di Fulvio Vassallo Paleologo
1.Introduzione
Dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della Legge n.50/2023 che ha convertito con sostanziali integrazioni il Decreto legge n.20/2023, impropriamente definito come “Decreto Cutro”, si è appreso che durante l’iter di conversione del decreto legge in Parlamento, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR- UNHCR) aveva inviato una “Nota tecnica” al governo, nel tentativo di avviare un confronto su diversi punti “critici” che non rispettavano norme internazionali o Direttive dell’Unione Europea. Come ha dichiarato la rappresentante dell’UNHCR per l’Italia, “Avevamo rappresentato queste criticità, confidando che nel procedimento legislativo alcuni correttivi potessero essere apportati”. Secondo quanto emerge da una interrogazione parlamentare presentata al ministro dell’interno Piantedosi da Filiberto Zaratti, capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra nella commissione Affari costituzionali della Camera, il governo Meloni, ed i componenti della maggioranza che ha fatto approvare la Legge 50/2023, senza neppure ottenere il parere delle competenti commissioni Affari costituzionali che pure avevano svolto numerose audizioni, ha ignorato le sollecitazioni provenienti da una importante agenzia delle Nazioni Unite.
Nella Nota tecnica dell’UNHCR si esprimevano valutazioni positive per le previsioni che ampliavano le possibilità di ingresso legale per lavoro, rilevandosi dubbi sulla” fattibilità delle misure previste”, ma nella parte centrale del documento si sollevavano numerose “gravi perplessità”, come si usa dire nel linguaggio diplomatico, sulle nuove norme in materia di procedure di protezione, di accoglienza e di trattenimento amministrativo, oltre che di riduzione dei casi di protezione complementare, “per quanto riguarda la loro compatibilità con la normativa internazionale sui rifugiati e sui diritti umani”.
Le stesse norme risultano in contrasto con consolidati orientamenti della giurisprudenza italiana e con principi indrogabili di rango costituzionale ed euro-unitario, e dunque i giudici che dovranno effettuare le convalide dei provvedimenti di trattenimento e di allontanamento forzato dovranno tenere conto del sistema gerarchico delle fonti nornative e dei limiti di natura costituzionale o internazionale che si pongono anche al legislatore nazionale. L’attivazione immediata di nuove strutture di accoglienza/trattenimento, non solo a scopo di prima identificazione, rende quanto mai urgente un deciso intervento degli organi giurisdizionali per ripristinare la legalità costituzionale. A meno che non prevalga un nuovo atteggiamento di adeguamento alle scelte dell’esecutivo, che sta affiorando in alcuni settori degli organi inquirenti, che potrebbe compromettere il principio di autonomia ed indipendenza della magistratura, cardine dello Stato democratico, come del resto potrebbe essere violato il principio inderogabile dell’“habeas corpus”, fissato dall’art. 13 della Costituzione italiana. I procedimenti di comvalida non possono diventare mere ratifiche delle decisioni delle autorità amministrative.
Secondo la giurisprudenza più risalente, il giudice in sede di convalida del decreto del questore di trattenimento dello straniero raggiunto da provvedimento di espulsione, è investito del potere di rilevare incidentalmente, ai fini della decisione di sua competenza, la manifesta illegittimità del provvedimento di espulsione (Corte di Cassazione Sez. Sesta civile Ordinanza N. 12609 del 05.06.2014). Ed anche il provvedimento giudiziale che convalida la proroga del trattenimento deve contenere l’accertamento della sussistenza delle ragioni addotte a sostegno della richiesta (Cass. n. 5200/2023). La stessa Corte di Cassazione ha ritenuto con ordinanza sez. VI civ. 12.10.2022 n. 29881, privo di motivazione il provvedimento di proroga del trattenimento che affermava di ritenere non condivisibili i motivi dedotti nelle memorie difensive, senza dar conto delle ragioni della proroga né delle ragioni di rigetto delle deduzioni difensive, le quali ultime non venivano richiamate neppure per sintesi. Nell’ordinanza sez. VI civ. 6.10.2022 n. 29152, la Corte ha affermato che i provvedimenti di convalida e di proroga sono misure cautelari suscettibili di revoca e modifica ai sensi dell’art. 742 c.p.c. e in applicazione diretta dell’istituto del riesame previsto dall’art. 15, par. 4, della direttiva 2008/115/CE).
Spesso la documentazione formata dalle questure impedisce però un effettivo esercizio dei poteri della giurisdizione e dei diritti di difesa, come, ad esempio, si verifica quando adottano provvedimenti di espulsione con decreti di accompagamento immediato sulla base della compilazione -non si sa quanto consapevole da parte dell’interessato- del cd. “foglio notizie”, in cui il cittadino straniero sembra dichiarare di non volere richiedere la protezione internazionale, e dunque perde il diritto di resistere al provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale. Come si è documentato in diversi casi, in realtà manca spesso la dovuta informazione ed una piena consapevolezza sulla compilazione del “foglio notizie”- La indicazione, magari attraverso una crocetta sbarrata, che lo straniero non intende chiedere protezione internazionale, costituice soltanto un espediente per dare esecuzione immediata al provvedimento di espulsione con accompagnamento forzato, senza lasciare tempo per l’esercizio dei diritti di difesa previsti dall’art. 24 dalla Costituzione, per tutti, cittadini e stranieri, nessuno escluso. Anche di questi casi dovrebbero occuparsi i giudici che convalidano i provvedimenti di trattenimento amministrativo e di allontanamento forzato, che non si possono limitare alla regolarità formale dei documenti sottoposti al loro esame.
2. La abolizione (mancata) della protezione speciale
La Nota tecnica dell’UNHCR è stata ignorata da quasi tutti i grandi mezzi di informazione, e i primi commenti hanno messo in rilievo come, alla fine, contenesse una critica alla forte restrizione della possibilità di riconoscere la “protezione speciale”, nel mirino della Lega di Salvini già nella precedente previsione di “protezione umanitaria”, riconosciuta anche dalla Corte di Cassazione, ma abrogata nel 2018 dal primo Decreto sicurezza n.113 del 2018. Al riguardo l’UNHCR, pur riconoscendo i limiti del suo mandato (limitato alla protezione internazionale) rileva“la necessità di garantire una forma di protezione complementare alle persone che, in caso di rientro nel proprio Paese, rischino una violazione dei propri diritti fondamentali, così come tutelati dal sistema di protezione dei diritti umani internazionale e regionale. E dunque ribadisce una portata più ampia ed una maggiore valenza residuale per i casi di protezione speciale ancora disciplinati dall’art. 5.6 del Testo Unico sull’immigrazione e dall’art. 19 comma 1, nei periodi che non sono stati abrogati dalla legge n.50/2023. Esattamente come stabilisce da anni una consolidata giurisprudenza italiana con la quale si dovrà verificare anche, nelle prime applicazioni dopo l’entrata in vigore della legge, la sua corrispondenza agli obblighi costituzionali ed internazionali. Va ricordata a tale riguardo la nota sentenza della Corte di cassazione (prima sezione) n. 4455 del 23.2.2018, con cui si affermava che che la condizione di «vulnerabilità» può «avere ad oggetto anche la mancanza delle condizioni minime per condurre un’esistenza nella quale non sia radicalmente compromessa la possibilità di soddisfare i bisogni e le esigenze ineludibili della vita personale, quali quelli strettamente connessi al proprio sostentamento e al raggiungimento degli standard minimi per un’esistenza dignitosa», oltre a poter essere «la conseguenza di un’esposizione seria alla lesione del diritto alla salute, non potendo tale primario diritto della persona trovare esclusivamente tutela nel d.lgs. n. 286 del 1998, art. 36» o ancora «essere conseguente ad una situazione politico-economica molto grave con effetti d’impoverimento radicale riguardanti la carenza di beni di prima necessità, di natura anche non strettamente contingente, od anche discendere da una situazione geo-politica che non offre alcuna garanzia di vita all’interno del Paese di origine (siccità, carestie, situazioni di povertà inemendabili)». Secondo la Corte di Cassazione «Queste ultime tipologie di vulnerabilità richiedono l’accertamento rigoroso delle condizioni di partenza di privazione dei diritti umani nel Paese d’origine perché la ratio della protezione umanitaria rimane quella di non esporre i cittadini stranieri al rischio di condizioni di vita non rispettose del nucleo minimo di diritti della persona che ne integrano lai dignità».
