2003 UNA DENUNCIA- ANCORA STRAGI IN MARE E TENSIONI NEI CENTRI DI DETENZIONE: IL FALLIMENTO DELLA BOSSI FINI.

Pubblichiamo ancora una volta un importante documento sotoscritto venti anni fa per denunciare le politiche migratorie italiane e gli accordi con i paesi terzi, che oggi vengono ancora rinnovati ed inaspriti, malgrado l’aumento incessante delle vittime e la situazione di gravi violazioni dei diritti umani in Libia ed in Tunisia, ed in altre regioni del mondo da cui provengono migrazioni fortzate, non “flussi migratori”, da gestire sulla base di decreti e di stato di emergenza. E le modifiche introdotte dalla Bossi.Fini alle normative ed alle prassi amministrative in materia di immigrazione rimangono ancora in vigore.

Il nostro pensiero va a Don Meli, scomparso nel giugno del 2020, in prima fila per i diritti delle persone migranti e dei minori esposti a violenza, vicino a tutte le forme di disagio del quartiere Ballarò-Albergheria, una persona che ci ha segnato la via e che ci continua a guidare con il suo esempio ancora oggi. Perchè l’impegno è il modo migliore per fare memoria.

19 luglio 2003

Ancora stragi in mare e tensioni nei centri di detenzione: il fallimento della Bossi Fini

In un solo giorno in Sicilia i fatti hanno dimostrato il fallimento della legge Bossi-Fini sull’immigrazione ed i costi altissimi che ne stanno derivando per la violazione dei diritti fondamentali dei migranti, per la negazione sostanziale del diritto di asilo, per le stragi in mare che si ripetono ormai periodicamente in conseguenza delle politiche di blocco navale decise dal governo. Ma il destino dei migranti è segnato anche dopo gli sbarchi.

La situazione nei centri di detenzione amministrativa dopo il raddoppio del periodo di trattenimento è ormai insostenibile, i tentativi di fuga e gli atti di autolesionismo non si contano più; una situazione di tensione costante che comporta anche reazioni violente da parte degli agenti di polizia nei confronti degli immigrati che si rendono protagonisti di questi atti, atti che sono solo una ribellione disperata di chi si vede negata qualunque prospettiva di vita nella legalità.

Ancora oggi, 19 luglio, al centro di detenzione Vulpitta di Trapani, un tentativo di fuga è stato seguito da un incendio appiccato per protesta da alcuni immigrati che avevano assistito al trattamento inflitto a coloro che avevano tentato di allontanarsi dal centro.

Altri immigrati, in gran parte provenienti dalla Somalia e dalla Liberia, e dunque richiedenti asilo, giunti con donne e bambini a Lampedusa, sono stati deportati nella stessa giornata ,con un ponte aereo, a Crotone, e non si sa quando e come potranno presentare la domanda di asilo, se saranno abbandonati per mesi in quella struttura, come già successo in passato ad altri nelle loro stesse condizioni, senza ottenere alcun permesso di soggiorno.

Ma altri migranti sono stati ancora più sfortunati.

Un’altra strage, con più di venti morti accertati, ed un numero imprecisato di dispersi, si è verificata al largo delle coste del Golfo di Gabes, a pochi giorni dalla firma dell’accordo fantasma tra il governo libico ed il governo italiano, accordo che avrebbe dovuto garantire il “contenimento” delle partenze dei migranti dalle coste libiche. Ancora un naufragio, frutto anche delle politiche di blocco navale decise dal governo poche settimane fa, con un decreto che stabiliva la possibilità di blocco, ispezione e respingimento verso il porto di partenza, delle carrette del mare che trasportano i cd. “clandestini”, una gran parte dei quali in realtà è costituita da richiedenti asilo, uomini, donne, bambini, come quelli sbarcati oggi a Lampedusa.

Non si può continuare a chiedere ipocritamente maggiori risorse all’Unione Europea per il contrasto dell’immigrazione clandestina, auspicare forze di polizia congiunte, ed un inasprimento della politica dei visti. Qualunque ulteriore stretta repressiva nei confronti dell’immigrazione clandestina non rallenterà i flussi migratori ed aumenterà soltanto il numero delle vittime dei trafficanti e le prospettive di clandestinizzazione degli immigrati irregolari.

