di Fulvio Vassallo Paleologo
Nel giorno in cui la polizia francese, dopo averlo scoperto con una valigia piena di soldi, arresta a Parigi il potente ministro dell’interno del governo provvisorio di Tripoli, Emad Al-Trabelsi, con cui Piantedosi e la Meloni stanno perfezionando accordi per rafforzare ulteriormente il dispositivo di intercettazione in mare, e di riconduzione a terra delle persone migranti che cercano di fuggire dalla Libia, mentre si continuano a contare le vittime del naufragio sulla spiaggia di Cutro (Crotone), si apprende di un ennesima strage in mare davanti alla costa di Tobruk, nuovo hub per le partenze di barconi diretti in Italia, da una Cirenaica ancora fuori dal controllo del governo libico-tripolino di Dbeibah .
Non abbiamo molte informazioni su quanto successo davanti alla costa di Tobruk, e i media riferiscono anche dell‘annegamento di sette pakistani negli stessi giorni, davanti alla costa di Bengasi, ma è difficile dire con certezza se si tratta dello stesso episodio. Sappiamo solo che la maggior parte delle vittime del naufragio davanti la costa di Tobruk proveniva dalla martoriata Siria, come molte delle vittime della strage di Crotone. Ci sarebbero 12 corpi recuperati, di persone provenienti da Kobani, e tre vittime sarebbero arrivate da Afrin. Nomi di città che fanno capire bene cosa si sono lasciati alle spalle. Li abbiamo aiutati a casa loro? Non abbiamo dubbi sul fatto che nessuna autorità libica, internazionale o tantomeno italiana farà comunicati ufficiali.
Neppure un mese fa, un’altra strage che è subito caduta nel dimenticatoio. Almeno 73 migranti sono stati dichiarati dispersi e sono dunque presumibilmente morti in seguito a un naufragio avvenuto il 14 febbraio scorso al largo della costa libica, secondo quanto riferito dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM). Il barcone, che trasportava circa 80 persone, sarebbe partita dal villaggio libico di Qasr Al Kayar e si stava dirigendo verso l’Europa.
Ancora una volta vediamo cosa significa davvero lo slogan rilanciato dal governo italiano sul “blocco delle partenze”. Tutti i soldi dati al governo provvisorio di Tripoli non sono bastati per bloccare le partenze da territori di confine, tra Libia ed Egitto, che non sono da tempo sotto il controllo della polizia e della Guardia costiera che risponde agli ordini di Dbeibah.
Ci sono morti e decine di dispersi, anche bambini, ma nessuno prova pena. Le coste della Cirenaica sono lontane, i cadaveri invisibili. I media italiani ignorano la notizia ed accreditano le tesi assolutorie e negazioniste del governo sulla strage di Crotone e sulla collaborazione con i paesi di origine e transito. Certo anche queste ultime vittime in Libia nessuno è andato a “prenderle” dove si trovavano prima di intraprendere il viaggio della morte, come ha ipocritamente promesso Piantedosi. E adesso ci attendono altre sceneggiate come quelle dei comitati misti italo.libici che dal 2020 dovrebbero discutere di diritti umani e corridoi umanitari. Un ennesimo imbroglio che si spaccia ad una opinione pubblica sempre più incupita ed egoista. Certo, gli arrivi di alcune centinaia di profughi dal Libano, o dall’Afghanistan, si sono visti, Soltanto poche decine di persone migranti “particolarmente vulnerabili” potranno però arrivare in Italia dalla Libia con visti per ragioni umanitarie, per tutti gli altri le uniche vie di fuga saranno offerte a caro prezzo, anche a costo della vita, dai trafficanti che in Libia ed in Tunisia continuano ancora ad avere campo libero e godono di vaste complicità istituzionali.
L’allarmante situazione umanitaria e dei diritti umani in Libia è un tema che viene sistematicamente rimosso dal governo italiano che tratta soltanto sulle forniture di idrocarburi e sul blocco delle partenze dei migranti. Secondo l’ultimo rapporto del Rappresentante speciale del Segretario generale per la Libia e capo della Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL) Abdoulaye Bathily, le violazioni contro migranti e rifugiati continuano impunemente, inclusa la detenzione arbitraria “in condizioni disumane e degradanti in centri sia ufficiali che non ufficiali gestiti da attori statali e non statali”. Risultati simili sono stati presentati dalla Missione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite (FFM) sulla Libia, che ha intrapreso la sua ultima visita nel paese a fine gennaio di quest’anno. (La FFM è stata istituita dal Consiglio per i diritti umani nel giugno 2020 per indagare sulle violazioni e gli abusi dei diritti umani in tutta la Libia commessi da tutte le parti dal 2016). Durante la visita, la FFM ha incontrato le vittime che hanno fornito testimonianze su “uccisioni extragiudiziali, torture, detenzione arbitraria, sparizioni forzate, tratta di esseri umani, sfollamento interno, esistenza di fosse comuni e obitori contenenti cadaveri a cui le famiglie non hanno accesso”. Dopo la visita, la FFM ha esortato le autorità libiche a “prendere misure decisive per fornire giustizia e risarcimento al vasto numero di vittime che soffrono di violazioni di lunga data dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario”.
