di Fulvio Vassallo Paleologo
Ringrazio Mauro Seminara, amico e giornalista, per avermi posto tre domande, alle quali sarebbe difficile, se non impossibile, rispondere considerando soltanto gli ultimi tragici sviluppi delle politiche di morte in frontiera condivise dall’Italia e dall’Unione Europea.
1. Cosa non si è voluto dire
Ancora una volta un naufragio annunciato, a 110 miglia a nord-ovest di Bengasi, nel mare in burrasca, senza un tempestivo intervento degli Stati costieri, corresponsabili delle zone di ricerca e salvataggio (SAR) nel Mediterraneo centrale. Siamo davanti al ripetersi di naufragi per abbandono, naufragi che sulle rotte migratorie del Mediterraneo ci sono sempre stati, certo, non solo quando aumentavano le partenze di chi non aveva altre vie di fuga per la vita, ma che nelle ultime settimane si sono ripetuti con una frequenza e con modalità senza precedenti, Si minaccia di perseguire gli “scafisti” per l’intero “globo terracqueo”, ma non si vuole dire che si tratta di barconi sovraccarichi, in perenne situazione di distress ( pericolo grave per le persone), secondo quelli che sono gli indici imposti dalle Convenzioni internazionali e dai Regolamenti europei. Si ribaltano ed affondano barconi gestiti da organizzazioni criminali, libere di operare sul territorio per la connivenza di governi, che poi fingono di trattare con l’Unione Europea e con l’Italia, per ricevere sostegno in vista di inziative comuni, finalizzate esclusivamente al contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement). Si nascondono perfino obblighi di soccorso affermati dal Piano SAR nazionale del 2020 in conformità con il manuale IAMSAR che richiama tutte le Convenzioni internazionali e il Regolamento europeo n.656 del 2014. Le zone SAR non sono da confondere con le acque territoriali, sono zone di responsabilità per le attività di ricerca e salvataggio, da condividere quando i mezzi non bastano con i paesi titolari delle zone SAR limitrofe. Non possono diventare zone di interdizione dei soccorsi che possono salvare vite. Quando un paese responsabile non interviene, devono intervenire gli altri Stati costieri, con la massima rapidità, se ricorre un caso di distress. Tutti sanno che le autorità maltesi non garantiscono soccorsi all’interno della loro zona SAR, e tutti dovrebbero sapere quali sono i limiti operativi della sedicente Guardia costiera libica, soprattutto se non è coordinata da assetti Frontex o italiani. La Corte di Cassazione ha riconosciuto che la Libia non può essere qualificata come “paese terzo sicuro”, nel caso Vos Thalassa, ed il Tribunale di Napoli ha condannato un comandante di un rimorchaitore italiano (Asso 28) che aveva sbarcato in Libia naufraghi soccorsi in acque internazionali. Per questo l’inattività in attesa dell’intervento delle motovedette libiche non è ignoranza o fatalità, ma costituisce una scelta che comporta precise responsabilità. Una scelta che appare strettamente collegata con l’intensa attività diplomatica condotta dall’Italia con i ministri del governo provvisorio libico guidato a Tripoli da Dbeibah, un governo che non ha ancora “riunificato” la Libia e le diverse unità militari e di guardia costiera che sono ancora espressione delle milizie locali.
