Il principio di legalità deve prevalere sulla fuga dalle responsabilità

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. Le bare allineate nel palazzetto dello sport di Crotone, dopo tanti naufragi invisibili che nessuno ha raccontato, hanno riacceso lo scontro sulle regole di ingaggio e sulla distribuzione delle responsabilità, nelle attività di socorso in mare, al centro in passato dei processi nei quali si è tentato invano di criminalizzare l’operato delle Organizzazioni non governative, e di escludere la responsabilità dell’ex ministro dell’interno Matteo Salvini per i divieti di sbarco comminati fin dal suo insediamento al Viminale nei confronti delle navi del soccorso civile ed in due diversi casi, anche nei confronti di navi militari (Diciotti e Gregoretti). Non si è trattato di un incidente, o di una tragica fatalità, tutte le responsbilità vanno accertate e non possono limitarsi a qualche scafista.

Si è tentato di accreditare l’idea che si trattasse di una materia disciplinata da norme confuse di provenienza internazionale e dunque variamente interpretabili, mentre si sono trascurate circostanze di fatto che in base alla normativa nazionale, internazionale ed eurounitaria avrebbero dovuto implicare una immediata attivazione dei soccorsi, già dopo la prima segnalazione certa, con una posizione precisa proveniente da un assetto aereo di Frontex che aveva avvistato il caicco proveniente dalla Turchia a 40 miglia dalla costa di Crotone, almeno otto ore prima del naufragio. La segnalazione arrivava alla Guardia di finanza che si occupa delle operazioni di contrasto dell’immigrazione irregolare, “law enforcement”, e per conoscenza, alla Centrale operativa (IMRCC) della Guardia Costiera di Roma.

Per Vittorio Aloi capo della Guardia Costiera di Crotone l’operato delle unità operative della Guardia costiera impegnate in quella zona sarebbe stato corretto. “Crediamo di avere operato anche in questo caso secondo le nostre regole d’ingaggio – ha detto Aloi – Ci dispiace soltanto leggere sui giornali che non abbiamo fatto il soccorso”. Secondo Aloi le “regole d’ingaggio” sono complesse, “non è burocrazia”, quelle regole “spesso sono promanate dal ministero dell’Interno”. Ma le Regole ci sono e vanno applicate secondo un preciso ordine gerarchico delle fonti, anche al fine di non confondere le competenze.

Secondo gli articoli 10 e 117 della Costituzione, le Convenzioni internazionali ratificate dall’Italia, come le Convenzioni di Diritto marittimo e la Convenzione di Ginevra sui rifugiati sono vincolanti per le autorità italiane, lo ribadisce la sentenza della Corte di Casazione n.6626 del 2020 sul caso di Carola Rakete. In base all’ordinamento dell’Unione Europea i Regolamenti europei sono direttamente vincolanti per le autorità italiane e prevalgono pure sulle norme di legge interne, con la possibilità in caso di contrasto, di un intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Il Regolamento Frontex n.656 del 2014 detta regole vincolanti per i casi in cui durante una operazione di contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement) si verifica una situazione di pericolo per le persone imbarcate su un mezzo privo di bandiera in navigazione nell’alto mare. Sono regole che fissano le responsabilità delle autorità nazionali dei paesi ospitanti le missioni Frontex, sia nello svolgimento delle attività di intercettazione e monitoraggio, che nelle operazioni di ricerca e salvataggio. Regole che non possono essere ignorate dagli agenti istituzionali, dai vertici politici, dalla magistratura. Regole sui soccorsi in acque internazionali che in diversi procedimenti contro le ONG sono state chiarite ed hanno imposto l’archiviazione dei procedimenti a loro carico. Regole che però nel caso delle navi militari Diciotti e Gregoretti non sono state ritenute rilevanti, nel primo caso dal Parlamento, nel secondo dal Tribunale di Catania..Ma in quel caso si trattava di navi militari italiane già ormeggiate in un porto italiano.

2. Si è giocato molto sulla confusione tra eventi di immigrazione irregolare ed eventi di soccorso per dare un fondamento al potere del ministro dell’interno di vietare l’ingresso nelle acque territoriali, oppure soltanto il transito e la sosta, come richiama il Decreto legge 130 del 2020 che per il resto ha mantenuto in vigore il Decreto sicurezza bis n.53 del 2019. Al quale adesso si vorebbe tornare con ulteriori inasprimenti, che codificava i poteri del ministro dell’interno, prima esercitati, a partire dal caso Aquarius nel giugno del 2018 sulla base di mere direttive amministrative. La classificazione degli eventi di soccorso in acque internazionali come eventi di immigrazione irregolare, mantenuta con toni più sommessi anche dall‘ex ministro Lamorgese, dunque affidati di fatto ai poteri di veto del Ministro dell’interno, ed alle attività di monitoraggio a distanza da parte della Guardia di finanza, è stata un passaggio fondamentale per vietare lo sbarco dei naufraghi soccorsi dalle ONG nei porti italiani, ma anche per ritardare in generale gli interventi di soccorso. Queste prassi si sono così istituzionalizzate sulla rotta libica, a sud di Lampedusa e Malta, anche per ottenere un effetto dissuasivo delle partenze e per facilitare le intercettazioni in acque internazionali da parte delle motovedette libiche. Su questi temi si sta svolgendo a Palermo il processo Open Arms nei confronti dell’ex ministro dell’interno Matteo Salvini nel quale si attende la testimonianza del comandante di un sottomarino italiano, chiamato in causa da un intervento di un alto funzionario del ministero dell’interno,che piuttosto di intervenire tempestivamente per coordinare i soccorsi, si limitava a filmare uno dei salvataggi realizzati dalla Open Arms nell’agosto del 2019, in modo da accreditare la tesi difensica dell’ex ministro, tutta basata sulla criminalizzazione dell’operato della ONG. Al centro dell’ennesimo dibattimento processuale, ancora una volta, la distinzione tra “evento migratorio irregolare” e “evento di ricerca e salvataggio (SAR)”, una distinzione che evidentemente non può essere data “a posteriori” e non può essere utilizzata per mettere sotto accusa chi ha salvato vite, o per escludere le responsabilità di chi ha omesso o ritardato i soccorsi.

