Procedure accelerate in frontiera e paesi terzi “sicuri”: (in)giustizia è fatta

di Fulvio Vassallo Paleologo

1,Dopo i fallimenti di Giorgia Meloni a Bruxelles e nei rapporti con le autorità di governo dei paesi nordafricani, oggetto di una pressione crescente dal momento dell’insediamento del nuovo governo, con la proposta di un nuovo “Piano Mattei” per l’Africa, il Viminale mette a punto la nuova strategia delle procedure accelerate in frontiera, previste dalla legge n.50 del 2023 (ex “Decreto Cutro”) nel tentativo di accelerare le espulsioni ed i respingimenti delle persone appena soccorse in mare, e dimostrare così al proprio elettorato una “gestione” più rigorosa delle procedure di sbarco e di prima identificazione, fino al punto di ridurre al minimo le garanzie di difesa e la stessa possibilità di accesso effettivo alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale. Ma questo progetto sembra fallire persino con il partner finora più “disponibile” nelle politiche di rimpatrio dall’Italia, il premier tunisino Saied, un autocrate che sta cancellando i diritti umani nel suo paese, e che pratica da mesi una politica di confinamento e di espulsione violenta dei cittadini subsahariani presenti o in transito in Tunisia. Per non parlare dei mancati soccorsi in alto mare della Guardia costiera tunisina, sostenuta, come le sedicenti guardie costiere libiche, dalle autorità italiane.

La previsione di una maggiore efficacia nel contrasto degli sbarchi, propagandata dal governo Meloni, si basava dunque su presupposti che non si sono realizzati e che difficilmente si realizzeranno in futuro, considerando il netto rifiuto dei paesi di transito e di origine a collaborare nell’esecuzione di misure di allontanamento forzato. Occorre riflettere anche sull’enorme costo di queste procedure che per effetto del ricorso generalizzato alla categoria di “paese terzo sicuro”, anche per coloro che non ne sono cittadini, ma vi sono solo transitati, assumerebbero il carattere di vere e proprie deportazioni, se non di respingimenti collettivi vietati dalle Convenzioni internazionali. Si verificherebbe anche una serie di gravissime violazioni di norme internazionali ed europee, che hanno già comportato condanne a livello internazionale dell’Italia in passato, quando si sono volute accelerare le procedure di respingimento immediato, se non”differito”, attuando misure limitative della libertà personale e cancellando i diritti di difesa. Al governo italiano, ed alle autorità periferiche del ministero dell’interno forse sfugge come sia ancora mancata a livello europeo la “ratifica” delle “procedure accelerate in frontiera”, previste con termini brevissimi, e al monento irrealizzabili, dalla legge n.50 del 2023. Una “ratifica”, con un congruo sostegno economico, che il governo italiano ha cercato dal Consiglio dei ministri dell’interno di Lussemburgo del 9 giugno, fino all’ultimo Consiglio dei capi di governo a Bruxelles del 29 e 30 giugno, con ostinazione degna di migliore causa, una “ratifica” che non è arrivata e non poteva arrivare, malgrado gli annunci di successo della Meloni. Sui temi trattati su richiesta dell’Italia non si è giunti ad alcuna conclusione operativa, ed è ancora in alto mare il Memorandum d’intesa tra la Tunisia e l’Unione Europea. Alla fine quando diranno che si sarà raggiunta una intesa, occorrerà leggere bene il reale contenuto degli accordi e verificare quanti soldi mette davvero a disposizione l’Unione Europea.

2.Le procedure accelerate, sono state espressamente previste con il decreto legislativo 18. agosto 2015, n. 142 che ha aggiunto l’art. 28-bis (procedure accelerate) al d.lgs. n. 25/2008 . Nel corso degli anni sono state oggetto di continue modifiche, con una tecnica legislativa di continui rinvii da un decreto all’altro, che ne rende ancora oggi difficile la piena comprensione e soprattutto il rispetto dovuto, in base agli articoli 10 e 117 della Costituzione, alle normative sovranazionali in materia di procedure di asilo. Le procedure accelerate sono state lo strumento tecnico con il quale si è cercato di afffrontare la questione, spesso oggetto di speculazione politica, della cd. natura strumentale delle domande di asilo.

Il Decreto legislativo n. 142/2015, aveva aggiunto l‘art. 28-bis, al decreto legislativo. n. 25/2008, prevedendo la procedura accelerata per tutti i richiedenti asilo sottoposti a trattenimento amministrativo. Lo stesso Decreto legislativo n.142 del 2015 ampliava poi i casi di procedure accelerate, prevedendole anche nel caso di domanda manifestamente infondata qualora richiedente avesse sollevato esclusivamente questioni prive di attinenza con i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale. Si prevedeva la procedura accelerata anche nel caso di domanda reiterata ai sensi dell’art. 29, co. 1, lett. b) dello stesso d. lgs. n.25/2008, e nel caso di domanda presentata dopo che il richiedente fosse stato fermato per aver eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera, ovvero dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare, al solo scopo di ritardare o impedire l’adozione o l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento.

