Dopo le falsità di Frontex e del governo, nei tribunali per ristabilire il principio di realtà.

di Fulvio Vassallo Paleologo

1. Da settimane sono tornati alla ribalta i rapporti “segreti” di Frontex che alimentano l’ennesima campagna di calunnie contro le Organizzazioni non governative che, a fronte dell’omissione di coordinamento e quindi di soccorso, sistematicamente praticata dalle autorità degli Stati costieri, continuano ad operare attività di ricerca e salvataggio nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. Sono le stesse accuse che hanno fornito il pretesto nel 2017, prima per l’adozione di un codice di condotta (Minniti) per le ONG, e poi per il sequestro della Iuventa a Lampedusa il 3 agosto di quell’anno. quando la nave veniva attirata con un trabocchetto in porto, al fine di bloccare per sempre la sua attività di soccorso, che nell’anno precedente, sotto coordinamento delle autorità marittime italiane aveva permesso di soccorrere oltre 10.000 naufraghi. Una inchiesta nata dal solito Rapporto “segreto” di Frontex, e alimentata dalle montature architettate dai servizi, e da agenti infiltrati a bordo di una delle due navi che operavano in stretto collegamento con la Centrale di coordinamento della Guardia costiera italiana, la Vos Hestia di Save the Children, Una indagine, quella portata avanti dal 2017 dalla Procura di Trapani, che ha già subito una prima smentita con l’archiviazione di buona parte degli originari indagati, e che nel corso degli anni si è voluta ampliare all’infinito, con una serie di intercettazioni che hanno coinvolto anche avvocati, giornalisti, docenti universitari, con l’estensione dei capi di imputazione a personale marittimo e responsabili delle ONG Save The Children e Medici senza frontiere.

 Gli stessi procuratori di Trapani negavano comunque fin dal principio che fosse configurabile una associazione a delinquere tra i trafficanti e singoli appartenenti alle Organizzazioni non governative. La tesi dei “taxi del mare” con le “consegne concordate” vinceva sui media ma non trovava riscontro nelle aule di giustizia. Nel 2018 la Procura di Palemo chiedeva l’archiviazione, poi disposta dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Palermo, di una indagine parallela avviata sulla base di segnalazioni simili a quelle che nel 2017  erano state inviate alla Procura di Trapani, con riferimento a diverse ONG, tra cui la Jugend Rettet per cui operava la Iuventa, poi uscita di scena dal processo con una archiviazione.

Un procedimento penale quello ancora in corso a Trapani sul caso Iuventa che in realtà coinvolge diverse ONG, e che ancora non ha neppure visto l’inizio della fase dibattimentale, ma che appare già gravemente viziato sotto il profilo del mancato rispetto dei diritti di difesa e di piena conoscenza delle accuse. Si vedrà alla prossima udienza, fissata per sabato 3 dicembre, quanto conta a Trapani il principio che campeggia in tutte le aule giudiziarie “la legge è uguale per tutti”. Non si può assistere, anche come osservatori esterni, senza reagire alla contestazione di accuse tanto vaghe, quanto chiaramente frutto di una originaria manipolazione dei materiali probatori e poi di una integrazione alluvionale del materiale provatorio, con il ricorso ad intercettazioni prive di senso logico e di congruenza argomentativa. Accuse che potrebbero portare a condanne gravissime, anche venti anni di carcere, a carico di persone che hanno agito nel pieno rispetto del diritto internazionale del mare, e che nel 2017 operavano sistematicamente sotto stretto coordinamento della Centrale operativa della guardia costiera italiana. In un periodo nel quale ancora non esisteva una zona SAR libica, ed erano le autorità italiane che controllavano le mosse della sedicente Guardia costiera libica, di cui già allora erano ben noti a tutti, l’elevato livello di corruzione dei miliziani guardia-coste, e la sistematica violenza alla quale sottoponeva le persone che venivano “soccorse” in mare. La conferma del coordinamento italo-libico si rinviene nella sentenza del GIP di Catania sul caso Open Arms nel marzo del 2018. Le notizie sulla collusione tra Guardia costiera libica e trafficanti si ritrovano in numerosi articoli che a Nello Scavo, coraggioso giornalista di Avvenire, sono costati pesanti minacce di morte.