Sulle rotte in provenienza dalla Turchia, dal Libano e dall’Egitto, sulle quali non operavano le ONG, gli interventi di soccorso operati dalla Guardia costiera in acque internazionali, all’interno della zona SAR riconosciuta all’Italia, sono stati numerosi ed hanno permesso di salvare centinaia di vite. Nella maggior parte dei casi, su quelle rotte, sulle quali venivano impegnati pescherecci o imbarcazioni a vela più grandi, e dove non operavano mezzi delle ONG, si sono però qualificati come eventi migratori irregolari anche situazioni che rientravano nella definizione normativa (in base all’art.9 del Regolamento europeo n.656 del 2014) di eventi di soccorso, perchè la maggior parte delle imbarcazioni riusciva comunque a raggiungere in autonomia le coste dell’Italia meridionale, con un numero minimo di vittime dopo lo spiaggiamento.I porti della Locride, come nel porto di Roccella Ionica, sono pieni di battelli da diporto provenienti dalla Turchia, e sottoposti a sequestro, in molti casi dopo essersi incagliati vicino alla costa, ma con lo scafo perfettamente integro. Come probabilmente si è ritenuto che potesse avvenire anche nel caso della strage di Crotone, che La Stampa ha definito come una strage di Stato, malgrado indici univoci di distress (pericolo immediato di un danno grave alle persone) trasmessi dalla agenzia europea Frontex, che dava la posizione esatta del caicco turco a 40 miglia da Crotone già la sera di sabato 25 febbraio attorno alle ore 22.30. In realtà tutte le autorità coinvolte, Frontex, la Guardia di finanza e la Guardia costiera, già a quell’ora, erano in possesso di informazioni che inponevano di qualificare l’evento come caso SAR in presenza degli indicatori di pericolo attuale (distress) e da quel momento in poi le attività SAR avrebbero dovuto essere coordinate dalla Centrale operativa della Guardia costiera o, quantomeno, operate in stretta sinergia, per non perdere i contatti con il caicco già localizzato in alto mare, lontano dai frangenti della costa, e per provvedere con la massima tempestività al salvataggio delle persone prima che avvenisse l’irreparabile.

Il messaggio pervenuto da Frontex alle autorità italiane dava coordinate precise, a circa 40 miglia dalla costa italiana, indicava la velocità dell’imbarcazione che sarebbe stata coinvolta secondo la stessa Agenzia “nel traffico di migranti”, e aggiungeva alcune informazioni: “Giubbetti di salvataggio non visibili, buona galleggiabilità. È stata intercettata una chiamata satellitare dal natante alla Turchia. Una persona sul ponte. Gli oblò di prua sono aperti, con significative tracce termiche dagli oblò – possibili altri sottocoperta”. Frontex escludeva tuttavia che il caicco avvistato fosse in una situazione di distress, arrivando a descivere una situazione di “buona galleggiabilità” del barcone, pur fornendo elementi rilevati attraverso sensori termici, sulla presenza di numerose persone a bordo, e sulla mancanza di dotazioni di sicurezza (salvagente), che in base al Regolamento, e nelle condizioni di mare che si prospettavano, corrispondevano ai requisiti previsti dal Regolamento n.656 del 2014 per l’avvio immediato delle operazioni di soccorso. Attività di soccorso che avrebbero dovuto essere avviate dopo una valutazione degli elementi forniti da Frontex da parte delle competenti autorità marittime italiane, le uniche competenti a dichiarare la ricorrenza di un evento SAR (Search and Rescue). In una comunicazione pervenuta all’ANSA Frontex affermava che aveva segnalato «un’imbarcazione pesantemente sovraffollata che si dirigeva verso le coste italiane: come sempre in questi casi, abbiamo immediatamente informato tutte le autorità italiane dell’avvistamento»

Secondo l’art.7 del Regolamento Frontex (Guardia di frontiera e costiera europea) n.1896, che richiama per intero il precedente Regolamento n.656 del 2014 “La guardia di frontiera e costiera europea attua la gestione europea integrata delle frontiere come responsabilità condivisa tra l’Agenzia e le autorità nazionali preposte alla gestione delle frontiere, comprese le guardie costiere nella misura in cui svolgono operazioni di sorveglianza delle frontiere marittime e qualsiasi altro compito di controllo di frontiera. Gli Stati membri mantengono la responsabilità primaria della gestione delle loro sezioni di frontiera esterna.

Secondo l’art. 5 ( Localizzazione) del Regolamento Frontex n.656 del 2014 ” Una volta localizzato, le unità partecipanti avvicinano il natante sospettato di trasportare persone che eludono o hanno l’intenzione di eludere le verifiche ai valichi di frontiera o di essere utilizzato per il traffico di migranti via mare per gli accertamenti di identità e nazionalità e, in attesa di altre misure, sorvegliano tale natante a prudente distanza prendendo tutte le dovute precauzioni. Le unità partecipanti raccolgono e comunicano immediatamente le informazioni su tale natante al centro internazionale di coordinamento, comprese, se possibile, quelle sulla situazione delle persone a bordo, in particolare se sussiste un rischio imminente per la loro vita o se vi sono persone che necessitano di assistenza medica urgente. Il centro internazionale di coordinamento trasmette tali informazioni al centro nazionale di coordinamento dello Stato membro ospitante”.

Secondo l’art.9 del Regolamento UE n.656 del 2014, che disciplina le situazioni di ricerca e soccorso “Gli Stati membri osservano l’obbligo di prestare assistenza a qualunque natante o persona in pericolo in mare e durante un’operazione marittima assicurano che le rispettive unità partecipanti si attengano a tale obbligo, conformemente al diritto internazionale e nel rispetto dei diritti fondamentali, indipendentemente dalla cittadinanza o dalla situazione giuridica dell’interessato o dalle circostanze in cui si trova”.

In alto mare quindi non esistono clandestini, ma se ricorrono, o possono ricorrere, situazioni di distress, ovunque si trovino, dentro o fuori le acque territoriali, si tratta sioltanto di persone da soccorrere, di potenziali naufraghi ai quali assicurare il salvataggio della vita, la tutela dela salute, e lo sbarco in un porto sicuro.

Sempre secondo l’art. 9 del Regolamento UE n.656 del 2014 “se, nel corso di un’operazione marittima, le unità partecipanti hanno motivo di ritenere di trovarsi di fronte a una fase di incertezza, allarme o pericolo per un natante o qualunque persona a bordo, esse trasmettono tempestivamente tutte le informazioni disponibili al centro di coordinamento del soccorso competente per la regione di ricerca e soccorso in cui si è verificata la situazione e si mettono a disposizione di tale centro di coordinamento del soccorso;
b) le unità partecipanti informano quanto prima il centro internazionale di coordinamento di ogni contatto con il centro di coordinamento del soccorso e di quanto da esse eseguito; La stessa norma, in particolare, prevede che “si considera che un natante o le persone a bordo siano in una fase di pericolo, in particolare:
i) quando sono ricevute informazioni affermative secondo cui una persona o un natante è in pericolo e necessita di assistenza immediata; oppure
ii) quando in seguito a una fase di allarme, ulteriori tentativi falliti di stabilire un contatto con una persona o un natante e più estese richieste d’informazioni senza esito portano a pensare alla probabilità che esista una situazione
di pericolo; oppure
iii) quando sono ricevute informazioni secondo cui l’efficienza operativa del natante è stata compromessa al punto di rendere probabile una situazione di pericolo;
f) per valutare se un natante si trovi in una fase di incertezza, allarme o pericolo, le unità partecipanti tengono in conto, e trasmettono al centro di coordinamento del soccorso competente, tutte le informazioni e osservazioni pertinenti,
anche per quanto riguarda:
i) l’esistenza di una richiesta di assistenza, anche se tale richiesta non è l’unico fattore per determinare l’esistenza di una situazione di pericolo;
ii) la navigabilità del natante e la probabilità che questo non raggiunga la destinazione finale;
iii) il numero di persone a bordo rispetto al tipo di natante e alle condizioni in cui si trova;
iv) la disponibilità di scorte necessarie per raggiungere la costa, quali carburante, acqua e cibo;
v) la presenza di un equipaggio qualificato e del comandante del natante;
vi) l’esistenza e la funzionalità di dispositivi di sicurezza, apparecchiature di navigazione e comunicazione;
vii) la presenza a bordo di persone che necessitano di assistenza medica urgente;
viii) la presenza a bordo di persone decedute;
ix) la presenza a bordo di donne in stato di gravidanza o di bambini;
x) le condizioni e previsioni meteorologiche e marine;