Il decreto legge n.113 del 2018 (primo decreto sicurezza Salvini) prevedeva un esame mediante procedura accelerata delle domande di protezione presentate da cittadini di paesi terzi ritenuti sicuri, con l’art. 28-ter che si andava ad inserire nel d.lgs. n. 25/2008,

Con Decreto del ministro dell’ interno del 5 agosto 2019 si disciplinavano più specificamente le procedure accelerate di esame delle domande di protezione internazionale presentate nelle zone di transito o di frontiera. che fino ad allora non si applicavano alle domande di coloro che fossero stati recuperati attraverso operazioni di soccorso in mare (SAR) o che si fossero spontaneamente presentati per formalizzare la richiesta di protezione internazionale senza essere stati intercettati dalle forze di polizia all’atto dello sbarco. Il Decreto ministeriale individuava le “zone di frontiera” ( Trieste, Gorizia, Crotone, Cosenza, Matera, Taranto, Lecce, Brindisi, Caltanissetta, Ragusa, Siracusa, Catania, Messina, Trapani, Agrigento e Cagliari) e quindi le relative questure competenti. In qusti casi si prevedeva, per effettuare i colloqui con i richiedenti asilo,entro il termine di sette giorni, in capo alle Commissioni territoriali di Trieste, Crotone, Bari, Lecce, Siracusa, Catania e Cagliari e alle Sezioni di Agrigento e Trapani, la facoltà di spostarsi attraverso un «nucleo mobile», di fatto un rappresentante della Commissione, e gli eventuali interpreti, previa intesa con la competente questura. La circolare della Presidente della Commissione nazionale per il diritto d’asilo – prot. 0008864 del 28.10.2019 prevedeva poi un termine, per lo svolgimento dell’audizione, di 7 giorni (raddoppiabili ai sensi dell’art. 28-ter, co. 1, lett. a) in relazione dell’art. 28-bis, co. 2, lett. a) d.lgs. n. 25/2008), decorrenti dalla formalizzazione della domanda, oltre ai 2 giorni successivi per la decisione. La Commissione territoriale avrebbe dovuto quindi adottare la sua decisione entro i 2 giorni previsti dall’art. 28-bis d.lgs. n. 25/2008, con immediato inserimento nel sistema informatico Vestanet e contestuale comunicazione alla questura per i successivi adempimenti.

Se la domanda di protezione da parte di un cittadino straniero proveniente da un paese terzo sicuro è presentata in zona di frontiera o di transito l’esame può dunque svolgersi direttamente alla frontiera o nelle zone di transito (art. 28-bis, co. 1-ter, d.lgs. n. 25/2008); l’eventuale decisione di rigetto per manifesta infondatezza (in quanto presentata da cittadino di Paese designato come sicuro la cui domanda sia stata sin dall’origine considerata ed esaminata come tale) comporta il dimezzamento dei termini ordinari di impugnazione dinanzi alla autorità giudiziaria che, dagli ordinari 30 giorni, diventano qui 15 giorni (art. 35, co. 2, d.lgs. n. 25/2008). Alla scadenza del termine per l’impugnazione vi è l’obbligo per il richiedente di lasciare il territorio nazionale, salvo che gli sia stato rilasciato un permesso di soggiorno ad altro titolo e l’adozione nei suoi confronti di un provvedimento amministrativo di espulsione da parte del prefetto (art. 32, co. 4, d.lgs. n. 25/2008).

Con il Decreto legge n.130 del 2020 si modificavano ancora una volta le procedure accelerate, già previste dalla normativa vigente nel caso di richiedenti provenienti da paesi terzi ritenuti sicuri, per le domande  di  protezione  internazionale  presentate da un richiedente direttamente alla frontiera o nelle “zone di  transito”, dopo essere stato fermato per avere eluso  o  tentato di eludere i relativi controlli.  In  tali  casi  la  procedura  può essere svolta direttamente alla frontiera o nelle “zone di transito”, aggiungendo che tali zone sono individuate con decreto del Ministro dell’interno. Lo stesso decreto prevedeva una ulteriore integrazione dell’articolo  10-ter,  comma  3, del T.U. n. 286 del 1998, aggiungendo  la previsione secondo cui “lo  straniero è  tempestivamente  informato  dei diritti e delle facolta’ derivanti dal procedimento di convalida  del decreto di trattenimento in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola”.

Lo steso D.L. 130 ha modificato l’art. 6 comma 6° del D. Lgs. 142/2015, eliminando ogni riferimento al 3° comma dell’art. 28 bis del D. Lgs. 25/0008 previgente (in precedenza richiamato dal citato art. 6 co. 6° del D. Lgs. 12/2015 sulla possibilità di prorogare il trattenimento) a norma del quale i termini di cui ai commi 1° e 2° dell’art. 28 bis del D. Lgs. 25/2008 – procedure accelerate – potevano essere superati “…ove necessario per assicurare un esame adeguato e completo della domanda, fatti salvi i termini massimi previsti dall’art. 27 co. 3 e 3bis del D. Lgs. 25/2008”.

I ritardi delle questure nell’istruzione delle domande di protezione e nella loro trasmissione alle Commissioni territoriali non possono comunque andare a danno dei richiedenti. A tale riguardo la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2458 del 3 febbraio 2021 ha stabilito che “… il trattenimento del richiedente la protezione internazionale, se disposto ai sensi del combinato disposto dell’art. 6, sesto comma del d.lgs. n. 142 del 2015 e dell’art. 28-bis del d.lgs. n. 25 del 2008, ovverosia in presenza di una delle ipotesi di cui al secondo comma del richiamato art. 28 bis, non può comunque eccedere la durata massima prevista per l’esame della domanda di protezione da quegli introdotta. (…)”. La stessa normativa sul trattenimento sembra applicabile tanto alle persone sbarcate autonomamente quanto a tutti coloro che sono stati soccorsi in mare nell’ambito di operazioni SAR di ricerca e salvataggio. Ammesso che le autorità italiane qualifichino come attività SAR gli eventi di soccorso e non ricorrano ancora alla definizione strumentale di “eventi migratori”, utile anche ad assegnare alle ONG il porto di sbarco più lontano possibile.