2. Prosegue domani 2 dicembre a Palermo, nell’aula bunker dell’Ucciardone a Palermo, il processo Open Arms nei confronti dell’attuale ministro delle infrastrutture Matteo Salvini. Quel ministro che aveva costruito la sua azione di governo, e la sua propaganda elettorale, sui divieti di ingresso in un porto sicuro di sbarco rivolti alle ONG, che avevano operato attività SAR in acque internazionali. Nelle ultime udienze la difesa del ministro Salvini ha più volte richiamato il processo Iuventa, ed ha cercato di capovolgere i ruoli processuali tentando di assumere un ruolo di accusa nei confronti della ONG Open Arms, da cui era partita la denuncia che aveva costretto la Procura di Agrigento ad avviare l’azione penale, con il successivo trasferimento delle indagini al Tribunale dei Ministri, e poi al Tribunale di Palermo, davanti al quale il ministro era stato rinviato a giudizio. Il tentativo operato dalla difesa di Salvini che mira al ribaltamento delle argomentazioni di accusa addotte nella Relazione del Tribunale dei ministri di Palermo, riprese in parte dalla Procura che ne ha chiesto il rinvio a giudizio, riflette in modo speculare le contestazioni che alcune procure rivolgono contro le Organizzazioni non governative che avrebbero effettuato soccorsi “di propria iniziativa”, “operando in modo continuativo”, addirittura in qualche caso con “consegne concordate” e comunque “con la preordinata volontà di fare entrare clandestinamente persone irregolari nel territorio dello Stato”. Un collaudato schema accusatorio contro le ONG che però non ha ancora trovato riscontro nelle decisioni degli organi giudicanti. E che anzi è stato smentito dalla Cassazione nel caso Rackete (n. 6620/2020) e nelle sucessive archiviazione dei procedimenti penali intentati in diversi tribunali contro le ONG.

3. Nella prossima udienza a Palermo saranno sentiti gli ex ministri Trenta e Toninelli, che, all’epoca dei fatti (agosto 2019), alla vigilia della caduta del governo giallo-verde, e dopo che il Tar Lazio aveva sospeso il divieto di ingresso nelle acque territoriali, si erano rifiutati di firmare l’ennesimo decreto con il quale Salvini voleva impedire lo sbarco dei naufraghi a terra, sbarco che si verificò successivamente, soltanto dopo il provvedimento di sequestro della nave adottato dal Procuratore della Repubblica di Agrigento Luigi Patronaggio. Vedremo domani se le dichiarazioni di Trenta e Toninelli confermeranno quanto dichiarato in precedenza, o se le loro deposizioni saranno “ammorbidite” per alleggerire il quadro accusatorio a carico di Salvini. A partire dal caso Aquarius del giugno del 2018 Salvini e Toninelli avevano condiviso una serie di menzogne, e la totale negazione del diritto internazionale, che nei confronti delle sole navi umanitarie delle ONG avevano implicato il diniego di un porto di sbarco sicuro in Italia. Anche nel caso Open Arms, nell’estate del 2019, ad agosto Toninelli continuava a subire la pressione del ministro dell’interno e sosteneva la tesi dello sbarco della nave in Spagna come Stato di bandiera della nave. Anche se poi non firmava il secondo decreto con il quale Salvini reiterava il divieto di ingresso già sospeso dal TAR del Lazio. Non sarà tanto facile, per la difesa del capo della Lega, sostenere che nel caso della Open Arms bloccata all’ancora davanti al porto di Lampedusa, nel mese di agosto del 2019, i suoi reterati divieti fossero sorretti dal consenso della ministro Trenta. Il ministro della difesa non aveva infatti firmato il secondo divieto all’ingresso nelle acque territoriali per la Open Arms, come chiesto dal collega dell’Interno ed aveva fatto dichiarazioni pubbliche in dissenso con la decisione unilaterale del titolare del Viminale, tanto che lo stesso Salvini dichiarava :”solo contro tutti”. Adesso pretende invece di fare valere la natura collegiale delle sue decisioni che vietavano la conclusione delle operazioni di soccorso con lo sbarco nel porto sicuro più vicino.