Lo stesso Regolamento prevede che “in attesa delle istruzioni del centro di coordinamento del soccorso, le unità partecipanti adottano tutte le opportune misure per salvaguardare l’incolumità delle persone interessate”. Si precisa pure che “qualora il centro di coordinamento del soccorso di un paese terzo competente per la regione di ricerca e soccorso non risponda alle informazioni trasmesse dall’unità partecipante, questa contatta il centro di coordinamento del soccorso dello Stato membro ospitante, salvo che tale unità partecipante ritenga che un altro centro di coordinamento del soccorso riconosciuto a livello internazionale sia in condizione di assumere in maniera più efficace il coordinamento della situazione di ricerca e soccorso”. Non si possono dunque chiamare in causa responsabilità delle autorità greche o maltesi per un eventuale attraversamento delle acque di loro competenza da parte del caicco poi naufragato sulla costa di Crotone.

Secondo l’art.10 dello stesso Regolamento n.656 del 2014 che disciplina lo sbarco a terra dei naifraghi, “nel caso di situazioni di ricerca e soccorso di cui all’articolo 9 e fatta salva la responsabilità del centro di coordina mento del soccorso, lo Stato membro ospitante e gli Stati membri partecipanti cooperano con il centro di coordinamento del soccorso competente per individuare un luogo sicuro e, una volta che il centro di coordinamento del
soccorso competente abbia determinato tale luogo sicuro, assicurano che lo sbarco delle persone soccorse avvenga in modo rapido ed efficace. Qualunque dilazione nello sbarco a terra, come l’assegnazione vessatoria di un porto di sbarco, prassi recentemente introdotta dal Viminale e formalizzata dal Decreto legge n.1 del 2023, va contro questa previsione cogente del Regolamento europeo n.656 del 2014.

Un dato ulteriore rispetto alla ricorrenza di una situazione di distress appare assolutamente certo e incontrovertibile. Le previsioni del bollettino Meteomar, indicate come valide fino alle 6 di domenica 26 febbraio, con tendenza per le 12 ore successive, per il mar Ionio settentrionale indicavano mare forza 7 a Sud Est, “visibilità buona, localmente discreta”, ma anche mare “molto mosso in aumento” con una “tendenza Sud Est” ancora a forza 7. Una situazione che costringeva le motovedette della Guardia di finanza a rientrare in porto, ma nella quale i mezzi della Guardia costiera hanno operato decine di soccorsi, operando soprattutto con le motovedette /ogni tempo”, inaffondabili ed incapovolgibili ,classe 300, per non parlare dei rimorchiatori di alto mare, come Asso 28, che a sua volta ha operato decine di soccorsi a nord delle coste libiche, che in quelle stesse ore si trovava di fronte al porto di Crotone. Un rimorchiatore che segna una pagina importante dei soccorsi nel Mediterraneo, perchè è stato al centro di un caso di respingimento collettivo in Libia, dopo una operazione di soccorso in acque internazionali, per cui il comandante della nave è stato condannato dal Tribunale di Napoli. Un mezzo ogni tempo, come altri rinorchiatori d’alto mare pure presenti di fronte al porto di Crotone, un mezzo ben collaudato che avrebbe potuto essere coinvolto nelle operazioni di soccorso anche con il mare sette ed onde da oltre due metri che annunciavano i bollettini meteo.,

4. Appare quindi di tutta evidenza che in caso di attività di contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement), anche le autorità più ditrettamente coinvolte in questo ambito, in acque internazionali, dunque Frontex e la Guardia di finanza, non possono eludere gli obblighi di informazione, sulle notizie da inviare al Centro di coordinamento della Guardia costiera, e di intervento diretto, a fronte di situazioni di distress, inteso come pericolo grave ed attuale per la vita delle persone, secondo gli indicatori vincolanti sanciti dal Regolamento europeo n.656 del 2014, che prevede anche la doverosa cooperazione nelle attività SAR (Search and Rescue) tra queste autorità e la Guardia costiera italiana, al fine di garantire la salvaguardia della vita umana in mare e la completa realizzazione, fino alla conclusione con lo sbarco a terra in un porto sicuro, dell’operazione di soccorso. Si apre qui il richiamo al riparto di competenze sul piano nazionale, con particolare riferimento ai ruoli del ministro dell’interno e del ministro delle infrastrutture, e delle rispettive autorità marittime delegate che possono, anzi devono, svolgere congiuntamente, in molti casi attivando un livello di coordinamento permanente, attività inizialmente qualificate come law enforcement, che poi, per le precarie condizioni dei barconi, o per le avverse condizioni del mare, si trasformano in eventi di ricerca e salvataggio (SAR).

Esistono a tale riguardo Piani operativi, che non possono evidentemente andare contro le superiori disposizioni normative, che definiscono i rapporti tra Frontex, la Guardia di finanza e la Guardia costiera, che può essere anche chiamata, generalmente dentro le acque territoriali, a compiere attività di polizia. Come per un altro verso, e come talora accade, le unità navali della Guardia di finanza possono essere chiamate a svolgere attività di soccorso, sotto il coordinamento però della Centrale operativa della Guardia costiera (IMRCC) perchè il coordinamento della Centrale operativa della Guardia di finanza (ROAN) si limita al coordinamento delle attività di law enforcement. Nel caso dei “soccorsi di massa”, caratterizzati da un elevato numero di naufraghi, come specificato nel Piano SAR nazionale del 2020, la responsabilità di coordinamento spetta direttamente alla Centrale operativa di Roma (IMRCC), e non alle singole sedi decentrate dei comandi della Guardia costiera. A questa Centrale arrivano, o dovrebbero arrivare, tutte le informazioni, da questa Centrale partono gli ordini di impiego delle unità destinate ai soccorsi, soprattutto se queste devono operare al di fuori delle acque territoriali. E’ una catena di comando ben delineata negli atti del processo Libra a Roma, concluso con una sentenza, adesso oggetto di impugnazione in Appello, che pur dichiarando la prescrizione dei reati contestati, ha accertato la penale responsabilità dei vertici pro-tempore della Centrale di coordinamento della Guardia costiera (IMRCC), e della Marina militare (CINCNAV), trattandosi in quel caso dell’intervento di una nave, la Libra, della Marina militare italiana. Il nuovo Piano nazionale SAR del 2020 non ha sostanzalmente modificato questa catena di comando che vede al vertice il Ministro delle infrastrutture ed il Ministro dell’interno.