3. Dal trattenimento amministrativo all’esecuzione dei provvedimenti di respingimento e di espulsione.
La parte centrale della “Nota tecnica” dell’UNHCR che nelle scorse settimane il governo Meloni e la maggioranza che lo sostiene in Parlamento hanno ignorato, riguarda le procedure di frontiera, i casi di trattenimento amministrativo, in particolare anche con riferimento ai richiedenti asilo, e le ulteriori modifiche procedurali che hanno gravemente inciso sui diritti fondamentali di tutte le persone che giungono in frontiera. Persone che vanno considerate da subito portatrici di istanze di protezione e di garannzie di difesa il cui riconoscimento non può essere rimesso all’arbitrio del legislatore o alla “discrezonalità tecnica” degli apparati amministrativi e di polizia. Emerge chiaramente come il governo abbia puntato invece sulle modifiche procedurali per trasformare nel più breve tempo possibile i richiedenti protezione denegati in migranti irregolari, magari da trattenere o detenere in vista dell’allontanamento forzato dal territorio nazionale, tanto da negare comunque uno standard di accoglienza in linea con le Direttive europee, non solo per coloro che manifestano la volontà di chiedere asilo, ma comunque per tutti quelli fanno ingresso nel territorio nazionale per ragioni di soccorso.
In questa sede tratteremo specificamente dei problemi inerenti i casi sempre più frequenti, anche se non si vede come praticabili nell’immediato, del trattenimento amministrativo delle persone che fanno ingresso via mare, in modo autonomo o dopo essere stati soccorsi, da mezzi statali, o, più raramente da una ONG. Per questi casi, come affermato in diverse sentenze di condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’Uomo, oltre alle norme interne, si devono rispettare norme internazionali, e segnatamente quelle previste dalla CEDU, in particolare gli articoli 3, 5, 8 e 13, che trovano riscontro anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. L’art. 3 della CEDU vieta trattamenti inumani o degradanti, per i quali l’Italia ha subito diverse condanne per i trattenimenti illegittimi operati nel centro Hotspot di Lampedusa nel 2011 e nel 2017. L’art. 5 della CEDU prevede garanzie precise in materia di limitazioni della libertà personale, tanto che le procedure di trattenimento vanno previste per legge, mentre l’art. 13 della CEDU stabilisce invece il diritto a un ricorso effettivo dinanzi ad un istanza nazionale a ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti dalla Convenzione siano stati violati , Ma si devono rispettare anche i principi costituzionali e la normativa nazionale in materia di diritto di asilo e libertà personale, tenendo dunque conto, oltre che di tutti i diritti fondamentali affermati dalla Costituzione (come il diritto alla salute sancito dall’art. 32) dei diritti di asilo costituzionale (art.10), alla libertà personale (art.13), e di difesa (art.24).
Verificheremo adesso quanto le procedure previste dalla nuova legge 50/2023 potranno impattare sui casi che verranno sottoposti al’esame dei giudici di pace e dei Tribunali (nel caso di richiedenti asilo) per la convalida dei provvedimenti di trattenimento amministrativo e degli atti amministrativi che li precedono, di respingimento differito o di espulsione. Senza che sia ancora possibile ricorrere, come in passato si è pure tentato, al mero respingimento diretto previsto dall’art. 10 comma 1 del T.U. n.286/98, che pure rientra tra le procedure di allontanamento forzato previste dalla nota sentenza n.105 della Corte Costituzionale, che impone al riguardo la convalida giurisdizionale e stabilisce il principio della riserva di legge (deve trattarsi in altri termini di procedure previste ed attuate in base ad un atto avente forza di legge). Secondo la Corte Costituzionale, in ogni caso, l’accompagnamento coattivo alla frontiera costituisce una misura coercitiva, incidente sulla libertà personale del soggetto; ad esso, pertanto, devono essere applicate le garanzie stabilite dall’art. 13 Cost., norma rivolta non soltanto ai cittadini, ma a “tutti” e, dunque, anche agli stranieri; tali garanzie comportano la necessità di un controllo giurisdizionale del provvedimento, che deve essere inteso “nella sua accezione più piena”.
4. Impatto delle criticità rilevate dall’UNHCR sulle decisioni degli organi giurisdizionali.
Abbiamo già esaminato le “criticità” che emergono dalle previsioni complessive della legge n.50/2023, soprattutto nella parte che ne costituisce la base politica ed operativa, centrata sulla trasformazione del sistema di accoglienza/detenzione e sulla moltiplicazione delle ipotesi di allontanamento forzato, con una conformazione delle procedure che appare più finalizzata alla realizzazione immediata dei respingimenti e delle espulsioni che alla tutela effettiva dei diritti fondamentali delle persone migranti.
Adesso, anche sulla base della consolidata giurisprudenza in materia di trattenimento amministrativo e allontanamento forzato, verificheremo l’impatto che le osservazioni critiche contenute nella nota tecnica dell’UNHCR potrebbero avere sui procedimenti di convalida e sui ricorsi contro i provvedimenti di respingimento differito adottati dal questore o di espulsione adottati dal prefetto. Provvedimenti scritti e notificati agli interesati, che di certo non saranno pià eludibili o rinviabili, alla luce delle sentenze di condanna dell’Italia da parte della CEDU citate in precedenza, entrambe con riferimento all’hotspot di Lampedusa, ma dotate di una valenza molto più ampia. Nel caso del trattenimento amministrativo le regole imposte dalle Convenzioni internazionali si integrano nei principi affermati dalla nostra Carta Costituzionale per tutti i casi di privazione della libertà personale, senza eccezione alcuna, e vanno attentamente valutate dai giudici delle convalide..
Sembra dunque da escludere che il trattenimento “informale” nei centri di prima accoglienza o nei centri definiti hotspot, si possa protrarre oltre i termini di 48/96 ore previsti dall’art.13 della Costituzione per la comunicazione all’autorità giudiziaria e per la successiva convalida. Anche se la disciplina dell’art.13 ter del Testo Unico n.286/98 sull’immigrazione, pure emendato dalla legge 50/2023, con riferimento ai centri Hotspot ed assimilati, rimane ancora troppo generica, come rimane sostanzialmente affidata alle autorità aministrative la disciplina dello stato giuridico delle persone che vi vengono trattenute anche al di fuori delle esigenze della prima identificazione. Si tratta di un grave vulnus alle garanzie costituzionali in materia di libertà personale, che i successivi interventi legislativi non hanno ancora eliminato anche a fronte delle prassi amministrative imposte dal Ministero dell’interno.
A proposito dell’art. 13 ter del Testo Unico appena citato, si osservava già in un Parere del 25 novembre 2018 dell’Associazione Nazionale Magistrati (ANM), come “la norma non sembra prevedere il procedimento di convalida per il trattenimento negli Hotspot, ma esso deve ritenersi applicabile anche a tale fase del trattenimento, pena la manifesta illegittimità costituzionale per violazione dell’art 13 della Costituzione”.