Secondo quanto riferito alllora da fonti del ministero dell’interno,”la scelta non sorprende, visto che la titolare della Difesa ha ordinato alle navi della Marina Militare di scortare verso il nostro Paese l’imbarcazione spagnola”. In realtà sembra invece che la Ministro Trenta volesse fare sbarcare i naufraghi della Open Arms in Italia, arrivando a paventare conseguenze penali in caso di un suo ulteriore rifiuto. Malgrado il dissenso sull’adozione di un divieto di sbarco, che veniva adottato dopo la pronunzia di sospensione del precedente divieto adottata dal TAR Lazio, sembrerebbe comunque che anche per la ministro Trenta, come successivamente per la ministro Lamorgese, la competenza primaria ad indicare un porto di sbarco sicuro spettasse allo Stato di bandiera della nave soccorritrice, una tesi che adesso è stata smentita sia dalla giurisprudenza italiana (dal caso Rackete/Sea Watch in poi) che dalla Commissione e da autorevoli esponenti del Parlamento europeo, oltre che dai governi degli Stati europei più direttamente interessati. Vedremo in aula a Palermo in che senso andranno le dichiarazioni che la Trenta renderà davanti ai giudici ad anni di distanza dai fatti, e soprattutto come la difesa dell’imputato tenterà di sfruttarle a proprio favore.

4. Il processo Iuventa a Trapani ed il processo Open Arms/Salvini a Palermo sono apparentemente molto distanti tra loro, ma poggiano- a parti inverse- sugli stessi motivi che hanno giustificato un attacco generalizzato ai soccorsi umanitari. In entrambi i processi, a Trapani, da parte della Procura ed a Palermo da parte della difesa di Salvini, si è cercato di addossare responsabilità inesistenti sulle ONG in base al presupposto, del tutto privo di fondamento, che queste avrebbero operato soccorsi in mare agevolando in realtà eventi di immigrazione “clandestina” e dunque non per salvare vite con la massima rapidità, come invece impongono le Convenzioni internazionali che definiscono esattamente il concetto di distress ( stato di pericolo), che obbliga qualsiasi comandante della nave a procedere con la massima rapidità al salvataggio dei naufraghi di cui comunque abbia avuto notizia. Per la difesa del ministro Salvini, esisterebbe addirittura un video ripreso da un sommergibile fantasma che dimostrerebbe come uno dei barchini soccorsi da Open Arms nel 2019 non si trovasse in situazione di distress , un video che non sarebbe mai stato consegnato alla Procura ed al Tribunale di ministri, ma che adesso salta fuori dai ricordi di un funzionario del ministero dell’interno, giusto in tempo per intorbidare le responsabilità di Salvini, che fonda il suo divieto di sbarco a Lampedusa sulle modalità non “lecite” nelle quali si sarebbe svolta l’attività di salvataggio della ONG Open Arms che lo ha poi denunciato. Eppure per la prevalente giurisprudenza italiana, e per la Corte di giustizia dell’Unione europea che si e’ pronunciata sui fermi amministrativi, è il comandante della nave che può apprezzare la situazione di distress di fronte alla quale si trova, o della quale viene informato, e lo stesso non può certo essere tenuto in una posizione di stand by quando ci sono a rischio vite umane, magari in attesa che arrivi una motovedetta dalla Libia, o che la Centrale operativa della Guardia costiera qualifichi l’evento come “migratorio” e si rifiuti di classificarlo come operazione SAR di ricerca e salvataggio. Altro che “soccorsi in autonomia”, o ricerca di naufraghi per svolgere una attività di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, se non anche di propaganda ideologica, come si contesta ale ONG. Il comandante avvertito di una chiamata di soccorso o che abbia avvistato naufraghi in situazioni di distress e’ obbligato ad intervenire, dandone immediata comunicazione a tutte le competenti autorità marittime. Se non lo facesse potrebbe essere accusato di omissione di soccorso, reato da contestare pure a tutte le autorità statali che, informate di un evento di soccorso, non predispongono le misure di coordinamento e gli interventi di ricerca e salvataggio previsti dalle Convenzioni di diritto internazionale del mare e dal Piano nazionale SAR.

Nel caso della Iuventa si contesta agli imputati una collusione con i trafficanti che rimane soltanto nei “rapporti segreti” di Frontex, e nei fotogrammi chiaramente artefatti ripresi dagli agenti infiltrati a bordo di una delle navi umanitarie che operavano, sotto coordinamento di IMRCC, in stretto rapporto di assistenza e coordinamento, con la IUVENTA. Ma finora questa accusa infamante è smentita dai fatti che sono emersi nella lunghissima udienza preliminare, al di là delle ricostruzioni farlocche fornite dagli agenti infiltrati, abilmente manipolate con una precisa combinazione delle intercettazioni ambientali.