5. Appare a questo punto necessario delineare le fonti normative che prevedono il ruolo dei vertici dei ministeri competenti ad adottare decisioni, qualora una operazione di contrasto dell’immigrazione irregolare (law enforcement) si trasformi, o si debba trasformare, in una operazione di ricerca e salvataggio. Come avviene ad esempio, quando dopo l’avvistamento di un barcone con indici di distress evidente, si perda il contatto e l’imbarcazione in avvicinamento alle coste italiane non sia più tracciabile, come si è verificato lo scorso 25 febbraio, nel caso del caicco turco poi naufragato su una secca a 100 metri dalla spiaggia di Cutrò. Per escludere un caso di distress non basta accertare la circostanza che il mezzo intercettato, sovraccarico di persone e sospettato di attività illecite, prosegua nella sua navigazione verso le coste italiane. Lo riconosce anche la giurisprudenza che individua casi di distress anche in ipotesi in cui le imbarcazioni possano proseguire nel loro lento moto verso le coste italiane.

Dalla legge Bossi Fini del 2002, che modificò profondamente gli articoli 11 e 12 del Testo Unico sull’immigrazione, e poi dal Decreto interministeriale del 14 luglio 2003, fino al Decreto sicurezza bis n.53 del 2019, fortemente voluto dall’allora ministro Salvini, con la sola interruzione dell’operazione Mare Nostrum nel 2014, si è assistito ad un lento processo che, pur lasciando alla Centrale operativa della Guardia costiera (IMRCC) e dunque al Ministro delle infrastrutture, la prevalente responsabilità di coordinamento delle operazioni di ricerca e salvataggio, anche in acque internazionali, ha attribuito al Ministro dell’interno ed alla Direzione centrale di polizia delle frontiere del Viminale, competenze di intervento sulle scelte della Centrale di coordinamento della Guardia costiera, non solo per l’assegnazione di un porto di sbarco, come è conforme a legge, trattandosi di disporre l’accoglienza a terra in concorso con le prefetture, ma anche con riferimento all’ingresso nelle acque territoriali ed agli interventi nelle acque internazionali, tutte le volte che gli eventi di soccorso non raggiungessero il livello di distress (destrefa) o fossero qualificati soltanto come meri eventi di immigrazione irregolare. Come sembrerebbe che sia avvenuto, purtroppo, per quanto sta emergendo dalle dichiarazioni del Comandante della Capitameria di porto di Crotone e dai comunicati di Frontex, nel caso del caicco andato in frantumi davanti la costa di Cutrò. Su questo dovrà indagare la magistrarura e non è possibile anticipare giudizi. Tuttavia un richiamo alle fonti normative, anche interne, è necessario.

Il Decreto ministeriale del 14 luglio 2003 («Disposizioni di contrasto all’immigrazione clandestina») distingue l’attività svolta in acque internazionali dalle unità navali della Marina militare dall’attività svolta in acque territoriali (e nella zona contigua) dalle unità navali in servizio di polizia (artt. 3, 5). In questo caso più recente non si riscontra la presenza di unità della Marina militare, ma certo su quella rotta, dalla Turchia e dalla Grecia verso le coste italiane,con la riformulazione e la estensione della missione Mare sicuro, adesso denominata Mediterraneo sicuro, la loro presenza, almeno per la sorveglianza militare, appare scontata. Lo stesso decreto distingue poi l’«intervento di soccorso», il cui coordinamento «è di competenza delle Capitanerie di porto», dall’«intervento di polizia», (law enforcement) la cui competenza è attribuita, in via prioritaria, alle Forze di polizia (e dunque alla Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere, sotto la diretta responsabilità del ministro dell’interno). Sotto questi profili il limite dele acque territoriali (12 miglia dalla costa) non rileva affatto. La Guardia di Finanza può intervenire per operazioni di law enforcement anche nella zona contigua (24 miglia dalla costa) o in acque internazionali, mentre per interventi di ricerca e salvataggio non vi sono limiti di intervento ma obblighi di coordinamento immediato. La Centrale di coordinamento (IMRCC) può avvalersi anche al di fuori della propria area di competenza, di tutte le unità navali militari, incluse le unità della Guardia di finanza, come di unità commerciali o civili, che possano concorrere utilmente al salvataggio di vite umane in pericolo. Questa competenza prevalente della Centrale di coordinamenro nazionale (MRCC) nel coordinamento dei soccorsi è ribadita nel Manuale Iamsar dell’IMO e nel Piano SAR nazionale 2020, che raccolgono tutte le disposizioni più rilevanti in materia di ricerca e salvataggio in mare. Le regole delle attività di law enforcement ( contrasto dell’imigrazione irregolare) nelle quali siano inserite unità Frontex ( adesso è in corso l’operazione Themis) sono indicate nel Regolamento europeo Frontex n.656 del 2014, ma nei singoli paesi Frontex opera sotto coordinamento delle autorità statali. “Tutti gli assetti impiegati nell’operazione sono sotto il comando del ministero dell’Interno italiano. Themis è guidata da un Centro di coordinamento internazionale (Icc) che opera nella sede del Comando aeronavale della Guardia di finanza all’aeroporto di Pratica di Mare (Roma)” Il Centro di coordinamento internazionale (ICC) istituito presso il Comando Operativo Aeronavale di Pratica di Mare, ha come referente immediato il ROAN (Reparto operativo aeronavale) della Guardia di finanza e le sue articolazioni periferiche. Nel Decreto Interministeriale del 14 luglio 2003 e nel conseguente Accordo Tecnico Operativo del 14 settembre 2005, è delineato il dispositivo di vigilanza nazionale in materia di contrasto all’immigrazione clandestina nel quale alla Guardia di Finanza è affidato il ruolo di coordinamento delle attività di contrasto svolte in mare da tutti gli operatori nazionali. Come si legge nel sito della Guardia di finanza, “Questa ampia proiezione operativa è stata rafforzata con il decreto del Ministro dell’Interno del 15 agosto 2017, concernente la Direttiva sui comparti di specialità, emanato a seguito del Decreto Legislativo 19 agosto  2016, n. 177, affidando al Corpo il comparto della “sicurezza del mare” e individuando la Guardia di Finanza quale unica Forza di polizia deputata ad assicurare i servizi di Ordine e Sicurezza Pubblica in ambiente marino”. Tali funzioni operative di sicurezza del mare si sostanziano tra le altre: “nella sorveglianza delle frontiere marittime, anche ai fini del contrasto all’immigrazione clandestina all’interno del mare territoriale e della zona contigua, compreso l’esercizio delle attività connesse alle operazioni di cooperazione internazionale sotto l’egida dell’European Border and Coast Guard Agency – Frontex, nel cui ambito è assegnato alla Guardia di Finanza il ruolo esclusivo di coordinamento tattico”.