Si sono distinti gli interventi di ricerca e soccorso (SAR) dagli eventi di immigrazione irregolare, prima per criminalizzare le ONG ed allontanare le navi del soccorso civile, poi per limitare la resposabilità delle autorità italiane ed europee, rispetto alle responsabilità delle guardie costiere e dei governi dei paesi di transito. Ma l’invenzione, nel 2018, di una zona di ricerca e salvataggio (SAR)” riservata” alle autorità libiche, che sono ancora prive di un unico coordinamento nazionale (MRCC), e che non controllano per intero le coste del loro paese, conseguenza del Memorandum d’intesa Gentiloni-Minniti del 2017, appare oggi in tutti i suoi tragici effetti. Anche in conseguenza dei Decreti sicurezza di Salvini e di direttive politiche più recenti, che paralizzano o rallentano le capacità di intervento della Guardia costiera italiana in acque internazionali. Si vuole evitare di creare precedenti che possano indurre a ritenere, a sud del Mediterraneo, che esista una maggiore probabilità di essere soccorsi in acque internazionali. Altro che spot televisivi nei paesi di origine o di transito per informare sui rischi della traversata. La politica di dissuasione delle partenze passa attraverso lo svuotanento del mare da mezzi di soccorso, sia civili che militari. Le stragi lontane dall’attenzione dei media, in alto mare, sono più facili da nascondere, i cadaveri dei naufraghi non finiranno sulle spiagge italiane, come sta avvenendo, giorno dopo giorno, a Cutro.
L’allontanamento delle ONG dalle acque del Mediteraneo centrale, frutto delle direttive politiche del ministero dell’interno a partire dal 2017, fino al recente Decreto legge n.1 del 2023, ha contribuito a ridurre le capacità di ricerca e salvataggio in acque internazionali, e non si è riusciti neppure a garantire quel coordinamento nei soccorsi tra Stati costieri che sarebbe imposto dalle Convenzioni internazionali. Come si è visto in questa ultima tragica occasione, nella quale non sono bastate più di 24 ore per inviare mezzi di soccorso nella zona SAR “libica”, dopo che le autorità di Tripoli avevano comunicato che non sarebbero intervenute. Ma della inefficienza della Guardia costiera libica, per non parlare dei livelli di corruzione che sono noti da anni, non si deve parlare, e deve passare soltanto il messaggio che tutte le responsabilità vanno addossate sugli scafisti, se non sulle stesse vittime che sono state costrette a mettersi in mare su mezzi tanto insicuri, per la mancanza di vie legali di ingresso. Vie legali di ingresso che il governo italiano continua a ridurre, con lo svuotamento della protezione umanitaria, perno dell’ennesimo decreto legge, n, 20 del 2023. Che Salvini vuole ancora modificare in senso restrittivo, persino contro le indicazioni del Quirinale.
2. Perchè non lo si è voluto dire
La Meloni ha chiarito bene la politica comunicativa del governo nella conferenza stampa disastro tenuta a Cutro. Lo ha detto con la solita arroganza e con un tono minaccioso verso chi metteva in dubbio la versione ufficiale propinata dal governo. Non vogliono far sapere in Europa che ci possono essere responsabilità ai livelli più alti della catena di comando burocratico-politica, bene insediata nei ministeri, che sovrappone le scelte di sicurezza e di difesa delle frontiere, o di contrasto dell’immigrazione irregolare, al diritto al soccorso immediato. Un diritto alla vita sancito dalle Convenzioni internazionali che impongono agli Stati costieri, comunque informati di un evento di soccorso, nel quale si trovi un barcone in situazione di distress, di intervenire anche al di fuori delle proprie acque territoriali, anche al di fuori della zona SAR di propria competenza, come non è accaduto per quasi un giorno, in occasione di questo ultino naufragio che si è verificato a oltre 100 miglia ( 180 chilometri) dalle coste di Bengasi dalle quali era partito il barcone. Quando ormai erano vicini alla zona SAR maltese, dove però le autorità di La Valletta non intervengono mai. Per non essere poi costrette a garantire un porto di sbarco sicuro. E anche questo lo sanno tutto da anni, era scritto persino nei Report annuali della Guardia costiera fino al 2018, anno in cui ne è stata sospesa la pubblicazione. Eppure si dovrebbe fare proprio un paragone tra la situazione odierna e quella che si riscontrava nel Mediterraneo centrale cinque anni fa.