Si può anche ricordare come la Corte di Cassazione, con due successive pronunce (n. 18189/2020 e n. 18322/2020) del 25 giugno 2020 abbia dichiarato illegttimi i provvedimenti di convalida del trattenimento emessi dal Giudice di Pace di Trapani e dal Tribunale di Palermo nei confroni di un richiedente asilo di nazionalità tunisina. In quei casi erano state le autorità di polizia a distinguere tra “richiedenti asilo” e “migranti economici” sulla base di un secondo. “foglio notizie” compilato dopo lo sbarco e l’ingresso nella struttura di prima accoglienza.
La distinzione tra “migranti economici” e richiedenti asilo, che di fatto diventava da allora la principale funzione dell’approccio Hotspot, non può competere esclusivamente alle autorità amministrative, sia pure con il concorso dell’UNHCR e dell’Agenzia europea EASO. Il decreto legislativo n. 142/2015 (attuativo della Direttiva 2013/33/UE sull’accoglienza dei richiedenti la protezione internazionale e della Direttiva 2013/32/UE sulle qualifiche della protezione internazionale) definisce come richiedente asilo/protezione internazionale colui che ha “manifestato la volontà di chiedere tale protezione”. Si diventa dunque “richiedenti asilo” per effetto della prima manifestazione di volontà di richiedere protezione, anche se questa verrà formalizzata in seguito. E sulla distinzione tra migranti economici e titolari di un diritto alla protezione può decidere soltanto una Commissione territoriale, salvi tutti i mezzi di ricorso previsti dalla legge.
Dopo l’approvazione della legge n.50/2023 che estende i casi di detenzione amministrativa anche all’interno dei centri Hotspot e di prima accoglienza, velocizzando le procedure e restringendo i casi di riconoscimento di uno status legale, le attività giurisdizionali di convalida dei trattenimenti, dei respingimenti e delle espulsioni (quando saranno possibili) affidate ai giudici di pace e nel caso dei richiedenti asilo ai tribunali, diventano così ancora più importanti per impedire la violazione di obblighi di natura costituzionale ed internazionale che comunque incombono a tutti gli organi dello Stato.
Le modifiche introdotte dalla legge n.50 del 2023 in materia di procedure di asilo non riguardano soltanto i richiedenti protezione speciale, ma si rivolgono a tutti coloro che al momento dell’arrivo in una frontiera italiana dichiarano di essere portatori di una istanza di protezione, quale che sia il mezzo di comunicazione, anche i segni delle mani, senza bisogno di una immediata richiesta formale. La individuazione in frontiera, subito dopo l’ingresso, o lo sbarco, dei richiedenti asilo, come quella dei minori non accompagnati o delle donne vittime di violenza, è della massima importanza, e radica nel richiedente la garanzia del divieto di respigimento o di espulsione (art. 33 Convenzione di Ginevra), per tutta la durata del procedimento, e di eventuali ricorsi.
Le notazioni critiche pubblicate adesso dall’UNHCR, dopo il mancato confronto con il governo, prima dell’approvazione definitiva della legge m.50/2023, assumono quindi un notevole rilievo perchè possono costituire un utile criterio di valutazione che gli organi della giurisdizione, fino ai livelli più alti, dovranno considerare quando si tratterà di procedere alla convalida dei provvedimenti amministrativi di trattenimento o di allontanamento forzato tanto dei migranti ritenuti irregolari ( o definiti “economici”) quanto dei richiedenti asilo, prima o dopo l’eventuale diniego della domanda.
Passiamo adesso all’esame dei punti più salienti della nota tecnica predisposta dall’UNHCR sulla legge n.50 del 2023, rinviando comunque al testo integrale della Nota per verificare le conseguenze più immediate che le criticità rilevate ed i richiami alle fonti sovranazionali potranno avere nella fase, che si prevede assai conflittuale, delle procedure giurisdizionali di convalida delle misure di trattenimento e dei provvedimenti di respingimento e di espulsione. Anche il giudice interno nelle sue decisioni rimane comunque tenuto al rispetto delle norme internazionali ed euro-unitarie, che integrano l’ordinamento interno con un ruolo gerarchico sovraordinato secondo quanto previsto dagli articoli 10 e 117 della Costituzione italiana.
5. Procedure accelerate e di frontiera, trattenimento amministrativo e “paesi di origine sicuri”
Le procedure accelerate, sono state espressamente previste con il decreto legislativo 18. agosto 2015, n. 142 che ha aggiunto l’art. 28-bis (procedure accelerate) al d.lgs. n. 25/2008.
Il decreto legge “sicurezza” n.113/2018, convertito nella legge 132/2018, aveva già ampliato le ipotesi di procedure accelerate per l’esame delle domande di protezione internazionale. Si era così prevista nel caso della procedura di frontiera di cui al comma 1-ter dell’art. 28-bis del d.lgs 25/2008 (cd. decreto procedure) l’applicazione di una procedura accelerata da applicare al richiedente che “presenti la domanda di protezione internazionale direttamente alla frontiera o nelle zone di transito (…) dopo essere stato fermato per aver eluso o tentato di eludere i relativi controlli (…). In tali casi la procedura può essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito”.
1. La Questura provvede senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale che adotta la decisione entro cinque giorni nei casi di:
a) domanda reiterata ai sensi dell’articolo 29, comma 1, lettera b);
b) domanda presentata da richiedente sottoposto a procedimento penale per uno dei reati di cui agli articoli 12, comma 1, lettera c), e 16, comma 1, lettera d-bis), del decreto legislativo 19 novembre 2007, n. 251, e quando ricorrono le condizioni di cui all’articolo 6, comma 2, lettere a), b) e c), del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, ovvero e’ stato condannato anche con sentenza non definitiva per uno dei predetti reati, previa audizione del richiedente.
2. La Questura provvede senza ritardo alla trasmissione della documentazione necessaria alla Commissione territoriale che, entro sette giorni dalla data di ricezione della documentazione, provvede all’audizione e decide entro i successivi due giorni, nei seguenti casi:
a) richiedente per il quale e’ stato disposto il trattenimento nelle strutture di cui all’articolo 10-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ovvero nei centri di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, qualora non ricorrano le condizioni di cui al comma 1, lettera b);
b) domanda di protezione internazionale presentata da un richiedente direttamente alla frontiera o nelle zone di transito di cui al comma 4, dopo essere stato fermato per avere eluso o tentato di eludere i relativi controlli. In tali casi la procedura puo’ essere svolta direttamente alla frontiera o nelle zone di transito;
c) richiedente proveniente da un Paese designato di origine sicura, ai sensi dell’articolo 2-bis; d) domanda manifestamente infondata, ai sensi dell’articolo 28-ter;
e) richiedente che presenti la domanda, dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare, al solo scopo di ritardare o impedire l’esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento.
Si precisava poi che “I termini di cui al presente articolo possono essere superati ove necessario per assicurare un esame adeguato e completo della domanda, fatti salvi i termini massimi previsti dall’articolo 27, commi 3 e 3-bis
Secondo il comma 6° dell’art. 6 del D. Lgs. 142/2015, così come modificato dall’art. 2 del D.L. 130/2020, “Il trattenimento o la proroga del trattenimento non possono protrarsi oltre il tempo strettamente necessario all’esame della domanda ai sensi dell’articolo 28-bis, commi 1 e 2, del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e successive modificazioni, come introdotto dal presente decreto, salvo che sussistano ulteriori motivi di trattenimento ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286. Eventuali ritardi nell’espletamento delle procedure amministrative preordinate all’esame della domanda, non imputabili al richiedente, non giustificano la proroga del trattenimento”.