L’art. 11 del Testo unico sull’immigrazione (d.lgs. n. 286/1998) attribuisce al Ministro dell’interno poteri molto ampi in materia di controllo delle frontiere. I piani operativi, concordati con il ministero delle infrastrutture, e dunque con la Centrale di coordinamento della Guardia costiera (IMRRC), che sono generalmente riservati, e che dovrebbero essere in questa occasione oggetto di accertamento da parte dell’autorità giudiziaria, attribuiscono comunque alla Guardia costiera tutte le attività ( anche di coordinamento) necessarie all’adempimento degli obblighi di ricerca e salvataggio (SAR), che dunque ricadono nell’area di responsabilità dal Ministero delle infrastrutture e trasporti, come peraltro è confermato dal Codice della navigazione e dal Piano SAR nazionale del 2020 che lo richiama. I poteri del Ministro dell’interno possono semmai rilevare nell’assegnazione del porto di sbarco e nella identificazione dei naufraghi, che comunque devono avere accesso al territorio per la presentazione di una richiesta di protezione internazionale, fatti salvi i poteri del Prefetto e del Questore di disporre provvedimenti di respingimento o espulsione nei casi previsti dalla legge.

Come si lege in un Quaderno della Rivista Trimestrale della Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia, “Presso la direzione centrale dell’immigrazione, al ministero dell’interno, è istituita una cabina di regia unica,centro nazionale di coordinamento per l’immigrazione “roberto Iavarone” (National Coordinantion Center – ncc) ove operano in stretta collaborazione oltre ai rappresentanti della polizia di stato anche gli operatori della Guardia di finanza, dei carabinieri, della capitaneria di porto, nonché della Marina militare, conformemente al quadro legislativo nazionale ed europeo”. Secondo la stessa fonte,Il centro è stato istituito con decreto del sig.capo della polizia – direttore generale della pubblica sicurezza del 20 gennaio 2012, modificato con pari decreto in data 26 ottobre 2015, assumendo la denominazione di National Coordination Center/Eurosur (ncc) in conformità al regolamento (eu) n. 1052/2013 del parlamento europeo e del consiglio del 22 ottobre 2013 che istituisce il sistema europeo di sorveglianza delle frontiere (cd. eurosur), creato al fine di rafforzare lo scambio di informazioni e la cooperazione operativa tra le autorità nazionali degli stati membri e con l’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa delle frontiere esterne. Il centro ha avviato la propria attività dal 7 febbraio 2012, garantendo un’operatività ventiquattr’ore su ventiquattro a partire dal luglio 2015″. Questa struttura di coordinamento a livello centrale è frutto di una decisione amministrativa di coordinamento tra enti ministeriali diversi, sia pure in attuazione di normative eurounitarie, e sembra destinata a svolgere prevalenti fiunzioni di coordinamento delle attività di law enforcement / contrasto del’immigrazione irregolare, è non può evidentemente sottrarre competenze stabilite per legge, per Convenzioni internazionali e per Regolamenti europei vincolanti, ad altre autorità statali. Per quanto riguarda le attività di ricerca e salvataggio in mare, sono le Convenzioni internazionali, il Regolamento europeo n.656 del 2014, ed il Piano Sar nazionale del 2020 che stabiliscono le competenze primarie di coordinamento assegnato alla Centrale operativa della Guardia costiera. Il problema che si ripropone sempre è dunque quello di stabilire quando ricorre una operazione di ricerca e salvataggio (SAR), piuttosto che una attività di law enforcement, e chi decide quando si possono risconrare queste situazioni in cui è in gioco in ogni caso la vita di persone in mare. Nei casi in cui le informazioni possano configurare casi di distress, di pericolo grave ed attuale per le persone, appare difficile dubitare che tali competenze spettino alla Centrale operativa della Guardia costiera italiana.

Qualunque segnalazione, proveniente dall’alto mare, di persone in pericolo, anche se transita attraverso altri centri di coordinamento, obbliga quindi la Centrale operativa della Guardia costiera(IMRCC) ad assumere il coordinamento delle operazioni di ricerca e salvataggio ed a predisporre gli interventi di soccorso, senza che alcuna autorità politica o altro coordinamento amministrativo, possa rallentarne lo svolgimento, soprattutto quando l’imbarcazione carica di migranti, dopo un primo avvistamento, non sia più tracciabile. Non si può attendere che raggiunga le nostre coste senza neppure sapere a quale tipo di navigazione rimane esposta, ancora prima di conoscere nei dettagli la rotta, le condizioni delle persone che si trovano a bordo, se queste necessitano o potranno avere bisogno, di essere soccorse. Il Codice della Nvigazione sanziona all’art. 1113 il reato di omissione di soccorso con pene che sono poi aggravate in caso di naufragio :”Chiunque, nelle condizioni previste negli articoli 70, 107, 726, richiesto dall’autorità competente, omette di cooperare con i mezzi dei quali dispone al soccorso di una nave, di un galleggiante, di un aeromobile o di una persona in pericolo ovvero all’estinzione di un incendio, è punito con la reclusione da uno a tre anni”. Il concetto di “persona in pericolo” può ritenersi corrispondente al termine inglese distress adottato nelle Convenzioni internazionali.

In defintiva, il rispetto delle regole imposte dal diritto internazionale, dal diritto eurounitario e dal diritto interno, in materia di attività di ricerca e soccorso (search and rescue), è orientato esclusivamente al salvataggio della vita umana in mare e dovrebbe rimanere indifferente a valutazioni di politica migratoria o ad esigenze di “difesa dei confini” o di conrasto dell’immigrazione “illegale” Lo stabilisce anche il Protocollo addizionale contro il traffico di esseri umani allegato alla Convenzione ONU contro il crimine transnazionmale di Palermo del 2000 e lo ribadisce anche il Regolamento europeo n.656 del 2014.

Quando sono in gioco vite umane, non è consentito alcun calcolo politico, magari per trattare la redistribuzione con altri paesi europei, o bilanciamento di interessi, ma devono prevalere esclusivamente valutazioni degli organi competenti a coordinare i soccorsi, come indicati dalle fonti normative vincolanti. Bisogna dunque adottare valutazioni tecniche-operative giuridicamente fondate sulla gerarchia delle fonti, come ricorda la Corte di Cassazione. Si tratta poi di passare a decisioni che le autorità amministrative, militari e politiche devono assumere con la massima tempestività, a partire dal Coordinamento della Centrale operativa della Guardia costiera (IMRCC), non appena ricevuta la notizia di un evento di soccorso tanto in acque internazionali che nelle acque territoriali (12 miglia dalla costa), e lo stesso vale per la zona contigua (24 miglia dalla costa), fino alle decisioni sul luogo di sbarco assunte dal Ministro dell’interno.


Frontex statement following tragic shipwreck off Crotone

2023-03-01

We are deeply saddened by the tragedy off Crotone this weekend.

More than 60 people lost their lives due to the actions of unscrupulous people smugglers who crammed people on board in bad weather conditions.

In the late hours of Saturday, a Frontex plane monitoring the Italian search and rescue area as part of joint operation Themis spotted a boat heading towards the Italian coast.

One person was visible on the deck. The boat was sailing by itself and there were no signs of distress. However, the thermal cameras on board of the Frontex airplane detected a significant thermal response from the open hatches at the bow and other signs that there might be people below the deck. This raised the suspicion of Frontex surveillance experts.

As always in such cases, we have immediately informed the International Coordination Centre of the Themis operation and other relevant Italian authorities about the sighting, providing the boat’s location, infrared pictures, course and speed.

