di Fulvio Vassallo Paleologo
1. Alla vigilia del viaggio del ministro degli esteri in Europa si intensifica la campagna di criminalizzazione dei soccorsi umanitari operati dalle navi delle Organizzazioni umanitarie, mentre gli Stati costieri continuano ad omettere il coordinamento dei soccorsi e si propongono di intensificare i rapporti con paesi come la Libia che non garantiscono alcun rispetto dei diritti umani e delle persone che si trovano intrappolate in un territorio ancora conteso da milizie armate, colluse in parte con i trafficanti. Persone alle quali la giurisprudenza italiana riconosce in molti casi il diritto alla protezione speciale, per effetto degli abusi subiti non nel proprio paese di origine, ma durante la loro permanenza in Libia. Si continua a parlare di “flussi migratori” dalla Libia, quando si tratta nella totalità di casi di migranti forzati, di persone che non hanno alternative di rimanere in un paese nel quale sono quotidianamente esposte ad abusi di ogni genere. No, non sono davvero flussi migratori. E chi li soccorre in mare opera sotto stato di necessità (forza maggiore) e sotto la costante minaccia di intervento armato delle motovedette libiche donate dall’Italia e coordinate da Frontex. Non si può continuare a ritenere che i comandanti delle navi svolgano attività illecite, dopo le sentenze dei Tribunali e della Corte di Cassazione che hanno riconosciuto i loro soccorsi come adempimento di un dovere derivante dal diritto interazionale, richiamato dagli articoli 10 e 117 della Costituzione. Chi diffama il loro operato andrebbe immediatamente querelato, dopo che per anni il mantra dei taxi del mare è stato utilizzato per la propaganda elettorale dei partiti di destra. Semmai qualcuno dovrebbe spiegare come mai uno dei più noti trafficanti libici, adesso ai vertici della Guardia costiera, negli scorsi anni abbia potuto avere accesso persino al Viminale. Non sara’ certo un caso se gli attacchi contro le ONG partano anche dalle autorità di Tripoli con una evidente contestualita’ rispetto agli attacchi delle autorità italiane. E quando i libici attaccano usano anche minacce armate.
La fonte di questa pervicace attività diffamatoria, che non ha trovato conferma in alcuna sentenza di tribunale è ancora una volta l’Agenzia europea per la sorveglianza delle frontiere sterne Frontex. Già nel 2016 da questa agenzia erano arrivate le accuse nei confronti dell’equipaggio della nave umanitaria tedesca IUVENTA di avere operato salvataggi consistenti di fatto in “consegne concordate” con gli scafisti, da cui nacque il procedimento penale ancora aperto davanti al Tribunale di Trapani ed il sequestro della nave, ormai ridotta ad un rottame. Oggi una parte di quell’inchiesta è stata archiviata e si discute ancora della regolarità di una montagna di intercettazioni disposte su una traccia investigativa dettata dai servizi. Dopo il nuovo Regolamento Frontex n.1896 del 2019, successivo a quello (n.1624/2016/UE) abrogato nel 2020, che pure viene erroneamente citato nei primi decreti adottati da Piantedosi contro le ONG, la interconnessione tra le agenzie di sicurezza europee e le polizie di Stato è ulteriormente aumentata. Mentre le principali attività operate da questi imponenti sistemi di sicurezza, anche con il ricorso a droni ed a intercettazioni sistematiche, piuttosto che rivolgersi alla caccia dei trafficanti, si sono concentrate sulle attività di ricerca e salvataggio in acque internazionali svolte dalle organizzazioni non governative. Secondo il ministro degli esteri Tajani, le ONG “Si danno appuntamento con gli scafisti, l’Ue stili un codice di condotta”. Ma l’Unione Europea dovrebbe rivedere piuttosto il ruolo dell’agenzia Frontex, al centro di pesanti critiche dopo che il suo Direttore Legeri e’ stato costretto alle dimissioni per le sue responsabilità nei push back illegali.
Dalle prime dichiarazioni dei nuovi ministri del governo Meloni, si percepisce che si sta lavorando alacremente su nuovi dossier di accuse contro le ONG, alle quali si contesta anche di “svolgere un ruolo politico”, forse perché chiedono agli Stati costieri il rispetto degli obblighi di soccorso derivanti dal Diritto internazionale del mare. Dai siti dei giornali più vicini alle attività di polizia filtrano già notizie sui migranti in territorio libico, che sarebbero in attesa di essere imbarcati sui barconi, ai trafficanti a seconda della presenza delle navi umanitarie nelle acque internazionali del Mediterraneo centrale. Peccato che a queste fonti tanto informate sfuggano regolarmente il grado di coesione tra le organizzazioni criminali e gli apparati statali preposti in Libia al controllo dell’immigrazione ed alla sorveglianza costiera.
2. Con queste accuse di carta straccia l’italietta in guerra contro i soccorsi in mare si presenta a Bruxelles per negoziare un nuovo piano di redistribuzione dei richiedenti asilo in Europa e per sollecitare iniziative comuni contro le odiate ONG. Ma la Francia ribadisce gli obblighi di soccorso e sbarco nel porto sicuro più vicino a carico dell’Italia, in base alle Convenzioni internazionali (ed al Regolamento europeo 656/2014 che le richiama tutte), e da Berlino giungono elogi alle Ong. “Nel 2022 sono già oltre 1300 le persone morte o disperse nel Mediterraneo. Un 12% dei sopravvissuti sono stati salvati dalle ONG. Loro salvano vite laddove l’aiuto da parte degli Stati manca. Il loro impegno umanitario merita la nostra riconoscenza e il nostro appoggio”. Lo scrive su Twitter l’ambasciatore tedesco in Italia, Viktor Ebling. Sarà ben difficile che la Commissione europea, che ha già bacchettato il governo italiano per la mancata assegnazione di un porto di sbarco sicuro alle ONG, possa cambiare il suo orientamento già espresso dalla sua portavoce Anita Hipper fino a pochi giorni fa., secondo cui “salvare vite in mare è dovere morale e obbligo legale”. La portavoce della Commissione aveva rivolto una precisa richiesta alle autorità italiane, ribadendo che lo sbarco dei naufraghi doveva avvenire nel porto sicuro più vicino e non nel paese di bandiera della nave soccorritrice. Porto sicuro, POS o place of safety, che l’Italia, malgrado numerose richieste del comandante, e dei governi di Germania e Norvegia, non ha concesso alla Ocean Viking di SOS Mediterraneé giunta ieri a Tolone.
Tajani si presenta a Bruxelles con una riedizione del Patto di Malta per la redistribuzione, e con un documento di attacco contro le ONG sottoscritto, sotto la evidente regia italiana, da alcuni stati costieri del Mediterraneo, Malta, Cipro e Grecia.