Nel procedimento Open Arms/Salvini si rispolverano le consuete tesi che sono utilizzate dai diversi governi italiani per omettere il rispetto degli obblighi di soccorso in acque internazionali e quindi la tempestiva indicazione di un porto di sbarco sicuro. E dunque oltre all’argomento del pull factor (fattore di attrazione) che non manca mai, si ricorre alla tesi della competenza primaria dei libici, se non dello Stato di bandiera, nel coordinamento dei soccorsi e nella indicazione di un porto sicuro di sbarco. E quando mancano le basi legali per queste affermazioni si ricorre all’arma totale della presunta collusione tra operatori umanitari e trafficanti, magari travisando qualche pagina dei rapporti “segreti” di Frontex.

Secondo la tesi difensiva di Salvini, la nave delle ONG Open Arms avrebbe dovuto rivolgersi alla sedicente Guardia costiera libica, per farsi coordinare e magari per consegnare i naufraghi soccorsi in acque internazionali, o avrebbe dovuto attendere il coordinamento da parte dello Stato di bandiera (flag-state), dunque la Spagna, prima di sbarcare i naufraghi in un porto sicuro. Ed infatti questo stesso Stato di bandiera avrebbe avuto l’obbligo di indicare un porto sicuro di sbarco, sostituendosi agli Stati costieri più vicini alla zona nella quale erano avvenuti i salvataggi. Ritorna poi il richiamo alle responsabilita di Malta, che non e’ neppure soggetta a tutti gli obblighi di sbarco sanciti dal diritto internazionale, non avendo mai accettato gli emendamenti aggiunti alle Convenzioni internazionali con la Risoluziine Imo MSC 167-78 del 2004.

E ancora si cerca di ripetere che le persone soccorse dalle ONG non si trovavano in una situazione di distress ( pericolo imminente) e che i comandanti ed i capo-missione avrebbero deciso “in autonomia” di puntare verso le coste italiane, piuttosto che dirigere verso un porto libico o maltese. Senza tenere conto che lo Stato contattato per primo anche al di fuori della zona SAR di propria competenza è tenuto ad intervenire, quando gli Stati competenti non intervengono o non sono in grado di garantire un porto di sbarco sicuro. Se questo intervento manca la resposabilità dei naufragi ricade direttamente su chi ha tardato o rifiutato di gestire il coordinamento imposto agli Stati dalle Convenzioni internazionali, dando immediato avvio alle operazioni di ricerca e salvataggio, anche al di fuori dell’area SAR di propria competenza.

5. Fatti recenti ed importanti pronunce della giurisprudenza italiana ed europea mettono in crisi tanto le ipotesi accusatorie contro la Iuventa a Trapani, quanto la linea difensiva di Salvini a Palermo, sostanzialmente riconducibili alla medesima linea di criminalizzazione dei soccorsi umanitari. A fronte di una evidente omissione dolosa di coordinamento delle attività SAR in acque internazionali, e di una serie di reiterati ed ingiustificabili dinieghi di POS (place of safety) rispetto alle richieste delle navi umanitarie delle ONG di portare a termine le operazioni di salvataggio (SAR) con lo sbarco a terra dei naufraghi, come previsto peraltro anche dall’art. 10 ter del Testo Unico 286/98 sull’immigrazione, occorre accertare la catena di comando e l’area delle responsabilita.

Comunque vada il processo di Palermo, il ministro Salvini, insieme ad altri politici italiani ed europei, ed anche con le autorità militari ed i vertici di Frontex, sarà chiamato a rendere conto del suo operato davanti ad un Tribunale internazionale, la Corte Penale internazionale, non solo per il rifiuto ingiustificato nella concessione di un porto di sbarco sicuro, ma anche e soprattutto per la complessiva cooperazione operativa garantita alle autorità libiche, che nel corso degli anni si sono rese responsabili di innumerevoli abusi, ai danni dei loro cittadini, ma anche sulla pelle dei migranti in transito in quel paese. Le intercettazioni in mare e le attività di supporto alla riconduzione dei naufraghi in Libia costituiscono un “crimine contro l’umanità”, che non rileva soltanto a livello internazionale, ma connota la condotta dei soggetti politici che lo hanno determinato anche sul piano del diritto penale nazionale, trattandosi di fatti che, comunque qualificati, possono mantenere il loro carattere di illecito penale.