Our plane kept monitoring the area until it had to return to base due to fuel shortage. The Italian authorities involved dispatched two patrol boats to intercept the vessel; however, the adverse weather conditions forced them to return to the port.

The rescue operation was declared in the early hours of Sunday, after the shipwreck was located on the shore off Crotone. The rescue operation, coordinated by the competent Italian authorities, was carried out at land, sea and air and supported by Frontex boats and planes.

Please note that it is always the competent national authorities that classify an event as a search and rescue. You can find more information here.

Please refer all questions regarding the operation to the relevant Italian authorities.


IL RIFORMISTA

Lo scaricabarile sulle responsabilità della strage

Cosa è Frontex e perché smentisce il governo, ecco la scheda inviata al Coordinamento soccorsi

….La scheda inviata da Frontex all’Italia è esplicita e precisa. Descrive una “barca a motore” con “notevole risposta termica dalla stiva”. Precisa che “non ci sono giubbotti salvavita visibili”. Dice che “296 gradi è la rotta”, “la velocità 6 nodi”. Dà indicazione della posizione della barca e una sigla chiarissima: “Sar 4”, la zona di salvataggio di competenza italiana. Non la zona in cui l’Italia può intervenire, no: la zona in cui l’Italia ha l’OBBLIGO di intervenire. Roma sapeva quindi già alle 22,26 di sabato che il caicco al largo di capo Rizzuto aveva una persona sola sola visibile sovracoperta e una stiva…..

…..Il buco nero nella catena dei soccorsi mancati della strage di Cutro sta al Viminale. Si chiama Centro nazionale di coordinamento. Ha una sigla: Ncc. È lì che probabilmente è stato commesso il gigantesco errore. È lì che, nonostante quell’esplicito “notevole risposta termica dalla stiva” che può voler dire solo che sottocoperta ci sono esseri umani, si sarebbe deciso di ordinare un’operazione di polizia invece di un’operazione di soccorso marino. Come è stato possibile? Negli ultimi tempi la guardia costiera è stata scippata di molte sue funzioni. E se le è lasciate scippare. È di fatto, dicono molti militari del corpo, diventata molto permeabile all’aria che tira al Viminale…..

…..L’origine della doppia catena di comando – ci dice una fonte – sta nella subordinazione al Viminale del Centro nazionale del coordinamento del soccorso marino che è invece responsabilità e competenza dalla guardia costiera. Alla segnalazione di un avvistamento di mezzo marino in probabile difficoltà dovrebbe essere compito del Mrcc decidere se si tratta di un evento Sar, ossia di un’operazione di salvataggio da compiere. Indipendentemente da ciò che dice il Viminale, che ha competenza solo per l’ indicazione del porto di sbarco per i naufraghi. Questa è la legge e così era fino a sei, sette anni fa. Le operazioni di polizia in mare erano subordinate alle attività di soccorso. È successo poi che paventando la necessità di arrestare gli scafisti si è di fatto introdotta la priorità delle indagini di polizia sui salvataggi”….


COMITATO PARLAMENTARE DI CONTROLLO SULL’ATTUAZIONE DELL’ACCORDO DI SCHENGEN, DI VIGILANZA SULL’ATTIVITÀ DI EUROPOL, DI CONTROLLO E VIGILANZA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE RESOCONTO STENOGRAFICO
INDAGINE CONOSCITIVA


SEDUTA DI MERCOLEDÌ 3 MAGGIO 2017
PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE LAURA RAVETTO

Audizione del Contrammiraglio Nicola Carlone, Capo del III reparto Piani e Operazioni del Comando generale del Corpo delle Capitanerie di Porto-Guardia costiera

Per il necessario approfondimento si rinvia alla lettura del documento integrale

….Mi soffermo sulle funzioni di polizia dirette alla sorveglianza e al controllo delle
frontiere marittime, ai sensi dell’articolo 12 del Testo Unico immigrazione e del discen- dente decreto ministeriale. Il Corpo della Capitaneria di porto-Guardia costiera opera
sotto la direzione del Ministero degli interni, Direzione centrale dell’immigrazione
delle polizie di frontiera, in sinergia con le forze di polizia in mare e la Marina militare, secondo le modalità di dettaglio disciplinate a livello operativo mediante l’apposito accordo tecnico.
Partecipiamo con proprio personale, mezzi e componente aeronavale anche alle operazioni marittime pianificate dall’Agenzia Frontex, oggi Agenzia per la Guardia di frontiera e costiera europea, sia nel Mediterraneo nell’operazione Triton, sia nelle altre aree con l’operazione Poseidon in Egeo, in quanto a tali attività partecipano non solo le guardie di frontiera, ma anche le guardie costiere nella misura in cui svolgono operazioni di sorveglianza dei confini marittimi e qualsiasi altro compito di controllo delle frontiere.

Con Malta su questo ci sono dei rapporti che poi descriverò in dettaglio dopo, c’è una conflittualità in particolare per quanto riguarda l’area di competenza, c’è una sovrapposizione tra l’area italiana e l’area maltese…

I servizi di ricerca e soccorso quindi fanno affidamento su qualsiasi nave per
qualsiasi ragione presente nell’area interessata. Qui mi riferisco sia a navi governative,
incluse quelle militari, sia a quelle mercantili, compresi pescherecci, naviglio da diporto e navi adibite a servizi speciali, per esempio quelle battenti bandiera italiana utilizzate da alcune ONG per le loro finalità SAR. In altre parole su ogni nave che possa utilmente intervenire per il salvataggio della vita umana in mare.

Il mero recupero a bordo della nave soccorritrice delle persone in pericolo e dei
naufraghi non determina tuttavia la conclusione delle operazioni SAR, perché le
operazioni possono considerarsi terminate solo con lo sbarco di dette persone in un
luogo sicuro. Avete spesso sentito parlare di Place of safety o POS, e per tale motivo
l’obbligo di individuare detto luogo sicuro in accordo con tutte le altre autorità even-
tualmente interessate ricade sul Centro di coordinamento del soccorso marittimo, che
ha la responsabilità del coordinamento delle operazioni stesse in accordo con tutte le
altre autorità governative interessate

Quali sono gli organismi di coordinamento dislocati a livello sia centrale che periferico ? Il Maritime Rescue Coordination Centre, il Centro nazionale di coordinamento di soccorso marittimo ubicato a Roma, all’EUR, presso la sede del Comando generale del Corpo delle Capitanerie di porto, 15 sotto-centri di soccorso a livello di Direzione marittima e 100 unità
costiere di guardia normalmente a livello di compartimento e circondario marittimo…..

Search and rescue e controllo delle frontiere marittime. Per quanto riguarda l’at-
tività di polizia preposta al controllo delle frontiere marittime e i suoi rapporti con
l’attività SAR occorre evidenziare che in mare i controlli di frontiera (border checks)
vengono di norma effettuati non già a limite delle acque territoriali, bensì all’ar-
rivo delle navi in un porto, cosiddetto « valico di frontiera », ovverosia ove è presente
un ufficio di polizia di frontiera marittima, questo ai sensi del regolamento 562 del
2006, cosiddetto « codice Schengen », mentre in mare vengono in genere effettuate
attività di sorveglianza e controllo preventivo, al fine di prevenire attraversamenti
clandestini finalizzati ad aggirare o eludere i controlli di frontiera….