Lo steso decreto legge 130/2020 ha modificato l’art. 6 comma 6° del D. Lgs. 142/2015, eliminando ogni riferimento al 3° comma dell’art. 28 bis del D. Lgs. 25/0008 previgente (in precedenza richiamato dal citato art. 6 co. 6° del D. Lgs. 12/2015 sulla possibilità di prorogare il trattenimento) a norma del quale i termini di cui ai commi 1° e 2° dell’art. 28 bis del D. Lgs. 25/2008 – procedure accelerate – potevano essere superati “…ove necessario per assicurare un esame adeguato e completo della domanda, fatti salvi i termini massimi previsti dall’art. 27 co. 3 e 3bis del D. Lgs. 25/2008”.
Adesso si elimina quest’ultima modifica e si ritorna nella sostanza a quanto previsto dal Decreto sicurezza n.113 del 2018.
La nuova norma dettata dall’art. 7 bis della legge 50/2023, prevede che “- 1. Fuori dei casi di cui all’articolo 6, commi 2 e 3-bis, del presente decreto e nel rispetto dei criteri definiti all’articolo 14, comma 1.1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, il richiedente puo’ essere trattenuto durante lo svolgimento della procedura in frontiera di cui all’articolo 28-bis, comma 2, lettere b) e b-bis), del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, e fino alla decisione dell’istanza di sospensione di cui all’articolo 35-bis, comma 4, del medesimo decreto legislativo n. 25 del 2008, al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.
2. Il trattenimento di cui al comma 1 puo’ essere disposto qualora il richiedente non abbia consegnato il passaporto o altro documento equipollente in corso di validita’, ovvero non presti idonea garanzia finanziaria. Entro novanta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente disposizione, con decreto del Ministero dell’interno, di concerto con i Ministeri della giustizia e dell’economia e delle finanze, sono individuati l’importo e le modalita’ di prestazione della predetta garanzia finanziaria.
3. Il trattenimento non puo’ protrarsi oltre il tempo strettamente necessario per lo svolgimento della procedura in frontiera ai sensi dell’articolo 28-bis del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25. La convalida comporta il trattenimento nel centro per un periodo massimo, non prorogabile, di quattro settimane.
4. Nei casi di cui al comma 1, il richiedente e’ trattenuto in appositi locali presso le strutture di cui all’articolo 10-ter, comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, ovvero, in caso di arrivi consistenti e ravvicinati, nei centri di cui all’articolo 14 del medesimo decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, situati in prossimita’ della frontiera o della zona di transito, per il tempo strettamente necessario all’accertamento del diritto ad
entrare nel territorio dello Stato. Si applica in quanto compatibile l’articolo 6, comma 5.
Appare evidente che la previsione secondo cui “entro novanta giorni dalla data di
entrata in vigore della presente disposizione, con decreto del Ministero dell’interno, di concerto con i Ministeri della giustizia e dell’economia e delle finanze, sono individuati l’importo e le modalita’ di prestazione della predetta garanzia finanziaria”. rende inapplicabile, prima dell’entrata in vigore del summenzionato decreto, il trattenimento amministrativo generalizzato dei richiedenti asilo in frontiera. Ogni limitazione della libertà personale adottata nei loro confronti dovrà essere convalidata da un provvedimento dellla magistratura in base alle disoosizioni vigenti prima dell’entrata in vigore del Decreto Cutro e della legge n.50/2023. Qualunque trattenimento amministrativo imposto ai richiedenti asilo in base alla nuova normativa appare dunque privo di basi legali fino a quando il ministero dell’interno non adotterà il decreto di concerto con gli altri ministeri indicati dalla normativa, per stabilire “l’importo e le modalita’ di prestazione della predetta garanzia finanziaria”. Si potrebbero anche configurare, in caso di violazione dei termini dettati dall’art. 13 della Costituzione per la convalida dei provvedimenti di polizia che limitano la libertà personale,, gravi reati, dall’arresto arbitrario fino al sequestro di persona, a carico di tutti i rappresentanti delle autorità amministrative che adottassero siffatti provvedimenti restrittivi.
Secondo le posizioni contenute nei documenti dell’’UNHCR pubblicati in passato , che valgono per tutti i potenziali richiedenti asilo, “la detenzione di richiedenti asilo non dovrebbe essere utilizzata in maniera automatica o obbligatoria per tutti, piuttosto dovrebbe rappresentare l’eccezione. Brevi periodi di trattenimento sono ammissibili nella fase iniziale di verifica dell’identità e durante i controlli di sicurezza quando l’identità è incerta o controversa o emergono elementi indicativi di rischi per la sicurezza. Quando una misura di detenzione è applicata per un fine legittimo, essa deve essere prevista dalla legge, deve fondarsi su di una decisione individuale, e deve risultare strettamente necessaria e proporzionale, avere un durata prestabilita ed essere sottoposta a revisione periodica . La detenzione non dev’essere applicata ai minori”.
Nella sua ultima nota tecnica, l’UNHCR evidenzia innanzitutto come la nuova legge 50/2023 “ estende la preesistente procedura accelerata di frontiera ai richiedenti provenienti da Paesi di origine designati come sicuri e dispone il trattenimento per quei richiedenti, tra coloro che siano stati avviati a tale procedura, i quali non abbiano consegnato il “passaporto o altro documento equipollente” o non prestino “idonea garanzia finanziaria”. Il trattenimento avverrà nei punti di crisi (hotspot) esistenti presso i maggiori luoghi di sbarco, nelle strutture analoghe ai punti di crisi che verranno individuate o nei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR) che si trovino in prossimità della frontiera. I minori e tutte le altre persone con esigenze particolari, come da disposizioni vigenti, sono esonerati da ogni forma di procedura accelerata”.
L’ACNUR dopo una generale considerazione positiva delle procedure accelerate in frontiera, soprattuto nei casi in cui appare maggiormente probabile l’esito positivo della domanda di protezione, “Raccomanda, tuttavia, di incanalare in procedura di frontiera (con trattenimento) solo le domande di protezione internazionale che, in una fase iniziale di raccolta delle informazioni e registrazione, appaiano manifestamente infondate.
In particolare, la domanda proposta dal richiedente proveniente da un Paese di origine sicuro non deve essere incanalata in tale iter quando lo stesso abbia invocato gravi motivi per ritenere che, nelle sue specifiche circostanze, il Paese non sia sicuro. Si sottolinea, a tal fine, la centralità di una fase iniziale di screening, volta a far emergere elementi utili alla categorizzazione delle domande (triaging) e alla conseguente individuazione della procedura più appropriata per ciascun caso.
Si ricorda poi “che tutte le strutture individuate come possibili luoghi di trattenimento ai fini della procedura di frontiera, dovranno essere disciplinate in conformità con quanto previsto
dalla Direttiva accoglienza (art. 10), quanto alle condizioni per il trattenimento dei richiedenti asilo, quali la disponibilità di spazi aperti, la possibilità di comunicare e ricevere visite (da parte di personale UNHCR, familiari, avvocati, consulenti legali e rappresentanti di organizzazioni non governative) e il diritto di essere informati delle norme vigenti nel centro.
Con riferimento ai casi di proroga del trattenimento amministrativo va ricordato quell’importante giurisprudenza interna secondo cui “La verifica della tempestività della richiesta di proroga deve essere comunque effettuata tenendo conto dei termini massimi di trattenimento previsti dalla normativa “(…)per cui va sempre assicurato il diritto al riesame del provvedimento di trattenimento, o di relativa proroga, ai sensi dell’art. 15 della direttiva n. 2008/115/CE, norma self-executing direttamente applicabile nell’ordinamento interno”. Dobbiamo riscontrare a tale riguardo che spesso le questure, per computare i termini di convalida e di proroga del trattenimento, considerano soltanto la data della identificazione o della formalizzazione della richiesta di asilo e non la data effettiva dell’inizio del trattenimento o della prima manifestazione di volontà di chiedere protezione.