Le disposizioni vincolanti imposte non solo a Frontex, ma anche agli Stati ed alle autorità statali, dal Regolamento europeo n. 656 del 2014, redatto dopo la strage di Lampedusa del 2013, imponevano in quest’ultima occasione di intervenire immediatamente, con mezzi adeguati e non con navi commerciali, ma anche con le navi militari della Marina della operazione “Mediterraneo sicuro” e della misione europea IRINI-Eunavfor Med, presenti in quelle acque. Quanti sono gli interventi di soccorso operati da queste navi che operano sulle rotte più battute dai barconi dei migranti in fuga dala Libia ? Praticamente nesssuno. Non si vuole riconoscere che queste prassi di non intervento possono lasciare morire persone abbandonate in alto mare. Che questi strumenti di soccorso, come le disposizioni che le prevedono, vengono disattivati per una precisa scelta politica, perchè si ritiene che una presenza stabile di navi dello Stato, o di navi europee, come aveniva sino al 2016, che operino in funzione di ricerca e salvataggio anche nelle zone SAR di competenza non esclusiva di altri paesi (come si verificò soltanto con l’operazione Mare Nostrum nel 2014), potrebbe costituire un fattore di attrazione per le partenze (pull factor) che si vogliono dissuadere a qualsiasi costo, anche a costo della vita di migliaia di persone.
Se si dovesse ammettere anche in un solo caso una responsabilità politica, prima che personale, per le stragi per abbandono in acque internazionali, magari avvenute mentre si attende l’intervento delle motovedette libiche per riportare i migranti nei lager dai quali sono fuggiti, verebbe meno qualunque legittimazione degli accordi con i paesi terzi che non rispettano i diritti umani e non garantiscono attività di soccorso neppure all’interno delle acque che rientrerebbero nella loro competenza. E verrebbero meno anche le basi della difesa di chi ha giustificato con un “fine politico” i divieti di sbarco adottati nei confronti dei migranti soccorsi dalle ONG, con la criminalizzazione degli operatori delle navi umanitarie che avrebbero effettuato soccorsi “in autonomia”, magari in una zona SAR fittiziamente attribuita a paesi, come la Libia, che non ne garantiscono il controllo, o non hanno sottoscritto le Convenzioni internazionali che ha sottoscritto l’Italia.
3. Chi trae vantaggio dal non detto
Le reazioni di indifferenza rispetto alle vittime dei naufragi, o di aperta condivisione delle scelte del governo sulla politica di contrasto delle attività di soccorso operate dalle ONG, si estende adesso alla giustificazione dei ritardi negli interventi di ricerca e salvataggio sulla base che questi si verificherebbero al di fuori della zona SAR (Search and Rescue) riconosciuta all’Italia dall’IMO ( Organizzazione internazionale del mare). Ma, come ricorda il Contrammiraglio Vittorio Alessandro, già portavoce della Guardia costiera italiana, secondo la Risoluzione MSC 167-78, adottata nel maggio 2004 dal Comitato Marittimo per la Sicurezza dell’IMO, “i Centri nazionali di Coordinamento e Soccorso assumono il coordinamento delle operazioni di salvataggio non soltanto quando le stesse avvengano nella propria Search and Rescue Region (SRR), ma anche fuori di tale area allorquando abbiano per primi ricevuto notizia di persone in pericolo in mare”, e ciò “fino a quando il Rescue Coordination Centre (RCC) competente per l’area non abbia assunto tale responsabilità”. Quali vantaggi pensa di garantirsi chi impone prassi in violazione delle norme internazionali ed europee che regolano le attività di ricerca e salvataggio in mare ?