Come osservava l’UNHCR in un documento che sostanzialmente si riferiva, tra gli altri rilievi, ad una previsione simile contenuta nel primo Decreto sicurezza Salvini del 2018 (Decreto Legge 113/2018) “La categoria contemplata dalla legge, cioè coloro che hanno “eluso o tentato di eludere i controlli di frontiera” è tuttavia problematica e può facilmente condurre all’applicazione di procedure di frontiera nei riguardi di persone che non dovrebbero esserne soggette”.

3. La legge n.50 del 2023, di conversione del decreto legge “Cutro”, con l’art.7 bis, dedicato alle procedure accelerate, integra gli articoli 28 bis e 29 del Decreto legislativo n.25 del 2008 con particolare riferimento ai casi di “procedure in frontiera” e di “domanda reiterata”.

Secondo Silvia Albano, giudice del tribunale di Roma specializzata in diritti della persona e immigrazione e componente dell’esecutivo nazionale di Magistratura democratica, “Innanzitutto il rischio, altissimo, è che le persone bisognose di protezione restino invisibili. In sette giorni è impossibile garantire procedure di frontiera che garantiscano i diritti inalienabili delle persone per giunta in stato di trattenimento. E poi, diciamolo, non ci sono né i soldi, né i mezzi, né le persone per farlo”.

La legge n.50 del 2023, modifica il decreto legislativo n. 142 del 2015, che in un unico provevdimento dava attuazione alle Direttive dell’Unione europea in materia di Accoglienza (2013/33/UE) e di Procedure (2013/32/UE) per il riconoscimento dela protezione internazionale, adottate nel 2013. Il provvedimento approvato sull’onda delle reazioni alla strage di Cutro estende ancora una volta i casi di trattenimento del cittadino straniero durante lo svolgimento della procedura in frontiera. La stessa legge prevede poi la possibilità di internare i richiedenti asilo nei Centri per i rimpatri (CPR) previsti dall’art. 14 del Testo Unico sull’immigrazione, e aumenta i tempi intervallo tra una convalida e l’altra (da 30 s 45 giorni), confermando la durata massima del trattenimento amministrativo in 90 giorni (art.10 bis legge n.50 del 2023).

La nuova norma dettata dall’art. 7 bis della legge 50/2023, prevede che “- 1. Fuori dei casi di cui all’articolo 6, commi 2 e 3-bis, del presente decreto e nel rispetto dei criteri definiti all’articolo 14, comma 1.1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, il richiedente puo’ essere trattenuto durante lo svolgimento della procedura in frontiera di cui all’articolo 28-bis, comma 2, lettere b) e b-bis), del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e fino alla decisione dell’istanza di sospensione di cui all’articolo 35-bis, comma 4, del medesimo decreto legislativo n. 25 del 2008, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.
2. Il trattenimento di cui al comma 1 puo’ essere disposto qualora il richiedente non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validita’, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria. Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, con decreto del Ministero dell’interno, di concerto con i Ministeri della giustizia e dell’economia e delle finanze, sono individuati l’importo e le modalita’ di prestazione della predetta garanzia finanziaria.

Il trattenimento non può comunque protrarsi oltre il tempo strettamente necessario per lo svolgimento della procedura in frontiera e la convalida del trattenimento comporta un periodo massimo di permanenza non prorogabile di quattro settimane. Il trattenimento è disposto in appositi locali presso le strutture di cui all’articolo 10-ter, comma 1 del decreto legislativo n. 286/1998 ovvero nei centri di cui all’articolo 14 del decreto legislativo n. 286/1998 [comma 2, lettera b), capoverso articolo 6-bis].

Le norme che prevedono il trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo potrebbero risultare in contrasto con l’art. 10 della Direttiva 2013/33/EU (Direttiva Accoglienza), che detta le condizioni per il trattenimento dei richiedenti asilo, come la disponibilità di spazi aperti, il diritto di essere informati delle norme vigenti nel centro, la possibilità di comunicare e ricevere visita da parte di personale UNHCR, familiari, avvocati consulenti legali e rappresentanti di organizzazioni non governative. In ogni caso, il trattenimento dei richiedenti asilo, che nella normativa euro-unitaria viene considerato come un caso residuale, nell’ordinamento italiano diventa ormai la regola prevalente, al di là della sua dimostrata inapplicabilità.

Secondo le posizioni contenute nei documenti dell’’UNHCR , che valgono per tutti i potenziali richiedenti asilo, “la detenzione di richiedenti asilo non dovrebbe essere utilizzata in maniera automatica o obbligatoria per tutti, piuttosto dovrebbe rappresentare l’eccezione. Brevi periodi di trattenimento sono ammissibili nella fase iniziale di verifica dell’identità e durante i controlli di sicurezza quando l’identità è incerta o controversa o emergono elementi indicativi di rischi per la sicurezza. Quando una misura di detenzione è applicata per un fine legittimo, essa deve essere prevista dalla legge, deve fondarsi su di una decisione individuale, e deve risultare strettamente necessaria e proporzionale, avere un durata prestabilita ed essere sottoposta a revisione periodica . La detenzione non dev’essere applicata ai minori”.