I ritardi delle questure nell’istruzione delle domande di protezione e nella loro trasmissione alle Commissioni territoriali non possono comunque andare a danno dei richiedenti. A tale riguardo la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2458 del 3 febbraio 2021 ha stabilito che “… il trattenimento del richiedente la protezione internazionale, se disposto ai sensi del combinato disposto dell’art. 6, sesto comma del d.lgs. n. 142 del 2015 e dell’art. 28-bis del d.lgs. n. 25 del 2008, ovverosia in presenza di una delle ipotesi di cui al secondo comma del richiamato art. 28 bis, non può comunque eccedere la durata massima prevista per l’esame della domanda di protezione da quegli introdotta. (…)”.
L’ordinanza della Cass. civ., sez. VI, n. 5926/2015, ha ribadito “che l’attività di pre-
identificazione, inclusa l’attribuzione della nazionalità, non è in nessun caso idonea a
determinare l’attribuzione, in capo all’individuo, di uno status giuridico definitivo e non
preclude comunque l’esercizio del diritto di richiedere, anche successivamente a tale fase,
la protezione internazionale“
6. Trattenimento dei richiedenti asilo nel corso della procedura per il riconoscimento della protezione
La nota tecnica dell’UNHCR ricorda come “Le modifiche legislative introdotte dalla Legge n. 50 contemplano ulteriori novità in materia di trattenimento, oltre a quanto già osservato in merito alla procedura di frontiera. Si prevede, infatti, che possa essere disposto il trattenimento del richiedente asilo quando questo sia necessario per “determinare gli elementi su cui si basa la domanda di protezione internazionale, che non potrebbero
essere acquisiti senza il trattenimento” e al contempo sussiste un pericolo di fuga. Tra le circostanze in base alle quali valutare, caso per caso, la concreta sussistenza del pericolo di fuga, si contemplano, in particolare, il mancato possesso del passaporto o di altro documento equipollente, in corso di validità, o il fatto di avere in precedenza dichiarato o attestato falsamente le proprie generalità“.
Si rileva come “La misura è stata introdotta con lo scopo di rendere la previgente disposizione conforme alla Direttiva accoglienza (art. 8), che ribadisce il principio generale secondo il quale i richiedenti non possono essere trattenuti al solo scopo di esaminare la domanda di protezione internazionale e, al tempo stesso, individua i criteri in base ai quali il trattenimento può essere disposto, sulla base di una valutazione caso per caso. Tra tali criteri è indicato il rischio di fuga”.
A tale riguardo “ L’UNHCR osserva che il mancato possesso dei documenti, non è di per sé e in assenza di altri indizi di non cooperazione con le autorità, una indicazione univoca nel senso della sussistenza di un rischio di fuga. È noto, infatti, come l’assenza di documenti all’arrivo – come pure, in taluni casi, l’impiego di documenti falsi in uscita dal Paese persecutore – possano essere circostanze connaturate alla condizione stessa di pericolo, che ha determinato la fuga, o connesse al viaggio“
“L’UNHCR raccomanda, pertanto di condurre con rigore le procedure previste per valutare e, ove appropriato, rinnovare la valutazione individuale della necessità, proporzionalità e ragionevolezza del trattenimento di un richiedente asilo, garantendo la partecipazione informata dello stesso ai suddetti procedimenti. A tal fine, è importante offrire informazioni complete e accessibili.
Infine, l’UNHCR ricorda che il trattenimento deve trovare fondamento in uno scopo legittimo,
quale ad esempio l’esecuzione di una decisione definitiva di rimpatrio nei confronti di una persona che non abbia alcun bisogno di protezione o altro titolo di soggiorno. Efficaci interventi per potenziare i rimpatri, a partire da quelli volontari nell’ambito di idonei programmi, sono, quindi, imprescindibili, onde evitare di imporre inutili sacrifici della libertà personale alle persone”.
Appare anche assai dubbio che le nuove previsioni introdotte in Italia in materia di detenzione amministrativa dei richiedenti asilo, che tende a diventare una misura generalizzata, anche in luoghi a disposizione delle autorità, ma non qualificabili come centri di detenzione (CPR), soddisfino il rispetto delle garanzie della libertà personale e degli obblighi procedurali, previsti dalle Direttive dell’Unione europea in materia di rimpatri ed accoglienza dei richedenti asilo, secondo cui “Member States shall not hold a person in detention for the sole reason that he or she is an applicant. The grounds for and conditions of detention and the guarantees available to detained applicants shall be in accordance with Directive 2013/33/EU”. Anche se le Direttive europee prevedono la detenzione amministrativa dei richiedenti asilo nella fase della “prima identificazione”, non si può ritenere che questa possa protrarsi per un tempo indeterminato, con trasferimenti della persona in luoghi diversi di trattenimento, senza la convalida di un giudice, Per non parlare dell’art. 5 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo, secondo cui qualunque forma di limitazione della libertà personale deve verificarsi nel rispetto di regole procedurali fissate per legge.
La Corte di cassazione, sez. VI, 24.10.2016 n. 21423/16, con riferimento alla nozione di rischio di fuga afferma da tempo che questa deve essere interpretata non genericamente, ma in base a quanto previsto all’art. 6, co. 2, lett. d), d.lgs. 142/2015 (aver precedentemente fatto sistematico ricorso ad una falsa attestazione di identità al fine di evitare l’adozione o l’esecuzione di provvedimenti di espulsione, ovvero non avere ottemperato ai provvedimenti disposti dall’autorità tassativamente indicati dalla norma stessa).
Va ricordato che il “Il Tribunale di Milano ha sollevato, con ordinanza 11.12.2022 , questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, co. 5, d.lgs. 142/2015. con riguardo ai provvedimenti di trattenimento adottati dai questori nei confronti di richiedenti asilo e sui termini della successiva convalida, sulla base di una serie di considerazioni che potrebbero estendersi anche alle nuove disposizioni introdotte allo stesso riguardo dalla legge n.50 del 2023. La questione riguarda casi nei quali le autorità di polizia ritardino a trasmettere alla competente autorità la formalizzazione della richiesta di protezione dello straniero già trattenuto in un centro di detenzione amministrativa (non solo CPR), che come è noto può essere anche frutto di una prima espressione verbale del richiedente. Che acquista immediatamente la qualità di richiedente asilo, anche se si trova in un caso di trattenimento pre-espulsivo, tanto che di norma il giudice di pace non convalida la proroga del trattenimento.. Il rischio che si corre nella pratica è che malgrado questa espressione verbale della richiesta di protezione il richiedente, e la mancata convalida della proroga del trattenimento da parte del giudice di pace, venga accompagnato in frontiera prima che la sua volontà venga formalizzata e che il suo trattenimento, in assenza di una ulteriore convalida del giudice di pace, si possa protrarre per diversi giorni, nella pratica anche una settimana,e oltre. E dunque in violazione dell’art. 13 della Costituzione, secondo quanto già affermato dalla Corte Costituzionale a partire dalla sentenza n.105 del 2001. Secondo il Tribunale di Milano, ricorre la “non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6 c. 5 d.lgs. 142/2015 in rapporto all’art. 13 Cost. nella parte in cui, richiamando la disciplina di cui all’art. 14 d.lgs. 286/1998 per la convalida del provvedimento che dispone il trattenimento del soggetto richiedente già trattenuto ai sensi dell’art. 6 c.3 d.lgs. 142/2015, non prevede che il termine di quarantotto ore per investire l’autorità giudiziaria del controllo sul provvedimento di trattenimento decorra dalla acquisizione della qualità di “richiedente” del trattenuto, individuandosi in detto momento la potenziale lesione dei diritti fondamentali della persona sulla quale deve incentrarsi il controllo del giudice.”