La bozza dell’accordo europeo sui migranti stipulata nel 2019 a Malta si manteneva sulla linea di considerare le ONG un fattore di attrazione ( pull factor) e preludeva alla loro ulteriore criminalizzazione. Sembrava addirittura profilarsi l’adozione di un Codice europeo di condotta per le ONG impegnate nei soccorsi in mare, ma a causa della mancata intesa sul pre-accordo di Malta, a cui aderivano soltanto quattro governi UE, anche questa ipotesi restava nel campo delle dichiarazioni propagandistiche. Adesso il nuovo governo italiano cerca di riproporla dopo che a livello europeo la stessa ipotesi era stata bocciata.
I punti principali cd.accordo di Malta del 2019, che prevedevano la esternalizzazione delle frontiere in Libia e le “piattaforme” in quel paese per lo sbarco delle persone soccorse nel Mediterraneo centrale, non costituivano affatto “un primo passo verso la riforma del Regolamento di Dublino”, ma solo un tentativo di “umanizzazione del disumano”, la detenzione amministrativa in territorio libico Prima che su questo fossero realizzate complessive misure di protezione e situazioni di sicurezza.
In numerose occasioni l’UNHCR, ha ribadito che la Libia non è nelle condizioni di garantire la sicurezza delle persone internate nei centri di detenzione. Altri passaggi della bozza di Malta, che peraltro non ha avuto ancora il riscontro a livello europeo che si attendeva, ricalcano il codice di condotta per le ONG voluto dal governo Gentiloni nell’estate del 2017. Al punto 6 dell’accordo per esempio si allude al c.d. pull factor, come se la presenza delle ONG incentivasse le partenze dalla Libia. La stessa accusa che oggi viene rilanciata dal nuovo governo Meloni, che al di là dell’appoggio di piccole isole-stato come Malta e Cipro, ha trovato soltanto l’appoggio del governo greco. Un appoggio che l’Italia potrebbe pagare pesantemente in Libia, dove la Turchia, tradizionale avversaria della Grecia nel Mediterraneo, controlla ormai le coste della Tripolitania dalla quale si verifica il maggior numero delle partenze verso l’Italia.
L’Italia si presenta così a Bruxelles con l’appoggio di “Piccoli alleati” , ma violatori seriali delle norme sui soccorsi in mare e del principio di non respingimento sancito dall’art. 33 della Convenzione di Ginevra e dell’art. 19 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Il comunicato congiunto di Italia, Cipro, Malta e Grecia, fotocopiato sulla Direttiva Piantedosi del 25 ottobre rivolta alle forze di polizia per vietare l’ingresso delle ONG nei porti italiani., rilancia le solite accuse di disobbedienza e di collusione con i trafficanti . Quale riscontro potranno avere a livello europeo accuse che non hanno trovato conferma nelle sentenze dei giudici ?
La Spagna non ha voluto condividere il documento proposto dall’Italia, ritenendo di non ““sostenere proposte che premierebbero i Paesi che non rispettano i loro obblighi in termini di diritto marittimo internazionale e che andrebbero a discapito di quelli che, come la Spagna, rispettano i loro obblighi internazionali e salvano vite con risorse pubbliche”. La ministro degli esteri francese ha intanto richiamato ancora una volta le autorità italiane al rispetto degli obblighi internazionali di soccorso in mare. Le prime scelte del governo Meloni, al di là del tono rassicurante dei comunicati ufficiali, rischiano di gettare il nostro paese in un pericoloso isolamento.
3. I rinnovati attacchi contro le ONG hanno anche una valenza interna, e non servono soltanto per dare copertura alla sistematica violazione degli obblighi di soccorso e coordinamento da parte delle autorità italiane, ma potrebbero avere gravi ricadute sul processo IUVENTA a Trapani, ed anche in altri procedimenti di forte rilievo politico, dal momento che la stessa tesi di accusa contro le ONG è stata invocata dalla difesa di Salvini per ottenerne ‘l’assoluzione nel processo Open Arms che si svolge nei suoi confronti a Palermo.
Le indagini sull’equipaggio della nave IUVENTA appartenente alla organizzazione tedesca Jugend Rettet cominciavano già nel mese di settembre del 2016 e sfociavano l’anno successivo, ad agosto, nel sequestro della nave, che operava stabilmente al di fuori delle acque territoriali italiane, come mezzo di primo soccorso, che poi trasferiva i naufraghi, su altre navi più grandi, delle ONG o della Guardia costiera, sotto il coordinamento della Centrale operativa (IMRCC) della stessa guardia costiera italiana e della nave che di fatto svolgeva funzioni di SAR Coordinator on Place. Su autorizzazione del comando centrale della guardia costiera e del coordinatore SAR “on place” migliaia di naufraghi soccorsi dalla Iuventa, come da altre navi delle ONG, venivano trasbordati su navi più grandi e sicure che raggiungevano i porti italiani. Questi trasbordi nel luglio del 2017 venivano vietati dal codice Minniti, con una evidente finalità di deterrenza dei soccorsi, perchè le navi come la Iuventa , soprattutto in condizioni di mare agitato, comunque frequenti anche nella stagione estiva, avevano difficoltà a raggiungere i porti italiani. Ma il codice Minniti non ha acquisito mai la forza di un atto di legge, anche per la sua contrarietà a principi stabiliti dalle Convenzioni internazionali che impongono soccorsi nel tempo ragionevolmente più breve e lo sbarco nel porto sicuro più vicino.
Il 2 agosto del 2017 la Iuventa veniva attirata nel porto di Lampedusa con un espediente, la richiesta del trasbordo, e quindi di sbarco a terra di soli due naufraghi, che si potevano sbarcare normalmente con un mezzo veloce della locale Guardia costiera. Appena ormeggiata in porto la nave umanitaria veniva bloccata con pretesti burocratici, ma in realtà il provvedimento di sequestro disposto dalla Procura di Trapani lo stesso 2 agosto 2017, praticamente poche ore prima dell’ingresso della nave in porto, era già pronto per la notifica, effettuata poi lo stesso giorno. Secondo il Messaggero, “La nave Iuventa della ong tedesca Jugend Rettet, che non ha firmato il protocollo, era stata bloccata in nottata al largo di Lampedusa dalla Guardia costiera italiana, che l’ha scortata fino al porto.
Dalla nave erano stati fatti scendere due siriani, accompagnati nel Centro di prima accoglienza dell’isola. I due migranti erano stati trasferiti in precedenza a bordo della nave della ong tedesca proprio da una delle unità militari italiane impegnate nelle operazioni di soccorso ai migranti nel Mediterraneo. Per scortare in porto la Iuventa sono intervenute diverse motovedette della Guardia costiera, con un grande spiegamento di forze dell’ordine anche sulla banchina.