Risulta invece dalle prassi di queste prime settimane di applicazione della legge n.50 del 2023 che il trattenimento amministrativo dei minori stranieri non accompagnati dopo lo sbarco in Italia sia largamente praticato in strutture “di prima accoglienza” nelle quali si realizza una totale limitazione della libertà personale.

4. In base all’art. 8 della Direttiva 2013/33/UE, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, “Gli Stati membri non trattengono una persona per il solo fatto di essere un richiedente ai sensi della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del iconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale“. In base a questa norma euro-unitaria,“ove necessario e sulla base di una valutazione caso per caso, gli Stati membri possono trattenere il richiedente, salvo se non siano applicabili efficacemente misure alternative meno coercitive. L’ordinamento dell’Unione Europea considera dunque il trattenimento amministrativo del richiedente asilo come una misura residuale”.
Per la Direttiva 2013/33/UE, attuata in Italia con il Decreto legislativo n.142 del 2015, che adesso si modifica ancora una volta in senso restrittivo, un richiedente protezione può essere trattenuto soltanto:
a) per determinarne o verificarne l’identità o la cittadinanza;
b) per determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale che non potrebbero ottenersi senza il trattenimento, in particolare se sussiste il rischio di
fuga del richiedente;
c) per decidere, nel contesto di un procedimento, sul diritto del richiedente di entrare nel territorio;
d) quando la persona è trattenuta nell’ambito di una procedura di rimpatrio ai sensi della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, al fine di preparare il rimpatrio e/o effettuare l’allontanamento e lo Stato membro interessato può comprovare, in base a criteri obiettivi, tra cui il fatto che la persona in questione abbia già avuto l’opportunità di accedere alla procedura di asilo, che vi sono fondati motivi per ritenere che la persona abbia manifestato la volontà di presentare la domanda di protezione internazionale al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione della decisione di rimpatrio;
e) quando lo impongono motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico

La Corte di cassazione, sez. VI, 24.10.2016 n. 21423/16, con riferimento alla nozione di rischio di fuga afferma da tempo che questa deve essere interpretata non genericamente, ma in base a quanto previsto all’art. 6, co. 2, lett. d), d.lgs. 142/2015 (aver precedentemente fatto sistematico ricorso ad una falsa attestazione di identità al fine di evitare l’adozione o l’esecuzione di provvedimenti di espulsione, ovvero non avere ottemperato ai provvedimenti disposti dall’autorità tassativamente indicati dalla norma stessa).

5. Va ricordato che il il  Tribunale di Milano ha sollevato, con ordinanza 11.12.2022 , questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, co. 5, d.lgs. 142/2015. con riguardo ai provvedimenti di trattenimento adottati dai questori nei confronti di richiedenti asilo e sui termini della successiva convalida, sulla base di una serie di considerazioni che potrebbero estendersi anche alle nuove disposizioni introdotte allo stesso riguardo dalla legge n.50 del 2023. La questione riguarda casi nei quali le autorità di polizia ritardino a trasmettere alla competente autorità la formalizzazione della richiesta di protezione dello straniero già trattenuto in un centro di detenzione amministrativa (non solo CPR), che come è noto può essere anche frutto di una prima espressione verbale del richiedente. Che acquista immediatamente la qualità di richiedente asilo, anche se si trova in un caso di trattenimento pre-espulsivo, tanto che spesso, il giudice di pace non convalida la proroga del trattenimento. Il rischio che si corre nella pratica è che, malgrado questa espressione verbale della richiesta di protezione, il richiedente, anche dopo la mancata convalida della proroga del trattenimento, venga accompagnato in frontiera prima che la sua volontà venga formalizzata e che il suo trattenimento, in assenza di una ulteriore convalida, si possa protrarre per diversi giorni, nella pratica anche una settimana,e oltre. E dunque in violazione dell’art. 13 della Costituzione, secondo quanto già affermato dalla Corte Costituzionale a partire dalla sentenza n.105 del 2001. Secondo il Tribunale di Milano, ricorre la “non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 c. 5 d.lgs. 142/2015 in rapporto all’art. 13 Cost. nella parte in cui, richiamando la disciplina di cui all’art. 14 d.lgs. 286/1998 per la convalida del provvedimento che dispone il trattenimento del soggetto richiedente già trattenuto ai sensi dell’art. 6 c.3 d.lgs. 142/2015, non prevede che il termine di quarantotto ore per investire l’autorità giudiziaria del controllo sul provvedimento di trattenimento decorra dalla acquisizione della qualità di “richiedente” del trattenuto, individuandosi in detto momento la potenziale lesione dei diritti fondamentali della persona sulla quale deve incentrarsi il controllo del giudice.”