7, Il trattenimento amministrativo del richiedente asilo denegato
La legge n.50/2023 introduce pure un nuovo art. 35-ter nel Decreto n.25/2008, con riguardo ai casi di trattenimento amministrativo del richiedente denegato e di sospensione della decisione in materia di riconoscimento della protezione internazionale nella procedura in frontiera. Alla stregua della nuova nornativa introdotta dalla legge n.50 del 2023, ” 1. Quando il richiedente e’ trattenuto ai sensi dell’articolo 6-bis del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, contro la decisione della Commissione territoriale e’ ammesso ricorso nel termine di quattordici giorni dalla notifica del provvedimento e si applica l’articolo 35-bis, comma 3, del presente decreto (n.25/2008). L’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento impugnato e’ proposta, a pena di inammissibilita’, con il ricorso introduttivo. 2. Il ricorso e’ immediatamente notificato a cura della cancelleria al Ministero dell’interno presso la Commissione territoriale o la sezione che ha adottato l’atto impugnato e al pubblico ministero, che nei successivi due giorni possono depositare note difensive. Entro lo stesso termine, la Commissione che ha adottato l’atto impugnato e’ tenuta a rendere disponibili il verbale di audizione o, ove possibile, il verbale di trascrizione della videoregistrazione, nonche’ copia della domanda di protezione internazionale e di tutta la documentazione acquisita nel corso della procedura di esame. Alla scadenza del predetto termine il giudice in composizione monocratica provvede allo stato degli atti entro cinque giorni con decreto motivato non impugnabile. 3. Dal momento della proposizione dell’istanza e fino all’adozione del provvedimento previsto dal comma 2, ultimo periodo, il ricorrente non puo’ essere espulso o allontanato dal luogo nel quale e’ trattenuto. 4. Quando l’istanza di sospensione e’ accolta il ricorrente e’ ammesso nel territorio nazionale e gli e’ rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta di asilo. La sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, disposta ai sensi del comma 3, perde efficacia se il ricorso e’ rigettato, con decreto anche non definitivo”. Con la nuova disciplina introdotta dalla legge 50/2023 si circoscrive così il diritto di ricorso all’autorità giudiziaria ordinaria avverso la decisione della commissione territoriale esclusivamente nei confronti delle decisioni di rigetto (e non anche a quelle di inammissibilità).
L’articolo 46 (Diritto a un ricorso effettivo) della Direttiva 2013/32/CE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (rifusione), attribuisce tuttavia, al richiedente la protezione internazionale, il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice anche nel caso in cui la domanda sia stata giudicata inammissibile. Una questione sulla quale potrebbe essere chiamata a pronunciarsi, anche con un rinvio pregiudiziale per una interpretazione conforme, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
8. Sistema di accoglienza e servizi alla persona, in particolare alle persone vulnerabili
L’UNHCR esprime profonda preoccupazione per la previsione che elimina i servizi alla persona
menzionati in precedenza e raccomanda una revisione normativa che preveda la reintroduzione dei suddetti servizi all’interno delle strutture di accoglienza governative e temporanee, anche attraverso un aumento del pro die pro capite che garantisca l’individuazione sul mercato di enti gestori virtuosi, nonché l’erogazione dei servizi necessari ad assicurare adeguati standard di accoglienza inoltre, anche al fine di sopperire a tale drastica riduzione, l’UNHCR raccomanda il potenziamento della rete di servizi socio-sanitari e di orientamento legale sui territori, e di promozione dell’autonomia e integrazione, a supporto del sistema di accoglienza e a beneficio di tutta la comunità locale, anche attraverso la stipula di specifiche convenzioni tra le competenti Prefetture, i Comuni e i soggetti pubblici e privati presenti sul territorio.
L’UNHCR raccomanda, altresì, che siano prontamente elaborate e approvate, da parte dei
competenti Ministeri, le Linee Guida previste dal decreto legislativo 142/2015 per l’identificazione delle persone con esigenze particolari, anche al fine del trasferimento prioritario del richiedente e dell’identificazione di adeguate misure di accoglienza (art. 9, comma 4-ter). Auspica, altresì, che sia al più presto reso operativo il “Vademecum per la rilevazione il referral e la presa in carico delle persone portatrici di vulnerabilità in arrivo sul territorio ed inserite nel sistema di protezione ed accoglienza” già elaborato e attualmente in fase di approvazione e che sia al contempo organizzata la formazione specifica di tutto il personale operante all’interno delle strutture di accoglienza, relativamente ai suddetti strumenti.
Infine, per quanto riguarda le strutture di accoglienza provvisoria, previste per far fronte alla carenza di posti nei centri governativi e temporanei, l’UNHCR raccomanda che sia introdotta una puntuale disciplina in merito alle funzioni svolte in tali strutture, ai tempi di permanenza nelle stesse e ai diritti delle persone ospitate, inclusi gli standard minimi applicabili per garantire un trattamento dignitoso agli ospiti, nonché le specifiche condizioni di accoglienza da assicurare alle persone con esigenze particolari.
9. Le modifiche procedurali in materia di domande reiterate
Secondo la modifica apportata dalla legge n.50/2023 al primo comma dell’art. 29 del decreto n.25 del 2008, la Commissione territoriale dichiara inammissibile la domanda e non procede all’esame, quando il richiedente ha reiterato identica domanda, dopo che sia stata presa una decisione da parte della Commissione stessa, senza addurre nuovi elementi o nuove prove, in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese di origine, che rendano significativamente piu’ probabile che la persona possa beneficiare della protezione internazionale, salvo che il richiedente alleghi fondatamente di essere stato, non per sua colpa, impossibilitato a presentare tali elementi o prove in occasione della sua precedente domanda o del successivo ricorso giurisdizionale
Con un ulteriore modifica dell’art.29 comma 1 bis– Domanda reiterata in fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento– del Decreto lgs. n.25 del 2008 si prevede che nei casi di cui al comma 1, la domanda e’ sottoposta a esame preliminare da parte del presidente della Commissione territoriale, diretto ad accertare se emergono o sono stati addotti, da parte del richiedente, nuovi elementi o nuove prove rilevanti ai fini del riconoscimento della protezione internazionale e che il ritardo nella presentazione di tali nuovi elementi o prove non e’ imputabile a colpa del ricorrente, su cui grava l’onere di allegazione specifica. Nell’ipotesi di cui al comma 1, lettera a), il presidente della Commissione procede anche all’audizione del richiedente sui motivi addotti a sostegno dell’ammissibilita’ della domanda nel suo caso specifico.
Nella valutazione delle domande reiterate nella fase di esecuzione di un provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale, sembrerebbe dunque scomparire il richiamo già previsto in precedenza, ai “rischi di respingimenti diretti, o indiretti” già previsti sotto la vigenza del Decreto legge (Lamorgese) n.132 del 2020. Questa mancata previsione appare gravemente lesiva dei diritti di difesa del ricorrente, anche alla luce del divieto di trattamenti inumani o degradanti, e persino del divieto di refoulement affermato dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, che si deve ritenere generalmente compreso nel richiamo agli obblighi costituzionali, che rientra ancora nell’ampia formulazione dell’art.5.6 del Testo Unico sull’immigrazione n.286 del 1998, che il legislatore, che ha approvato defintivamente la legge n.50 del 2023 (ex decreto Cutro), non ha abrogato.
Per l’UNHCR, “Le modifiche introdotte in materia di esame preliminare di ammissibilità per le domande reiterate sono volte a rendere più stringente il controllo sulla esistenza di elementi
o risultanze nuove.
L’UNHCR condivide la necessità di proteggere l’integrità del sistema di asilo, anche rispetto alla reiterazione di domande identiche. Tuttavia, l’adozione di misure volte a limitare tale fenomeno non deve tradursi in ostacoli insormontabili nell’accesso alla procedura di asilo per persone con bisogni di protezione internazionale. Un vaglio preliminare sull’ammissibilità della domanda ha l’unico scopo di stabilire la presenza di nuovi elementi, i quali, ove riscontrati, richiedono un esame nel merito della domanda.