PER CANCELLARE QUESTA VERGOGNA CHE E’ LA LEGGE BOSSI FINI CHIEDIAMO

  1. La riapertura dei flussi di ingresso legale per ricerca di lavoro.
  2. Il riconoscimento pieno ed effettivo del diritto di asilo previsto dall’art. 10 della Costituzione
  3. La chiusura dei centri di detenzione amministrativa ed una diversa disciplina dei respingimenti e delle espulsioni, conforme al dettato costituzionale.
  4. L’apertura di veri centri di accoglienza dai quali gli immigrati possano uscire e comunicare con l’esterno nella prospettiva di una loro integrazione.
  5. La sospensione del blocco navale ai confini delle acque territoriali libiche e tunisine ed il pieno rispetto della salvaguardia della vita umana e del diritto a giungere in un paese come l’Italia, per presentare domanda di asilo.

Fulvio Vassallo Paleologo ( ASGI Palermo),

Salvo Lipari (Arci Palermo)

Don Baldassare Meli ( Centro Santa Chiara, Palermo)


Quello che ci ha insegnato Don Meli

Per molti di noi volontari al Centro sociale Salesiano Santa Chiara alla fine degli anni 90 del secolo scorso, Don Meli non ha lasciato ricordi da commemorare ma ha segnato una svolta di vita che continua ancora oggi a produrre impegno e condivisione.

Dopo l’apertura del primo ambulatorio medico a Santa Chiara, per iniziativa del professore Serafino Mansueto, era evidente che la salute degli immigrati era pregiudicata già allora dalla mancanza di accesso ai diritti sociali e dalla situazione di soggiorno irregolare. Nella direzione di prestare assistenza socio-legale alle persone immigrate che si rivolgevano al Centro, nacque venticinque anni fa lo sportello di ascolto e di consulenza che nel corso del tempo ha avviato alla regolarizzazione ed all’inclusione sociale migliaia di immigrati.

L’impegno di Don Meli, e dei volontari che gli si riunivano attorno, andava presto ben oltre le mura del centro, in città, dove si scontavano i primi problemi di sfruttamento lavorativo, di abusi sessuali, e di esclusione, a partire dall’accesso all’abitazione ed al lavoro. Santa Chiara intanto diventava di fatto un centro di accoglienza, anche per immigrati in attesa di regolarizzazione. Erano anni in cui, a fronte del fallimento delle politiche migratorie, i governi erano costretti a periodiche “sanatorie”. E in tanti si rivolgevano al centro per regolarizzare la propria posizione, magari dopo un diniego o una porta sbattuta in faccia. Alla fine si riuscì a creare un buon livello di collaborazione con gli uffici di Questura e le pratiche più spinose erano affrontate con un senso di umanità che è raro trovare oggi.

Don Meli e i gruppi multidisciplinari che si riunivano attorno a lui davano l’esempio di un confronto serrato con le istituzioni, senza farsi relegare ad un ruolo di supplenza che avrebbe costituito un alibi per chi avrebbe dovuto assumersi gli oneri dell’accoglienza e dell’avvio di processi di inserimento sociale. Fondamentale in quegli anni il raccordo che si realizzava a Santa Chiara tra quanti richiedevano lavoratori e chi cercava occupazione.