Il relativo procedimento penale veniva aperto inizialmente contro ignoti, e la IUVENTA era quindi trasferita nel porto di Trapani, dove era attentamente perquisita, e restava quindi sotto sequestro preventivo fino ad oggi. Alla base del provvedimento di sequestro, notificato per l’ipotesi di reato di agevolazione di ingresso di clandestini, prevista dall’art. 12 del Testo Unico sull’immigrazione n. 286 del 1998, come modificato dalla legge Bossi-Fini n.189 del 2002, le relazioni di alcuni agenti della società privata di sicurezza IMI Service, imbarcati da tempo come security a bordo della nave VOS HESTIA di Save The Children e le intercettazioni ambientali disposte dalla Procura di Trapani a bordo di entrambe le navi.
Un ruolo centrale nella raccolta del vasto materiale accusatorio poi utilizzato dalla Procura di Trapani era svolto da un agente “sotto copertura” del Servizio centrale operativo (SCO) del ministero dell’interno, che nel settembre del 2016, grazie alla IMI Service, era stato assunto ed imbarcato a Malta sulla VOS Hestia di Save the Children, spacciandosi per un ex pompiere. Secondo quanto affermato dalla Procura di Trapani ” “le indagini, avviate nell’ottobre del 2016 e condotte con l’utilizzo di sofisticate tecniche e tecnologie investigative, hanno consentito di raccogliere elementi indiziari in ordine all’utilizzo della motonave Iuventa per condotte di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. La nave sarebbe stata “stabilmente dedita al soccorso di migranti in prossimità delle coste libiche ed al loro trasbordo su altre navi sempre in acque internazionali, permanendo abitualmente nel mare libico, in prossimità delle acque territoriali del paese africano”. Ecco la fonte delle accuse che ancora oggi si continua a rilanciare verso tutte le Ong.
Nel mese di marzo del 2017 le carte dell’indagine sulla IUVENTA, condotta dall’agente dello SCO e dagli ex poliziotti infiltrati a bordo di alcune navi umanitarie, reclutati come componenti della security della nave Vos Hestia di Save The Children, venivano “passate” a Matteo Salvini, che ne faceva uso propagandistico, ben prima di essere utilizzate dalla Procura di Trapani.
Sulla Iuventa e su altre navi umanitarie, dunque, si indagava già dal mese di ottobre del 2016, proprio da quando partivano da alcuni esponenti di Frontex e da associazioni della ultradestra europea, come GEFIRA, pesanti accuse nei confronti delle ONG, ritenute fiancheggiatrici dei trafficanti, per le loro attività di ricerca e soccorso (SAR) in acque internazionali, che avevano consentito di salvare la vita a decine di migliaia di persone, sotto il coordinamento della Centrale operativa della Guardia costiera italiana. Gli organismi europei giocavano a lungo una partita di attacco contro le ONG, al malinteso fine di ridurre il numero degli sbarchi in Europa, già in calo per fattori ben diversi legati agli sbarramenti di frontiera nei paesi di transito.
Si costruiva così l’accusa che le ONG svolgessero il ruolo di taxi del mare, ed il caso della IUVENTA aveva un risalto mediatico enorme che serviva a criminalizzare tutte le Organizzazioni non governative. Come riferiva lo stesso Ministero dell’interno sulla scorta delle prime dichiarazioni rese dai magistrati inquirenti. “Nella maggior parte dei casi – spiegava il procuratore Ambrogio Cartosio – le operazioni servono per trasportare persone scortate dai trafficanti libici». In più occasioni, è stato possibile ricostruire le modalità operative dei soccorsi a migranti che, in almeno in tre casi, non sarebbero stati in pericolo. La motonave prendeva a bordo le persone in mano ai trafficanti nel Mar Libico e poi, non essendo molto capiente, le trasferiva su altre navi della Marina militare o di altre organizzazioni”. La stessa Procura confermava la presenza, nelle occasioni di soccorso contestate alla Iuventa, di mezzi della Guardia costiera libica, che però in quel periodo si guardavano bene dall’intervenire. Erano peralrto note da tempo le indagini internazionali, relative proprio a quel periodo, sui legami tra la cd. Guardia costiera libica e le organizzazioni criminali.
4. Un rapporto molto dettagliato, ricco di ricostruzioni cartografiche che smentivano la complicità con i trafficanti e la ricorrenza di una fattispecie di agevolazione dell’ingresso irregolare, veniva pubblicato ed aveva vasta diffusione a livello internazionale, ma non attutiva la ventata di odio che si riversava intanto sulle ONG. Associazioni private che, in assenza di un intervento degli stati o dell’Unione Europea, avevano salvato migliaia di persone da morte certa, o dal destino di una deportazione in Libia, equivalente in molti casi alla morte o alla tortura delle persone intercettate in acque internazionali. Dalle testimonianze raccolte nel rapporto, come da numerose testimonianze successive rese dai migranti provenienti dalla Libia e soccorsi in acque internazionali, si ricavava che la situazione di pericolo, esclusa dalla Procura di Trapani, si poteva configurare non solo in mare, per il rischio comunque di naufragio a causa del sovraccarico di mezzi privi dei più elementari mezzi di salvataggio, ma anche a terra, una volta ricondotti sulla costa da mezzi appartenenti alla sedicente guardia costiera “libica”. Era infatti nota già allora la situazione terribile dei centri di detenzione nei quali sarebbero stati rigettati i naufraghi “soccorsi” dalle motovedette libiche.
Nel Rapporto della Goldsmiths University sul caso IUVENTA le accuse originarie venivano ridimensionate sulla base di rilievi assai precisi, non potendosi ritenere le acque territoriali libiche più estese delle 12 miglia (la Libia non ha mai dichiarato una zona contigua di ulteriori 12 miglia, come l’Italia), e ben prima che gli accordi tra Gentiloni, Minniti e Serraj portassero alla istituzione di, una sia pure fittizia, zona SAR libica. Una zona SAR libica, semmai se ne possa parlare con una Libia divisa tra milizie ancora oggi in conflitto tra loro, è stata istituita soltanto il 28 giugno del 2018, non certo prima. Veniva anche smentita la tesi che il piccolo gommone della IUVENTA stesse riportando verso le coste libiche il barcone ormai vuoto, che appariva evidentemente molto più grande e pesante del mezzo che avrebbe dovuto rimorchiarlo.
Riprese video contenute nel Rapporto della Goldsmith University smentivano i primi fotomontaggi prodotti dagli agenti infiltrati a bordo della Vos Hestia. Che le imbarcazioni sovraccariche fossero poi in stato di pericolo e richiedessero interventi non dilazionabili, trovandosi in alto mare, oppure che non fosse possibile attendere l’arrivo delle motovedette libiche prima di procedere ai soccorsi, veniva ribadito a livello di organismi internazionali, e nel corso di altri procedimenti penali in Italia. Gli stessi procuratori di Trapani negavano inoltre che fosse configurabile una associazione a delinquere tra i trafficanti e singoli appartenenti alle Organizzazioni non governative. Nel 2018 la Procura di Palemo chiedeva l’archiviazione, poi disposta dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Palermo, di una indagine parallela avviata sulla base di segnalazioni simili a quelle che nel 2017 erano state inviate alla Procura di Trapani, con riferimento a diverse ONG, tra cui la stessa Jugend Rettet.