“L’attuale sistema di supporto da parte dell’Ue alle capacità e alle operazioni della cosiddetta Guardia costiera libica lungo la rotta del Mediterraneo centrale – afferma Andreas Schueller, direttore del programma di International Crimes and Accountability presso l’Ecchr – non sta salvando vite umane. Le prove fornite nella denuncia indicano che queste operazioni potrebbero configurarsi come crimini contro l’umanità consistenti in gravi privazioni della liberta` personale. Il trattamento disumano e le condizioni di detenzione di migranti e rifugiati in Libia sono ben noti da molti anni. La Libia non è un luogo sicuro per migranti e rifugiati. Il diritto marittimo internazionale prevede che le persone soccorse in mare debbano essere sbarcate in un luogo sicuro. Nessuno dovrebbe essere riportato in Libia dopo essere stato soccorso in mare”. E invece lo scorso anno sono state piu’a di 30.000 le persone intercettate dai libici al limite della loro zona Sar, e quest’anno sono già piu’a di 24.000 secondo i dati forniti dell’Oim. Uomini, donne, bambini, rigettati nell’inferno dei campi di detenzione in Libia.

6. Il voto contrario del Parlamento europeo sul bilancio consuntivo di Frontex per il 2020, e la documentata denuncia della ECCHR, Centro europeo per i diritti Umani e Costituzionali (European Center for Constitutional and Human Rights) ,una importante ONG tedesca, sulla collusione tra Frontex e le autorità italiane con la sedicente Guardia costiera libica, azzerano la fondatezza delle critiche mosse da questa agenzia e da diversi politici italiani nei confronti delle ONG. Che sarebbero, come pull factor (fattore di attrazione), responsabili dell’incremento delle partenze dalla Libia (e dalla Tunisia), ed addirittura delle vittime sempre più numerose di naufragi, frutto piuttosto del mancato coordinamento delle attività SAR da parte degli Stati costieri. Dopo le dimissioni del suo Direttore Fabrice Legeri, a seguito di una inchiesta interna, Frontex dovrebbe dimostrare la conformità del proprio operato al Regolamento n.656/2014/UE piuttosto che incentrare la propria attività di analisi dei rischi sulla criminalizzazione delle ONG che malgrado tutto continuano ad operare ancora in questi giorni attività di ricerca e salvataggio nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. Una indagine del quotidiano francese Le Monde ha svelato le pesanti responsabilità di Frontex nelle sue attività di coordinamento delle milizie costiere libiche. Se dal dossier segreto di Frontex dovessero emergere fatti penalmente rilevanti a carico delle ONG la mancata comunicazione di questi fatti alla magistratura inquirente potrebbe essere fonte di gravi responsabilitò penali per gli agenti che a conoscenza di questi fatti ne omettano la denuncia e li utilizzino per evidenti finalità politiche. Adesso vogliamo vedere davvero i nomi degli estensori di questi rapporti “segreti” di Frontex e chi sono i destinatari che li ricevono e ne fanno uso politico.Certo qualcuno dovrò spiegare se a collaborare con i trafficanti siano le ONG o piuttosto le autorità militari europee ed italiane che gestiscono, o almeno gestivano fino al 2020, prima che i turchi prendessero il sopravvento, il coordinamento dei soccorsi in mare operatri dalla sedicente guardia costiera libica. All’interno della quale operano con ruoli di vertice, ad esempio a Zawia, appartenenti a milizie coinvolte nel traffico di esseri umani e nella detenzione arbitraria delle persone intercettate in mare e riportate in teritorio libico.

Chi sostiene la legittimità esclusiva delle “autorità libiche” ( meglio sarebbe dire quali) per operare soccorsi in mare nella vasta zona SAR che si sono attribuiti ,con la complicità dell’IMO di Londra, che non ha rilevato l’assenza di una centrale unificata di coordinamento SAR ( MRRC), dovrà rendere conto di una sistematica omissione di soccorso che è stata praticata anche cercando di impedire con ogni mezzo, persino con i fermi amministrativi, attività di soccorso che avrebbero potuto salvare decine di migliaia di persone. Come avveniva nel 2016 e nel 2017, fino all’adozione del Codice di condotta Minniti e fino al sequestro della Iuventa, prima che fosse istituita nel 2018 una zona SAR libica che si basava esclusivamente sul coordinamento garantito dalle navi della missione della Marina militare italiana NAURAS ( di Mare Sicuro) ancora oggi di base nel porto militare di Abu Sittah a Tripoli.