6. Gli organi decisionali dell’Unione Europea, ammesso che trovino un punto di intesa, non possono comunque dare il loro sostegno a norme, contenute nella legge n.50 del 2023, che già oggi, nelle prassi applicate, da Lampedusa fino a Trieste e Ventimiglia, vanno contro le Direttive dell’Unione europea che avevano portato alla normativa interna che adesso si è voluto abrogare. Il riferimento d’obbligo è alla Direttiva “Rimpatri” 2008/115/CE per quanto concerne i respingimenti ed il trattenimento in frontiera, ed alla Direttiva sulle procedure per l’accesso alla procedura di asilo ed il riconoscimento della protezione internazionale. La Direttiva 2013/32/UE, aveva infatti imposto l’emanazione di norme contenute nel Decreto legislativo n.142 del 2015 che più volte modificate dal Decreto sicurezza Salvini n.113 del 2018 e dal Dcreto Lamorgese n.130 del 2020, adesso sono state travolte dalle previsioni sulle procedure in frontiera contenute nel cd. “Decreto Cutro”(Legge n.50/2023), testi disponibili in versione sinottica su www.a-dif.org.

Ai sensi dell’art.15 della Direttiva 2008/115/CE, il trattenimento deve essere disposto per iscritto ed è motivato in fatto e in diritto. “Quando il trattenimento è disposto dalle autorità amministrative, gli Stati membri: a) prevedono un pronto riesame giudiziario della legittimità del trattenimento su cui decidere entro il più breve tempo possibile dall’inizio del trattenimento stesso, b) oppure accordano al cittadino di un paese terzo interessato il diritto di presentare ricorso per sottoporre ad un pronto riesame giudiziario la legittimità del trattenimento su cui decidere entro il più breve tempo possibile dall’avvio del relativo procedimento. In tal caso gli Stati membri infor mano immediatamente il cittadino del paese terzo in merito alla possibilità di presentare tale ricorso”. Secondo la stesa norma, “Quando risulta che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi di ordine giuridico o per altri motivi o che non sussistono più le condizioni di cui al paragrafo 1, il trattenimento non è più giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata”.

7. Se si osservano le prassi applicate in queste prime settimane dall’entrata in vigore della legge n.50 del 2023, soprattutto nel centro Hotspot di Lampedusa, ricorrono ancora tutte le ragioni che hanno portato alla condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, nei casi Khlaifia, nel 2016 e J.A. nel 2023, entrambi relativi a cittadini tunisni internati nel centro di Contrada Imbriacola e quindi rimpatriati senza il rispetto delle garanzie previste dalla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo. In questo ultimo caso, la Corte di Strasburgo ha dichiarato che le condizioni materiali nel centro di prima accoglienza di Contrada Imbriacola configuravano un trattamento inumano e degradante di cui all’art. 3 della CEDU. Si trattava di detenzione senza alcuna base giuridica e senza una decisione individuale motivata, e dunque corrispondeva alla privazione arbitraria della libertà personale di cui all’art. 5 §§ 1, 2 e 4 della CEDU. Inoltre, respingendo i ricorrenti in Tunisia senza una giusta procedura che avesse accertato le circostanze individuali, l’Italia ha violato il divieto di espulsione collettiva di stranieri di cui all’art. 4 del Protocollo 4.

Nel caso della condanna dell’Italia per il trattenimento arbitrario nell’Hotspot di Lampedusa nel 2017, alla quale si rinvia per la sua articolata motivazione, la Corte di Strasburgo oltre a riconoscere la ricorrenza della violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti (art. 3 CEDU), afferma la violazione dell’art. 5 paragrafo 1 della stessa Convenzione, per un trattenimento arbitrario “de facto” durato dieci giorni, in assenza di una esplicita previsione di legge, e di correlati provvedimenti amministrativi. Infatti ” In the light of the above considerations and bearing in mind that the applicants were placed at the Lampedusa hotspot by the Italian authorities and remained there for ten days without a clear and accessible legal basis and in the absence of a reasoned measure ordering their retention, before being removed to their country of origin, the Court finds that the applicants were arbitrarily deprived of their liberty, in breach of the first limb of Article 5 § 1 (f) of the Convention.”

Secondo la piu’ recente condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, in CASE OF J.A. AND OTHERS v. ITALY (Application no. 21329/18) The Court considers that the nature and function of hotspots under the domestic law and the EU regulatory framework may have changed considerably over time (see, for example, paragraphs 33-35 above, where it appears that the aim of hotspots has become that of managing an existing or potential disproportionate migratory challenge, thus possibly not excluding deprivation of liberty, rather than the original aim of merely swiftly identifying, registering and fingerprinting incoming migrants – see, in particular, paragraph 32 above). Be that as it may, the Court notes that at the time of the facts, that is in 2017, the Italian regulatory framework did not allow for the use of the Lampedusa hotspot as a detention centre for aliens“.

Ed è alla luce delle motivazioni di queste sentenze di condanna dell’Italia che vanno riguardate le attuali procedure accelerate in frontiera che, con il ricorso alla categoria del “paese terzo sicuro”, per adottare procedure accelerate in frontiera e dichiarare immediatamente inammissibili le domande di protezione delle persone provenienti da quei paesi, costituiscono la principale “arma” che il governo Meloni sta mettendo in atto per ridurre in modo generalizzato le possibilità di ingresso in Italia. In realtà, si produce così l’effetto ultimo di un incremento esponenziale della presenza di cittadini stranieri irregolari, se non in una condizione di vera e propria clandestinità, certamente potenziali vittime di ogni forma di sfruttamento, se non riusciranno conunque a lasciare il nostro paese. Perchè è a tutti noto da anni che oltre 4000-5000 espulsioni con accompagnamento forzato, sull’arco di dodici mesi, non se ne fanno e dunque tutti coloro che non avranno accesso alla procedura di riconoscimento di uno status di protezione, e coloro che verranno denegati con procedure accelerate e di fatto sommarie e vessatorie,magari con il ricorso generalizzato alla categoria di “paesi terzi sicuri”, resteranno comunque in Italia senza un titolo di soggiorno.