Il caso più famoso è forse quello della motonave Blue Sky-M, che il Centro di soccorso di Roma dovette coordinare quasi contestualmente alle altrettanto difficili operazioni di soccorso alla motonave Norman Atlantic, in fiamme nel Canale d’Otranto, tra la fine del 2014 e i primi del 2015. Un Boarding Team elitrasportato dalla Guardia costiera riuscì a fermare a poco più di un miglio (1800 metri) prima che si schiantasse contro le scogliere di Santa Maria di Leuca.

Le attività più propriamente di polizia di frontiera vengono pertanto svolte successivamente allo sbarco, che possibilmente deve avvenire in un luogo sede di hotspot, dove gli organi del Ministero del- l’interno, supportati dall’agenzia Frontex e dagli altri organismi interessati, possano garantire più facilmente i controlli di polizia, sanitari e umanitari previsti dalla normativa nazionale ed europea.
Tale situazione è peraltro resa evidente anche dal fatto che l’articolo 4 dell’ultimo
Regolamento europeo del 2016, quello costitutivo dall’Agenzia della guardia di fron-
tiera e costiera europea
, prevede espressamente che nel corso delle operazioni di
controllo delle frontiere marittime le attività SAR continuino comunque ad essere
avviate e condotte in conformità a quanto previsto dal precedente Regolamento 656
del 2014, ovverosia in conformità alle norme di diritto internazionale sulla ricerca e soc-
corso, quindi sotto il coordinamento del competente Centro di coordinamento del
soccorso marittimo nazionale.

Come dirò meglio più avanti trattando gli aspetti operativi, la contestuale e coor-
dinata presenza nell’area operativa di interessi e di mezzi deputati alle attività di
polizia e sicurezza e di mezzi dedicati a SAR consente di controllare la quasi totalità dei flussi provenienti dalle coste libiche (tengo a precisare che nessuno arriva in Italia non identificato) evitando pertanto i cosiddetti « sbarchi clandestini e incontrollati », che invece continuano saltuariamente lungo altre direttrici di flusso (ieri il procuratore di Siracusa ha citato alcuni flussi provenienti dall’area orientale, come anche alcuni eventi sull’area occidentale in Sardegna e in Sicilia) dove non sono attivi dispositivi navali stabilmente operanti in alto mare, ma unicamente attività di pattugliamento programmato nell’ambito dell’operazione Triton di Frontex.

La normativa SAR internazionale prevede che tutte le questioni che non riguardano il SAR in senso stretto relative allo stato giuridico delle persone soccorse, alla presenza o meno dei prescritti requisiti per il loro ingresso legittimo nel territorio dello Stato costiero interessato o per acquisire il diritto alla protezione internazionale debbano di norma essere affrontate e risolte solo a seguito dello sbarco in un luogo sicuro e non debbano causare indebiti ritardi allo sbarco delle persone soccorse e alla liberazione della nave soccorritrice dall’onere assunto.
In tale quadro normativo, pertanto, non vi è dubbio che il fenomeno migratorio via mare comporti problematiche specifiche, che investono anche la conduzione delle operazioni di soccorso, ancorché queste, come si è detto, debbano prescindere dallo status delle persone in pericolo, con particolare riguardo all’individuazione di un idoneo luogo sicuro per lo sbarco delle persone soccorse. È infatti vero che si è in presenza di un’operazione di soccorso anche quando è ben noto che la situazione di pericolo è volontariamente provocata dalle organizzazioni criminali che gestiscono la tratta e il traffico di migranti sulla pelle di questi ultimi….

Per quanto riguarda l’Unione europea è noto che il principale elemento condizionante il modo di gestire la situazione in mare risulta rappresentato dal Regolamento di Dublino, il quale impone allo Stato europeo dove avviene il primo ingresso dei migranti irregolari di farsi carico non solo di determinarne l’esatto status, in particolare quello di potenziale rifugiato o non, ma anche, salvo casi limitati, della loro accoglienza e dell’eventuale rimpatrio nei Paesi di origine, qualora siano riconosciuti non avere titolo a protezione inter-
nazionale con tutti i rilevanti oneri economici e sociali conseguenti.
È per tale motivo che tutti gli Stati si dichiarano disposti ad ottemperare ed eventualmente concorrere all’obbligo di soccorso in mare, peraltro generalmente riconosciuto anche in via consuetudinaria dal diritto internazionale, ma operano poi dei distinguo quando potrebbero essere coinvolti nella responsabilità del coordinamento delle operazioni SAR e quindi nell’individuazione sul proprio territorio di un luogo sicuro ove sbarcare le persone soccorse.

Per un Paese europeo perciò accogliere a terra le persone soccorse in ottemperanza alla normativa SAR comporta anche i conseguenti obblighi ed oneri previsti dal citato Rego-
lamento di Dublino.
A questo punto, però, un osservatore attento potrebbe rilevare che non vi dovrebbe essere nessuna differenza tra un’operazione SAR e un’operazione di polizia diretta al controllo delle frontiere esterne europee, in quanto, in applicazione del principio di non-refoulement nonché del Regolamento europeo che disciplina le operazioni Frontex e dal discendente piano operativo, anche le persone che fossero ritenute non in pericolo e quindi intercet-
tate in mare e non soccorse dovrebbero comunque essere portate a terra nel territorio del Paese che ospita la specifica operazione nazionale ed europea: l’Italia per quanto riguarda l’operazione Triton, la Grecia per quanto riguarda l’operazione Poseidon, la Spagna per l’operazione Indalo.
In realtà, la differenza risiede nel fatto che l’obbligo del SAR prescinde dai limiti della piena giurisdizione marittima dello Stato costiero, non è neppure limitato alla specifica area di responsabilità SAR, che comunque non è un’area di giurisdizione e pertanto si estende di norma ben oltre le acque territoriali e l’eventuale zona contigua, mentre l’attività di polizia al di fuori delle acque territoriali, attività di law enforcement, è soggetta a ben precisi limiti stabiliti dalla normativa nazionale e nel rispetto di quella internazionale.
La conseguenza pratica è che, se un’imbarcazione carica di migranti localizzata al
di fuori delle acque territoriali di uno Stato costiero è ritenuta versare in una situa-
zione di potenziale pericolo, caso SAR, scatta l’obbligo di immediato intervento e
quindi del successivo trasporto a terra delle persone soccorse. Se invece detta imbarca-
zione non è ritenuta versare in situazione di pericolo, l’attività di polizia delle auto-
rità dello Stato costiero normalmente si limita al monitoraggio della situazione, allo
scopo di verificare se la destinazione appaia essere quella di detto Stato costiero.

