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco. Inoltre:
- nel caso di operazioni di soccorso plurime, le operazioni successive alla prima devono essere effettuate in conformità agli obblighi di notifica e non devono compromettere l’obbligo di raggiungimento, senza ritardo, del porto di sbarco. Qui occorre preliminarmente osservare che qualora una nave abbia raccolto alcune persone in rischio di naufragio e stia avviandosi verso il Pos indicato dalle Autorità, ha comunque l’obbligo, sulla base del diritto del mare, di soccorrere altre persone, qualora sia raggiunta da una comunicazione del loro pericolo e sia in grado di poterle accogliere. Tale obbligo non può venir meno sulla base di un provvedimento di un singolo Paese, tantomeno ai fini della regolazione degli accessi al suo territorio. È opportuno ricordare l’articolo 98 della Convenzione Unclos del 1982, che prevede che ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l’equipaggio o i passeggeri, debba procedere quanto più velocemente possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa. Relativamente alla ventilata previsione di sanzioni in merito, per il comandante dell’imbarcazione, potrebbe palesarsi in sede di applicazione la scriminante dell’articolo 51 c.p. dell’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica.
La sanzione amministrativa:
Il passaggio da reato penale a sanzione amministrativa che può essere letto come elemento depenalizzante può avere effetti molto peggiori rispetto all’attività in sé operata da chi presta soccorso in mare. Occorrerà valutare quali sanzioni amministrative saranno imposte. Resta tuttavia il punto fermo del Garante nazionale consistente nel fatto che la valutazione da parte della Magistratura è comunque elemento di garanzia rispetto a sanzioni che abbiano effetti, sul piano pratico, anche maggiori e che vengono imposte dal potere amministrativo.
Certamente la lettura del testo definitivo sarà in grado di chiarire molti aspetti e sciogliere le attuali perplessità, qui sopra espresse. In tale prospettiva il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ha inteso pronunciarsi già sul testo così provvisoriamente illustrato dagli Organi di informazione e ribadisce la sua volontà di un costruttivo dialogo in merito. Un dialogo che tiene presenti i diritti e le necessità primarie, incluso il soccorso, di chi mette in mare la vita propria e quella dei suoi cari in cerca di un “altrove” migliore, il diritto della collettività a essere rassicurata circa la presenza di persone irregolari sul proprio territorio, il diritto dell’Ordinamento a non essere esposto a rischi di censura rispetto a quegli impegni che costituiscono l’ossatura del proprio sistema democratico.
Roma, 30 dicembre 2022
Mauro Palma
DIRITTO PENALE CONTEMPORANEO
20 giugno 2019 |