7. Nella richiesta di archiviazione di una delle tanti indagini aperte nei confronti delle ONG si legge che “In ogni caso è opportuno valutare se la Libia fosse, al momento dei fatti, in grado di ofhire un”porto sicuro”, secondo i criteri interpretativi sopra richiamati. A tal fine, in data 20.06.2019 questo Uffrcio richiedeva all’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e, in particolare, all’Uffrcio della Rappresentarza Regionale per il Sud Europa, se la Libia possa essere considerata un “Place of safety” in relazione alle fonti sovranazionali in materia, in precedenza citate.
L’UNCHR rispondeva in data 03.10.2019 nota prot. NV/29l2019) allegando un rapporto nel quale, dopo aver ripercorso i conflitti in corso in Libia nell’anno 2019, esaminava la situazione di richiedenti asilo, rifugiati e migranti in quei territori, evidenziando come alcune migliaia di loro si trovano in condizione di detenzione arbitraria e sottoposti a violazioni dei loro diritti umani.
Veniva rappresentato, inoltre, che in data 21.07 .2019, in una lettera al Ministro dell’Intemo Libico, l’Unione Ewopea, I’Unione Africana, UNSMIL, UNHCR, OIM, OHCHR, i maggiori Paesi donatori coinvolti nella situazione della migrazione in Libia (Stati Uniti, Canada, Francia,, Regno Unito, Olanda, Svezia, Spagna, Germania e Svizzera) e il Forum NGO chiedevano la fine della detenzione arbitraria di rifugiati e migranti in Libia e la chiusura dei centri di detenzione.
L’UNCHR concludeva affermando che, alla luce delle descritte circostanze, dell’instabile situazione di sicurezza, degli abusi nei confronti di richiedenti asilo, migranti e rifugiati, dell’assenza di protezione da tali abusi e dell’assenza di soluzioni durevoli, la Libia si ritiene non soddisfi i reouisiti per poter essere considerata come un “luogo sicuro” ai fini dello sbarco all’esito del soccorso in mare. Nella medesima nota, l’UNCHR aggiungeva che:. “ai comandanti, che si trovano ad assistere persone in situazioni di emergenza in mare, non può essere chiesto, ordinato, e gli stessi non possono sentirsi costretti, a sbarcare in Libia le persone soccorse, per paura di incorrere in sanzioni o ritardi nell’assegnazione di un porto sicuro.” (V. pag. 4 Rapporto UNHCR “Situazione in Libia (settembre 2019)” del 2010912019 allegato alla Nota prot. NY /29 12019 del 03. 1 0.20 19).

In Italia la Corte di Cassazione ha riconosciuto che la Libia non può essere qualificata come “paese terzo sicuro”, ed il Tribunale di Napoli ha condannato un comandante di un rimorchiatore italiano (Asso 28) che aveva sbarcato in Libia naufraghi soccorsi in acque internazionali. Non si vede come i giudici dei processi Iuventa ed Open Arms/Salvini possano ignorare questa consolidata giurisprudenza.

8. La vicenda infamante della nave Ocean Viking, che dopo reiterate richieste di un porto di sbarco sicuro è stata costretta a dirigersi verso Tolone, ha innescato un conflitto a livello europeo , ancora non sopito, che ha messo bene in evidenza la infondatezza delle tesi difensive di Salvini nel processo Open Arms a Palermo. Tesi difensive che, nell’escludere che i barchini soccorsi dalla ONG fossero in una situazioni di distress, e che le autorità italiane informate dei soccorsi fossero obbligate ad indicare un porto sicuro di sbarco, erano già smentite dalla Sentenza della Corte di Cassazione (n,6626/2020) sul caso Sea Watch/Rackete del 2019, e dalla successiva pronuncia di archiviazione del Tribunale di Agrigento. La nozione di distress è stabilita dalla Convenzione di Amburgo del 1979 (Annex, 1, para. 1.3.11) a) situation wherein there is a reasonable certainty that a vessel or a per-son is threatened by grave and imminent danger and requires immediate assistance. Se ricorre una situazione di distress in alto mare il comandante di qualsiasi nave, che si trovi ad una distanza utile per operare, è dunque obbligato ad intervenire con la massima rapidità, anche senza attendere indicazione da parte delle competenti autorità marittime o politiche. Deve prevalere in ogni caso la salvaguardia della vita umana in mare, nel rispetto del principio di non respingimento verso paesi terzi non sicuri. La Convenzione SOLAS obbliga il «comandante di una nave che si trovi nella posizione di essere in grado di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione … [Capitolo V, Regola 33)