Secondo Mauro Palma, garante dei diritti delle persone private della libertà, “I rimpatri, ancor più con questo obiettivo dei respingimenti alla frontiera che mi desta forti perplessità di principio e legittimità, sono un modello a perdere, che gioca solo sul simbolico e sull’opinione pubblica”.

In ogni caso, anche nelle “procedure in frontiera”, dovranno rispetttarsi quelli che sono stati definiti come ” I fondamenti unionali e costituzionali della protezione complementare e la protezione speciale direttamente fondata sugli obblighi costituzionali ed internazionali dello Stato”. Anche nel caso di persone provenienti o transitate da paesi terzi ritenuti “sicuri”. La farneticazioni di alcuni esponenti dell’attuale maggioranza di governo sui poteri sovrani degli Stati potrebbero infrangersi prima o poi sulla riaffermazione del primato del diritto internazionale ed euro-unitario, almeno quando vengono in gioco la protezione dei diritti fondamentali delle persone ed il diritto di accedere al territorio per presentare una richiesta di protezione. Non si potranno certo cancellare con un decreto legge il principio ad un ricorso effettivo e le garanzie in materia di libertà personale, garantiti peraltro anche dalla nostra Carta Costituzionale.

8. Le modifiche introdotte dalla legge n.50 del 2023 in materia di procedure di asilo non riguardano soltanto i richiedenti protezione speciale, ma si rivolgono a tutti coloro che al momento dell’arrivo in una frontiera italiana dichiarano di essere portatori di una istanza di protezione, quale che sia il mezzo di comunicazione, anche i segni delle mani, senza bisogno di una immediata richiesta formale. La individuazione in frontiera, subito dopo l’ingresso, o lo sbarco, dei richiedenti asilo, come dei minori non accompagnati o delle donne vittime di violenza, o di altre persone in condizioni di particolare vulnerabilità è della massima importanza. E radica nel richiedente la garanzia del divieto di respigimento o di espulsione (art. 33 Convenzione di Ginevra), per tutta la durata del procedimento, e di eventuali ricorsi.

In base all’art. 7 comma 1 bis della legge 50/2023, con riguardo alla domanda di protezione internazionale presentata direttamente alla frontiera o zona di transito da uno straniero proveniente da Paese di origine sicuro oppure fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli, la procedura accelerata di esame della domanda può essere dunque svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito. L’esito delle istanze sembra però in molti casi del tutto scontato. Se si incrociano gli effetti del Decreto del ministero degli esteri del 17 marzo scorso sui “paesi terzi sicuri”, che ne amplia la lista e restringe il riconoscimento della protezione a chi provenga da paesi come la Nigeria, il Gambia, la Tunisia, con il testo definitivo del Decreto Cutro, si vedono gli effetti nefasti della deterrenza attuata attraverso misure amministrative che restringono l’accesso ad uno status legale di soggiorno. All’atto della presentazione della domanda di protezione internazionale l’ufficio di polizia deve informare il richiedente che, ove proveniente da un Paese designato di origine sicuro ai sensi dell’art. 2-bis, la domanda può essere rigettata dalla Commissione territoriale ai sensi dell’art. 9, co. 2-bis (art. 10, co. 1, d.lgs. n. 25/2008), cioè che se non produrrà elementi gravi per fare capire che la sua situazione individuale non è sicura la domanda potrà essere ritenuta manifestamente infondata per questo solo motivo; in questi casi sarà un onere a carico del richiedente protezione invocare di fronte alla Commissione territoriale “gravi motivi” per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova (art. 2-bis, co. 5, d.lgs. n. 25/2008). La domanda di protezione internazionale è esaminata in questi casi con procedura accelerata (ai sensi dell’art. 28-bis, d.lgs. 25/2008).