Ma altrettanto importante era l’impegno nel quartiere e per il quartiere, con il tentativo di venire incontro ai bisogni delle famiglie più bisognose, per sottrarre i più deboli al ricatto della criminalità, già allora fortemente radicata a Ballarò-Albergheria, e per evitare sul sorgere le guerre tra poveri che una politica basata sul privilegio e sulla discriminazione cercava di imporre nel quotidiano. E per questo non mancavano denunce severe delle pratiche discriminatorie, come la negazione del diritto ad un permesso di soggiorno, la requisizione di una casa, l’accesso negato alle cure mediche, i trattamenti inumani e degradanti all’interno dei centri di detenzione, e di tutte quelle strutture temporanee create sull’onda delle periodiche emergenze sbarchi, alle quali oggi si vorrebbe ritornare. Come quando nel 2002 denunciò l’arrivo a Palermo dei primi profughi sudanesi, passati da Lampedusa ad Agrigento con un numero scritto a pennarello su un polso. O come quando a Termini Imerese nel 2000 protestò con noi per il pestaggio di un immigrato trattenuto in un centro di detenzione “provvisorio”, allestito nella zona industriale per la mancanza, già allora evidente, di centri di prima accoglienza. Quando era già chiaro il proposito del governo di trasformare la prima accoglienza in detenzione. Come si tenta di fare ancora oggi.

Questa capacità di indignarsi, di non schierarsi mai dalla parte dei potenti di turno, di sapere criticare in modo costruttivo anche chi gli si dichiarava amico, di essere coerenti e propositivi con chi sapeva soltanto propagandare esclusione e chiusure, dei porti, di confini, dei quartieri, dei centri di accoglienza, gli costò molti nemici. E con i nemici vennero gli attacchi sui giornali, le insinuazioni più velenose, i tentativi di discredito.

Don Meli fu tra i primi a sperimentare sulla propria pelle la macchina del fango, innescata da chi era bersaglio delle sue denunce. Come nel caso della vicenda degli arresti e poi delle condanne definitive per decine di familiari delle vittime a Ballarò convolte in un giro di pedofilia, ma gli “utenti finali” delle cassette videoregstrate, distribuiti nei diversi quartieri della città, non si trovarono mai, neppure dopo il passaggio in giudicato delle condanne. Fu allora che Don Meli si trovò solo, tenuto lontano anche da persone che negli anni precedenti gli erano stati accanto, in città. I volontari del centro gli restarono vicini, e crearono, a partire dal quartiere, una rete di difesa civica attorno a lui ed agli altri salesiani che avevano denunciato la pedofilia, fino ad accompagnarlo in udienze in Tribunale nelle quali i parenti degli imputati (e delle stesse vittime) lo insultavano pesantemente e lo minacciavano fisicamente. Ma alla fine, almeno in parte, fu fatta giustizia e tutte le denunce furono confermate da pesanti condanne in Cassazione.

Venne poi, poco dopo, e con grande amarezza, il tempo del suo allontanamento da Palermo, in modalità e tempi ai quali non ci siamo mai rassegnati. Ma il cuore di Don Meli restò sempre a Palermo, malgrado la straordinaria importanza delle sue successive attività in provincia di Agrigento, in un territorio squassato dalla connivenza mafiosa e clientelare. E lui rimase vicino, fino agli ultimi giorni di vita, a quelle persone che non lo avevano mai tradito, con i Suoi consigli, con la Sua coerenza, con la Sua lucidità, ma anche con la capacità di indignazione e di protesta che Lo avevano sempre caratterizzato. Ancora oggi, continuiamo a lottare seguendo quel percorso che ha indicato, con modalità diverse, a ciascuno, a credenti e non credenti, e che ci fa sentire forti, in tempi sempre più difficili, per sentirlo comunque ancora accanto a noi.

2001

ANCORA UNO SGOMBERO DI IMMIGRATI A PALERMO.

Nel mese di agosto venivano sottoposti a sequestro giudiziario due appartamenti ubicati nei pressi del Centro Santa Chiara di Palermo, ceduti in affitto da sedicenti proprietari ad alcune famiglie di immigrati ghanesi dotati di regolare permesso di soggiorno.

Come avvenuto in precedenza per i rom di via Lungarini, si tratta di indagini avviate dopo esposti presentati da abitanti della zona che in questo caso lamentavano la presenza di prostitute. 

Dopo l’intervento di Don Meli del Centro Santa Chiara , che si rivolgeva al Prefetto ed all’Ufficio casa del Comune di Palermo, il magistrato concedeva una breve proroga per lo sgombero, mentre la Prefettura dopo alcuni incontri e dopo diverse telefonate, si impegnava a chiedere una ulteriore proroga dello sgombero ed a ricercare una diversa soluzione abitativa.