5. Non si vede come si possa parlare di ” consegne concordate” tra trafficanti e Organizzazioni non governative se solo si tengono presenti le circostanze di fatto che caratterizzavano i giorni nei quali si sarebbero realizzate le condotte illecite contestate dalla procura di Trapani, giorni nei quali contemporaneamente decine di gommoni con centinaia di migranti a bordo erano stati fatti partire dalle coste libiche diretti verso le acque internazionali nelle quali, oltre alla IUVENTA ed alla VOS HESTIA di Save The Children, stazionavano numerose altre imbarcazioni militari e di altre ONG che, sotto il coordinamento della Centrale operativa della Guardia costiera italiana di Roma (IMRCC), provvedevano al soccorso di naufraghi. Persone che, in assenza di tali interventi ed a fronte della natura e delle finalità delle poche motovedette libiche presenti in zona, avrebbero fatto sicuramente naufragio. Così, solo a titolo di esempio, secondo quanto documentato dal Rapporto sulle attività SAR nel Mediterraneo centrale pubblicato dal Comando generale della Guardia costiera italiana, nella stessa zona di mare nella quale operava la IUVENTA, il 16 giugno del 2017, due giorni prima di uno degli interventi di soccorso contestati agli operatori della nave umanitaria, si erano verificati ben 21 eventi SAR (di soccorso) simultanei con il salvataggio di 2656 persone in una sola giornata. E lo stesso si verificava nei giorni precedenti. ad esempio il 18 e il 19 maggio di quell’anno venivano soccorse 4320 persone in 38 diverse operazioni SAR, e dal 23 al 26 maggio venivano salvate ben 9605 persone in 73 operazioni SAR, praticamente quante ne sono state soccorse nella stessa zona in tutto il 2019. Ed ancora tra il 25 ed il 26 giugno del 2017 8760 persone venivano soccorse in 60 eventi SAR realizzati in quei due soli giorni. Non si vede come in presenza di questa situazione di fatto, ben nota alle autorità marittime, e dunque certamente conosciute anche dalla autorità giudiziaria, si sia arrivati alla contestazione del reato di favoreggiamento dell’ingresso di clandestini, ex art. 12 del Testo Unico sull’immigrazione n.286/1998, adducendo la ricorrenza di “consegne concordate” con i trafficanti, prendendo in rilievo due singoli interventi di soccorso operati dalla IUVENTA, svolti peraltro a distanza di mesi ( il primo nel settembre del 2016 ed il secondo nel mese di giugno del 2017). Se di “consegne concordate” si voleva davvero parlare, si sarebbe dovuto chiamare in causa anche le attività SAR operate in quello stesso periodo ed in quelle stesse acque da imbarcazioni miliitari di Frontex, della Guardia costiera e della Marina militare italiana.
Il problema centrale del caso IUVENTA si presenta attuale ancora oggi e riguarda in particolare l’esistenza di un effettivo o imminente”distress“, potendosi anche presentare il caso che la richiesta di soccorso sia avanzata in assenza di pericolo imminente, ma tuttavia pervenga da un’imbarcazione priva dei requisiti di sicurezza. La nozione di “distress” è così stabilita dalla convenzione di Amburgo del 1979 (Annex, ch. 1, para. 1.3.11) “a)situation wherein there is a reasonable certainty that a vessel or a per-son is threatened by grave and imminent danger and requires immediate assistance”. La nozione di “distress” generalmente adottata in diritto internazionale demolisce la ricostruzione delle “consegne concordate”, prospettata nel caso Iuventa dalla Procura di Trapani, perché se è vero che la presenza della nave soccorritrice ai limiti delle acque territoriali libiche è largamente prevedibile dai trafficanti, non si può affermare che la nave si trovi in quella zona allo scopo di operare una attività di agevolazione dell’ingresso irregolare, quanto piuttosto per impedire che, come purtroppo continua a verificarsi in troppi casi, l’assenza delle imbarcazioni di soccorso o il loro ritardato arrivo, magari in attesa che intervenga qualche motovedetta libica, producano l’annegamento di tutti o parte dei migranti, che una volta abbandonati in alto mare sono soltanto naufraghi da soccorrere e non certo “clandestini” da fare entrare in territorio europeo in violazione delle leggi vigenti. Che invece prevedono espressamente l’ipotesi dell’ingresso per ragioni di soccorso di migranti privi di valido titolo di ingresso, per stabilire che, in assenza di una richiesta di protezione internazionale, può essere disposto il respingimento ( art. 10 del T.U. n.286/1998) o l’espulsione ( art. 13 dello stesso Testo Unico). Ma solo dopo il loro sbarco a terra nel porto sicuro più vicino.
6. Se i trafficanti abbandonavano i migranti in acque internazionali, o li scortavano fino alle acque internazionale all’evidente finalità di farle soccorrere dalle navi delle ONG, non si può configurare alcun disegno criminoso comune con i trafficanti, che agiscono per evidente scopo di lucro, in coloro che all’epoca dei fatti operavano attività di soccorso per effettuare successivamente trasbordi su navi che arrivano poi i territorio italiano, ma sotto il controllo del Comando centrale del Corpo della Guardia Costiera (IMRCC) e per prevalenti finalità di soccorso dunque, in adempimento agli obblighi SAR (di ricerca e salvataggio) derivanti dalle Convenzioni internazionali. Sono gli stessi magistrati, ed in particolare il Giudice delle indagini preliminari di Trapani, ad escludere l’esistenza di una comune finalità tra i trafficanti libici e gli operatori umanitari della IUVENTA. E se rileva il “profilo teleologico”, la serie causale di una operazione di ricerca e salvataggio coordinata dalla Guardia costiera italiana, o da navi che ne ricevono delega, come la Vos Hestia, non è certo assimilabile alle attività di trasporto e trasbordo poste in essere da navi madre, rispetto ad imbarcazioni più piccole che poi raggiungono la costa ( casi sui quali si era formata la giurisprudenza della Corte di Cassazione, richiamata nel decreto di sequestro della nave Iuventa).
Appare poi scarsamente attendibile la configurazione di un legame associativo con trafficanti libici non meglio identificati in una fase processuale, il procedimento di sequestro della Iuventa, nel quale gli autori dei reati contestati vengono indicati come “ignoti”. La configurazione di un rischio di reiterazione del reato con i mezzi che non sono stati distrutti dai soccorritori equivale a considerare l’attività di ricerca e soccorso svolta dalle ONG come una potenziale occasioni di attività illecite, in linea con la campagna di stampa alimentata dal 2017, poi parzialmente smentite da parte dell’agenzia Frontex. Sono le stesse accuse che ritornano oggi nei confronti delle navi umanitarie alle quali l’Italia continua a negare la tempestiva assegnazione di un porto di sbarco sicuro.