Si vogliono eliminare tutti i possibili testimoni sui respingimenti collettivi delegati ai libici, allontanando dalle acque internazionali le navi del soccorso civile ed intimidendo gli operatori dell’informazione che richiamano alla verità dei fatti. Le ultime elezioni politiche, e non solo queste, e non solo in Italia, sono state pesantemente influenzate dalle campagne mediatico-giudiziarie scagliate contro le ONG, ed il consenso elettorale verso i partiti che continuano a prosperare sulle retoriche della sicurezza e della difesa dei confini, continua ad aumentare. La lettura dei messaggi che girano sui social dà la misura di un paese allo sbando, privo del rispetto dei principi basilari di umanità. Un paese disumano al quale corrispondono politiche disumane. Malgrado i numerosi procedimenti penali intentati contro i rappresentanti delle ONG non siano arrivati ad una sola sentenza di condanna, si continua a colpevolizzare le Organizzazioni non governative, anche se le navi umanitarie sono tenute lontane. Nonostante sia sempre più evidente il costo in termini di vite umane che queste politiche di morte comportano.
Stiamo vivendo un tempo di perdita di senso della vita e del valore della dignità che non può mai disgiungersi dal principio di solidarietà umana. Il diritto al soccorso in mare, oltre a corrispondere a doveri di intervento immediato che incombono primariamente sugli Stati, rispetto ai quali il soccorso civile può avere solo funzione complementare, rientra tra i doveri di solidarietà su cui si basa lo Stato democratico, secondo il disegno costituzionale.
Per questo occorre moltiplicare non solo le voci di dissenso, ma tutte quelle inizative di contrasto e di aggregazione sociale, come le manifestazioni di Riace e Cutro,e in tante altre città, che possono riaffermare il principio di realtà ed il rispetto dei diritti fondamentali delle persone, a partire dal diritto alla vita. Non solo per le persone che rischiano di fare naufragio, o di essere respinte verso paesi nei quali rischiano trattamenti inumani o degradanti, ma nell’interesse dell’intera popolazione italiana. Il diritto alla vita non è un valore frazionabile, non riconoscerlo a chi rischia la vita in mare corrsiponde a non riconoscerlo nell’intero corpo sociale, a chi si trova su una strada, in un ospedale o in un luogo di lavoro a rischio. Chi lo nega in mare, magari per la convenienza di rapporti politici o economici, e volta la testa da un’altra parte, è un pericolo per tutti. La vita, anche di una sola persona, vale di più di una manciata di voti.

*Comunicato stampa del 12 marzo 2023*
*Guardia Costiera: tratte in salvo 17 persone in area SAR libica*
Nella notte dell’11 marzo, “Watch the Med – Alarm Phone” segnalava al Centro Nazionale di coordinamento del soccorso marittimo di Roma, a quello maltese e a quello libico una barca con a bordo 47 migranti, in area SAR libica a circa 100 miglia dalle coste libiche.
Successivamente l’unità veniva avvistata dal velivolo “ONG Seabird 2” il quale procedeva ad inviare una chiamata di soccorso e contattava il mercantile “BASILIS L” che confermava di dirigere verso il barchino. Tutte le informazioni venivano fornite anche alle Autorità libiche e maltesi. Il mercantile “BASILIS L” comunicava di avere il barchino a vista, fermo alla deriva, e di avere difficoltà a soccorrerli a causa delle avverse condimeteo in zona.
Le Autorità libiche, competenti per le attività di ricerca e soccorso in quell’area, a causa della mancanza di disponibilità di assetti navali, chiedevano il supporto, così come previsto dalle Convenzioni Internazionali sul soccorso in mare, del Centro Nazionale di coordinamento del soccorso marittimo di Roma che, su richiesta delle autorità libiche, inviava nell’immediatezza, un messaggio satellitare di emergenza a tutte le navi in transito.
La Centrale Operativa della Guardia Costiera di Roma, oltre al mercantile “BASILIS L” che rimaneva vicino al barchino, inviava 3 mercantili presenti in zona verso il natante in difficoltà.
Le operazioni di trasbordo dei migranti iniziavano alle prime luci dell’alba da parte di uno dei 4 mercantili che avevano raggiunto il barchino in difficoltà. Durante le operazioni di soccorso da parte della motonave “FROLAND”, il barchino durante il trasbordo dei migranti si capovolgeva: 17 persone venivano soccorse e recuperate dalla nave mentre risultavano dispersi circa 30 migranti.