Secondo le risposte negative seguite alla Direttiva ed alle note verbali inviate dall’attuale ministro dell’interno Piantedosi ai governi francese, tedesco e norvegese, lo Stato di bandiera NON ha alcuna competenza nella indicazione del porto di sbarco sicuro, anche se può contribuire con gli Stati costieri più vicini al luogo dell’evento, al coordinamento delle operazioni di soccorso che gli siano tempestivamente comunicate ( come provvedono a fare con la massima rapidità tutti i comandanti delle navi ONG, senza possibilità di smentita). Anche per la Commissione Europea non esiste una competenza primaria dello Stato di bandiera nella individuazione di un porto sicuro di sbarco, che secondo le Convenzioni internazionali dovrebbe essere raggiunto “nel tempo più breve ragionevolmente possibile”, e dunque non può certo trovarsi nel paese di bandiera della nave. Quanto asseriva il Viminale, che l’operato delle ONG non fosse “in linea con le norme europee”, è stato smentito frontalmente da tutti gli stati europei e dalle autorità di Bruxelles, dopo che i decreti rivolti da Piantedosi alle due navi delle ONG fatte entrare nel porto di Catania all’inizio di questo mese, citavano un Regolamento europeo che era stato abrogato nel 2020 e linee guida internazionali che affermavano l’esatto opposto di quanto affermava il ministro dell’interno ( Ris IMO 167-78). In passato la Gran Bretagna, la Francia, la Spagna, e la Germania avevano respinto le richieste italiane di assumere la responsabilità di coordinamento dei soccorsi per garantire lo sbarco a terra dei naufraghi in un porto indicato. dallo Stato di bandiera.

“Il soccorso in mare è un obbligo legale per gli Stati membri sotto la legge Ue e la legge internazionale. Indipendentemente da come persone siano finite in questa situazione. Tutti devono lavorare insieme per una risposta comune, con la priorità di salvare vite”. Questa la posizione della vice presidente della Commissione europea, Margaritis Schinas, nel corso dell’ultimo dibattito sui migranti al Parlamento europeo. Dare assistenza alle persone in pericolo in mare è un imperativo umanitario e un obbligo di tutti i Paesi e capitani di nave sotto il diritto internazionale. È cruciale che ogni attore rispetti le regole internazionali ed europee e che il porto più vicino per lo sbarco venga definito senza ritardi”. Lo ha dichiarato nello stesso dibattito il ministro ceco degli Affari europei, Mikulas Bek, (alla presidenza di turno dell’Unione europea).

Il documento elaborato dalla Commissione europea, e proposto come Piano di azione alla riunione del Consiglio dei ministri dell’interno in programma per venerdì 25 novembre, non accoglie nessuna delle richieste che il ministro dell’interno Piantedosi aveva rivolto ai partner europei, con argomenti che si rivelano in stretta adesione alle linee difensive del ministro Salvini, che nel processo di Palermo, sul caso Open Arms, cerca da tempo di criminalizzare le attività di soccorso e di chiamare in causa le responsabilità degli Stati di bandiera delle navi soccorritrici.

9. Non sembra neppure possibile continuare a basare la difesa del ministro delle infrastrutture Salvini, a Palermo,sui comportamenti delle ONG che si asserisce risultino non conformi al diritto internazionale, oppure sul mantra, ormai logorato, della competenza primaria dello stato di bandiera, come ragione giustificativa del diniego di atti di ufficio, come la mancata indicazione di un porto di sbarco sicuro. Una tesi ripresa ancora di recente nei casi Humaniy 1 e Geo Barents, dal ministro dell’interno Piantedosi, già braccio destro di Salvini al Viminale.

La La Risoluzione MSC.167(78) del 2004, che Malta non ha mai ratificato, individua il principio del Centro di coordinamento di «primo contatto» stabilendo che (punto 6.7) «Se del caso, il primo RCC contattato dovrebbe iniziare immediatamente gli sforzi per il trasferimento del caso al RCC responsabile della regione in cui l’assistenza viene prestata. Quando il RCC responsabile della regione SAR in cui è necessaria assistenza è informato della situazione dovrebbe immediatamente assumersi la responsabilità di coordinare gli sforzi di salvataggio, poiché le responsabilità correlate, comprese le disposizioni relative a un luogo sicuro per i sopravvissuti, cadono principalmente sul governo responsabile di quella regione. Il primo RCC, tuttavia, è responsabile per aver coordinato il caso fino a quando l’RCC o altra autorità competente non ne assumerà la responsabilità». Lo stesso principio è ribadito dal paragrafo 3.6.1 del Manuale IAMSAR,Vol. 1, dove si prevede che un RCC (Rescue Coordination Center) dopo la ricezione di una chiamata di soccorso, diventa responsabile nella gestione delle relative operazioni SAR, fino a quando altra autorità competente non assuma il coordinamento.In base alle Convenzioni internazionali l’autortà statale che coordina i socorsi è anche obbligata ad indicare un porto sicuro di sbarco, eventualmente coordinandosi con le autorità marittime dei paesi titolari di zone SAR contigue. Sempre che questi paesi risultino paesi in grado di garantire un porto sicuro di sbarco, ed abbiano ratificato tutte le Convenzioni internazionali di diritto del mare e sul diritto dei rifugiati, accettando anche tutte le successive modifiche e gli emendamenti.