Secondo l’UNHCR, inoltre, le domande presentate dopo una decisione adottata in assenza di un esame completo di merito (dopo una rinuncia, o il cd. “ritiro implicito”, ovvero allontanamento ngiustificato dal centro ed estinzione del procedimento) non dovrebbero essere trattate come domande reiterate o, per lo meno, non dovrebbero essere decise senza una intervista personale“.
L’UNHCR sottolinea come un esame preliminare completo ed efficace possa essere condotto solo in presenza dei necessari elementi di valutazione, e, a tal fine, raccomanda di raccogliere tutti gli elementi necessari ad una completa valutazione di ammissibilità al momento della presentazione della domanda reiterata e, ove necessario, nel corso di un colloquio con la persona richiedente. Appositi modelli per la registrazione della domanda, un’informativa chiara, completa e accessibile e la presenza degli interpreti anche in fase di registrazione saranno cruciali nella raccolta di tali elementi.
All’art. 35 bis, comma 5 del decreto n.25/2008, nella nuova formulazione introdotta dalla legge 50/2023, si prevede che “La proposizione del ricorso o dell’istanza cautelare ai sensi del comma 4 non sospende l’efficacia esecutiva del provvedimento che respinge o dichiara inammissibile un’altra domanda reiterata a seguito di una decisione definitiva che respinge o dichiara inammissibile una prima domanda reiterata, ovvero dichiara inammissibile la domanda di riconoscimento della protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 29-bis»;
Il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, intervenendo nell’aula della Camera, ha dato parere favorevole a un ordine del giorno che impegna il governo a una correzione dell’articolo 7 ter del Dl Cutro che riguarda le “disposizioni in materia di decisioni sul riconoscimento della protezione internazionale”. Come era emerso anche da un parere del Comitato per la legislazione, l’articolo, così com’è stato formulato, impedirebbe di fare ricorso nel caso in cui la richiesta di protezione internazionale venga rigettata per inammissibilità, comportando di fatto una violazione degli articoli 24 e 113 della Costituzione. Secondo l’ordine del giorno a firma Rotondi, poi approvato, “La Camera, tenuto conto del parere reso sul provvedimento in esame dal Comitato per la legislazione lo scorso 26 aprile, impegna il Governo a valutare gli effetti applicativi della disposizione di cui all’articolo 7-ter, comma 1, lettera d), allo scopo di adottare, in tempi rapidi, le opportune iniziative normative volte ad espungere dall’articolo 35, comma 1, primo periodo, del decreto legislativo n. 25 del 2008 (come novellato dal provvedimento in esame) il riferimento all’articolo 32 del medesimo decreto legislativo”.
La limitazione dei diritti di ricorso contro i dinieghi della protezione, prevista dal nuovo articolo 7 ter della legge 50/2023 (Disposizioni in materia di decisioni sul riconoscimento della protezione internazionale), oggetto di un indegno rimbalzo tra Canera e Senato, soprattutto nel caso di decisioni di inammissibilità della domanda, sembra violare la garanzia di un diritto di difesa effettivo, davanti ad un organo giurisdizionale indipendente ed imparziale (art. 24 Cost e art. 6 CEDU). Il principio del contraddittorio e la possibilità per i difensori di acquisire la documentazione necessaria per l’espletamento del loro mandato, anche a fronte dei ridotti termini di tempo concessi dalla procedura, saranno ancora una volta negati dalle prassi amministrative e dalle nuove previsioni normative.
10. Provvedimento unificato di diniego ed espulsione
Come ricorda l’UNHCR, “Una nuova disposizione prevede, in caso di esito negativo della procedura di prima istanza, l’emanazione di un provvedimento unificato di diniego della protezione internazionale, il quale rechi, altresì, “l’attestazione dell’ordine di rimpatrio e
divieto di reingresso”. La decisione così emessa potrà essere impugnata in Tribunale con un ricorso unitario.
L’UNHCR riconosce che le procedure di rimpatrio inefficienti sono fonte di preoccupazione, in
quanto possono portare a un grave appesantimento del sistema asilo a discapito della sua integrità, e comprende che in alcune situazioni specifiche potrebbe essere consigliabile unire le decisioni in materia di asilo e di rimpatrio. Questo può, infatti, essere il caso delle decisioni adottate nel contesto di procedure accelerate, incluse le procedure di frontiera, quando una domanda è già risultata manifestamente infondata, essendo chiaramente fraudolenta o non correlata ai criteri per la concessione della protezione internazionale.
Stanti le potenziali conseguenze dell’unificazione del procedimento giurisdizionale di controllo sulle due decisioni, che interverrà sugli obblighi di non refoulement, UNHCR raccomanda alle competenti autorità di assicurare le necessarie garanzie procedurali tra le quali, in primis, l’accesso all’assistenza legale e ad un ricorso effettivo nell’ambito del quale tutti gli aspetti rilevanti vengano adeguatamente presi in considerazione, comprese le valutazioni sul refoulement.
La normativa eurounitaria prevede anzi (al Considerando 10 della Direttiva 2008/115/CE) che “Se non vi è motivo di ritenere che ciò possa compromettere la finalità della procedura di rimpatrio, si dovrebbe preferire il rimpatrio volontario al rimpatrio forzato e concedere un termine per la partenza volontaria. Si dovrebbe prevedere una proroga del periodo per la partenza volontaria allorché lo si ritenga necessario in ragione delle circostanze specifiche del caso individuale”. E ancora, la stessa Direttiva all’art.7 stabilisce che ” La decisione di rimpatrio fissa per la partenza volontaria un periodo congruo di durata compresa tra sette e trenta giorni, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi 2 e 4″. Si prevede quindi la possibilità di proroga di questo termine (par.2), su richiesta del cittadino straniero interessato, “tenendo conto delle circostanze specifiche del caso individuale, quali la durata del soggiorno, l’esistenza di bambini che frequentano la scuola e l’esistenza di altri legami familiari e sociali.,
11. Diritto ad un ricorso effettivo e convalida giurisdizionale delle misure di allontanamento forzato.
L’intera “nota tecnica” dell’UNHCR si basa sull’esigenza di garantire i diritti fondamentali della persona migrante, non solo dei richiedenti protezione internazionale, e si conclude opportunamente con un richiamo al diritto ad un ricorso effettivo che presuppone anche la tempestività dell’intervento degli organi della giurisdizione. In modo che, a fronte del restringimento dei casi di efficacia sospensiva dei ricorsi, le loro decisioni non vengano caducate dalla esecuzione delle misure di allontanamento forzato da parte delle autorità di polizia, come si è verificato troppe volte in passato. Spetta alla responabilità dei dirigenti degli uffici giudiziari e dei singoli magistrati, togati ed onorari, chiamati ad eseguire le convalide dei trattenimenti ed a decidere sui ricorsi contro dinieghi, respingimenti differiti ed espulsioni, organizzare il proprio lavoro e poi svolgerlo in linea con gli indirizzi suggeriti adesso dall’UNHCR, ma già in precedenza bene individuati da una consolidata giurisprudenza nazionale e da importanti decisioni delle corti internazionali.
Quanto rilevato dall’UNHCR nella sua ultima Nota tecnica corrisponde un importante indirizzo della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, quando sia in gioco un diritto fondamentale della persona, “«nella misura in cui sia coinvolto il nucleo essenziale, direttamente tutelato dalla Costituzione, l’azione dell’amministrazione (come ancor prima quello del legislatore ordinario) difetta ab origine di discrezionalità e l’attività esercitata si prospetta come vincolata. Ciò poiché all’amministrazione (come al legislatore) non può essere riconosciuto il potere di comprimerlo ed anzi questa è tenuta a fare quanto necessario, di volta in volta, per garantirne la tutela».