2 dei migranti recuperati a bordo dalla motonave “FROLAND” che dirige verso l’Italia, necessitano di assistenza medica e, pertanto, il mercantile dirigerà dapprima verso Malta per lo sbarco delle due persone per le urgenti cure mediche.
Le operazioni di ricerca dei migranti dispersi continuano con l’ausilio dei mercantili presenti in zona, con ulteriori due mercantili che stanno raggiungendo l’area di ricerca e col sorvolo di due assetti aerei Frontex.
L’intervento di soccorso è avvenuto al di fuori dell’area di responsabilità SAR italiana registrando l’inattività degli altri Centri Nazionali di coordinamento e soccorso marittimo interessati per area.
Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo
La Convenzione SAR di Amburgo del 1979 definisce la “fase di emergenza” (distress) come una “situazione in cui vi è la ragionevole certezza che una persona, nave o altra imbarcazione è minacciata da un pericolo grave e imminente e necessita di assistenza immediata” : In questi termini l’ Allegato alla Convenzione, paragrafo 1.3.11 e 13. Un elenco di fattori da prendere in considerazione, al fine di determinare se una nave è in una fase di incertezza, allerta o pericolo è inclusa nell’articolo 9, paragrafo 2, lettera f), del Regolamento UE 656/2014. Secondo l’articolo 2, punto 2 della Convenzione di Amburgo, “Nessuna disposizione della Convenzione dovrà essere interpretata in modo da pregiudicare gli obblighi o i diritti delle navi, definiti in altri strumenti internazionali.
In base al Regolamento Frontex n.656 del 2014 “per valutare se un natante si trovi in una fase di incertezza, allarme o pericolo, le unità partecipanti tengono in conto, e trasmettono al centro di coordinamento del soccorso competente, tutte le informazioni e osservazioni pertinenti, anche per quanto riguarda: l’esistenza di una richiesta di assistenza, anche se tale richiesta non è l’unico fattore per determinare l’esistenza di una situazione di pericolo; la navigabilità del natante e la probabilità che questo non raggiunga la destinazione finale; il numero di persone a bordo rispetto al tipo di natante e alle condizioni in cui si trova; la disponibilità di scorte necessarie per raggiungere la costa, quali carburante, acqua e cibo; la presenza di un equipaggio qualificato e del comandante del natante; l’esistenza e la funzionalità di dispositivi di sicurezza, apparecchiature di navigazione e comunicazione; la presenza a bordo di persone che necessitano di assistenza medica urgente; la presenza a bordo di persone decedute; la presenza a bordo di donne in stato di gravidanza o di bambini; le condizioni e previsioni meteorologiche e marine”.

30 people die due to non-assistance by the Italian authorities
March 12, 2023
The Alarm Phone was alerted by 47 people on a boat in distress, trying to escape from the inhumane conditions in Libya. They relayed their GPS position (N 33°56, E018°28) which we forwarded to the Italian, Maltese, and Libyan authorities at 2:28h CET on 11 March. The situation was critical. The boat was adrift. The weather conditions were extremely dangerous. The people on board were screaming on the phone that they needed help.
Both in emails and phone calls, we repeatedly informed the Italian Maritime Rescue Coordination Centre (MRCC) about this situation. We sent GPS positions, pointed to the deteriorating condition of the people and the boat, and requested immediate rescue activities many times. Shortly after the first alert, we requested at 3:01h CET from MRCC Rome to order the merchant vessel AMAX AVENUE, which was in the vicinity, to intervene. But it did not stop and passed by the scene of distress. If instructed by MRCC Rome, it could have intervened.