Nello stesso periodo il governo italiano ha intrattenuto una intensa attività diplomatica con il governo di Tripoli, incontrandoil ministro dell’interno Emad Al-Trabelsi, per rafforzare ulteriormente la sedicente Guardia costiera libica, alla quale si continuano a donare motovedette per facilitare le intercettazioni in acque internazionali. Da questi mezzi navali arrivano le intimidazioni contro le navi del soccorso civile, testimoni scomodi di operazioni di respingimento collettivo su delega. Adesso di vuole un maggiore coinvolgimento dell’agenzia Frontex su questo fronte, analogamente a quanto si è verificato ai confini tra Grecia e Turchia. Non sono evidentemente bastate le denunce delle complicità di Frontex nei respingimenti collettivi violenti verso la Turchia, denunce che sono costate il posto al Direttore dell’agenzia Fabrice Legeri. Questa è Frontex, la stessa Frontex che nella notte del 25 febbraio scorso ha trattato come un caso di law enforcement l’avvistamento in acque internazionali del caicco proveniente dalla Turchia, quando era ancora a 40 miglia dalle coste calabresi. Quando ancora le vittime potevano essere salvate.
Il Med 5 guidato dall’Italia propone di fornire altri mezzi a Frontex, malgrado l’evidente incapacità nel garantire i diritti umani ed il diritto alla vita, dimostrata da questa agenzia ovunque ha operato, ed adesso in modo eclatante davanti le spiagge di Crotone. Lo svolgimento di atività di contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement) non esime Frontex, come non esime le autorità italiane, dalle responsabilità di ricerca e salvataggio (SAR) imposte dal Regolamento europeo n.656 del 2014.
I politici europei ed italiani devono fare accordi con i libici per dimostrare agli elettorati un maggiore rigore nella lotta contro l’immigrazione irregolare, e si devono nascondere le vittime di processi di esternalizzazione delle frontiere, e di accordi con paesi che non rispettano i diritti umani, che appaiono responsabili di quello che si può definire un eccidio permanente, Troppo facile attribuire tutte le responsabilità, per queste morti in mare, agli scafisti, spesso improvvisati, magari anche loro alla ricerca di una via di fuga, ed ai trafficanti, ben noti sui territori nei quali operano perchè sostenitori di quelle stesse autorità di governo con le quali poi si viene a patti nel tentativo vano di ridurre le partenze, e dunque gli “sbarchi” in Italia. Per questa ragione i naufragi sulla rotta libica vanno tenuti nascosti. E tutti i possibili testimoni indipendenti, come gli equipaggi delle imbarcazioni del soccorso civile vanno delegittimati, criminalizzati, quasi fossero complici degli scafisti o responsabili della perdita continua di vite umane in mare Perchè nessuno deve sapere, nessuno deve conservare memoria di queste vittime. Anche i politici ed i vertici militari perdono rapidamente la memoria, come è emerso nei processi contro le ONG, quasi tutti archiviati, e soprattutto nel processo nei confronti dell’ex ministro dell’interno Salvini a Palermo.
Eppure molti sanno, e tacciono per coprire le proprie responsabilità, soprattutto adesso che con l’allontanamento delle ONG dal Mediterraneo centrale, effetto dei porti di destinazione “vessatori” sempre più lontani, dei fermi amministrativi, e del Decreto sulla “gestione dei flussi migratori” n.1 del 2023, il mare è stato svuotato di tutti i possibili testimoni, i soccorritori delle navi umanitarie, di quello che si può ormai definire come la prosecuzione di un genocidio in corso da anni. Nessun tribunale potrà rendere giustizia a queste vittime di frontiera. Noi possiamo soltanto ricordarle e tentare di evitare che il loro ricordo anneghi troppo rapidamente nell’indifferenza generale.
Death toll update | 15 Syrians seeking safe haven in Europe die in a sunken boat near Libyan coasts
On Mar 4, 2023
Rescue teams have retrieved more bodies of those who drowned in the Mediterranean sea, while they were seeking safe haven in countries of the European Union.
Accordingly, the number of Syrian people who died in the sunken boat has risen to 15, who are:
• 12 people from Kobani
• Three people from Ikbis Square in Rajo district in Afrin
According to reliable SOHR sources, the boat was carrying nearly 25 people, and it sank while trying to move the victims from a small boat to a bigger boat before heading to Italy.
Yesterday, Rescue teams retrieved the bodies of two children from Kobani city, while their parents remain missing, after a boat for refugees have sunk near the coasts of Tobrak city in Libya on March 2.
Meanwhile, nearly 25 refugees, mostly Syrian, are still missing including three civilians from Ain Al-Arab (Kobani) and Syrian women and children.
According to reliable SOHR sources, the boat set off from Libyan coasts towards Italy. However, the boat sank for unknown reasons.
Despite the dangers that face the Syrians, who seek safe haven, on their way towards European countries via “death boats”, many Syrians still resort to emigration overseas in search for a better life and a better reality, putting them in danger.