7. Si dovrebbero piuttosto indagare i rapporti intercorrenti nel tempo tra la sedicente guarda costiera “libica” e le autorità marittime italiane ed europee.
Dopo le inchieste che hanno messo in evidenza la visita in Italia di uno dei più noti trafficanti libici, adesso reintegrato nella Guardia costiera di Zawia, si dovrà verificare con quali milizie sono stati stretti gli accordi che hanno portato ad un forte rallentamento delle partenze nei mesi di luglio ed agosto del 2017 e poi negli anni successivi. A quali costi umani e con quali conseguenze sui processi di riconciliazione in Libia, che appare oggi sempre più dilaniata dalla guerra civile?
Quando le autorità italiane cedono alle autorità libiche la responsabilità Sar, inizialmente assunta dopo il primo avvistamento dei natanti da soccorrere, come accadeva già nel 2017, anche con riferimento alle persone che, trovandosi a bordo di gommoni in acque internazionali, ricadono già sotto la giurisdizione esclusiva, indipendentemente dallo stato di bandiera dei mezzi civili o militari che vengono soccorsi, si realizzano tutti gli estremi di un trasferimento di giurisdizione che equivale ad una consegna (rendition) di quelle stesse persone alle autorità di un Paese che non garantisce un luogo di sbarco sicuro, che non aderisce alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati, nel quale sono note le collusioni tra autorità statali e trafficanti, e che da ultimo si trova, e si trovava già nel 2017, in una fase di conflitto armato e di gravi violazione dei diritti umani anche ai danni della popolazione libica, al punto che a tale riguardo già dal mese di maggio del 2017 sono in corso indagini da parte della Corte Penale internazionale. Ed è lo stesso Giudice delle indagini preliminari di Trapani che, nei due casi contestati agli operatori umanitari, riferisce la collusione tra la guardia costiera “libica” presente nella zona dei soccorsi ed i trafficanti libici. Piuttosto che indagare in questa direzione, si s’ preferito concentrare tutte le indagini sulle operazioni di soccorso delle ONG.
La conclusione del processo sulla Iuventa potrebbe offrire una occasione preziosa per verificare i fatti con la garanzia della sede dibattimentale, nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, e quindi restituire credibilità alle operazioni di soccorso, facendo chiarezza sugli obblighi di salvataggio e di cooperazione a carico degli stati. Non sulla base di dichiarazioni estemporanee sui social, come fanno da tempo alcuni ministri, ma sulla base di tabulati e tracciati certi. Una chiarezza che occorre per non perdere altre vite umane, una chiarezza che occorre ancora fare, a partire dalla suddivisione delle zone SAR in acque internazionali e dei ruoli di coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso (SAR), che non possono essere affidate a regole mutevoli, imposte dai decisori politici sotto la minaccia della sanzione penale delle attività di cittadini solidali. Che antepongono, ed anteporranno ancora in futuro, la salvaguardia della vita umana in mare, ed il divieto di trattamenti inumani o degradanti a terra, al preteso rispetto alle esigenze di pubblica sicurezza o di controllo dei confini. Esigenze che possono comunque essere garantite, da chi ne ha la competenza, con le doverose attività di indagine su scafisti e trafficanti, una volta che i naufraghi, perché di questi si tratta e non di comuni migranti, siano stati sbarcati in un place of safety, in un porto sicuro di sbarco.
8. Nel caso della SEA WATCH 3 (2019) il ministro dell’interno ha rifiutato per oltre due giorni lo sbarco a terra anche quando era già confermata la disponibilità di diversi paesi europei che avevano dichiarato di volere accogliere i naufraghi soccorsi della nave e bloccati sulla nave in condizioni disumane per due settimane. La politica di Salvini in quella occasione era smentita seccamente dall’Unione Europea. “La soluzione per le persone a bordo della Sea Watch è possibile solo una volta sbarcate”. Così il commissario europeo Dimitris Avramopoulos, diceva spiegando che Bruxelles è coinvolta da vicino nel coordinarsi con gli Stati membri per ricollocare i migranti quando saranno a terra. Alla fine era stata anche offerta la disponibilità di cinque paesi europei. Ma il ministro dell’interno aveva insistito nei suoi divieti e lo sbarco dei naufraghi a Lampedusa poteva avvenire solo dopo il sequestro della nave disposto dalla Procura di Agrigento.
Il Tribunale di Agrigento, con l’ordinanza del 2 luglio 2019 che negava la convalida degli arresti di Carola Rackete, ordinanza poi confermata dalla Corte di cassazione, ha riaffermato il principio di legalità, restituendo dignità al diritto internazionale ed ai diritti umani, nel quadro normativo delineato dalla nostra Carta costituzionale. Le motivazioni addotte dal Giudice per le indagini preliminari di Agrigento chiariscono che il soccorso in acque internazionali va distinto dal trasporto di clandestini, al contrario di quanto sostenuto dal ministro dell’interno. L’ordinanza del Gip di Agrigento afferma anche che il cd. decreto sicurezza bis non è applicabile alle ONG che hanno salvato vite umane in alto mare. Il giudice, in sostanza, ritiene inapplicabile il decreto sicurezza bis: “Ritiene questo giudice che nessuna idoneità a comprimere gli obblighi gravanti sul capitano della Sea Watch 3, oltre che delle autorità nazionali, potevano rivestire le direttive ministeriali in materia di ‘porti chiusi’ o il provvedimento del ministro degli Interni di concerto con il ministero della Difesa e delle Infrastrutture che faceva divieto di ingresso, transito e sosta alla nave, nel mare nazionale, trattandosi peraltro solo di divieto sanzionato da sanzione amministrativa”.”. A questa stregua, Il reato di resistenza a pubblico ufficiale deve ritenersi “scriminato per avere agito l’indagata in adempimento di un dovere”. Il dovere di soccorso dei naufraghi” non si esaurisce con la mera presa a bordo dei naufraghi, ma nella loro conduzione al porto sicuro più vicino”.
9. La Corte di Cassazione ha confermato la decisione assunta dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Agrigento, che escludeva la legittimità dell’arresto della comandante della Sea Watch Carola Rackete. In questo caso non è stato accolto il ricorso presentato dalla Procura di Agrigento.
La terza sezione penale della Corte di Cassazione, dopo una camera di consiglio svolta il 16 gennaio scorso, ha rigettato il ricorso presentato la scorsa estate dal procuratore capo di Agrigento Luigi Patronaggio e dall’aggiunto Salvatore Vella contro l’ordinanza, firmata il 2 luglio 2019 dal gip Alessandra Vella che decise di non convalidare l’arresto di Rackete, escludendo il reato di resistenza e violenza a nave da guerra, che era stato contestato alla comandante per avere, il 29 giugno dello stesso anno, forzato un tentativo di impedire l’attracco in banchina della nave già entrata in porto a Lampedusa. La sentenza della Corte, nelle motivazioni che sono state pubblicate oggi, richiama puntualmente tutti gli obblighi di soccorso stabiliti dal diritto internazionale, secondo una ricostruzione gerarchicamente ordinata delle fonti.