We also informed the public by repeatedly sending out tweets on the deteriorating situation: https://twitter.com/alarm_phone/status/1634446086721945602
Nine hours after the first alert, the aerial asset Seabird 2 of Sea-Watch spotted the boat in distress from the sky, also informing the authorities about the urgency of the situation.
Still, only merchant vessels – not Italian assets or assets of operation IRINI – reached the scene of distress after many hours. This delay, one of the many systematic delays Alarm Phone has documented over the years, proved to be deadly. For many hours, the merchant vessels were merely monitoring the situation but not intervening. Clearly, the Italian authorites were trying to avoid that the people would be brought to Italy, delaying intervention so that the so-called Libyan coastguards would arrive and forcibly return people to Libya, back to the torturous conditions they had tried to escape from.
In phone calls, the so-called Libyan authorities informed Alarm Phone initially that they would send a vessel out. Later they stated that they were not available to intervene due to a lack of assets and that Italy was coordinating the Search and Rescue (SAR) event. These are the so-called coastguards that Italy and the European Union refer to as the competent authorities in the so-called Libyan SAR zone.
Our last communication with the people on board was at 06:50h CET on 12 March. They were exhausted and desperate, screaming and crying for help. Immediately after that phone call, we sent their GPS position to the authorities, asking them again to urgently intervene. At 07:20 CET, they called a last time, but nothing was heard.
After our last contact, the boat capsized. Only 17 people survived. They were rescued by the merchant vessel FROLAND, while 30 others lost their lives. The survivors, who saw friends die next to them, need to be brought to a place of safety in Europe.
We need to ask:
Why, given the urgency of the situation, did the Italian authorities not send adequate rescue assets immediately to the scene of distress?
Why did the Italian authorities hesitate to direct nearby merchant vessels to the boat in distress, despite knowing of the critical situation and conditions?
Where were the assets of the EU naval operation IRINI and, if available, why did they not intervene?
Why were the merchant vessels merely monitoring the situation but not trying to rescue the 47 people sooner?
Why were the so-called Libyan coastguards unavailable for intervention? Why, knowing that the Libyan forces could not intervene, do the Italian authorities continue to refer to them as the responsible authorities?
Why are the rescue NGOs blocked in Italian harbours?
Why, after the deadly shipwreck of Crotone and the innumerable deaths and disappearances in the Mediterranean Sea over the last years, is the EU still militarising its borders, deterring people on the move, and letting thousands drown?
Europe’s borders continue to kill! Freedom of movement for all!
*MIGRANTI: ALARM PHONE, ‘COSI’ SONO MORTE 30 PERSONE, UCCISE DA RITARDO IN SOCCORSI’
L’ong ricostruisce le drammatiche ore che hanno preceduto l’ennesimo naufragio in zona Sar libica
Palermo, 13 mar. (Adnkronos) – “Trenta persone sono morte. Sarebbero ancora vive se l’Europa non avesse deciso di lasciarle annegare”. A dirlo è Alarm Phone, che nella notte tra venerdì e sabato scorsi era stata contattata da 47 persone in fuga dalla Libia sull’imbarcazione in pericolo poi naufragata. Solo 17 i superstiti, tratti in salvo dalla nave mercantile Froland. Altre 30 persone risultano disperse. “Ci avevano comunicato la loro posizione Gps, che avevamo trasmesso alle autorità italiane, maltesi e libiche alle 2:28 dell’11 marzo – dice adesso l’ong -. La situazione era critica. La barca era alla deriva. Le condizioni meteorologiche erano estremamente pericolose. Le persone a bordo urlavano al telefono, dicendoci di avere bisogno di aiuto”.