Malgrado i contatti con la Prefettura fossero ancora in corso, nella mattina del 17 ottobre la polizia si recava presso le due abitazioni ed intimava lo sgombero immediato, senza consentire neppure agli sfrattati di portare via i documenti ed i propri effetti personali. Dopo faticosi contatti, la stessa Questura si impegnava a consentire alle due famiglie il recupero di tali effetti personali ma soltanto nella mattinata di venerdì 19. Per due giorni quindi due famiglie di immigrati regolari sono state messe sulla strada, senza documenti, senza soldi, senza abiti.

La Prefettura nel pomeriggio del 17 proponeva la sistemazione temporanea in albergo solo della famiglia con una bambina di quattro anni, mentre per gli altri non restava che la strada o il ricovero nel centro di Biagio Conte, unica struttura in tutta la città in grado di offrire accoglienza notturna.

Gli immigrati rifiutavano però questa soluzione e si schieravano per strada davanti alle loro case non intendendo accettare la scissione dei nuclei familiari, nè ritenendo la locanda una effettiva soluzione alloggiativa.

Continua quindi l’assistenza ( vitto) offerta dal Centro Santa Chiara, mentre rinnoveremo in tutte le sedi competenti la richiesta per alloggi dignitosi in grado di accogliere le due famiglie.

Malgrado la continua pressione sulle diverse autorità interessate ( Comune, Prefettura) non si è profilata infatti alcuna soluzione duratura al problema della casa di due famiglie colpevoli soltanto di pagare alla persona sbagliata, che però si spacciava come proprietario, il canone di affitto.

La vicenda denota come le prime vittime delle azioni di contrasto della illegalità siano gli immigrati più deboli. Gli esposti e le indagini si erano rivolti infatti verso un gruppo di prostitute che abitavano nei pressi delle abitazioni degli odierni sfrattati. A farne le spese anche persone in regola con il permesso di soggiorno e con un contratto di lavoro, e le loro famiglie.

Malgrado la vicenda giudiziaria fosse aperta da tempo non si è neppure provveduto a notificare agli immigrati terzi interessati il provvedimento di sequestro degli immobili che abitavano, o a preavvisarli della effettiva esecuzione dello sgombero forzato.

Da parte della Prefettura e del Comune, come in passato per la questione del campo rom della Favorita e dello sgombero delle famiglie rom di via Lungarini, nessun segnale concreto di disponibilità nella ricerca di un alloggio, ma solo impegni generici, soluzioni parziali, forse nella consapevolezza che tanto, alla fine, qualcuna delle associazioni di volontariato che come il Centro Santa Chiara assistono gli immigrati sarebbe riuscita a trovare una qualche soluzione.

Da parte degli operatori volontari del centro Santa Chiara ci prodigheremo in tutte le direzioni per trovare una soluzione anche a questo caso, ma non disponiamo nè di strutture nè di mezzi per prestare accoglienza. Denunciamo quindi le responsabilità di chi – come avvenito in passato per il campo rom-avrebbe potuto provvedere per tempo e non ha fatto nulla, contribuendo ad aggravare un disagio ed una esclusione sociale che sono frutto dei ritardi degli apparati burocratici non meno dello strisciante razzismo che in questi giorni si sta diffondendo contro gli immigrati.

Ed infatti dobbiamo denunciare anche il mutato atteggiamento di molti proprietari di appartamenti nel centro storico che non vogliono più come inquilini cittadini “extracomunitari” come li definisce la burocrazia, oppure temono che il pregio dei loro appartamenti venga ridotto per la presenza degli immigrati. Senza parlare sulle manovre speculative in corso nel centro storico di Palermo, manovre che stanno comportando l’ allontanamento di molte famiglie di immigrati dalle loro abitazioni. Ma su questo, sembra, nessuno indaga, di questo certamente pochi si preoccupano in una città sempre più abituata a convivere con la illegalità.

Palermo 17 ottobre 2001

                                                                   Fulvio Vassallo Paleologo

                                                                    Centro Santa Chiara – Palermo