Per la Corte di Cassazione (Sentenza n. 6620, depositata il 20 febbraio 2020) “ Il controllo di ragionevolezza del giudice della convalida deve dunque essere effettuato sulla base di una interpretazione adeguatrice delle norme di rango primario – le norme appunto che disciplinano la convalida dell’arresto in flagranza – a quelle di rango costituzionale che stabiliscono limiti tassativi al potere dell’autorità di polizia giudiziaria di incidere sulla libertà personale degli individui. Il giudice di Agrigento ha correttamente interpretato quelle norme di legge (artt. 385 e 391 cod.proc.pen.) alla luce dei principi di rango costituzionale. Egli ha puntualmente ricostruito la vicenda processuale, ripercorrendo nel corpo del provvedimento la scansione temporale degli eventi, riepilogando gli antefatti dal giorno del salvataggio dei naufraghi fino ai contatti tra la capitana e la polizia giudiziaria nei giorni successivi, allorché la Sea Whatch3 era alla fonda davanti al porto di Lampedusa, nonché ciò che avvenne poco prima dell’ingresso in porto, la notte del 29 giugno 2019. Tale ricostruzione risultava necessaria allo scopo di inquadrare un evento che si caratterizzava per la sua singolarità, oggettivamente al di fuori dei casi normalmente affrontati in sede di convalida di arresto. Alla luce di tutto ciò, il Giudice ha ritenuto non legittimo l’arresto della Rackete in quanto operato in presenza di un divieto stabilito dall’art. 385 cod.proc.pen. Secondo quanto argomentato nel provvedimento impugnato, la misura precautelare era stata adottata al di fuori del perimetro di legalità, in forza della ricorrenza di una causa di giustificazione, individuata nell’adempimento del dovere di soccorso. Tale causa di giustificazione trovava correttamente il proprio fondamento, diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, proprio in una valutazione complessiva e non parcellizzata di tutti gli elementi fattuali rilevanti per comprendere la situazione palesatasi agli operanti nelle fasi immediatamente precedenti alla condotta di ingresso nel porto, e di quelli ad essi antecedenti, tutti elementi conosciuti da coloro che avevano operato l’arresto.
La Corte di Cassazione condivide dunque “la valutazione del Giudice di Agrigento, che ha ritenuto non ci fossero i presupposti per convalidare l’arresto, eseguito in quel descritto contesto fattuale, poiché operante il divieto di cui all’art. 385 cod.proc.pen., è corretta. La verosimile esistenza della causa di giustificazione è stata congruamente argomentata. In questo ambito, il provvedimento ripercorre, necessariamente, le fonti internazionali (Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare, SOLAS- Safety of Life at Sea, Londra, 1974, ratificata dall’Italia con la legge n. 313 del 1980; Convenzione SAR di Amburgo del 1979, resa esecutiva dall’Italia con la legge n. 147 del 1989 e alla quale è stata data attuazione con il D.P.R. n. 662 del 1994; Convenzione UNCLOS delle Nazioni Unite sul diritto del mare, stipulata a Montego Bay nel 1982 e recepita dall’Italia dalla legge n. 689 del 1994), sia allo scopo di individuare il fondamento giuridico della causa di giustificazione, identificata nell’adempimento del dovere di soccorso in mare, sia al fine di delinearne il contenuto idoneo a scriminare la condotta di resistenza. Proprio le citate fonti pattizie in tema di soccorso in mare e, prima ancora, l’obbligo consuetudinario di soccorso in mare, norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta e pertanto direttamente applicabile nell’ordinamento Io interno, in forza del disposto di cui all’art. 10 comma 1 Cost. – tutte disposizioni ben conosciute da coloro che operano il salvataggio in mare, ma anche da coloro che, per servizio, operano in mare svolgendo attività di polizia marittima -, sono il parametro normativo che ha guidato il Giudice nella valutazione dell’operato dei militari per escludere la ragionevolezza dell’arresto della Rackete, in una situazione nella quale la citata causa di giustificazione era più che “verosimilmente” esistente. Nè si potrebbe ritenere, come argomenta il ricorrente, che l’attività di salvataggio dei naufraghi si fosse esaurita con il loro recupero a bordo della nave. L’obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale SAR di Amburgo, non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro (c.d. “piace of safety”). Il punto 3.1.9 della citata Convenzione SAR dispone: «Le Parti devono assicurare il coordinamento e la cooperazione necessari affinché i capitani delle navi che prestano assistenza imbarcando persone in pericolo in mare siano dispensati dai loro obblighi e si discostino il meno possibile dalla rotta prevista, senza che il fatto di dispensarli da tali obblighi comprometta ulteriormente la salvaguardia della vita umana in mare. La Parte responsabile della zona di ricerca e salvataggio in cui viene prestata assistenza si assume in primo luogo la responsabilità di vigilare affinché siano assicurati il coordinamento e la cooperazione suddetti, affinché i sopravvissuti cui è stato prestato soccorso vengano sbarcati dalla nave che li ha raccolti e condotti in luogo sicuro, tenuto conto della situazione particolare e delle direttive elaborate dall’Organizzazione (Marittima Internazionale). In questi casi, le Parti interessate devono adottare le disposizioni necessarie affinché lo sbarco in questione abbia luogo nel più breve tempo ragionevolmente possibile».
Le Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Ris. MSC.167-78 del 2004) allegate alla Convenzione SAR, dispongono che il Governo responsabile per la regione SAR in cui sia avvenuto il recupero, sia tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che esso sia fornito.Per l’Italia, il piace of safety è determinato dall’Autorità SAR in coordinamento con il Ministero dell’Interno. Secondo le citate Linee guida, «un luogo sicuro è una località dove le operazioni di soccorso si considerano concluse; dove la sicurezza dei sopravvissuti o la loro vita non è più minacciata; le necessità umane primarie (come cibo, alloggio e cure mediche) possono essere soddisfatte; e può essere organizzato il trasporto dei sopravvissuti nella destinazione vicina o finale» (par. 6.12). «Sebbene una nave che presta assistenza possa costituire temporaneamente un luogo sicuro, essa dovrebbe essere sollevata da tale responsabilità non appena possano essere intraprese soluzioni alternative». (par. 6.13)”.