Alarm Phone ricostruisce le drammatiche ore che hanno preceduto ‘ennesima tragedia. “Abbiamo informato, ripetutamente, sia via e-mail che per telefono, il Centro di coordinamento del soccorso marittimo (Mrcc) italiano di questa situazione – dice -. Abbiamo inviato le posizioni Gps, segnalato il deterioramento delle condizioni, delle persone e dell’imbarcazione, chiedendo più volte chevenisse lanciata immediatamente un’operazione di soccorso. Poco dopo il primo Sos, alle 3:01, abbiamo chiesto al Mrcc di Roma di ordinare alla nave mercantile Amax Avenue, che si trovava nelle vicinanze, di intervenire. Eppure, nonostante la vicinanza, la nave ha proseguito oltre il luogo dove si trovava l’imbarcazione, senza fermarsi. Se il Mrcc di Roma glielo avesse ordinato, sarebbe potuta intervenire”.
Nove ore dopo il primo Sos, Seabird 2, il velivolo di ricognizione di Sea-Watch ha avvistato l’imbarcazione in difficoltà, informando le autorità sulla situazione di imminente pericolo. “Solo dopo diverse ore, navi mercantili, non mezzi italiani o facenti capo all’operazione Irini, raggiungevano il luogo dove si trovava l’imbarcazione in pericolo”, ricostruisce Alarm Phone, che accusa: “Questo ritardo, uno dei tanti ritardi sistematici che Alarm Phone ha documentato nel corso degli anni, si è rivelato letale. Per molte ore, le navi mercantili si sono limitate a monitorare la situazione senza intervenire. Evidentemente, le autorità italiane stavano cercando di evitare che le persone venissero portate in Italia, ritardando l’intervento in modo che la cosiddetta guardia costiera libica arrivasse e riportasse con la forza le persone in Libia, nelle condizioni di tortura da cui avevano cercato di fuggire”. (segue)
(Loc/Adnkronos)
13-MAR-23 07:10
MIGRANTI: ALARM PHONE, ‘COSI’ SONO MORTE 30 PERSONE, UCCISE DA RITARDO IN SOCCORSI’ (2) =
(Adnkronos) – Nelle prime telefonate, le autorità libiche hanno nformato Alarm Phone che avrebbero inviato un’imbarcazione sul posto.
Solo successivamente hanno spiegato di non poter intervenire a causa della mancanza di mezzi. “Hanno aggiunto che a coordinare quell’eventodi ricerca e soccorso era l’Italia”, dice Alarm Phone. L’ultima comunicazione tra le persone a bordo e l’ong è avvenuta alle 6:50 del 12 marzo. “Erano esauste e disperate, gridavano e chiedevano aiuto”, dice Alarm Phone, che dopo quella telefonata ha inviato la loro posizione alle autorità, chiedendo di intervenire con urgenza. “Alle 7:20, le persone a bordo ci hanno chiamato un’ultima volta, ma non si sentiva nulla. Dopo il nostro ultimo contatto, la barca si è capovolta”.
“Perché, data l’urgenza della situazione, le autorità italiane non hanno inviato immediatamente sul luogo dell’emergenza mezzi di soccorso adeguati – chiede Alarm Phone -? Perché hanno esitato a dirigere le navi mercantili vicine verso l’imbarcazione in pericolo, nonostante fossero a conoscenza della situazione e delle condizioni critiche? Dov’erano gli assetti dell’operazione navale Irini dell’Ue e, se disponibili, perché non sono intervenuti? Perché le navi mercantili si sono limitate a monitorare la situazione e non hanno cercato di soccorrere le 47 persone, prima che l’imbarcazione si capovolgesse? Perché le cosiddette guardie costiere libiche non erano disponibili a intervenire? Perché, pur sapendo che le autorità libiche non potevano intervenire, le autorità italiane continuano a indicarle come autorità responsabili? Perché le Ong di soccorso sono bloccate nei porti italiani? Perché, dopo il naufragio letale di Crotone, che si somma a innumerevoli morti e scomparse avvenute nel Mediterraneo negli ultimi anni, l’Ue continua a militarizzare i suoi confini, a scoraggiare le persone in movimento e a lasciarne annegare migliaia?”,conclude l’ong.
(Loc/Adnkronos)
13-MAR-23 07:10