Come scrive Martina Flamini in un importante articolo pubblicato da Questione Giustizia,“in applicazione della nozione di «Paese di origine sicuro», il diniego della domanda diprotezione potrebbe assumere carattere stereotipato, finendo per restare sostanzialmente privo di motivazione, almeno fino alla fase giurisdizionale: sarebbe rimesso al giudice – in caso di (eventuale) ricorso – l’espletamento della valutazione in ordine all’effettiva sicurezza nel Paese di origine (con particolare attenzione al rischio di refoulement), data per presupposta in fase amministrativa.
Peraltro, lo stesso decreto interministeriale con cui sono stati designati i Paesi di origine considerati sicuri ai fini dell’applicazione della relativa disciplina, in forza della sua portata generale, non rientra tra gli atti sottoposti ad obbligo di motivazione (art. 3, comma 2 L. 241/1990). Da esso, si evince che le valutazioni relative allo stato di sicurezza dei Paesi di origine sono stati effettuate dalla Commissione nazionale per il diritto d’asilo, in forza delle informazioni fornite dai competenti uffici geografici del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Tuttavia, dalla mera elencazione dei Paesi di origine considerati sicuri contenuta nel decreto17, non è possibile individuare quali siano le ragioni che hanno determinato l’inserimento di determinati Paesi e non di altri all’interno della lista. In particolare, come osservato nel caso della Nigeria, le ragioni di perplessità aumentano laddove i numerosi elementi di criticità riscontrati nella scheda paese militino nel senso
opposto ad una conclusione in termini di sicurezza del Paese.
La normativa nazionale descritta pare porsi in contrasto, innanzitutto, con quanto statuito
dall’articolo 11, paragrafo 2 della direttiva 2013/32, in virtù del quale è espressamente previsto un obbligo di motivazione in fatto e in diritto del provvedimento di rigetto della domanda di protezione internazionale
“. E ancora ” L’obbligo di congrua motivazione, che esplichi l’iter logico-argomentativo seguito dall’autorità competente per giungere ad una determinata conclusione, è posto a tutela del diritto di difesa dell’interessato, il quale può così disporre di un ulteriore strumento di verifica sulla coerenza e ragionevolezza dell’operato dell’autorità decidente. Come precisato dalla Corte di giustizia, «[il diritto al contraddittorio] implica anche che l’amministrazione competente presti tutta l’attenzione necessaria alle osservazioni della persona coinvolta esaminando, in modo accurato e imparziale, tutti
gli elementi rilevanti della fattispecie e motivando circostanziatamente la sua decisione (v. sentenze Technische Universität München, C-269/90, punto 14, e Sopropé, punto 50), laddove l’obbligo di motivare una decisione in modo sufficientemente dettagliato e concreto, al fine di consentire all’interessato di comprendere le ragioni del diniego opposto alla sua domanda, costituisce un corollario del principio del rispetto dei diritti della difesa (sentenza M., punto 88)»

9. Il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e la Commissaria Europea agli Affari Interni, Ylva Johansson, visiteranno martedì 4 luglio alle ore 10:15 l’hotspot di Lampedusa. Malgrado la fase di impasse che si è registrata nell’ultimo Consiglio europeo dei capi di governo riuniti a Brixelles il 29 e 30 giugno,, in attesa delle prossime elezioni fissate per il 2024, il governo italiano continua a cercare l’appoggio della Commissione europea per legittimare le proprie politiche di esternalizzazione, spacciate per la nuova “dimensione esterna” delle politiche migratorie europee. .Sarebbe in astratto possibile una diversa politica di gestione delle frontiere ? Ha senso oggi formulare proposte alternative, anche di fronte al silenzio di quasi tutti i partiti di opposizione, mai tanto divisi sulle scelte che riguardano l’immigrazione e l’asilo ? Esiste ancora uno spazio applicativo per il diritto di asilo costituzionale e per il divieto di respingimento sancito dall’art.33 della Convenzione di Ginevra ?

Siamo ormai davanti ad una china assai pericolosa, anche per la democrazia nel nostro paese, verso la cancellazione sostanziale dei principi di solidarietà, a partire dal diritto di essere soccorso in mare, in acque internazionali e di raggiungere un porto sicuro, e poi di chiedere asilo in frontiera, con una collaborazione sempre più ricercata, malgrado risultati ancora parziali, con governi di paesi terzi che non rispettano i diritti umani.

Piuttosto che formulare proposte normative che sarebbero schiacciate dall’attuale maggioranza parlamentare, che su questi temi sta svuotando persino la rappresentatività reale di Camera e Senato, occorre accrescere il lvello della mobilitazione, rafforzare i colllegamenti con le comunità migranti, anche tra le due sponde del Mediterraneo, estendere le reti di assistenza e difesa legale attorno tutti i centri di detenzione (impropriamente chiamati “di prima accoglienza”) nei quali si praticano procedure accelerate in frontiera, dunque nei centri Hotspot e negli “altri luoghi a disposizione” del Ministero dell’interno, verso cui possono trasferirirsi a discrezione le persone appena sbarcate, private di informazioni e di assistenza legale. Occorre moltiplicare le denunce a livello nazionale ed internazionale, su tutte le prassi ammnistrative che non rispettano i diritti e le garanzie sancite da Regolamenti e Direttive europee, oltre che da Convenzioni internazionali. Particolarmente critica la condizione dei soggetti particolarmente vulnerabili, come la maggior parte delle persone che arrivano dalla Libia dopo avere subito gli abusi più atroci, che secondo la giurisprudenza italiana, possono costituire ragione per il riconoscimento di uno status di protezione, anche se si proviene da “paesi terzi sicuri”.

In base all’art.117 della Costituzione, nella interpretazione che ne forniscono la Corte di cassazione e la Corte Costituzionale, il legislatore nazionale e le autorità amministrative non possono violare norme di rango superiore di fonte sovranazionale, e quando in passato questo è successo sono arrivate le condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo. Ma le stesse violazioni possono assumere rilievo anche davanti ai giudici nazionali, come è emerso, ed ancora potrà emergere in futuro, in numerosi giudizi in materia protezione richiesta da persone provenienti da “paesi terzi sicuri”, e di procedure di protezione internazionale o umanitaria (speciale), davanti i Tribunali, fino alla Corte di cassazione.