La responsabilità di socorso a carico dello Stato che coordina le operazioni SAR, o che comunque è stato contattato, quando non sia intervenuto o non possa intervenire lo Stato che sarebbe responsabile della zona SAR nella quale si verifica l’evento di soccorso, si estende fino alla conclusione dell’operazione di ricerca e salvataggio, dunque fino allo sbarco in un porto sicuro. Tutte le Convenzioni internazionali vanno nella direzione di impedire casi di trattenimento a tempo indeterminato di navi cariche di naufraghi, bloccate in acque internazionali. Le trattative sulla eventuale redistribuzione dei naufraghi verso altri Paesi europei non possono sospendere le fasi conclusive delle operazioni di sbarco a terra, e le stesse modalità organizzative dei successivi trasferimenti dei naufraghi non possono impedire la necessaria tempestiva informazione, una sollecita tutela dei minori e dei soggetti vulnerabili, l’effettivo accesso alle procedure di protezione internazionale, e comunque, anche nel caso di successiva espulsione o di respingimento differito, in base all’art. 10 del Testo unico sull’immigrazione n. 286/98, l’effettivo accesso a tutti i diritti fondamentali riconosciuti alla persona dalle Convenzioni internazionali e dalla Costituzione italiana, quale che sia il suo stato giuridico.

Sono queste le ragioni dell’obbligo di sbarco dei naufraghi nel porto sicuro più vicino, adesso riprese dalla Commissione europea e dai principali Stati membri, a margine del caso della nave Ocean Viking costretta a cercare un porto di sbarco sicuro in Francia, dopo avere soccorso naufraghi a sud di Lampedusa, ragioni che demoliscono le tesi difensive ripetute ormai da mesi nel processo Salvini/Open Arms a Palermo, tutte incentrate sulla criminalizzazione dei soccorsi umanitari e sulla competenza esclusiva dello Stato di bandiera della nave soccorritrice. Tesi quest’ultima, che dovrebbe valere con un chiaro intento discriminatorio solo quando i soccorsi siano operati dalle navi straniere delle ONG, a meno che la Centrale di coordinamento della Guardia costiera italiana non decida di assumere la responsabilità di coordinamento delle attività di salvataggio, una volta che siano state classificate come SAR. Una decisione che non dovrebbe corrispondere a canoni di opportunità politica, ma che dovrebbe conformarsi alle prescrizioni vincolanti del diritto internazionale generalmente riconosciuto, senza discriminazioni a seconda della natura continuativa o occasionale delle attività SAR, come confermato dalle pronunzie della Corte di Cassazione, e della giurisprudenza di merito, oltre che dal Regolamento europeo Frontex n.656 del 2014, e dalle più recenti prese di posizione dei più importanti Stati membri della Unione europea e della Commissione europea.


UDIENZA DEL PROCESSO OPEN ARMS/SALVINI A PALERMO

2 DICEMBRE 2022 DA RADIO RADICALE

https://www.radioradicale.it/eventi/6754?fbclid=IwAR3ib0gYbPIbLO7LHSTH60WWYqQi3ZSQnN17fvv0nDFjzUZ0cJBV4F74Fjc

https://www.rainews.it/articoli/2022/12/processo-open-arms-spunta-il-video-di-un-sommergibile-della-marina-acquisito-il-fascicolo-340c03dc-1ee2-4104-8b66-066dd9b9d3fe.html


Non sembra che la “prova regina” per scagionare Salvini questa volta abbia funzionato molto…

https://www.liberoquotidiano.it/news/personaggi/25826003/danilo-toninelli-giulia-bongiorno-smemorato-prova-scagiona-salvini-open-arms.html

Processo Open Arms, l’ex ministra Trenta accusa Salvini: «Le decisioni erano sue. Mi rifiutai di controfirmare»

https://www.open.online/2022/12/02/palermo-processo-open-arms-trenta-salvini/

2 Dicembre 2022 – 13:49

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Processo Open Arms | Toninelli contro Salvini | ‘ Strumentalizzava i migranti’

Open Arms, Toninelli: “Divieto nave firmato da Salvini”