Per la Corte di Cassazione, “Non può quindi essere qualificato “luogo sicuro”, per evidente mancanza di tale presupposto, una nave in mare che, oltre ad essere in balia degli eventi metereologici avversi, non consente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse. Né può considerarsi compiuto il dovere di soccorso con il salvataggio dei naufraghi sulla nave e con la loro permanenza su di essa, poiché tali persone hanno diritto a presentare domanda di protezione internazionale secondo la Convenzione di Ginevra del 1951, operazione che non può certo essere effettuata sulla nave.Ad ulteriore conferma di tale interpretazione è utile richiamare la risoluzione n. 1821 del 21 giugno 2011 del Consiglio d’Europa (L’intercettazione e il salvataggio in mare dei domandanti asilo, dei rifugiati e dei migranti in situazione irregolare), secondo cui «la nozione di “luogo sicuro” non può essere limitata alla sola protezione fisica delle persone ma comprende necessariamente il rispetto dei loro diritti fondamentali» (punto 5.2.) che, pur non essendo fonte diretta del diritto, costituisce un criterio interpretativo imprescindibile del concetto di “luogo sicuro” nel diritto internazionale”.
Secondo la Corte di Cassazione, “In conclusione, la verifica del giudice della convalida è stata correttamente compiuta e corretta è la sua decisione. Il giudice non soltanto ha ritenuto configurabile, nella situazione descritta nel provvedimento, la causa di giustificazione dell’adempimento del dovere di soccorso, individuandone la portata, ma ha anche valutato che la sussistenza di tale scriminante fosse percepibile da parte degli operanti che avevano proceduto all’arresto, sulla base di una valutazione della singolarità della vicenda e delle concrete circostanze di fatto, come meticolosamente riepilogate. Non è ammessa, infatti, una privazione della libertà personale da parte della polizia giudiziaria quando, avuto riguardo alle circostanze del caso, ricorrano nel concreto cause di giustificazione idonee ad escluderne la rilevanza penale, in termini di ragionevolezza, sulla scorta degli elementi di conoscenza in capo a coloro che hanno operato la misura privativa della libertà personale (Sez. 6, n. 49124 del 01/10/2003, P.M. in proc. Todirica, Rv. 227721 – 01).
10. La vicenda della Open Arms per cui Salvini è sotto processo a Palermo appare assai diversa rispetto a ai casi Diciotti e Gregoretti, già esaminati dal Senato con esiti opposti, perché si trattava di una nave appartenente ad una ONG e il divieto di sbarco imposto dall’ex ministro dell’interno non era stato condiviso dalle altre autorità di governo, pure richiamate dal decreto sicurezza n. 53/2019 ,che veniva convertito in legge proprio negli stessi giorni nei quali la nave spagnola soccorreva i naufraghi in zona SAR “libica”, dopo il consueto diniego delle autorità maltesi che, per i naufraghi soccorsi nella zona SAR libica, si rifiutavano di indicare. un luogo di sbarco sicuro.
Le difese articolate dal senatore Salvini davanti alla giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato e poi davanti al tribunale di Palermo, ricalcano gli slogan lanciati dal momento del suo insediamento al Viminale e non corrispondono né alla dinamica dei fatti accertati dai giudici che lo hanno rinviato a giudizio,, né alle contestazioni tecnico-giuridiche puntualmente formulate dal Tribunale dei ministri di Palermo. L’ex ministro dell’interno afferma infatti che “l’indicazione del Pos (Place of Safety, approdo sicuro) spettava alla Spagna o a Malta (e non certo all’Italia) e il comandante della nave ha deliberatamente rifiutato il Pos indicato successivamente da Madrid, perdendo tempo prezioso al solo scopo di far sbarcare gli immigrati in Sicilia come già aveva fatto nel marzo 2018 ricavandone un processo per violenza privata e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina” . Una ricostruzione dei fatti che non va oltre la mera propaganda. Come il tema della competenza dello stato di bandiera, uno dei cavalli di battaglia del ministro, e della sua alleata ed adesso presidente del consiglio Giorgia Meloni, in ogni ipotesi di soccorso operato dalle ONG, prima e dopo l’adozione del decreto sicurezza bis. Per Salvini, “l’Italia non aveva alcuna competenza e alcun obbligo con riferimento a tutti i salvataggi effettuati dalla nave spagnola Open Arms in quanto avvenuti del tutto al di fuori di aree di sua pertinenza”, infatti “è sicuramente lo Stato di bandiera della nave che ha provveduto al salvataggio che deve indicare il Pos nei casi di operazioni effettuate in autonomia da navi ong”. Una tesi che è stata ripresa anche dal nuovo ministro dell’interno Lamorgese che però non si è spinta mai a vietare l’ingresso in porto, preferendo adottare la diversa, e più efficace politica dei fermi amministrativi, adesso fortemente ridimensionata da una importante sentenza interpretativa del 1 agosto scorso adottata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Tutte queste tesi sono state già smentite da una importante decisione della giustizia amministrativa, e poi dai numerosi provvedimenti di archiviazione dei procedimenti penali intetati contro le ONG. Argomenti inattaccabili che adesso il governo vuole sfidare con l’adozione di nuovi decreti legge sicurezza.
il 14 agosto, 2019 il Presidente del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (terza sezione) sospendeva l’efficacia del divieto di ingresso, transito e sosta nel mare territoriale nazionale, “al fine di consentire l’ingresso della Nave Open Arms in acque territoriali italiane (e quindi di prestare l’immediata assistenza alle persone soccorse maggiormente bisognevoli)”. Si deve richiamare l’importanza della decisione del Tribunale amministrativo del Lazio che sospendeva gli effetti del divieto di ingresso nelle acque territoriali adottato nei confronti della Open Arms il primo agosto 2019. “Alla luce della documentazione prodotta (medical report e relazione psicologica” e “della prospettata situazione di eccezionale gravità ed urgenza” il TAR del Lazio, con un decreto cautelare monocratico ha giustificato “la concessione della richiesta” per “consentire l’ingresso della nave Open Arms in acque territoriali italiane e quindi di prestare l’immediata assistenza alle persone soccorse maggiormente bisognevoli”. Osservava il TAR Lazio, “considerato, quanto al fumus, che il ricorso in esame non appare del tutto sfornito di fondamento giuridico in relazione al dedotto vizio di eccesso di potere per travisamento dei fatti e di violazione delle norme di diritto internazionale del mare in materia di soccorso, nella misura in cui la stessa amministrazione intimata riconosce, nelle premesse del provvedimento impugnato, che il natante soccorso da Open Arms in area SAR libica – quanto meno per l’ingente numero di persone a bordo – era in “distress”, cioè in situazione di evidente difficoltà (per cui appare, altresì, contraddittoria la conseguente valutazione effettuata nel medesimo provvedimento, dell’esistenza, nella specie, della peculiare ipotesi di “passaggio non inoffensivo” di cui all’art. 19, comma 1 [recte, comma 2], lett. g), della legge n. 689/1994)”
Il TAR Lazio riteneva pertanto,” quanto al periculum in mora, che sicuramente sussiste, alla luce della documentazione prodotta (medical report, relazione psicologica, dichiarazione capo missione), la prospettata situazione di eccezionale gravità ed urgenza, tale da giustificare la concessione – nelle more della trattazione dell’istanza cautelare nei modi ordinari – della richiesta tutela cautelare monocratica, al fine di consentire l’ingresso della nave Open Arms in acque territoriali italiane (e quindi di prestare l’immediata assistenza alle persone soccorse maggiormente bisognevoli, come del resto sembra sia già avvenuto per i casi più critici”.