ANSA/Oltre 4mila sbarchi in 48 ore,piano per rimpatri rapidi Piantedosi, strutture negli hotspot per trattenere i migranti (di Massimo Nesticò) (ANSA) –

ROMA, 30 GIU – “Procedure accelerate di frontiera”, la definizione burocratica. In pratica l’obiettivo del Governo è realizzare negli hotspot delle regioni dove avviene la maggior parte degli sbarchi – Sicilia e Calabria – centri di trattenimento dove esaminare nel giro di poche settimane le domande di protezione: chi non ha diritto a restare verrà espulso. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha aperto un tavolo con il guardasigilli Carlo Nordio per accelerare i tempi. In coincidenza con un’impennata degli arrivi: oltre 4mila in 48 ore. Il centro di Lampedusa scoppia con 3mila ospiti (la capienza è di 400). E potrebbe esserci stato un naufragio con dispersi, secondo quanto raccontato da migranti sbarcati nella notte sull’isola. E’ il decreto Cutro a prevedere il potenziamento della rete dei Centri di permanenza per il rimpatrio e ad introdurre la procedura accelerata per le domande di protezione internazionale presentate direttamente alla frontiera o in zone di transito, nel caso in cui il richiedente provenga da Paese di origine sicura, come ad esempio la Costa d’Avorio (in testa quest’anno con 7.921 arrivi) e Tunisia (4.318). In questa casistica viene fatto rientrare anche chi è stato fermato per aver eluso i controlli. Durante la procedura accelerata è introdotta la possibilità del trattenimento del richiedente asilo. Entro 7 giorni dalla ricezione della domanda dovrà esserci una risposta dalla Commissione territoriale asilo…(segue).


VI. EXTERNAL RELATIONS 38. The European Council discussed preparations for the EU-CELAC Summit. It will be an opportunity to renew and strengthen a p…

European Council

30/06/2023 13:28 | Press release |

European Council conclusions on external relations, Eastern Mediterranean and other items, 30 June 2023

VI. EXTERNAL RELATIONS

38. The European Council discussed preparations for the EU-CELAC Summit. It will be an opportunity to renew and strengthen a partnership based on shared values, history and culture, and to agree on a positive and forward-looking agenda. Regular and structured bi-regional dialogue will ensure the follow-up and implementation of concrete actions in areas of common interest, including trade and investment. The European Council underlines the importance of addressing together the global climate and environmental crises, rising inequalities, the opportunities of digital transformation and the need to diversify supply chains, as well as unprecedented threats to global security and the rules-based order.

39. The European Council held a strategic discussion on the European Union’s relations with partners in the Southern Neighbourhood. In this context, the European Council welcomes work done on a mutually beneficial comprehensive partnership package with Tunisia, building on the pillars of economic development, investment and trade, the green energy transition, migration and people-to-people contacts, and supports the resumption of political dialogue in the context of the EU-Tunisia Association Agreement. It underlines the importance of strengthening and developing similar strategic partnerships between the European Union and partners in the region.

40. Recalling the EU-Western Balkans Thessaloniki Summit Declaration of 21 June 2003, the subsequent Sofia, Zagreb, Brdo and Tirana Declarations and its previous conclusions, notably those of 23-24 June 2022, the European Council reiterates its full and unequivocal commitment to the EU membership perspective of the Western Balkans and its support for the acceleration of the merit-based accession process and the related reforms.

41. The European Council condemns the recent violent incidents in the north of Kosovo* and calls for an immediate de-escalation of the situation, based on the key elements already outlined by the European Union on 3 June 2023. The parties should create the conditions for early elections in all four municipalities in the north of Kosovo. Failure to de-escalate the tensions will have negative consequences. It is essential that the EU-facilitated dialogue led by the High Representative and the swift implementation of the Agreement on the path to normalisation and its Implementation Annex continue. This includes the establishment of the Association/Community of Serb Majority Municipalities.

42. In line with commitments on multilateralism made at the European Union-African Union Summit of 17-18 February 2022, the European Council supports the African Union’s reinforced presence in international forums, notably in the G20.

VII. EASTERN MEDITERRANEAN

43. Recalling its previous conclusions, the European Council remains fully committed to a comprehensive settlement of the Cyprus problem, within the UN framework, in accordance with the relevant UNSC resolutions and in line with the principles on which the EU is founded and the acquis. The European Union calls for the speedy resumption of negotiations and is ready to play an active role in supporting all stages of the UN-led process, with all appropriate means at its disposal.

44. Recalling its previous conclusions on the EU’s relations with Türkiye, including those of June 2021 and the March 2021 Statement, and in light of the recent elections in Türkiye, the European Council invites the High Representative and the Commission to submit a report to the European Council on the state of play of EU-Türkiye relations, building on the instruments and options identified by the European Council, and with a view to proceeding in a strategic and forward-looking manner.

VIII. OTHER ITEMS

45. The European Council acknowledges the challenges posed by cross-sectoral and cross-border crises and natural and human-made disasters, many of which are exacerbated by climate change and the evolving security landscape in Europe and globally. It underlines the importance of strengthening resilience in strategic areas through an all-hazards approach to preparedness and response using relevant mechanisms, including the Union Civil Protection Mechanism.


LA STAMPA

Vertice Ue, dopo lo stop di Orban sui migranti saltano le conclusioni nel testo finale. Meloni: “Su dimensione esterna consenso unanime, nessun pessimismo su terza rata Pnrr”