Solo in tal caso scatta l’intervento di polizia, inizialmente a scopo preventivo, mirato quindi a cercare di prevenire l’ingresso o il transito, considerato potenzialmente offensivo, dell’imbarcazione nelle proprie acque territoriali, sempre nei limiti di quanto legittimamente è possibile ai sensi delle norme internazionali.
L’accompagnamento a terra e l’ingresso nel territorio dello Stato costiero di dette persone si avrebbe solo nel caso in cui l’azione preventiva e deterrente non abbia effetto o sia ravvisata la violazione delle norme dello Stato costiero, che comporti la necessità di adozione di provvedimenti autoritativi di esercizio della giurisdizione, in particolare, in base a quanto previsto dalle norme italiane (Codice penale, Testo Unico dell’immigrazione e norme discendenti), l’abbordaggio e sequestro dell’imbarcazione con la conseguente denuncia alla competente autorità giudiziaria delle persone fermate per i reati di immigrazione clandestina o favoreggiamento della stessa.

Quanto sopra inoltre spiega perché, anche quando la rotta di dette imbarcazioni
attraversa aree di responsabilità SAR o anche di giurisdizione di altri Paesi, questi
ultimi tendano a sottovalutare le condizioni di potenziale pericolo in cui esse
normalmente versano, limitandosi a monitorare la situazione fino a quando escono
dalla loro area di specifica responsabilità.
Lo scopo è evidente: considerarla una mera situazione di polizia e non ritenersi quindi obbligati ad un intervento di soccorso, che risulta invece inevitabile per l’autorità dello Stato costiero oltre le cui acque l’imbarcazione non può procedere l’Italia.

Occorre peraltro precisare che, allo scopo di snellire le procedure per l’individuazione del POS, quando la nave soccorritrice sia un assetto governativo nazionale (Marina, Guardia di finanza, Carabinieri) o facente parte di una delle due operazioni europee Triton o Sophia, su richiesta dei Comandi complessi dai quali dette navi dipendono sono state redatte apposite procedure operative standard, con le quali il Centro nazionale di soccorso marittimo di Roma ha autorizzato questi ultimi a interloquire direttamente con i competenti organi del Ministero degli Interni, attraverso il National Coordination Centre ubicato presso il Ministero degli Interni, che a sua volta si relaziona con il Dipartimento per le libertà civili, una volta recuperate a bordo le persone da soccorrere, tenendo comunque informato il competente Centro di soccorso fino al termine dell’operazione.
Ciò anche al fine di poter meglio contemperare le problematiche tecnico-nautiche delle navi soccorritrici con quelle dell’accoglienza a terra

Il Centro nazionale di soccorso si occupa pertanto di definire direttamente il POS con il Ministero degli Interni non solo per le navi della Guardia costiera che non stiano operando nell’ambito delle summenzionate operazioni, ma anche per le navi mercantili, incluso ovviamente quelle operate dalle ONG, e le altre navi che non dipendano da uno dei sud-
detti Comandi complessi.
Un altro elemento che è bene precisare è quello relativo alla corretta individuazione del luogo sicuro di sbarco, ovvero il luogo dove le operazioni di soccorso devono considerarsi terminate da parte del Centro di coordinamento del soccorso. Per evitare facili equivoci è opportuno evidenziare che il luogo sicuro di sbarco, pe poter essere considerato tale, deve rispondere a una serie di requisiti da verificare caso per caso in relazione alle specifiche
situazioni. Secondo quanto prescritto dalle specifiche linee guida elaborate dall’IMO
con la più volte menzionata risoluzione, 167(78) del 2004, deve essere il luogo dove
la vita delle persone soccorse non è più minacciata e dove è possibile far fronte ai
loro bisogni fondamentali (cibo, riparo e cure sanitarie).
Non può comunque essere considerato sicuro un luogo dove vi sia serio rischio che
la singola persona interessata possa essere soggetta alla pena di morte, a tortura, per-
secuzione, trattamenti inumani o degradanti, o anche dove la sua vita o la sua libertà siano minacciate per motivi di razza, religione, nazionalità, orientamento sessuale, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o orientamento politico. Va inoltre tenuto in considerazione che tali disposizioni vanno lette anche in relazione al principio di non-refoulement, divieto di respingimento collettivo e indiscriminato che impone di esaminare la situazione specifica delle singole persone. Infatti, un luogo sicuro per alcuni potrebbe non esserlo per altri (si veda al riguardo quanto detto più avanti in tema di diritto internazionale dei rifugiati)…..

Passiamo al processo di verifica dell’informazione. L’informazione acquisita viene subito processata e valutata dal personale di turno presso il Centro di soccorso in servizio H24 che, dopo averne verificato nell’immediato per quanto possibile la plausibile attendibilità, procede ad adottare tutte le immediate azioni da compiere, secondo quanto previsto dalla procedura internazionale standard, tra le quali allertare ed informare tutti i Centri di soccorso potenzialmente interessati, Tunisia e Malta, in relazione all’area dell’evento, se è nota, nonché le navi e gli enti che potrebbero intervenire o fornire utili informazioni, va-
lutare le azioni più opportune da avviare in relazione alle informazioni disponibili e al
presumibile scenario, cercare di acquisire ulteriori informazioni e contestualmente acquisire conoscenza dello scenario relativo all’area interessata, allo scopo anche di ndividuare eventuali navi che potrebbero prestare assistenza qualora necessario.

Si evidenzia al riguardo che le fasi dell’emergenza SAR non si limitano al solo
distress, pericolo grave e imminente ancorché solo ragionevole, ma a diverse fasi: la
fase di incertezza, la fase di allarme e alla fine la fase di distress.
Identifichiamo il
migliore assetto possibile. Una volta ritenuta ragionevolmente probabile l’esistenza di una situazione di distress, occorre individuare i migliori assettda impiegare per l’effettuazione del soccorso, che in relazione allo specifico scenario possono essere sia dipendenti mezzi
specializzati SAR sia assetti di altre amministrazioni inserite come tali nel piano nazionale, e financo qualsiasi nave mercantile o militare che risulti presente in prossimità dell’area interessata, anche se per consue- tudine derivante dalla terminologia inglese nelle comunicazioni si usano i termini dirottare ed ordinare.

È bene precisare che quando viene richiesto l’impiego di navi di bandiera non italiana, e come tali soggetti esclusivamente alla giurisdizione dello Stato di cui battono la bandiera, non si tratta di provvedimenti autoritativi, in quanto, come si è visto nel delineare il quadro normativo, la sola comunicazione dell’esistenza di una situazione di pericolo per la vita umana in mare obbliga il comandante di qualsiasi unità ad intervenire immediatamente in assistenza ed a porsi sotto il coordinamento del competente Centro di coordinamento del soccorso marittimo.

Ovviamente il tipo di unità da impiegare viene valutato sulla base di molteplici fattori, subordinatamente all’effettiva possibilità di operare un’adeguata scelta, tempo
necessario per raggiungere l’unità in difficoltà, capacità operative dell’assetto, merci pericolose eventualmente a bordo (spesso dobbiamo intervenire con delle petroliere,
che sono di per sé un elemento di pericolo insito nel carico trasportato) e soprattutto
anche per la capacità di primo soccorso, assistenza da prestare e capacità di recu-
pero…