Secondo i giudici del Tribunale dei ministri di Palermo, la condotta riferibile personalmente al ministro Salvini consistente nella mancata indicazione di un porto di sbarco sicuro (POS) alla Open Arms, nel peiodo intercorrente tra il 14 ed il 20 agosto 2019 sarebbe risultata “ illegittima per la violazione delle convenzioni internazionali e dei principi che regolano il soccorso in mare, e, più in generale, la tutela della vita umana, universalmente riconosciuti come ius cogens”. Gli stessi giudici rilevano invece come, “durante il primo segmento della vicenda, protrattosi sino al 14.8.2019, si delineasse già un obbligo esclusivo per lo Stato italiano di indicare un POS, quanto meno in relazione al concomitante obbligo gravante, in virtù delle medesime norme, sulle autorità maltesi. In effetti, in capo a queste si profilavaanche il più stringente criterio di collegamento della titolarità della zona in cui era avvenuto almeno il secondo soccorso, circostanza questa strenuamente contestata da Malta e, specularmente, sostenuta dal comandante della Open Arms; alla luce di questo criterio, le richieste di sbarco e di ridosso immediatamente successive vennero, infatti, indirizzate dal comandante della Open Arms esclusivamente a Malta”. A seguito dei reiterati rifiuti frapposti dalle autorità maltesi, che si dichiaravano tardivamente disponibili soltanto ad accettare lo sbarco dei 39 naufraghi soccorsi dalla Open Arms in zona SAR di competenza maltese nel terzo evento di salvataggio, secondo i giudici del Tribunale dei ministri di Palermo, “si ritiene che l’obbligo di indicare un POS, a partire dal 14.8.2019, si sia venuto definitivamente a concentrare in capo alle autorità italiane“.
11. Ai fini della individuazione del porto di sbarco sicuro non può assumere rilievo la bandiera che batte la nave soccorritrice, soprattutto quando questa ha già fatto ingresso nelle acque territoriali.. Come ha ricordato in diverse occasioni l’Autorità garante per le persone private della libertà personale, “l’interdizione all’ingresso costituisce esercizio della sovranità e implica che ai migranti soccorsi e a bordo della nave debbano essere riconosciuti tutti i diritti e le garanzie (divieto di non refoulement, diritti dei minori stranieri non accompagnati, diritto di protezione internazionale…) che spettano alle persone nei confronti delle quali l’Italia esercita la propria giurisdizione”. Come osserva Giancarlo Guarino, già Ordinario di Diritto Internazionale all’Università di Napoli Federico II, “il riferimento ripetuto del Governo italiano al fatto che le navi delle ONG battono bandiera di vari Paesi è irrilevante,…perché non si tratta di navi pubbliche ma private e quindi il principio per cui lo Stato della bandiera assume anche la responsabilità di chi si trovi a bordo della nave non vale”.
Il Commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, organo indipendente attualmente rappresentato dalla bosniaca Dunja Mijatović, aveva emanato una raccomandazione dall’eloquente titolo Lives Saved. Rights protected. Bridging the protection gap for refugees and migrants in the Mediterranean (ZIRULIA,DPC). “Nel documento si sottolineava che “il primo RCC (Centrale di coordinamento) contattato, anche se l’emergenza è avvenuta al di fuori della sua SRR (Zona SAR), mantiene la responsabilità dell’evento finché sia accertato che l’RCC competente per quella regione, o altro RCC, abbia dichiarato di assumere il coordinamento e si sia effettivamente attivato in tal senso (p. 20)”. La Centrale operativa della guardia costiera italiana rimane dunque responsabile dell’operazione SAR, e per essa il ministero dell’interno che ne stabilisce le linee di azione, fino a quando non sia accertato che i naufraghi siano stati presi in carico da un paese che garantisca un porto sicuro di sbarco. E dunque “non è giustificabile la prassi degli Stati membri del Consiglio d’Europa consistente nel tentare di dirottare le richieste d’aiuto proveniente dalla SRR libica sul JRCC di quel paese; al contrario, deve ritenersi che il diritto internazionale determini il radicamento ed il mantenimento della responsabilità in capo agli stessi RCC continentali”. In precedenza, la portavoce della Commissione Europea Nathasha Berhaud, ancora prima della denuncia di un gruppo di giuristi al Tribunale penale internazionale, aveva escluso che la Libia, nelle sue diverse articolazioni territoriali, potesse essere considerata come un luogo sicuro di sbarco.
Si deve infine ricordare quanto richiama Irini Papanicolopulu,docente di diritto internazionale presso l’Università di Milano Bicocca, secondo cui “l’ingresso di una nave che trasporta persone soccorse in mare in adempimento dell’obbligo internazionale di salvare la vita umana in mare non può considerarsi come attività compiuta in violazione delle leggi nazionali sull’immigrazione, a condizione che l’obiettivo della nave sia semplicemente quello di far sbarcare le persone soccorse. Infatti, l’obbligo di salvare la vita umana in mare vincola sia gli stati (ai sensi dell’art. 98, par. 1 CNUDM) sia i comandanti di navi (ai sensi del Capitolo V, reg. 33 SOLAS, nonché di numerose norme nazionali, quali ad esempio l’art. 489 cod. nav.). Tale obbligo richiede al comandante di assistere le persone in pericolo e di condurle in un luogo sicuro. In altri termini, la fattispecie del salvataggio in mare continua fino a quando il comandante non abbia fatto sbarcare le persone in luogo sicuro, e il suo ingresso nel mare territoriale e nei porti di uno Stato non può essere visto sotto luce diversa. Non si può quindi precludere il passaggio inoffensivo ad una nave che ha soccorso persone in pericolo, anche al di fuori del mare territoriale, qualora questa intenda entrare al fine di perfezionare il proprio obbligo di salvare la vita umana in mare.”
Non si possono dunque adottare provvedimenti amministrativi, o omettere atti dovuti come la indicazione di un porto di sbarco sicuro, in modo da intaccare i diritti fondamentali della persona sulla base del mero sospetto che le Ong siano colluse con trafficanti o scafisti, oppure che compiano attivita’ dolosamente preordinate alla introduzione di immigrati irregolari in Italia. I divieti di ingresso nelle acque territoriali fin qui adottati sono illegittimi perché contrastano con le Convenzioni internazionali di diritto del mare e con la Convenzione di Ginevra sui rifugiati che non consentono di qualificare come comportamenti illegali le attività di ricerca e soccorso in acque internazionali ed il successivo ingresso nel mare territoriale per lo sbarco dei naufraghi in un place of safety.