Altra questione è poi costituita dalla effettiva possibilità che tutte le misure di trattenimento e di allontanamento forzato previste dalla nuova legge n.50/2023 possano essere effetivamente eseguite, coinsiderando gli scarsi mezzi finanziari messi a disposizione dal governo e dall’Unione europea per i rimpatri, ed anche la scarsa “collaborazione” fin qui offerta dagli enti locali per l’apertura di nuove strutture detentive per migranti irregolari o richiedenti asilo. Non sarà certo la dichiarazione dell’ennesimo “stato di emergenza” e la nomina di un ennesimo Commissario straordinario che permetteranno di dare esecuzione a decine di migliaia di provvedimenti di allontanamento forzato, o di internare in strutture detentive provvisorie oltre 100.000 persone almeno, se solo si considera la continua riproduzione della irregolarità, frutto anche della legge n.50/2023, la situazione già esplosiva del nostro sistema carcerario e la esiguità dei posti disponibili nei diversi sistemi di accoglienza (Hotspot-CPA, Centri del sistema SAI, Centri di accoglienza straordinaria-CAS). Se pure sarà possibile alzare muri e recinti di ferro spinato, inventare dal nulla tensostrutture a scopo detentivo, o ricorrere a caserme o carceri in disuso, non si vede davvero dove si potranno trovare le risorse di personale e le disponibilità finanziarie per tenere in piedi apparati repressivi e di confinamento che da anni dimostrano un fallimento dietro l’altro.
I casi di decorrenza termini per i provvedimenti di convalida, e dunque di rimessione in libertà di persone trattenute a quel punto senza titolo, potrebbero essere migliaia, dopo l’entrata in vigore della legge n.50/2023, come potrebbero essere altrettanto frequenti casi, da denunciare, di trattenimento in assenza di convalida o di convalida della proroga richiesta per legge alla scadenza dei termini. Come potrebbero essere assai numerosi i casi di mancata convalida da parte dei giudici di pace e dei Tribunali per l’assenza dei presupposti di legge, sempre che non prevalga la omologazione agli indirizzi di politica giudiziaria del governo, e sia possibile una interpretazione costituzionalmente orientata che rimanga nell’ambito delle norme vincolanti stabilite a livello sovranazionale. Una questione di rispetto dello Stato di diritto che costituisce una vera questione democratica per l’intero paese.
Sembra dunque ancora più complesso il futuro che si prospetta per l’amministrazione della giustizia e per le sedi giudiziarie, a fronte di una scontata deflagrazione dei ricorsi ed a un possibile ingolfamento dell’intero sistema, fino alla Corte di Casazzione. Se poi qualcuno conta ancora su una maggiore collaborazione dei paesi terzi di origine o di transito nelle procedure “semplificate” di respingimento e di espulsione, in modo da evitare “fastidiosi” ricorsi giurisdizionali, presto il principio di realtà avrà ragione sulla logica propagandistica e discriminatoria che ha ispirato l’intera legge n.50/2023, frutto di quel decreto legge n.20/2023 che era stato definito come Decreto Cutro, sulla pelle delle vitime di una strage per omissione, che il mare non ha ancora restituito per intero. Vittime senza nome, ma altrettanto invisibili, e certo più numerose, potrebbero essere le vittime dei provvedimenti amministrativi che le autorità di governo si apprestano ad adottare in esecuzione della legge n.50/2023.
Migranti: Sicilia, nuova area accoglienza individuata a Modica
Pubblicato: 20/05/2023 17:02
(AGI) – Ragusa, 20 mag.- Un’area di circa 10.000 metri quadrati nella zona industriale Modica-Pozzallo (ex area Asi), sarà utilizzata come struttura di accoglienza temporanea per migranti. Si tratta di un’area che ha uno spazio di manovra di 9.800 metri quadrati e che è stata ritenuta idonea per ospitare, in caso di emergenza, una struttura temporanea di accoglienza nel caso le strutture già esistenti non riuscissero a fare fronte alle ondate migratorie. Come è noto, nel Ragusano sono 2 le strutture di primissima accoglienza: l’hot spot di Pozzallo e in centro Don Pietro di contrada Cifali, tra i territori di Ragusa e Comiso. La convenzione è stata approntata dalla Prefettura di Ragusa e prevede una concessione a titolo gratuito nell’area in questione. La proprietà delle tre particelle che individuano l’area, pur essendo stata trasferita dall’Asi alla disponibilità del Comune di Modica, a febbraio del 2020, “ancora non è stata trascritta e volturata alla Conservatoria del Registro e al Catasto terreni”.
La decorrenza è immediata e la durata della convenzione, al momento, è fino al 31 dicembre 2023. Il sopralluogo per l’individuazione dell’area era stato effettuato il 28 aprile con personale che fa capo alla struttura del commissario delegato alla gestione dell’emergenza migranti, il prefetto Valerio Valenti che è previsto possa avvalersi della collaborazione – in veste di soggetti attuatori – dei prefetti del territorio in cui si opera. Il verbale nel quale il Comune di Modica prende atto della convenzione (e in cui viene sottolineato che pur essendo un bene nella disponibilità comunale, non è ancora stata effettuata la voltura e la trascrizione), risale al 18 maggio. Alla stipula dell’atto, infatti, la cui bozza reca la data del 19 maggio, è prevista la presenza e la firma del Prefetto di Ragusa, Giuseppe Ranieri, del commissario liquidatore del Consorzio Asi Sicilia Orientale, Giovanni Ilarda, e del Commissario straordinario del Comune di Modica, Domenica Ficano. (AGI)
Migranti: Sicilia, nuova area accoglienza individuata a Modica (2)
Pubblicato: 20/05/2023 17:02
(AGI) – Ragusa, 20 mag. – Secondo le circolari del Ministero dell’Interno (Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione) e del Dipartimento di Protezione civile, nelle strutture di emergenza e accoglienza provvisoria delle persone migranti, “dovrà essere fornito vitto, alloggio, vestiario, assistenza sanitaria e mediazione linguistico culturale”. Le spese, comprese manutenzione e utenze, sono a carico della Prefettura che verrà rimborsata con i fondi a disposizione per la gestione dell’emergenza in questione. Da tempo si parlava dell’individuazione di quest’area, ma solo oggi, un atto ufficiale all’Albo pretorio del Comune di Modica, ne certifica la disponibilità. (AGI)
SICILIA NEWS
Migranti: una nuova area accoglienza individuata a Modica
Un’area di circa 10.000 metri quadrati nella zona industriale Modica-Pozzallo (ex area Asi), sarà utilizzata come struttura di accoglienza temporanea per migranti. Si tratta di un’area che ha uno spazio di manovra di 9.800 metri quadrati e che è stata ritenuta idonea per ospitare, in caso di emergenza, una struttura temporanea di accoglienza nel caso le strutture già esistenti non riuscissero a fare fronte alle ondate migratorie. Come è noto, nel Ragusano sono 2 le strutture di primissima accoglienza: l’hot spot di Pozzallo e in centro Don Pietro di contrada Cifali, tra i territori di Ragusa e Comiso. La convenzione è stata approntata dalla Prefettura di Ragusa e prevede una concessione a titolo gratuito nell’area in questione. La proprietà delle tre particelle che individuano l’area, pur essendo stata trasferita dall’Asi alla disponibilità del Comune di Modica, a febbraio del 2020, “ancora non è stata trascritta e volturata alla Conservatoria del Registro e al Catasto terreni”.
La decorrenza è immediata e la durata della convenzione, al momento, è fino al 31 dicembre 2023.
(segue)









